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1998 01/02 Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi * Audizione di Marco Pannella

29ª SEDUTA

MERCOLEDI 28 GENNAIO 1998

Presidenza del Presidente PELLEGRINO

indi del vice presidente GRIMALDI

Indice degli interventi

PRESIDENTE

PANNELLA

CORSINI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato

DE LUCA Athos (Verdi-l'Ulivo), senatore

FRAGALA' (AN), deputato

GRIMALDI (Rif.Com.), deputato

GUALTIERI (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore

STANISCIA (Sin.Dem.-l'Ulivo), senatore

TASSONE (CCD-CDU), deputato

 

La seduta ha inizio alle ore 20,25.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito l'onorevole Fragalà a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRAGALA’, segretario f.f., dà lettura del processo verbale della seduta del 21 gennaio 1998.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato. E’ approvato.

 

COMUNICAZIONI DEI. PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI: AUDIZIONE DELL'ONOREVOLE MARCO PANNELLA

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'onorevole Marco Pannella, che ringrazio per essere presente e che saluto, nell'ambito dell'inchiesta su stragi e depistaggi.

Vorrei dire alcuni brevi parole per spiegare perché, almeno per quel che mi riguarda, vorrei seguire questa volta, ascoltando l'onorevole Pannella, un metodo diverso da quello seguito in altre audizioni. Marco Pannella almeno dal 1963 è uno dei protagonisti della vita politica italiana, quindi è stato attivo in Parlamento, nelle istituzioni e nella nostra società durante l'intero periodo in cui sono avvenuti i fatti tragici che hanno portato alla costituzione di questa, Commissione d'inchiesta. Pertanto già questo a mio avviso giustifica la sua audizione considerando che noi abbiamo già sentito altri grandi protagonisti di quella stagione. L'onorevole Pannella ha sempre seguito con forte attenzione l'attività di questa Commissione, convinto della sua importanza e della sua utilità. Qui riporto un piccolo ricordo personale. Ero stato appena nominato, dai presidenti Scognamiglio Pasini e Pivetti, Presidente di questa Commissione. Era piena estate quando Marco Pannella venne addirittura a trovarmi a Lecce. Trascorremmo insieme un lungo pomeriggio e una lunga serata in cui mi spiegò i suoi punti di vista, che oggi confesso non aver capito allora pienamente, probabilmente, anzi sicuramente, per quella che era allora una mia scarsa informazione e preparazione su tutti questi temi. Da allora l'attenzione dell'onorevole Pannella non si è allentata, è stata continua. Dopo il deposito della mia proposta di relazione del dicembre 1995 io ho avuto diversi incontri e confronti, anche pubblici, con il nostro ospite sui contenuti di quella relazione, la cui verifica oggi costituisce il compito rispetto al quale ci impegniamo. L'onorevole Pannella potrà correggere quanto sto per dire. La mia impressione è che lui ritenga non sbagliato il tipo di lettura che quella proposta di relazione propone, però la ritiene una verità parziale, meritevole di approfondimento e che sconta negativamente il fatto che una serie di punti nodali e oscuri della vita del paese - a suo avviso - non sono stati indagati abbastanza. Vorrei dire in via di estrema sintesi, quindi sempre con l'approssimazione propria di ogni tipo di sintesi, che se in quella relazione l'obiettivo strategico che condiziona l'intera vicenda nazionale è la sacralità del confine occidentale, nella logica che invece l'onorevole Pannella propone il vero obiettivo era altro: l'obiettivo strategico era il mantenimento dell'equilibrio di Yalta. Questo consente una lettura indubbiamente più difficile e complessa di quella che la proposta di relazione fornisce. Penso che la Commissione abbia il dovere istituzionale ed intellettuale di confrontarsi con questo tipo di diversa lettura, con questa diversa ipotesi ricostruttiva che sembrerebbe quasi attenere ad un piano ancora più sotterraneo di realtà rispetto a quello della proposta di relazione. Per questo do senz'altro la parola all'onorevole Pannella, al quale personalmente non proporrò preliminarmente domande riservandomi di farlo, semmai anche con qualche breve interruzione, durante il corso della sua esposizione. Poi l'affiderò ai commissari, molti dei quali si sono già iscritti a parlare.

PANNELLA. Signor Presidente, sono integralmente e profondamente riconoscente nei suoi confronti e nei confronti della Commissione per questa occasione che mi viene data e che in qualche misura ho ricercato ma inutilmente nel corso di lustri, cioè poter versare in una sede a ciò deputata alcune memorie, alcune testimonianze e alcuni fatti augurandomi che siano ritenuti meritevoli di attenzione; di essere accolti, o magari di essere respinti, ma meritevoli di essere presi in considerazione. Il presidente Pellegrino ha avuto la bontà di ricordare che sono ormai molti decenni che sono impegnato, più spesso sui marciapiedi che nelle istituzioni - ma anche nelle istituzioni - con quella che Simone Weil diceva essere sinonimo dell'amicizia e dell'amore: la "costanza dell'attenzione". Credo che rispetto alla storia del mio paese, alla storia del mio tempo e della mia società forse avrei dovuto farlo con molto più di questa, ma la costanza dell'attenzione vi è stata e mi anima tuttora. Il presidente Pellegrino ha indicato una data, il 1963. In quegli anni in alcuni ambienti molto autorevoli, militari, di "estrema destra" o di destra, si è formata la convinzione o si ostenta la convinzione, che se vi sono (e secondo loro vi sono) delle mani "rosse" sull'esercito queste sono anche, e in parte consistente, quelle della sinistra radicale, la più giovane, in un momento nel quale eravamo 210 o 220 iscritti in Italia, ma certo militanti con qualche capacità dovuta forse...

PRESIDENTE. Lei usa il plurale per accomunarmi. Questo è vero.

PANNELLA. Volevo sentire se questa radice dava anche il frutto di una considerazione sul presente. Perché le radici sono presente, se sono cose vive. In quegli anni - come adesso - la caratterizzazione della stragrande maggioranza dei pochi che eravamo era una fedeltà atlantica e israeliana assoluta (alcuni di loro forse sanno che ho esordito spesso nelle varie legislature premettendo, il primo intervento è sempre un po’ difficile, di essere un agente della Cia e del Mossad; devo dire che per un anno o due non dicevo Mossad perché non ricordavo il nome e una volta ho sbagliato e ho detto la Maganà, e anche se naturalmente abbiamo nutrito e nutrivamo questa scelta, questa speranza, questa determinazione con una dose di singolarità, di liberali intransigenti, ma anche di liberali come i decenni avrebbero poi reso Popper, che non aveva ancora incontrato la non violenza; lo sappiamo, sono stati gli ultimi quindici anni, quelli in cui Popper ha accumulato questo strano mélange, liberalismo e non violenza; per noi è stata la caratteristica dall'inizio degli anni '60. Forse questo ci ha consentito di avere, per esempio - lo ricorderò solo en passant - dei momenti molto singolari e molto difficili, per esempio, con gli ambienti "americani" e italiani. Noi dal 1963 al 1966 riuscimmo a provocare un'adesione di molte decine di parlamentari ad una sorta di rottura nel Movimento della Pace italiana di allora, perché appoggiammo l'iniziativa, che altrimenti sarebbe restata nella sua patria, del senatore austriaco Hans Thirring nel momento in cui il pacifismo occidentale autentico si muoveva soprattutto sulla campagna antinucleare (i CNI) - compaign for nuclear desarmament -, di Bertrand Russell, con i quali ci muovevamo). Noi però avevamo una diversa accentuazione, molto forte: dicevamo essere necessario, a nostro avviso, cominciare con il disarmo convenzionale (e la proposta del senatore Thirring era quella) dell'intera area europea.

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Potremmo dire come formula riassuntiva che eravamo (uso il plurale) anticomunisti e quindi atlantici, ma nello stesso tempo non accettavamo tutte le conseguenze che dall'atlantismo militante derivavano e quindi eravamo anche antidemocratici cristiani.

