Premessa.
Onorevoli colleghi, in un Parlamento normale e in un
Paese normale, cioè democratici, questa relazione non sarebbe necessaria. Noi
non ci troveremmo dinanzi alla paradossale situazione di dover discutere dell’arresto
di un membro del Governo, colpito da gravissime accuse, che tuttavia non è
oggetto di critiche per come fa il sottosegretario ma perché intende candidarsi
alla guida di una regione che ha più di 5 milioni di abitanti.
Chi scrive - inoltre - potrebbe
serenamente aderire a una delle relazioni che già sono state preannunziate ed
evitarsi lo scrupolo e il fastidio di redigerne un’altra.
Purtroppo la situazione non lo
consente e mi vedo costretto a lasciare agli atti dell’Assemblea un mio scritto
per mettere in luce l’assurdo di questa vicenda. Do per noti i contenuti della
domanda di autorizzazione e le considerazioni della relazione di maggioranza.
1. I rifiuti: un settore di
interesse della camorra.
Che quello del ciclo dei rifiuti sia
un settore merceologico d’interesse per la criminalità non è un segreto per
nessuno. E’ dalla XII legislatura che le Camere costituiscono puntualmente
apposite inchieste parlamentari e rintracciano interessi, descrivono condotte e
profitti malavitosi nel sistema dei rifiuti (nelle legislature XIV e XV i presidenti
della commissione d’inchiesta sono stati proprio parlamentari della Campania,
Paolo Russo e Roberto Barbieri). Si sono scritti fiumi d’inchiostro e sono
innumerevoli le inchieste giudiziarie, i servizi giornalistici e - con la
magistrale penna di Roberto Saviano - capitoli di "romanzi”.
E’ altresì noto che l’intreccio tra
camorra e rifiuti è strategico per la prima: pochi servizi pubblici incidono
sul quotidiano delle famiglie e del territorio come la nettezza urbana. Se la
mafia s’infiltra nel traffico della droga, la grande maggioranza di cittadini
che non si drogano non se ne accorge; se si infila nel riciclaggio del danaro,
proprio perché il danaro non puzza, i frequentatori dei supermercati non
necessariamente se ne accorgono. Ma se la camorra brucia o ruba i camion della
raccolta e impedisce la nettezza di strade e quartieri; se i cassonetti non
possono essere svuotati perché le scelte amministrative sull’ubicazione di
discariche e inceneritori sono di fatto ostacolate, l’impatto sulla popolazione
è immediato.
Nel settore dei rifiuti, quindi, si
combinano molti aspetti dell’ingordigia camorristica: la voglia di acquisire e
di gestire finanziamenti per gli impianti; la necessità di controllare il
territorio; la possibilità di interloquire con il potere pubblico e di
condizionare le scelte della politica sia con il voto di scambio sia con l’aggressione
a chi non vuole scendere a patti.
2. Una politica malata.
In questo senso non è discutibile
che il deputato Cosentino sia immerso nella realtà territoriale della Campania
e che se ne nutra. Non è discutibile perché egli stesso lo rivendica. Che egli
sia il referente politico di quell’humus è dunque assodato. Egli
non ha smentito le accuse dei magistrati circa la sua influenza sulla vita
della ECO4: ha solo detto che il consorzio di Caserta non era gestito
diversamente da altri, condotti sotto l’egida del centro-sinistra. Non ha detto
di essere contrario ai metodi e ai sistemi in vigore: ha sottolineato che tutte
le forze politiche della Campania sono coinvolte.
Per noi non è certo un’attenuante,
ma è vero esattamente il contrario: trattasi di aggravante per Cosentino e per
il centro-sinistra.
Cosentino è certamente insensibile
alle ragioni della buona amministrazione e a quelle di un mercato concorrenziale
ed efficiente, ma non avrebbe potuto fare tutta la strada che ha fatto senza l’incredibile
inerzia della gestione commissariale (vale a dire di Antonio Bassolino) e l’interessato
strabismo di consistenti pezzi dei partiti di centro-sinistra.
