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1984 10 07 * La Repubblica * I nuovi padroni della Rizzoli * Eugenio Scalfari

IL DISSESTO Rizzoli si è chiuso, dopo quattr'anni di calvario, in un modo che non è il migliore di quelli possibili ma è forse il migliore di quelli probabili. Era infatti nell'ordine delle probabilità che quella casa editrice e i suoi giornali fossero conquistati da qualche cordata d'avventura, del tipo di quella patrocinata dall'ineffabile avvocato Uckmar, per non parlare dell'altra raffazzonata all'ultimo momento dall'ex patron del Casinò di San Remo. Oppure da Attilio Monti, autospogliatosi per l'occasione delle sue proprietà editoriali del Carlino e della Nazione. E c'era la probabilità che queste cordate d'avventura si muovessero con il patrocinio diretto di alcuni partiti politici e delle banche ad essi collegate, con interferenze massicce e scoperte sull'autonomia dei giornali. Tutto ciò, per fortuna, non è avvenuto. Ne sarebbe stato sconvolto non soltanto il gruppo Rizzoli-Corriere della sera, ma l'intera professione giornalistica. Sicché anche noi, concorrenti del "NCorriere", ne prendiamo atto con soddisfazione. E tuttavia, la sistemazione della vicenda Rizzoli è ben lungi dall'esser neutrale, sia nel campo dell'editoria sia in quello, più generale degli equilibri culturali, economici e politici italiani. Una dislocazione del potere si è verificata, una nuova mappa industriale e finanziaria ha preso corpo e peserà nei futuri rapporti di forza. Molti si sono chiesti nei giorni scorsi chi siano i veri padroni della Rizzoli-Corsera, al di là di un certo "spicciolame" che pure è presente tra i sottoscrittori dell'aumento di capitale. Lo spicciolame è lì per assicurare qualche marginale rappresentanza politica e/o per mercanteggiare qualche lucroso affare privato. Bisognerà dunque tener d'occhio questo possibile seguito della questione, ad evitare che la comproprietà dei giornali faciliti transazioni di favore in tutt'altri campi dell'attività economica e si trasformi di conseguenza in rendite di posizione alle spalle dei giornalisti e, soprattutto, degli ignari lettori. Ci auguriamo che i colleghi del "Corriere" siano vigili su questo terreno. Noi comunque non saremo certo distratti.