PANNELLA. Certo. Ma direi anche che non accettavamo nemmeno quell'impostazione, che si riproponeva dopo Yalta ma che come ideologia corrente che vive oggi rispetto alla Cina - rivive tuttora - per la quale nei rapporti storici, nel maturare dei grandi eventi storici, occorre prescindere totalmente da un'eccessiva preoccupazione di coincidenza fra posizioni ideali, o politiche, e posizioni diplomatiche e tattiche o anche strategiche. C'è stato cioè in noi un filo conduttore che ci portò anche ai tempi di Comiso, pur essendo la maggior parte degli arrestati a Comiso iscritti al nostro partito, ad avere una posizione diciamo sostanzialmente più favorevole, o meno sfavorevole, agli armamenti e agli equilibri nucleari ed atomici rispetto alla sottovalutazione della pericolosità degli eserciti e delle strutture degli eserciti convenzionali in sé nella vita nazionale ed internazionale. Ebbene, su questa posizione del senatore Thirring noi ponevamo allora un problema - e fu notato a destra, non solo nel convegno del Parco dei Principi - che era inaccettabile per il blocco orientale, nel senso che era chiaro che il disarmo convenzionale dell'area europea totale creava molti più problemi all'impero sovietico il quale aveva bisogno per il suo ordine interno, per le sue strutture interne, dell'esercito, molto meno ... anche perché la posizione del senatore Thirring escludeva la Gran Bretagna da questa forma di disarmo. Quindi in quel momento venivamo considerati pericolosi da alcuni atlantici, più dei comunisti perché non si capiva bene... ma questa è una singolarità, la metto da parte e chiedo scusa, ma mi pareva giusta la presentazione di una certa singolarità di posizioni: non violenza più che pacifismo; certo, collegamento fortissimo con Lambrakis, per esempio, oltre che con Bertrand Russell, il CND britannico, ecc.; e dall'altra parte però anche una posizione che fece contrapporre Velio Spano al suo partito, nel momento in cui egli era rappresentante del Partito comunista nel Movimento della Pace insieme ad Aldo Capitini e, appunto, a noi radicali. Le cose quindi già da quel momento ci videro in una situazione un po’ strana. La posizione, ad esempio, era questa: per noi gli anni nei quali siamo stati più oggetto di attenzioni dei servizi sono anni, appunto, che apparentemente non lo giustificano: duecento persone, impegnate in azioni militanti, eccetera. Ebbene, in quegli anni noi abbiamo, per esempio, che scoppia il caso De Lorenzo, e scoppia su iniziativa radicale, non ancora con un partito radicale profondamente diviso, come ben presto sarebbe stato; quindi "L'Espresso", quindi Scalfari, Iannuzzi, noi stessi ancora piuttosto vicini per molti versi. Sicché per esempio nella vicenda De Lorenzo un elemento di sviluppo si ha quando De Lorenzo abbandona la sua difesa iniziale e l'affida a uno di noi, Franco De Cataldo. De Cataldo - mi trattava un pò come un fratello maggiore anche se non ero maggiore di moltissimi anni - mi chiese appunto se volevamo, se potevamo; vi è stata una sollecitazione. Si mise una condizione, e cioè che nella linea difensiva occorreva perseguire una posizione di verità, e fu così che nella seconda parte del processo vennero fuori, sicuramente, molti più dati ed elementi che nella prima; poi la cosa si andò fermando. Sta di fatto che fino a quel momento noi eravamo stati quasi - come dire - non dico teneri con Aloja e contrari di più a De Lorenzo (la campagna de "L'Espresso", le inchieste di Iannuzzi e non solo di Eugenio Scalfari, alcune nostre azioni). Ma De Lorenzo ritiene di non potersi difendere più validamente restando ancorato alla posizione nella quale si era messo, e abbiamo quella fase di maggiore verità nel processo, di maggiore interesse, che poi Libero Gualtieri in particolare ricorderà; vi furono cinque o sei mesi molto interessanti, "L'Espresso" stesso dovette prenderne atto e ne prendemmo atto. Da quel momento però noi ci troviamo anche a constatare in base a vicende proprio quasi personali... noi avevamo dei bilanci di 500.000 lire, di 700.000 lire, di 800.000 lire. Io ero appena di ritorno da Parigi, allora il tesoriere, il segretario amministrativo del PSIUP (che era, come formazione, appena nato), il senatore Lami, ci offrì e ci dette per alcuni mesi 300.000 lire, ed era un contributo di un PSIUP che era considerato "carrista", da una parte, da molti di noi, ma dall'altra, con alcune componenti, cori Libertini e con altri, di altra natura. Io prendo atto dicendo: benissimo, voi siete contro il centro sinistra; in quel momento i Servizi andavano ai congressi di partito, invece magari andavano ad aiutare il centro sinistra con delle borse. Da noi invece c'era la giustificazione: noi dal PSIUP abbiamo del denaro e - ricordo, erano 300.000 lire al mese - per tre o quattro mesi. Senonché venimmo fuori con due o tre numeri della nostra agenzia, che era "Agenzia radicale", nella quale demmo le cifre della pubblicità redazionale dell'Agip (si ricorderà bene anche questo Libero Gualtieri), con grave scandalo. Non ci fu un solo partito, tranne un parlamentare italiano (era, lo ricorderò, l'onorevole Vittorio Zincone), che fece un'interrogazione; ebbene, vi erano in quel momento delle somme di pubblicità redazionale che venivano dall'Agip, dall'Eni, da Cefis, da Girotti ed erano, per esempio, mi pare, 360 milioni in quell’anno determinato, a "Lo Specchio", sicuramente giornale di destra (Nelson Page, eccetera); 180 milioni l'anno a "La Voce Repubblicana" e 250 milioni a "Paese Sera"; 15 milioni a "Il Mondo", di cui noi facevamo parte. Diligentemente rendemmo pubblico tutto questo. Fui chiamato dal senatore Lami che mi disse: "Guarda, sbagli a far questo, perché anche Cefis, non solo Mattei, è stato importante nella Resistenza; siamo compagni dalla Resistenza e il denaro che ti ho dato ho potuto dartelo perché faceva parte di somme di denaro che ci venivano e ci vengono anche da Cefis, quindi se continui non posso più dartelo". E’ una vicenda autobiografica, ma siccome abbiamo il problema del partito "americano", in qualche misura, abbiamo l'ente di Stato che sicuramente è stato costretto ad essere antiamericano, diciamo, dagli americani secondo gli schemi usuali (le Sette Sorelle, forse Mattei assassinato da .... eccetera), con un rapporto innegabile con i Servizi.