Nella situazione di cui s’interessa
l’inchiesta all’attenzione della Camera, si staglia non solo la figura di
Nicola Cosentino ma anche quella del consigliere regionale Angelo Brancaccio,
eletto nel 2005 con i Democratici di sinistra. Costui viene arrestato nella
primavera del 2007 per gravissime accuse di connivenza con la camorra e in
particolare proprio con quei fratelli Michele e Sergio Orsi, che l’inchiesta
vuole soci di fatto di Cosentino. Costoro addirittura si tesserano per qualche
tempo con i DS, senza che in quel partito nessuno si scandalizzi, si ribelli al
fatto che due presunti camorristi casalesi sono stati ammessi al laticlavio
della politica militante. Appena arrestato Angelo Brancaccio viene espulso dai
DS, passa al gruppo regionale dei Popolari-UDEUR ne diviene il Segretario
provinciale di Caserta, in Regione è attualmente membro della "Commissione
speciale 2. Commissione speciale trasparenza : Commissione
consiliare speciale di controllo delle attività della Regione e degli enti
collegati e dell’utilizzo di tutti i fondi.”.
Dopo le elezioni regionali del 2005
Bassolino aveva un potere quasi incontrastato: era già commissario
straordinario, poteva ripulire la Campania nel volgere di poche settimane.
Cosentino a Casal di Principe e Landolfi a Mondragone erano suoi nemici e a
Casal di Principe e Mondragone si facevano blocchi stradali e si incendiavano i
rifiuti, ma Bassolino aveva la forza ed i poteri dalla sua: che bisogno c’era
di servirsi dei metodi e degli ammiccamenti alla malavita di uno come Brancaccio?
Non sarebbe stato meglio andare dalla magistratura e chiedere un’inchiesta
vera, senza sconti per nessuno? E dal punto di vista amministrativo, non era
meglio scegliersi persone di fiducia e non l’ambiguo Facchi da Milano? E sul
caso della discarica di Pianura e dell’assessore Nugnes - suicidatosi poco più
di anno fa - che cosa si deve concludere? Che il voto di scambio di cui si è
avvalso Cosentino giovasse anche a qualcuno nel centro-sinistra? Perché un
galantuomo come Lorenzo Diana da San Cipriano d’Aversa (spesso minacciato
e oggetto di tutela di pubblica sicurezza) invece non è stato ricandidato?
Perché la politica campana si rigira sempre nei miasmi che la rendono
irrespirabile da decenni con i suoi De Mita, Di Donato, Mastella - la cui consorte
è stata onorata proprio da Bassolino della presidenza del consiglio regionale?
Come mai le nuove leve sono forse peggiori delle vecchie?
E tuttavia la politica campana ha i
suoi epigoni e cantori nel Parlamento nazionale: ho letto incredulo gli interventi
dei senatori del Popolo della libertà nell’aula dell’altro ramo del Parlamento
del 25 novembre 2009, in ordine alle mozioni su Cosentino: non una parola sui
rifiuti; non un cenno all’inchiesta, alla situazione di grave dissesto civico e
istituzionale di quella zona, tra il confine con il Lazio e la periferia
nord-orientale di Napoli; non un mea culpa sui morti, che non sono solo
morti ammazzati con armi da fuoco ma anche da neoplasie cagionate dall’irrimediabile
insalubrità dell’ambiente.
3. Il caso Cosentino, emblematico del corto circuito del sistema
partitocratico e correntizio.
A fronte della politica malata, della politica localmente contigua alla criminalità, la politica nazionale cosa fa? Nulla.
Io voglio che questo rimanga agli atti di questa legislatura, di quanto il sistema abbia già fatto corto circuito ed il caso del sottosegretario Cosentino sta qui a dimostrarlo.
Le mafie, le camorre, le associazioni criminali che dominano il Sud e non solo, nel corso degli anni,
dei decenni, hanno mutato il loro essere, si sono evolute, sociologicamente
intendo dire e hanno assunto forme diverse e maggiore dinamismo. In un altro
paese questo mutamento della fisionomia, essendo già esso stesso storia,
sarebbe stato da tempo oggetto di analisi e di iniziative adeguate da parte del
legislatore; un legislatore che da tempo, per contrastare efficacemente il
fenomeno mafioso, avrebbe dovuto adeguare le fattispecie penali tipiche - nel
rigoroso rispetto dei principi costituzionali di legalità e di tassatività delle
fattispecie penali - alla mutata realtà.