SPICCIOLAME a parte, il nucleo della nuova proprietà ha l'apparente figura del quadrato e vede schierati in bell'ordine la Mediobanca di Enrico Cuccia, la cosiddetta finanza laica con casa Agnelli in testa e ai fianchi Pirelli e Luigi Orlando, il gruppo cattolico di Brescia guidato dallo stesso presidente dell'Ambrosiano, Bazoli, e la Montedison di Schimberni. Il tutto opportunamente confezionato dalla sapiente cosmesi di avvocati e finanzieri di grido, e messo in capaci scatole societarie: la Gemina, la Meta, la Mittel, tutte quotate in Borsa come la legge sull'editoria prescrive affinché vi sia almeno trasparenza finanziaria quando manca la trasparenza dei nomi delle persone fisiche. Vediamole più da vicino, queste scatole confezionate con nastri e fiocchi di sgargianti colori. Sulla Mittel non c'è molto da dire: rappresenta gli interessi della Curia di Brescia e dei suoi immediati dintorni. Fa un po' senso assistere all'ingresso d'una Curia vescovile nel giornale che fu di Albertini. Ma anche questa storia di Albertini e del "Corriere" organo della borghesia laica è diventata da un pezzo un luogo comune. I fratelli Crespi erano borghesia laica? C'è da dubitarne. Del resto, dopo la tempesta Rizzoli-Tassan Din-Ortolani-Calvi-Ior, la Curia di Brescia è certamente un progresso. Il discorso diventa più serio per quanto riguarda gli altri tre lati del quadrato, che in realtà si configura piuttosto come un triangolo, e cioè Mediobanca, Fiat, Montedison, i veri padroni nuovi che sono entrati in via Solferino. C'è una marcata differenza tra il primo ingresso di Agnelli nel "Corriere" undici anni fa e il reingresso odierno. Allora il presidente della Fiat acquistò le azioni dei Crespi attraverso l'IFI, la finanziaria di famiglia; poi prese paura di fronte al disavanzo dell'azienda e all'offensiva "corazzata" di Eugenio Cefis, e si ritirò di corsa nel suo ridotto torinese. Erano tempi duri per la Fiat, e l'Avvocato proclamò che chi si occupa di fabbricare automobili non deve interessarsi di giornali (Stampa ovviamente esclusa) per ragioni di pubblica "moralità". Adesso ritorna, ma non attraverso l'IFI, bensì attraverso la Gemina, in cui la Fiat ha una partecipazione del 16 per cento ma una funzione determinante in sede di sindacato azionario. La Gemina, dal canto suo, è un crocevia, dove Fiat, Bonomi, Pirelli, Orlando, confluiscono con Mediobanca e con la Spafid, fiduciaria di Mediobanca. Mediobanca e quindi Spafid sono controllate dalle tre banche d'interesse nazionale (Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma) le quali sono a loro volta controllate dall'IRI. E'un bel gioco di scatole cinesi. Al vertice c'è l'IRI, poi si passa per le tre Bin, poi per Mediobanca e infine si arriva a Gemina, col risultato che il capitale iniziale si annacqua sempre di più. La stessa tecnica vale anche per gli altri azionisti di Gemina. Alla fine, ciascuno di loro partecipa a Gemina avendo messo una lira e controllandone dieci, fornite dalle banche e dalla Borsa. Miracoli del capitalismo, ai quali è giusto inchinarsi. Gemina e Spafid, a loro volta, hanno di fatto il controllo della Montedison; sicché tutte queste forze sono le sfaccettature d'un solo centro operativo, in cui la maggior parte del capitale è fornito da enti pubblici e da banche pubbliche, mentre le decisioni sono prese da un ristretto comitato d'affari sostanzialmente privato. Tant'è che il presidente dell'IRI, che in teoria è il "superiore" di Enrico Cuccia, ha appreso la notizia dell'acquisto della Rizzoli attraverso i giornali. Questo Prodi - diciamolo - non lo informa mai nessuno.

ORA il punto è questo: l'ingresso dei nuovi padroni nella Rizzoli-Corsera realizza una macroscopica violazione della legge sull'editoria. Quella legge infatti stabilisce due divieti fondamentali a garanzia del pluralismo dell'informazione. Primo divieto: gli enti pubblici o le società da essi controllate non possono possedere giornali quotidiani. Secondo divieto: nessun editore può possedere giornali quotidiani in numero tale da superare il 20 per cento della tiratura nazionale complessiva. Ebbene, il primo divieto è sostanzialmente violato a causa della presenza pubblica sia in Mediobanca che nella Montedison (il fatto che tale presenza sia "dormiente" non ha nessun rilievo agli effetti del rispetto della legge). Il secondo divieto è altrettanto sostanzialmente violato per il fatto che i quotidiani della Rizzoli sono già al di là del 20 per cento della diffusione nazionale complessiva e che ad essi vanno ora ad aggiungersi la Stampa, di proprietà interamente della Fiat, e il Messaggero, di proprietà interamente della Montedison. I nuovi padroni del Corriere, si trovano cioè a possedere, oltre allo stesso Corriere della sera, il principale giornale sportivo italiano, la Gazzetta dello Sport, il principale giornale del Piemonte, il principale giornale del Lazio, il principale giornale di Napoli e della Campania. Il tutto facente capo a Gemina, che controlla Montedison ed è a sua volta controllata dall'IRI e dalla Fiat. Ripetiamolo: in questi tempi da basso impero, questa è comunque la migliore delle soluzioni temute. Ma è la peggiore di quelle possibili. Infatti, in barba alla legge, essa realizza la più formidabile concentrazione editoriale che mai sia esistita nel nostro paese. Con tanti saluti alla libera concorrenza, alla trasparenza e all'autonomia dei giornali di fronte agli interessi della finanza, delle banche, dell'automobile, della chimica ed anche dei bellissimi tubi prodotti dal signor Arvedi, siderurgico di Cremona. Il tutto, con la benedizione e l'attiva partecipazione di monsignor Bruno Foresti vescovo di Brescia. Orate fratres.