Un piano del palazzone dell'ENI, il settimo mi pare, era occupato praticamente da strutture parallele ai Servizi; qui operava già quello che sarebbe diventato il generale Allavena, all'epoca colonnello e con un fratello che aveva rapporti con la Fiat. Quel mondo era quello del colonnello Rocca. E in quegli anni - credo che il figlio potrà testimoniare in questo senso - Cefis affida a Tom Ponzi la somma, se ricordo bene, di mezzo miliardo di ora per trovare prova di qualcosa contro di noi, perché quella nostra campagna era pericolosissima. Eravamo in un momento un po' difficile con gli americani, intanto perché eravamo piccoli e poveri, c'era quella iniziativa del senatore Thirring. Non avevamo ancora rotto con Spano e la sua struttura, come poi avvenne, con Aldo Capitini e noi da una parte e la componente più comunista dall'altra. Già da allora ci si mobilita nei nostri confronti. Vado da Malagodi e gli do tutto questo materiale. Malagodi si reca alla Confindustria, parla con i suoi esponenti e mi dice che non può fare nulla riguardo a quei dati, terrorizzanti, sul piano della pubblicità redazionale, in realtà cioè del finanziamento della stampa e dei partiti dietro l'alibi della stampa, e mi raccomanda di stare attento quando attraverso la strada. Era il Partito Liberale anticentrosinistra, ma Malagodi mi dice che non può fare nulla. Ho quindi questo scorcio. Già allora altri, all'interno del PSIUP, mi dicevano, non contenti, che il denaro era venuto in parte della Cecoslovacchia e in parte da lì per fare la scissione. C'erano poi Lando Dell'Amico ed altri, che giravano in ambienti diversi con un capitano di cui non ricordo il nome, andavano al Congresso repubblicano e si assicuravano che Pacciardi venisse considerato, ed espulso, come fascista. Confesso che mi resi "colpevole" della richiesta di sentire Pacciardi in televisione. E’ stato escluso totalmente, è stato denunciato come sporco fascista. Io non ero mai stato pacciardiano, come Libero Zani e Gualtieri, Ugo La Malfa e Oronzo Reale. Eravamo sempre stati repubblicani e radicali in posizioni opposte a Pacciardi ma lì mi parve francamente inaudito, tanto più che Pacciardi veniva fuori con delle tesi che otto anni prima erano state quelle di Calamandrei. Per me questo era il problema. Le tesi presidenzialiste-americane erano le tesi del Partito d'Azione e di Piero Calamandrei, io questo, ventitreenne, venticinquenne, ventottenne, lo ricordavo bene. Otto anni sappiamo come passano. Per me era ieri che Calamandrei e il Partito d'azione, Mario Paggi, "Stato Moderno", si erano pronunciati in senso anglosassone, presidenzialista, americano su tutto, addirittura anche sui temi della giustizia e dei magistrati. Penso di non essere il solo a ricordarlo qui. Su il "Ponte" di Firenze c'era stato un dibattito molto interessante a favore o contro.

Quindi ci muoviamo all'inizio degli anni Sessanta. Questo De Lorenzo uomo di destra... a noi arriva come uomo di sinistra, contro Aloja che è di destra. "Paese Sera" conduce una grande campagna a favore di De Lorenzo contro Aloja; il denaro a noi arriva, per quattro mesi, attraverso lo PSIUP. L'ottimo compagno Lami mi avverte che è denaro che lo PSIUP ci dà perché siamo buoni compagni, liberi, poveri, eccetera. Però non ve lo possiamo più dare, mi spiega, perché abbiamo fatto il Partito grazie all'aiuto di questi. Il momento "americano" è forse lì difficilmente individuabile, quanto meno con limpidità, anche nei segmenti individuati. Io - e con questo rispondo alla prima domanda del presidente Pellegrino - direi piuttosto che non è che condivida la linea di interpretazione di fondo; io condivido (e non è poco - è enorme - perché è la prima volta che posso dire questo) l'approccio. Per me "americano", è prezioso; conoscere nella sua oggettività quanto di "americano" nel senso deteriore e negativo poteva esserci, perché vivevo in un momento nel quale ricordo che con Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Stephen Spender e tutti noi della "Associazione per la libertà della cultura", non c'era né un Einaudi né un solo editore italiano che osasse pubblicare costoro. Mi riferisco anche a Umberto Calosso, a Conti che vorrei la storia d'Italia tornasse a conoscere, valori fondamentali cancellati. Ricordo che fra noi - da universitari - si diceva che il denaro per l'Associazione veniva da un tal signore, Irving Brown, che io poi conobbi a Parigi, che andai a trovare e che era l'espressione ufficiale del sindacalismo americano AFL-CIO. Si diceva allora che era d'accordo con la CIA contro il Dipartimento di Stato per finanziare il mondo socialdemocratico e antifascista in funzione anticomunista. Ricordo anche uno straordinario personaggio socialista riformista, già sindaco di Iglesias, Ermanno Corsi, espulso perché, appunto quando era sindaco, aveva accettato di ricevere il re. Egli, che con Ivan Matteo Lombardi ed altri era stato tra i più importanti... mi raccontava come arrivavano questi denari del sindacato americano. Anche lui diceva che era la CIA e che il Dipartimento era contro; una parte della CIA gioca in Europa la carta dell'antifascismo, ma come forza anticomunista, e la carta del rassodamento socialdemocratico, o socialista democratico delle istituzioni, pur nemico delle destre e in pessimi rapporti anche con il mondo industriale europeo che preferiva altre cose. Con queste testimonianze ho dato questo scorcio: Lami-Partito radicale; ho del denaro che mi viene attraverso quella strada. Qui mi fermo perché sono il testimone di qualcosa che ho raccontato.

PRESIDENTE. Quello di Ivan Matteo Lombardi è un personaggio che attraversa spessissimo gli atti di cui la Commissione è in possesso. La cosa singolare è che quando a grandi protagonisti dell'epoca abbiamo chiesto chi fosse ci è stato risposto che quasi nessuno lo conosceva.

PANNELLA. Eppure era stato fatto segretario del Partito. Io non l'ho conosciuto anche perché, in realtà, era un personaggio abbastanza secondario. Quando a Palazzo Barberini dovettero trovare un nome che potesse consentire una lettura nello stesso tempo socialdemocratica ed europea, e quindi anche un po' di sinistra, si presero questo "americano"...

PRESIDENTE. Lo troviamo al Parco dei Principi.

PANNELLA. Dopodiché, dopo tre anni, era già scomparso. Io che ho vissuto l'Associazione per la libertà della cultura con Ignazio Silone e questi altri, non solo perché abruzzese anch'io, sapevo che si conosceva Ivan Matteo Lombardi però non l'ho mai visto e parlo ancora degli anni 1952-1953. Sapevo che girava nell'ambiente, ma non l'ho mai visto. C'è Leone Cattanei che finisce nel Comitato di Gabrio Lombardi sul divorzio; c'è Ivan Matteo Lombardo che finisce probabilmente al Parco dei Principi. Ecco, andai per esempio ad incontrare Irving Brown a Parigi, ma francamente non ho mai incontrato Ivan Matteo Lombardo.

PRESIDENTE, Che ricompare poi nel 1973 come uno dei possibili ministri del Governo Pacciardi insieme a Sogno e agli altri dello stesso gruppo.

PANNELLA. Sì, certo.

GUALTIERI. Ministro lo è stato, del commercio con l'estero.

PANNELLA. Sì, è stato poi ministro, Ivan Matteo Lombardi, ma - per intenderci - ricorderò che in quel momento, quando ci fu il grande dibattito sull'utilizzazione dei fondi Marshall, ci furono due premiati in un anno - mi pare nel 1949 - in Italia (erano gli americani che un po’ agivano in questa direzione, cioè per chi utilizzava in modo più liberista il sussidio): Ernesto Rossi per degli articoli su "Italia Socialista", che era il giornale di Ivan Matteo Lombardi, in qualche misura, e Vittorio Zincone per degli articoli su "Risorgimento Liberale". Ebbene, io non ho mai sentito parlare Ernesto Rossi, o meglio, non ricordo di avergli mai sentito nominare, in tutti gli anni fino al 1967, Ivan Matteo Lombardi, anche se magari lo avremo avuto pure al convegno degli Amici nel Mondo. Aggiungo subito che è Roberto Ascarelli, un notissimo radicale, che io ho conosciuto, esponente importante della comunità ebraica di Roma, che presenta e risulta aver presentato Gelli alla massoneria. Quindi io sono il primo a sostenere che poi tutto va seguito, ma non mi pare di aver trovato, in corrispondenza di Ivan Matteo Lombardi, altro, probabilmente, che la vicenda di un isolato che ha avuto - in una determinata congiuntura - un momento di fortuna e poi probabilmente sarà restato nel retrobottega, magari a disposizione. Probabilmente in questo caso è da considerare anche una mia mancanza di qualificazione per far parte degli ambienti che contavano in un momento dato.

PRESIDENTE. Bene. Veniamo al secondo episodio.