E invece no, niente da fare, così
legittimando interventi ‘creativi’ della giurisprudenza e della magistratura
che, senza alcuna investitura popolare, si è sentita necessitata a far argine
alla nuova dinamica fisionomia delle mafie attraverso l’individuazione della
strada del "concorso esterno in associazione mafiosa”, attraverso, cioè l’utilizzazione
del ‘moltiplicatore’ di reati, il 110 cp, anche per una fattispecie già di per
sé, necessariamente plurisoggettiva.
Strada bizzarra, all’origine di un
animato dibattito dottrinario circa l’ammissibilità del concorso eventuale in
fattispecie plurisoggettive o reati a concorso necessario.
Per il vero la stessa Corte di
cassazione, investita più volte del problema, si è pronunciata, nel tempo, in
modo difforme, ora escludendo ora ammettendo la configurabilità del concorso
eventuale nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, fino ad
arrivare ai decisivi, ma irresponsabili, pronunciamenti delle Sezioni Unite.
Pronunciamenti irresponsabili, non perché non vi sia il bisogno di contrastare
le mafie anche o soprattutto su questo terreno, che è proprio quello che
sosteniamo, ma perché il prodotto dell’inerzia del legislatore, è stato quello
di conferire, volenti o nolenti, il potere legislativo, il potere di
individuare una nuova fattispecie a dei magistrati che per quanto di
elevatissimo spessore, sono pur sempre sforniti del mandato politico dei
cittadini e ad essi non rispondono.
E l’individuazione di questa nuova
figura di reato, essendosi verificata attraverso gli strumenti del tecnicismo
giurisprudenziale, gli unici di cui può legittimamente disporre la
magistratura, ha finito per conferire al concorso esterno confini labili ed
incerti; il che significa rimandare la determinazione del fatto punibile alla
mera discrezionalità dei giudici.
Il corto circuito, dicevo: da un
lato la partitocrazia sul punto immobile perché essa stessa corrotta e
corruttrice, che priva i cittadini degli strumenti di conoscenza necessari per
poter esprimere una condanna politica dell’inerzia legislativa finalizzata a
contrastare le mafie nelle sue nuove forme; dall’altro una magistratura che sul
punto fattasi legislatore si tiene ben stretto il fortino conquistato del ‘concorso
esterno in associazione mafiosa’, lasciando le dispute teoriche, sul non senso
logico giuridico del concorso esterno nei reati associativi e sulla non
conformità a Costituzione di un diritto penale siffatto, ai libri universitari.
In un altro paese un legislatore
inerte per almeno quindici anni sul punto del contrasto alle mafie sarebbe, per
ciò solo, stato mandato a casa; in un altro paese un tema del genere avrebbe
monopolizzato le campagne elettorali, la magistratura sarebbe stata al proprio
posto ed il legislatore sarebbe stato costretto, dal corpo elettorale non dalle
richieste di arresto, ad intervenire.
Noi non ci stiamo più a questo gioco
al massacro condotto da bande, sempre e solo basato, come in una giungla, sulla
legge del più forte. Noi vogliamo reati disegnati da un legislatore
politicamente responsabile, vogliamo che i cittadini informati come la legge
prevede, siano messi in grado di mandare a casa democraticamente un legislatore
colluso, corrotto e corruttore, vogliamo una magistratura professionalmente
responsabile, credibile ed indipendente che si muove nell’ambito dei confini
per essa disegnata dai costituenti; siamo stufi di inchieste ad orologeria e
siamo stufi che questa magistratura, quella romana in particolare, non faccia
nulla per riportare alla legalità lo scempio, civile prima ancora che penale,
della lottizzazione della concessionaria del servizio pubblico dell’informazione
radiotelevisiva che, in mano ai partiti corrotti e corruttori, almeno quanto la
ECO4 è in mano a Cosentino, tutto questo impedisce.
4. L’inchiesta.
Di Cosentino si parla da molti anni
nel contesto delle inchieste campane. La procura (e di conseguenza il GIP) non
dice però perché per almeno 10 anni non si è voluto andare a fondo sulle
ipotesi che riguardano il deputato Cosentino. Le prime deposizioni dei pentiti sono
di Carmine Schiavone, a metà anni 90, mentre Domenico Bidognetti, Emilio Di
Caterina e Michele Orsi parlano già da due o più anni del deputato Cosentino.
