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1995 02 06 * Il Corriere della Sera *Quando le manette sono di famiglia

ARRESTATO LUIGI MARIA MENNINI. COME IL PADRE NEL 1992. COME IL NONNO NEL 1981...

Lo hanno ammanettato a Londra per una brutta storia di truffe a diverse banche. Una faccenda che quasi non avrebbe fatto notizia se a capo della banda non ci fosse stato lui, Luigi Maria Mennini, figlio di Alessandro, ex dirigente del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e nipote di Luigi, per oltre mezzo secolo tesoriere dello Ior, la banca vaticana coinvolta nel crac di Michele Sindona. Come il papà e il nonno, Luigi Maria Mennini si troverà quindi presto di fronte ai giudici. Una sorta di tradizione familiare che comincia il 6 febbraio del 1981 quando finisce in carcere Luigi Mennini, monumento della finanza vaticana, allora sotto la regia di Paul Marcinkus. Lo scandalo Sindona in quel momento tiene banco su tutti i giornali. L'inchiesta sembra inarrestabile. La Guardia di Finanza bussa alla porta della casa romana di Luigi Mennini la mattina presto. L'accusa per l'amministratore delegato dell'"Istituto opere di religione" è : concorso in bancarotta fraudolenta aggravata. Guido Viola e Bruno Apicella, i due magistrati che conducono l'inchiesta della Banca Privata Italiana, (l'ultimo istituto di credito sindoniano, nato dalla fusione di Banca Unione e Banca Privata Finanziaria e poi fallito nel 1974) interrogano Mennini nel carcere di San Vittore. Il finanziere aveva fatto parte del comitato esecutivo della Banca Unione per sette anni. Era giunto al vertice dell'istituto proprio in rappresentanza dello Ior, che era socio di minoranza con il 20 per cento. Secondo i giudici Mennini avrebbe diretto una serie di operazioni all'estero, speculative, che poi contribuirono a svuotare le banche di Sindona dei vari capitali fino al crac. Un'operazione in particolare interessa agli inquirenti. Quella relativa all'acquisto negli Stati Uniti delle azioni di una società di Los Angeles, la Vetco Company, attraverso un deposito fiduciario fatto alla Amincor Bank, il terminale svizzero più misterioso degli affari di Sindona. Riservatissimo (per carettere è stato paragonato a Enrico Cuccia: "come lui . si dice . non ha mai lasciato carte in giro...") Mennini nega tutto. Il giudice istruttore Apicella arriva a scrivere: "L'impressione che si è avuta nel corso degli interrogatori è che, se avesse potuto, Mennini avrebbe negato perfino di chiamarsi Luigi Mennini". Ancora più duro Guido Viola: "Mente sapendo di mentire. La verità è che lo Ior, sempre in cerca di cospicui utili, non è mai andato troppo per il sottile, facendo spesso da partner a personaggi equivoci e spregiudicati, prestandosi anche a fungere da tramite per l'esportazione di capitali". L'inchiesta prosegue e il 12 luglio del 1984 il finanziere viene condannato a sette anni di carcere. Sentenza poi annullata dalla Cassazione che ha sancito un difetto di giurisdizione della magistratura nei confronti di Mennini e dei coimputati, tra cui Marcinkus. L'istituto vaticano chiude la partita pagando 250 milioni di dollari. Sette anni e due mesi toccano invece il 16 aprile del 1992 a suo figlio Alessandro. Questa volta il processo è quello legato al fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, trovato morto sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno del 1982. Dirigente del servizio esteri dell'istituto, Alessandro Mennini viene puntualmente trascinato nell'inchiesta. Inevitabilmente attraverso di lui viene richiamato in causa anche lo Ior. Pure Alessandro Mennini è accusato di concorso in bancarotta assieme ai consiglieri di amministrazione, sindaci e alti funzionari. E riconosciuto colpevole in primo grado. La saga continua. Qualche giorno fa le manette sono scattate per l'ultimo dei Mennini, Luigi Maria. Insieme con sei complici bussava alle porte delle più importanti banche europee, da Praga a Londra, da Madrid a Bucarest chiedendo finanziamenti destinati alla costruzione di grandi opere: fabbriche, ferrovie, grattacieli... Si spacciavano per uomini dei servizi segreti e dicevano di lavorare per conto del governo italiano. Come garanzia per ottenere i finanziamenti esibivano una valigetta gonfia di titoli di Stato e Cct. Falsi o rubati. "Ci sono 500 miliardi qui dentro" dicevano. E qualche funzionario finiva per abboccare. Anche perché Mennini e soci non esitavano ad aggiungere: "Se non è convinto di quello che diciamo possiamo farle telefonare dal tale ministro...". La Digos era sulle tracce di Mennini da mesi. Per arrivare a lui era stata perquisita anche la casa di Roland Voeller, il supertestimone del giallo per la morte di Simonetta Cesaroni in via Poma. Parte dei titoli presentati come garanzia dalla banda, 480 miliardi, si è invece scoperto che provenivano dal bottino di una rapina: un assalto nel 1992 in piazza del Parlamento a un furgone della Banca di Roma. Mennini dovrà chiarire anche questo episodio. E porre fine così alla triste saga di famiglia.