PANNELLA. Iovorrei fare a questo punto un salto, perché ho parlato sin troppo di un elemento di atmosfera e vorrei quindi, dal 1965-1966 nonché, in parte, 1967, fare un salto ed arrivare al 1976 (poi vedremo che c'è un 1974 che mi interessa molto).

Noi entriamo nel Parlamento italiano nel giugno 1976, sull'onda del referendum sul divorzio ma anche sull'onda di molte altre battaglie (abbiamo già fatto approvare la legge sull'obiezione di coscienza, per esempio, cioè abbiamo svolto un'attività, diciamo, non parlamentare, ma né antiparlamentare né extraparlamentare) e, non appena entriamo in Parlamento, a proposito dell'assassinio di Occorsio, presentiamo due interrogazioni, una delle quali al ministro dell'interno Cossiga, perché su Occorsio vogliamo sapere qualcosa di più, proprio in relazione già a Gelli e anche alla partitocrazia (e noi dicevamo che la partitocrazia è un certo tipo di massoneria o di pseudomassoneria). Rispetto a quelle interrogazioni si solleva un'obiezione, cioè ci si dice da parte del Governo che, essendoci crisi di Governo, il Ministro non ci può rispondere: su questo noi cominciamo a piantare la prima grana, per così dire, di tipo quasi ideologico, sostenendo che, proprio nel momento in cui c'è una crisi dell'Esecutivo, il Parlamento deve poter avere degli strumenti che vengano fatti valere. Il ministro Cossiga non ci risponde, se non poi a settembre, in Commissione interni, e il presidente Ingrao è d'accordo su questa posizione. Ma noi già nell'agosto, se non sbaglio, presentiamo un'interrogazione per sapere come mai il Presidente del Consiglio abbia ricevuto a Palazzo Chigi (non ricordo se avevamo detto "a più riprese") tal Licio Gelli, capo di una loggia pseudomassonica ("golpista" e non so quante altre amabilità dicemmo subito). E’ il 1976, siamo quattro, conosciamo poco i servizi, i poteri, eccetera. Nel 1979 finisce quella legislatura, otteniamo con grande fatica una prima risposta, ma il Partito comunista (parlo quindi del grande interlocutore) non presenta, almeno fino al 1978 (non so se nell'ultimo anno lo abbia fatto), una sola interrogazione su Licio Gelli. E’ un'atmosfera. Noi su questo abbiamo molto gridato, molto discusso. E matura molto presto in noi la convinzione che parlare dei servizi significa parlare dell'"unità nazionale", di quella che abbiamo trovato a suo tempo con Cefis, che poi viene protetto con tutto il gruppo ENI, nello stesso tempo, da "l'Unità" e dal Partito Comunista (dirò in che modo) e da un intervento diretto di Paolo VI. Intendo dire che, da una parte, vi sono persino i lavoratori del Silp (mi pare che si chiamasse così il sindacato dei lavoratori petroliferi, cioè quelli dell'AGIP, eccetera) che arrivano a fare uno sciopero e vengono fino alle Botteghe Oscure manifestando - eccetera - e dall'altra parte vi è "l'Unità" che rifiuta di scrivere anche un solo rigo, pur se questi poveri lavoratori erano arrivati allo sciopero perché si trovavano probabilmente in condizioni difficili. Noi non abbiamo mai ottenuto, in tutti quegli anni, che sulle nostre denunce, sui rapporti che svolgevamo puntualmente (e che si riferivano a Allavena, a Porizi, all'ENI, eccetera) venisse da sinistra un qualsiasi ascolto, anzi, la nostra era un'azione di "provocazione", perché ci si diceva sempre - nemmeno tanto in privato - che quelli erano la componente partigiana, antifascista, antiamericana, ma nel senso che poteva anche essere filoamericano, ma contro il capitalismo e non contro il liberalismo americano. Sono anni di solitudine atroce. In quegli anni noi usavamo fare delle marce antimilitariste e pacifiste, prima Milano-Vicenza (il percorso era abbastanza singolare) e poi Trieste-Aviano; ogni anno, dall'uno al dieci agosto. Nel 1974 (tenete presente il refendum tenutosi a maggio) noi annunciamo, mi pare il 20 luglio, che annulliamo la marcia antimilitarista perché stavamo ascoltando continuamente di gravi rischi di un golpe e ci risultava che dirigenti comunisti importanti non dormissero nelle loro abitazioni. Dunque, il 20 luglio 1974 noi annunciamo che per la prima volta annulliamo all'ultimo momento la marcia che ci portava in quelle contrade (dove incontravamo procuratori della Repubblica golpisti e quant'altro; abbiamo incontrato di tutto, lo abbiamo capito dopo) e facciamo la "dieci giorni della non violenza e dell'antimilitarismo" a San Paolo. Il 4 agosto, mi pare, arriva puntualmente la strage dell'Italicus e ci troviamo infatti dopo un'ora, nella Roma deserta di agosto, in 70-80 militanti a parlare di strage di Stato, di strage preannunziata; a chiedere a quei personaggi dove avessero dormito la notte prima, eccetera. La situazione era molto difficile: la RAI, la televisione, i giornali su questo erano in sintonia, non vi erano eccezioni.

PRESIDENTE. Eccezioni a che cosa? Al silenzio?

PANNELLA, Sì, al silenzio, che era totale. Gli interrogativi c'erano, e anche un po' di prestigio lo avevamo, avevamo condotto la campagna sul divorzio, già avevamo raccolto le firme sull'aborto, sulla cosiddetta legge Reale. Insomma la nostra attività era, credo, un'attività che meritava e riscuoteva rispetto nel suo peso politico. Sulla strage dell'Italicus abbiamo continuato a chiedere, a manifestare davanti alla Presidenza del Consiglio come davanti a Botteghe Oscure, un po' dappertutto. La risposta è stata, in quegli anni, feroce; devo dire feroce anche di rimozione. Arriviamo al 1976; denunciamo che esiste una situazione, a nostro avviso, di grosso pericolo perché riteniamo, nella nostra analisi, che la partitocrazia crei una "unità nazionale"...

PRESIDENTE. Fermiamoci al 1974. Quindi, nel 1974 voi aveste la sensazione che ci potessero essere, addirittura, pericoli sulla tenuta delle istituzioni democratiche, tant'è vero che i vertici del PCI dormivano fuori casa. Però, lei era colpito dal fatto che di tutto questo non si parlasse.

PANNELLA. Noi avevamo la "Agenzia Radicale", che era un piccolo miracolo quando l'abbiamo fatta; ogni giorno pubblicavamo fino a 27 pagine, nelle quali c'era anche molta politica militare; 27 pagine che diffondevamo e inviavamo a tutti i parlamentari. Nel 1973 abbiamo pubblicato "Liberazione", il nostro quotidiano, per due mesi, e da questo punto di vista non avevamo ancora "Radio Radicale", che inizia ai primi del 1976, ma avevamo ugualmente una presenza "di vertice" grossissima. Allora, se lei vuole, le dico quello che accadeva. Nel cuore della campagna che definisco polemica nei confronti dell'ENI e dell'AGIP, una mattina il procuratore Giannantonio - mi sembra che si chiamasse in questo modo - aveva spiccato o stava spiccando dei mandati di cattura nei confronti ...

PRESIDENTE. Contro Ippolito?