E’ dunque la credibilità dell’inchiesta,
in ordine al coinvolgimento del deputato Cosentino, che viene irrimediabilmente
messa in discussione dai tempi e dai modi relativi all’iscrizione del deputato nel
registro degli indagati e dai tempi della domanda di arresto. Perché solo ora?
Troppo lavoro da dieci anni a questa parte per la Procura di Napoli? Occorreva
vedere quanto cresceva politicamente il politico Cosentino, prima di
intervenire?
I riscontri sulle dichiarazioni dei
pentiti, in ordine al coinvolgimento di Cosentino e nonostante l’amplissimo
arco di tempo a disposizione degli inquirenti sono sempre e solo riscontri
indiretti e totalmente insoddisfacenti, non arrivano mai a fatti connotati
dall’attualità, tutto pare improvvisamente fermarsi all’anno 2004.
Pur con i limiti investigativi di
cui all’art. 68 Costituzione, potevano ben essere condotte indagini
patrimoniali, potevano ben essere intercettati gli interlocutori più vicini al
deputato Cosentino, potevano essere effettuati servizi di osservazione e
controllo. Nulla è stato fatto e la Procura che non ha voluto neanche sentire
Cosentino presunto innocente e tacciato di essere un potenziale criminale che
pure si era reso disponibile, ci chiede oggi di fidarci dei pentiti, sicuri
criminali, e di riscontri indiretti.
Riscontri che però, oltre ad essere flebili ed indiretti, non arrivano - come detto e come scrive lo stesso GIP nell’ordinanza - al di là dell’anno 2004. La Procura di Napoli sul sottosegretario Cosentino negli ultimi cinque anni nulla ha trovato, tanto che, con la consapevolezza della debolezza degli elementi posti a base della richiesta di arresto, il Procuratore della Repubblica di Napoli, appresa della decisione della Giunta delle autorizzazioni di questa Camera, ha dichiarato all’ANSA il 25 Novembre "la richiesta d’arresto respinta non è un blocco alle indagini. Se troveremo elementi bene, se non ne troveremo allora ci fermeremo. Intanto le indagini continuano”. Ma allora, posto che lo stesso Procuratore afferma che se non verranno trovati elementi l’indagine si fermerà, su che cosa è realmente basata la richiesta di arresto? Si chiede di arrestare un sottosegretario con la consapevolezza che l’indagine, se non viene fuori nulla di nuovo, è destinata all’archiviazione?
Succedono cose strane alla Procura di Napoli. Procura nella quale accade che il Procuratore Generale della Corte d’Appello, Vincenzo Galgano, istituzionalmente deputato al controllo delle iniziative e delle inerzie degli uffici dei PM, afferma, dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno in un’intervista del 15 ottobre che vi sono a Napoli PM fanatici che danneggiano le persone e provocano sofferenze, che su Cosentino non gli risulta sussistano elementi e che a quanto gli consta è una persona per bene; che la qualità professionale in Procura è scadente e che la dotazione organica non è di "cento cavallucci", ma di "dieci stalloni e 90 asini."
In Procura a Napoli
succede però che 72 PM ed un Aggiunto firmino un documento contro il pg Galgano
per quell’intervista, e richiedano l’apertura di una pratica a tutela presso il
CSM e succede ancora che il Presidente della I Commissione, Dr. Fiorella
Pilato, guarda caso di Magistratura Democratica, non escluda il trasferimento
di Galgano da Napoli per incompatibilità ambientale.
Succede così, che audito
in una velocissima pre istruttoria il PG Vincenzo Galgano, evidentemente memore
delle limpide decisioni di questo CSM sui magistrati De Magistris e Forleo,
faccia rapida marcia indietro e dica che, no, non si riferiva alla situazione
di Napoli, ma alla situazione in generale della giustizia in questo nostro
disgraziato paese.
Personalmente posso anche nutrire
seri dubbi sulla tesi della persecuzione giudiziaria, motivo per il quale non
condivido la proposta della maggioranza della Giunta, ma il contesto appena
descritto, il metodo ed il merito, che in quel contesto diventano testo della
richiesta di arresto, non giustificano comunque, a mio avviso, la richiesta di
arresto di una persona, anche se si chiama Nicola Cosentino, nato a Casal di
Principe.