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1997 10 03 * La Repubblica * Caso Calvi, arresti per Calò e Carboni * Giovanni Maria Bellu

Ucciso perché non aveva saputo gestire i miliardi sporchi che arrivavano a centinaia nelle casse del suo Banco ambrosiano. Tradito, consegnato nelle mani dei killer, da Flavio Carboni, l’uomo di cui si era fidato. Quindici anni dopo, il giallo della morte del banchiere Roberto Calvi sembra davvero risolto. Con una ipotesi accusatoria uguale a quella di tante altre vicende italiane: Calvi fu stritolato dallo stesso intreccio tra criminalità, politica e massoneria che ha prodotto gli omicidi del giornalista Mino Pecorelli, del finanziere usuraio Domenico Balducci, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli e il tentato omicidio del vicepresidente del Banco ambrosiano Roberto Rosone. Su richiesta del sostituto procuratore romano Giovanni Salvi, il giudice per l’indagine preliminare Mario Almerighi ha emesso due ordinanze di custodia cautelare per concorso in omicidio. Una è per Pippo Calò, noto anche come “il cassiere di Cosa Nostra”, da tempo sotto processo con Andreotti e Vitalone per l’omicidio Pecorelli. L’altra per Flavio Carboni, che però resta libero: fu arrestato in Svizzera ed è stato chiesto un supplemento di estradizione alle autorità elvetiche. In attesa della risposta, continuerà a vivere a Roma nella sua villa da miliardario che ieri - al pari di altri dieci tra appartamenti e uffici - è stata perquisita su ordine dei giudici. Gli indagati sono sei. Era il 18 giugno del 1982 quando Roberto Calvi fu trovato impiccato a Londra, sotto un ponte del Tamigi, il Blackfriars, frati neri, con le tasche piene di soldi e un passaporto falso intestato a “Roberto Calvini”. Il giorno prima era stato destituito dalla carica di presidente del Banco ambrosiano. L’11 era partito dall’Italia per l’ultimo viaggio, portando con sé una borsa che poi sarebbe sparita e ricomparsa e il cui complesso percorso - assieme alle dichiarazioni di molti pentiti - ha fornito la prima pista concreta. Era un uomo disperato e spaventato Roberto Calvi. Aveva ricevuto dall’Istituto opere religiose la richiesta di restituire 300 milioni di dollari entro il 30 giugno, e aveva scritto a cardinali e monsignori, infine al Papa, ricordando di aver dato mille miliardi a Solidarnosc, 175 milioni di dollari a paesi dell’America latina. Era stato scaricato da tutti, anche Licio Gelli - un altro che, secondo i giudici, aveva molti buoni motivi per volerlo morto - e aveva capito che anche la mafia e la banda della Magliana non si fidava più di lui benché avesse fatto il possibile, fino a dissanguarsi, per restituire i soldi che gli erano stati affidati. E che in parte aveva veramente investito, assieme a Carboni, in ville in Sardegna, dove aveva passato anche periodi di vacanza, incontrando Calò a altri amici e criminali.
Questo dei soldi che passano da Calvi a Carboni fino a pochi giorni prima della morte è uno dei punti-chiave dell’inchiesta. Secondo i magistrati, questi passaggi di denaro non erano - come Carboni ha sempre sostenuto - un modo per mettere al sicuro un po’ di liquido attraverso un amico. Carboni era in realtà l’uomo che recuperava i crediti di Cosa Nostra. Quando fugge dall’Italia Calvi è a pezzi, ma ha un obiettivo: Zurigo. E’ là che c’è la banca dove ha conservato i riscontri di tutti i finanziamenti. Vuole recuperarli, per salvarsi la pelle, forse per ricattare il Vaticano e gli ex amici. Raggiunge, accompagnato da Emilio Pellicani, Trieste. dove incontra Silvano Vittor. Prosegue poi per Klangefurt, in Svizzera. Qua, improvvisamente, il programma cambia. Carboni ordina ai piloti dell’aereo privato che deve portare Calvi a Zurigo di rientrare a Roma. Ma lui, all’insaputa dell’amico, a Zurigo ci va, e là incontra Ernesto Diotallevi, figlioccio di Pippo Calò. L’ipotesi dei giudici è che questo incontro sia stato uno snodo del tradimento. Calvi viene convinto ad andare a Londra. Chiede all’“amico” di trovargli una sistemazione accogliente e riservata. Viene spedito in un gigantesco albergo-caserma, il “Chelsea Cloister” che ha 430 stanze ed è l’esatto contrario di quanto aveva chiesto. “E’ una scelta infame!”, dirà. I giudici romani hanno accertato che fu proprio Carboni a scegliere quell’albergo (che aveva una porticina che conduceva sul retro, e così si poteva entrare e uscire senza passare per la hall). 
Hanno scoperto che Carboni mentì quando parlò di un viaggio ad Amsterdam alcuni giorni prima del delitto. In realtà era a Londra.
Perché l’ha nascosto? Gli ultimi fotogrammi dell’esistenza di Roberto Calvi sono ancora in parte confusi. I magistrati ipotizzano, ma con cautela, che a commettere l’omicidio sia stato un personaggio molto noto della criminalità, Vincenzo Casillo, un camorrista del clan Nuvoletta, legato a Cosa Nostra. Lo ha detto Claudio Sicilia, uno dei molti pentiti che - a partire da Tommaso Buscetta - hanno parlato di un movente finanziario e mafioso. Ma un altro pentito, Marino Mannoia, ha accusato Francesco Di Carlo, un killer legato a Bernardo Brusca. Di Carlo - che a sua volta si è pentito, ed è un pilastro dell’accusa - ha detto che effettivamente Calò tentò di contattarlo per l’omicidio, ma in un periodo in cui era fuori Roma.
Poi seppe che la questione era stata “sbrigata” dai napoletani. Dice la verità? Chissà. Di certo Di Carlo non ha un alibi per il giorno del delitto. Di certo Casillo più di dieci anni fa è stato assassinato. E di certo all’omicidio Calvi partecipò più di un killer.