PANNELLA. No. Quello era già caduto - tra l'altro - per qualche vagone letto, o almeno mi sembra; non era lui. Riprendo il discorso: stava spiccando mandati di cattura nei confronti dello Stato maggiore dell'ENI e dell'AGIP. L'indomani mattina - noi eravamo stati avvisati di queste cose - su "il Giorno" di Milano esce, su tutta la pagina, la notizia che il Pontefice aveva ricevuto l'intero stato maggiore dell'ENI; il titolo era: "Siete un esempio di imprenditoria cristiana" o qualcosa del genere. Signor Presidente, tutto questo si trova su una pubblicazioncina che racconta quegli anni (probabilmente la posso recuperare, dal momento che fu venduta nelle edicole e nelle librerie; in essa si trovano racconti precisi di queste cose, fatti, all'epoca). Avemmo anzi - vorrei essere preciso nei ricordi - una iniziativa al Palazzo di giustizia di Roma, dove si arrivò ad avere 1800 pagine di atti preliminari. A quel tempo gli atti preliminari avevano il significato che non c'era nemmeno necessità di archiviazione, di niente. Ripeto: 1800 pagine. In quel periodo in tutte le nostre case - è inutile che vi racconto adesso tutti gli episodi, perché li abbiamo scritti - si entrava, si trovavano cose strane, avvenivano perquisizioni e cose di questo genere; quindi, furono anni un po' difficili. Contemporaneamente raccogliemmo in quegli anni almeno 400 - in quel periodo non esistevano gli avvisi di garanzia - processi (Giuliano e Aloisio Rendi, Gianfranco Spadaccía, Angelo Bandinelli e il sottoscritto) a vario titolo perché già allora, non essendo molto d'accordo con l’Ordine dei giornalisti e sul regime che si stava preparando, davamo la firma per la direzione responsabile di giornali nei confronti dei quali, per lo più, avevamo un senso di ribrezzo. Però è indubbio che vi furono molte centinaia di gruppi e gruppetti di Italia che poterono in quegli anni pubblicare i loro giornali, e credo che questo fu un servizio da noi reso in quegli anni...

PRESIDENTE. Mi sembra che i processi erano per violazione della legge sulla stampa.

PANNELLA. Sì,e naturalmente tutti quelli connessi, vilipendio e via discorrendo. Tuttavia, il fatto soprattutto era che in alcune sedi giudiziarie che ce ne erano 40, 50... Pensi che io di 300 e rotte azioni ne ho avuta una sola; avremmo dovuto essere tutti i giorni in Tribunale. A quel punto io ne ho avuto una in Cassazione - credo - per disattenzione comprensibile di quel martire che era il mio avvocato, o meglio i nostri avvocati (perché erano anche gli avvocati che noi prestavamo gratuitamente ai terroristi - preciso, non erano ancora terroristi - ai detenuti di destra oltre che di sinistra, dal momento che Almirante aveva vietato agli avvocati di destra di difendere i loro, se denunciati per la legge Scelba o per altre cose del genere, molto spesso si trattava dì questo); ebbi una pena pecuniaria, credo che non andammo in Cassazione, però per anni siamo stati giorno e notte a preparare un po' di difesa per questi processi; fu una esperienza un tantino più difficile di quanto non la ricordi adesso, quando tutto è passato. A proposito, signor Presidente, vorrei sapere se ha ricevuto gli atti che le doveva mandare la televisione riguardo ai telegiornali del giorno della strage di Milano.

PRESIDENTE. Sì.

PANNELLA. Bene, allora posso dire questo. Ricordo che il TG - credo quello delle ore 20.00 o delle ore 22.00 - che allora era l'unico che avevamo, fu la prima sede in cui si annunziò la prima perquisizione in via Lanzone 1, sede del partito radicale. A Milano, da mesi e mesi, avevamo una situazione di provocazione un po' costante. Certo, uno può sembrare mitomane; ma se vi raccontassi, in base ai miei ricordi, che fra Milano e Gorgonzola in una bella giornata - credo fosse il 11 agosto del 1967 - ho camminato per almeno 45 minuti avendo alla mia sinistra Calabresi e alla destra Pino Pinelli... Quest'ultimo mi rimproverò perché, seppure con garbo, dissi al commissario Calabresi che, se si metteva anche lui il cartello sandwich, avrebbe potuto continuare ad accompagnarmi, altrimenti, nonostante ne fossi felice, non avrebbe potuto. Pino Pinelli protestò, dicendomi che Calabresi era una bravissima persona. Valpreda, Mander, il Cobra e tutta questa gente, come tutto il movimento studentesco, avevano come sede a Roma la nostra (perché non volevamo che non l'avessero, anche se era gente che ci sputava addosso), che in cento persone pagavano. Si trovava a via XXIV Maggio n. 7. Quindi, abbiamo conosciuto tutti quelli della strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura e, pertanto, siamo vissuti miracolosamente all'interno di questa vicenda conoscendo i personaggi, i vari riflessi, e conoscendo a Verona il procuratore Spadea - non so se è ancora vivo - che accusavamo essere un magistrato che tutelava (parlo sempre di cose ufficiali, pubblicate, denunciate), che proteggeva i picchiatori nazisti prima della Rosa dei Venti. Conoscevamo anche le zone e le altre questioni.

Vorrei tornare, ed essere rapido se possibile, a questo punto all'anno 1976, con questo patrimonio alle spalle. Abbiamo pagato con l'isolamento, rispetto a tutta la politica, il nostro attacco nei confronti dell'ENI e dell'AGIP, la nostra richiesta di verità. Lì sono venute fuori le cose più incredibili; lì rompemmo con il PSIUP e lì Maurizio Ferrara e Luigi Pintor possono ricordare che abbiamo avuto degli attacchi per queste provocazioni su "L'Unità"; e tanto per essere chiari, il 22 marzo del 1974 (il referendum è del 12 maggio) in seconda pagina siamo accusati di essere venduti a Fanfani perché vogliamo quel referendum che avrebbe impedito la legge Clarettoni e la legge Bozzi. E noi eravamo gli unici ad ostacolarla. Se non la si approva - queste cose sono scritte lì, ho rivisto quel corsivo - salta l'unificazione sindacale prevista a Firenze per luglio. E così cominciano: "venduti a Fanfani", "venduti ai provocatori fascisti". Tra l'altro era il momento in cui cominciavamo a dare gli avvocati nelle carceri, che poi erano pochi, Mellini, De Cataldo, quelli che avevamo, e comincia quindi una situazione di linciaggio. Non siamo d'accordo sulla legge Bartolomei, non siamo d'accordo con la Reale, ma da piccoli come eravamo, da fuori. Non siamo d'accordo con tutte queste leggi e cerchiamo di fare una battaglia contro quello che noi chiamavamo il degrado pericoloso del diritto, l'illusione efficientista. Arriviamo nel 1976 a fare queste battaglie e cominciamo a chiedere, all'inizio soprattutto a sinistra, cose su Gelli e sulla P2. Arriviamo molto rapidamente a episodi che sono quelli che nell'ordine vorrei citare e raccontare. Forse è meglio citarli, Presidente, perché non posso abusare del vostro tempo e vorrei molto che mi si interrogasse. Eravamo, credo, nel settembre 1977, in località Trevi, vicino a Foligno, dove andavamo a fare i nostri seminari mensili, i quattro parlamentari eletti, i quattro supplenti che avevamo, più tutto lo staff del Partito radicale. A un certo punto, mentre siamo riuniti, il direttore dell'albergo dice: "C'è qualcuno per lei al telefono, onorevole". "Sono il generale Mino". Non so se ho risposto: "Sì, e io sono mio nonno", o non so che cosa. "Sono il generale Mino. Sono all'uscita della bretella della superstrada. Onorevole, veramente ho urgenza di vederla". E’ un momento un po' brutto per noi il settembre 1977, perché siamo accusati di essere radical-fascisti, radical-terroristi, radical-comunisti, radical-brigatisti. E questo lo possiamo documentare.

FRAGALA’. Era il settembre 1977?

PANNELLA. Sì, settembre 1977. La data credo dovremmo andarla a prendere all'albergo o alla polizia o dagli atti parlamentari; un giorno o l'altro la ritroviamo ma comunque erano quei giorni. Franco De Cataldo con la sua macchina mi accompagna, perché glielo avevo chiesto: "Vediamo un po' di che cosa si tratta". Andiamo nel luogo dell'appuntamento, due o quattro chilometri più in là dell'albergo, e in effetti a un certo punto sul ciglio della strada con una macchina civile - che a me, che non mi intendo di macchine, sembrava una 1100, e che invece era poco di più - c'era, piccolo con due piccoli come lui, due carabinieri, il generale Mino. Io l'avevo conosciuto in un'altra occasione, una volta che stavo facendo uno sciopero della sete all'Hotel Minerva, venne un signore che mi disse: "Io sono il generale Mino". Lì gli avrò detto sicuramente: "Sì, e io non so che cosa sono", visto che era persona che non conoscevo. Mi disse: "Ho promesso a mia sorella di venirle a dire che lei deve bere". Succedono queste cose. Sono sceso dagli ultimi piani, le lavanderie, che mi ospitavano, e così conobbi Mino. Non l'avevo più visto, però quella volta stemmo a parlare due o tre ore e dissi molte cose.

PRESIDENTE. Quando vi incontraste nel settembre che cosa vi siete detti?

PANNELLA. Appunto: arrivammo, scendemmo e mi disse: "Come sta? Onorevole, attraversiamo. Non voglio parlare nemmeno vicino alla macchina; sa, può darsi che pure la macchina abbia orecchie". Siamo andati dall'altra parte e mi ha detto: "Senta, onorevole, c'entra sempre mia sorella... No, scherzo", ha aggiunto. "Che cosa c'è?", ho chiesto. "Sono venuto a supplicarla, onorevole, di accettare immediatamente una scorta, e una scorta di carabinieri". "No, lei è gentile, è bravo", ma pensavo: "Ma guarda un po', questo è il Comandante generale dell'Arma e intanto viene all'Hotel Minerva a riferirmi che la sorella gli ha chiesto di dirmi che devo bere". E poi avevamo parlato di tutto, di Giorgiana Masi e di molte cose; lui dimostrò, quando venne, di essere molto al corrente di tutte le cose che stavamo facendo, ed erano tante in quel momento in Parlamento e fuori. Certo, aveva ben presenti anche la storia della P2 e altre cose. Disse: "Senta, lei lo deve fare. Non posso dirle molto di più. Ma lei ha tempo?". "Sì, ho tempo". Pregai De Cataldo di andare a tranquillizzare gli altri compagni, perché non avevamo certo i telefonini; e lui -dopo aver spiegato agli altri che era vero che ero stato chiamato - ritornò e siamo restati. Il generale mi disse: "Guardi, onorevole, io la capisco, la conosco però - vede - ieri ho giurato a me stesso e ho dato anche ordini e disposizioni che non userò più l'elicottero per qualsiasi ragione". Quale era il nesso? "E’ per dirle che se io prendo per me una decisione di questo genere, per gli stessi motivi le chiedo di accettare la scorta. Io l'ho fatto; lo faccia anche lei. Le voglio poi dire altre cose poiché ci siamo visti. Innanzi tutto ho presentato al Ministro - posso dirlo, non è un segreto - due proposte di riforma dell'Arma: una con il mio parere favorevole, un'altra, succinta, con il mio parere rispettosamente sfavorevole". La prima riguardava l'operazione di ammodernamento, ma di ricambio anche, dei quadri dirigenti dell'Arma; l'altra era la nostra proposta di disarmo dell'Arma. Infatti, c'era allora il disarmo della Polizia e la nostra posizione era favorevole anche ad un disarmo della Finanza e dei Carabinieri. Mi disse: "Ho presentato anche questa, però con un parere sfavorevole perché riteniamo che non si possa fare. Questo per dirle come siamo attenti. Sa, i ragazzi, le truppe" - e chi conosceva il generale Mino sa che aveva sempre il punto di riferimento dei carabinieri di base - "le vogliono molto bene, queste cose le capiscono. Noi sappiamo che lei lo fa per loro". In terzo luogo mi disse: "Guardi, onorevole, se le dico di prendere la scorta mi deve ascoltare. In più ci rivedremo tra due settimane, perché purtroppo nella questione relativa a Giorgiana Masi ho dovuto constatare che lei ha e ha avuto ragione". Continuò: "Non mi dica di no. Io devo tornare a Roma. Non ho nemmeno detto che sono venuto qui. Guardi, comunque tutti quelli a novembre vanno via", e qui intendeva sicuramente tutti i generali a lui ostili di cui avevamo parlato, probabilmente Ferrara. Mi disse "tutti quelli" come se io li avessi ben presenti; è chiaro che tendeva a presentare se stesso come un generale repubblicano (usava questo termine, "un generale repubblicano") e un generale fedele, leale. Questo, torno a dirlo, avveniva il 15 o il 18 settembre. Come è noto, il generale Mino muore il successivo 31 ottobre, quindi circa 45 giorni dopo, durante un volo in elicottero. Io, appena lo venni a sapere - e non ricordo se era in corso una seduta dell'Aula a Montecitorio o se mi trovavo in Commissione - presi subito la parola e raccontai quanto vi sto dicendo adesso, come risulta dagli atti parlamentari. Lo dissi anche nel corso di tribune politiche in televisione, ma nessuno mi rispose. Dopodiché, al funerale del generale Mino a Santa Maria degli Angeli - dico francamente che rimasi stupito che venisse fatto in chiesa perché lui, per come si presentava, ero un massone, un po' ingenuo e simpatico: faceva degli ammiccamenti ed altre cose che trovavo anche un tantino demodé - ricordo che quando arrivai c'erano alcune persone che mi guardavano un po' male, ma vidi venirmi incontro un amico, anche lui carabiniere, l'allora capitano Varisco, che come sappiamo dopo due anni venne assassinato anche lui (anche sul suo conto potrei raccontare alcune cose, ma lasciamo perdere), che mi ringraziò e mi disse che non potevo mancare e che lui non era sorpreso anche se un po' commosso, come lo ero anche io. Mi invitò a entrare in chiesa ma io risposi di no anche perché avevo individuato alcuni di quegli alti ufficiali dei quali non godevo sicuramente la simpatia e che sicuramente non godevano nemmeno la mia fiducia. Quindi rimasi fuori e non entrai per la cerimonia; venni poi a sapere che girava voce che c'era un parlamentare che raccontava a Radio Radicale - che già esisteva e faceva le dirette dal Parlamento - queste cose. Io mi precipitai ad Otranto, Mantova e Lecce, a far presente questa situazione. Poi dopo venne fuori che - se non vado errato - era il generale Ferrara a condurre l’inchiesta. Io non venni chiamato per l'inchiesta amministrativa, per quella del generale Ferrara, per l'inchiesta politica e nemmeno dalle Commissioni: niente, zero. Ma erano allora gli americani o i russi? O la partitocrazia? O un regime? Andiamo oltre. Ho sempre parlato dell'assassinio del comandante generale dell'Arma dei carabinieri; sono quindi esattamente vent'anni e due mesi che lo faccio. Oggi c'è la vostra Commissione, a seguito dell'iniziativa della Presidenza, e in questa occasione posso raccontare per la centesima volta questa cosa. Io l'ho detta ai primi di novembre del 1977 in Parlamento - è agli atti - nonché alla radio ed ai congressi. Mi si diceva: "Ma come, tu sei il radicale amico del comandante generale e vai a dire queste cose?". Forse, signor presidente, l'interrogativo è: perché? Per il resto la spiegazione può essere magari la più banale. Certo, sono strano e siamo sempre stati strani, ma forse anche un tantino attendibili per quanto riguarda le cose che raccontiamo, matti o non matti: oggi è la prima volta che abbiamo l'onore di poter parlare di questo argomento. Di questi errori, però, ve ne sono stati molti altri.

PRESIDENTE. Dove cade l'elicottero del generale Mino?

PANNELLA. In Calabria, a Monte Covello; l'onorevole Fragalà conosce molto bene la vicenda da questo punto di vista, anche meglio di me, perché credo che sull'elicottero si trovasse suo suocero, anche lui deceduto a seguito dell'incidente. Per cui io mi sono trovato, radicale, antimilitarista, eccetera, ad essere l'unico che continuava a dire: "ma c'era un comandante generale dell'Arma dei carabinieri su quell'elicottero ... ". Io l'ho detto ovviamente a quelli che erano i miei amici.

PRESIDENTE. Quale autorità giudiziaria svolge l'inchiesta?

FRAGALA’. Quella di Catanzaro ed archivia l'istruttoria sommaria nel giro di due mesi. Poi c'è l'inchiesta dell'Aeronautica.

PANNELLA. Epoi c'è l'inchiesta amministrativa che viene affidata al generale Ferrara. Ma di cosa stiamo parlando? Io ho sentito su Radio Radicale dei generali dei Carabinieri - mi sembra si trattasse del Capo di stato maggiore - che dicevano che siccome il generale Mino era della P2 - e parlo di sicuro di atti parlamentari perché si trattava di una diretta dalle Commissioni - loro si riunivano per vanificare gli ordini del Comandante generale, riferendone al generale Ferrara, e che erano riuniti insieme per difendere la Repubblica contro il golpismo del generale Mino.

C'è un'altra cosa che riguarda la relazione ed è importantissima. Si tratta di una frase, là dove essa afferma che per quanto riguarda il caso D'Urso la salvezza di D'Urso è l'unica vittoria delle BR nei confronti dello Stato. C’è un libro che Leonardo Sciascia, "rompendomi l'anima", volle che facessi, perché era una battaglia incredibile con dei dati incredibili: "La pelle del D'Urso". All'inizio del 1980 ho l'onore di alcune citazioni sulla stampa nazionale ed è per una polemica che anche il "Corriere della Sera" apre nei miei confronti, perché io all'inizio degli anni ‘80 avevo denunciato che mai i giornali avevano pubblicato in vent'anni una mozione di un congresso del partito comunista o di un mio congresso nonviolento annuale; pubblicavano invece dalla A alla Z le risoluzioni strategiche di quei pezzenti che mandavano quelle cose sul SIM (Stato imperialista delle multinazionali) e non so che altro. Al che, da giornalista e da politico dissi: no, metterle in prima, seconda, terza, quinta pagina, in cronaca nera eccetera, questo è un invito all'assassinio. Cioè, se io che faccio politica terroristica so che la regola che viene fissata dalla stampa è che se io ammazzo qualcuno - di tutto ciò ne troverete traccia sul "Corriere della Sera" e anche su "Il Messaggero" - e sopra il cadavere scrivo "risoluzione strategica numero tot", ciò è intollerabile, è propaganda. E’ istigazione ad assassinare la gente. E la magistratura cosa fa? Non era mai successo; nel riferire di un grande congresso si dava il nominativo di chi era stato eletto ma non il testo della mozione conclusiva, ad esempio quella con cui si concludeva il congresso del partito repubblicano o del partito comunista. E quindi nacque questa polemica. Come si può vedere agevolmente, si trattava di una polemica di noi radicali, di noi nonviolenti. Da parte del "Corriere della Sera" e di "Repubblica" si rispondeva che Pannella voleva la censura. E la cosa si liquida così. Arriviamo al 12 dicembre del 1980, quando viene sequestrato il magistrato D'Urso. La nostra riflessione è: stiamo a vedere cosa succede. Il 12 dicembre le Brigate rosse rapiscono D'Urso; il 13 dicembre fanno trovare il comunicato n. 1, che viene pubblicato dai giornali; il 14 dicembre vi sono i primi appelli di Leo Valiani e Pecchioli contro ogni cedimento e trattativa; poi il 15 dicembre le Br fanno trovare il comunicato n. 2, dicono che D'Urso collabora, che sta bene, che il ruolo da lui svolto nelle carceri è stato quello che è stato e chiedono che si pubblichino i loro comunicati, il che avviene ancora; il 16 dicembre Rognoni, ministro dell'interno, dice che si farà il possibile per salvare, compatibilmente con le leggi, la vita di D'Urso; il 18 dicembre vi è il comunicato n. 3 delle Br che chiede la chiusura immediata dell'Asinara, richiesta già avanzata precedentemente. Il generale Dalla Chiesa ricorda che già dal mese di luglio aveva formulato la richiesta di chiudere d'urgenza il carcere dell'Asinara perché c'erano molti inconvenienti in relazione alla sicurezza. Il PSI aveva avuto una posizione che veniva confusa con la nostra per la trattativa sul sequestro Moro: ma noi volevamo il dialogo per guadagnare tempo e lo dicevamo anche ufficialmente. Ho un incontro con Bettino Craxi, durante il quale dico che la chiusura dell'Asinara la chiedevamo da un anno. Craxi dice che il generale Dalla Chiesa lo aveva chiamato per dire che a quel punto non è che non si chiudeva l'Asinara perché lo avevano chiesto le Br, la chiusura era prevista comunque entro il 31 dicembre; credo che di questo si fosse occupato anche il senatore Gualtieri. Il 20 dicembre mando una lettera indirizzata ai "compagni assassini", che viene pubblicata il 23 dicembre su "Lotta continua". Secondo la tesi ufficiale erano fascisti e provocatori; io ho sempre detto che probabilmente si trattava di compagni assassini. I compagni si arrabbiano un "pochettino" perché chiamati assassini, magari un "pochettino" si arrabbiano gli assassini perché vengono chiamati compagni. Comunque dico subito di dialogare.

PRESIDENTE. L'idea che non erano compagni era un po' caduta allora; quella era in parte la lettura iniziale del fenomeno delle Brigate rosse; ma già all'epoca del sequestro Moro era un po' caduta.

PANNELLA. Nell'aprile 1979 per la prima volta parlo di "compagni assassini" all'Università durante il nostro congresso. Per questa affermazione si scatenò una grande reazione. Si trattava di non tanto tempo prima! Insieme a tutti i nostri Gruppi parlamentari (Leonardo Sciascia devo dire che non dormì per molte notti e giorni) apro l'iniziativa, perché questa volta D'Urso bisognava salvarlo e allora, giorno e notte, a Radio Radicale la domanda era: "voi che siete le mogli o i mariti di brigatisti, come potete immaginare di compiere un'azione così selvaggia e così sporca?" Si continuava molto a parlare sulla stampa e qui arriviamo al clou della situazione: il 27 o il 28 dicembre, dopo quella canea sul fatto che non bisognava chiudere l'Asinara (torno a dire che Dalla Chiesa se ne occupò molto in quei giorni) il Governo comunica che il 26 dicembre si era proceduto a compiere le ultime operazioni per la chiusura dell'Asinara, con un comunicato ufficiale. Devo dire che ricevetti non so dove una telefonata di Bettino Craxi che mi disse che era stato fatto questo, ma di non chiedergli più nulla perché saremmo stati linciati come pazzi. Io ebbi immensa riconoscenza per quel che aveva fatto: sapevo che gli era e gli sarebbe costato molto caro. Io ebbi grande riconoscenza perché per me non era un cedimento, non era fare un regalo alle Br: era cosa che doveva essere fatta; siccome loro l'avevano posta come condizione per non ammazzare D'Urso, non si sarebbe realizzata, magari per far vedere che erano importanti. E quindi per un po' di tempo riteniamo di essere completamente soli, Craxi stesso ce lo aveva detto. In realtà eravamo soli insieme al partito dei magistrati che di destra, di sinistra o di centro esercitavano fermezza, ma come la nostra, non l'altra, quella che io chiamavo della rigidità cadaverica; e poi noi non volevamo trattare un bel nulla. A questo punto avviene una cosa strana. D'un tratto si stabilisce che ci vuole il black out; la linea dei giornali e della politica è: black out. Abbiamo detto che c'era stato uno scontro durante l'anno perché invece allora la linea era di pubblicare i documenti delle Br. In quei giorni è accaduto qualcosa che a mio avviso dovrebbe essere in qualche misura ricordato: perché il black out, quando le Br chiedono che venga pubblicato un comunicato? La regola che era stata fissata dalla stampa e dai partiti italiani era che i loro comunicati fossero pubblicati, contro la nostra opinione. Ad un certo punto su "L'Espresso" e in prima pagina di "La Repubblica", durante il black out, viene pubblicata l'intervista al magistrato D'Urso. Qualche magistrato - essendo tale D'Urso - probabilmente ha un senso di dignità e a questo punto Scialoja viene arrestato a Ortisci, dove era col suo direttore, e anche Buldrini - mi pare - perché sono loro che hanno visto il terrorista intervistatore. Quindi viene intervistato D'Urso, l'intervista viene pubblicata in prima pagina, pertanto il black out non vale più. A questo punto le Br rimettono le decisioni ai "terroristi" nelle carceri. Immediatamente uno di noi, Pinto (era già dei nostri) va a Trani, io mi accingo ad andare a Palmi con De Cataldo ed altri ma nel frattempo, il 31 dicembre, ammazzano Galvaligi. La risposta dalle carceri non veniva, o Senzani non si è sentito di prendere la decisione di ammazzare D'Urso; stavamo aspettando; pongono questa condizione di pubblicare l'altro comunicato, ma ammazzano Galvaligi.

Non so se il 27 o il 28 dicembre, all'Accademia di San Luca, il presidente Pertini consegna un premio a Bruno Visentini e gli dice - la battuta viene ripresa da tutti i giornali - non è ancora l'incarico... Perché? Perché tutti sapevamo che era deciso, che con l'arrivo del cadavere di D'Urso ci sarebbe stato il Governo dei capaci e degli onesti, con Bruno Visentini (ne avevamo parlato anche a Strasburgo) che sarebbe stato il Presidente dei capaci e degli onesti. La battuta di Pertini a Piazza Accademia di San Luca è: "non è ancora l'incarico", e i giornali la riprendono. Quindi, deve arrivare il cadavere. Ora, non sto ad entrare nei particolari, noi siamo andati in tutte le carceri, a Palmi, a Trani, siamo riusciti piano piano - licenziano il direttore de "Il Lavoro" di Genova, Zincorre, perché pubblica una prima cosa, poi pubblica qualcosa Emiliani de "Il Messaggero", ma intanto abbiamo Radio Radicale. Dove vinciamo è quando, avendo noi a disposizione in Tv un flash di cinque minuti, mi pare, noi, come partito radicale, portiamo a parlare la figlia di D'Urso. Noi avevamo anche detto a Radio Radicale: se lei parla lì ci saranno sette milioni di ascoltatori - non era vero perché l'orario era un altro - quindi voi assassini non potete più ammazzare perché ... in realtà non ci sono 7 milioni di lettori dei quotidiani e quindi dovete ... quindi era una lotta, con Leonardo Sciascia che fa tre appelli; il primo viene firmato da Eleonora Moro, dalla vedova Tobagi, da Sciascia, appunto, che è importante, e non mi ricordo da chi altro. Moltissimi magistrati firmano questo appello perché si consenta di pubblicare quello che le Br chiedono in modo da liberare D'Urso. Niente. Quelli allora il 31 ammazzano Galvaligi - che poi era un bel generale; D'Urso era bruttarello - , un bel generale; fu un'emozione immensa, e molti pensano: ecco, è fatto, a questo punto non si aspetta l'assassinio di D'Urso, ma l'incarico a Bruno Visentini viene dato subito.

PRESIDENTE. Allora chi era Presidente del Consiglio?

PANNELLA. In quel momento era Presidente Andreotti, o Cossiga; sì, Cossiga, era il 1980.

FRAGALA’. Cossiga, 1980.

PANNELLA. Il 2 o il 3 su "La Repubblica" c'è un primo attacco a Pertini. Si dice: beh!, cosa si aspetta? Dinanzi a questo fatto occorrono misure diverse e straordinarie. Il fatto è che girando come pazzi dappertutto, ecco, Radio Radicale (a cui veniva attribuito un ascolto notturno di 2 o 3 milioni di persone, pur coprendo un'area del 70 per cento del territorio), incalzando con una polemica feroce ("come fate, siete peggio di coloro che voi denunciate, eccetera", tutto questo nelle trasmissioni) arriviamo ad un momento in cui il 13 gennaio (non dico quello che non ha fatto Leonardo Sciascia in quei giorni) ... no, è il 15 gennaio. Il 13 gennaio va in televisione Lorena D'Urso; a questo punto sono accusato di avere costretto la figlia di D'Urso a leggere nel tempo concesso al partito radicale - ne avevamo poco assai - il comunicato delle Br. Invece lei non mi aveva ascoltato (oggi lo posso dire, allora mi sono rifiutato per un minimo di fierezza di dirlo: gli ho detto "ma no", e lei invece no, questi chiedono che si legga, che si pubblichi) e quindi aveva letto una frase nella quale loro dicevano "il boia D'Urso"; lei lo aveva scelto, Lorena; e su "La Repubblica" e dappertutto "Pannella costringe alla televisione la figlia di D'Urso a chiamare boia il padre", eccetera. Il 15 gennaio quello che non ci era riuscito con Moro è riuscito con D'Urso; e non c'era stata nessuna trattativa, zero, perché tutti i partiti ufficialmente erano contro e aveva funzionato. A questo punto però – è quello di cui vorrei si prendesse...- ci sono degli articoli che... a questo punto "La Repubblica" pubblica l'articolo di Scalfari con il quale praticamente si chiede l'impeachment del presidente Pertini; è un articolo, potete vederlo, insultante. Poi vi sono articoli di Di Bella e di altri, e interviste da cui risulta ufficialmente che il Governo Visentini avrebbe dovuto avere come ministri Paietta e Pecchioli, Di Bella, quelli che io chiamai allora "Pci, P38, P2 e P-Scalfari". Questo era il Ministero che era pronto, dei "capaci e degli onesti". I capaci e gli onesti c'erano: Bruno Visentini avrebbe presieduto questa baracca. Per la verità, devo aggiungere che in quei giorni, in una casa romana della quale dissi all'epoca di chi era, a chi apparteneva e dove - perché queste cose le ho subito dette - essendo presente Baffi, essendo presente Toncarini, essendo presenti un po’ di persone che sanno bene questa cosa (vero, Gualtieri?), si tentò di convincere Malagodi, che era l'ultimo resistente, ad accettare questo Governo con i comunisti e, devo dire, con la P2. Malagodi...

PRESIDENTE, Chi erano i Ministri piduisti?

PANNELLA. Non c'è che l'imbarazzo della scelta, nel senso che si parlava di tre o quattro generali che erano tutti della P2...

CORSINI. Che sarebbero entrati al Governo; in un Governo con Pecchioli...

PANNELLA. Certo! Ma quelle cose, voglio dire, sono gli articoli sui giornali di allora, in quel momento; Di Bella addirittura, pur non essendo un radicale, disse che dovevano venire fuori in fondo dei Ministri - mi pare - "con le palle"; non questi, ma non so chi. C'era una vicenda, in quegli anni, favolosa: il cosiddetto "emendamento ammazzadebiti", di cui Gelli garantì il funzionamento, che salvò tutti gli editori italiani; gli unici oppositori siamo stati noi, non "Il Manifesto" e non altri.

CORSINI. Sta dicendo che per il Banco Ambrosiano, i giornali…

PANNELLA. No ... ma anche quelli, a parte tutto quanto. La società immobiliare proprietaria di Botteghe Oscure che ha una fidejussione o 28 miliardi, e non è la vicenda "Paese Sera" con cui si confonde. Quindi da quel punto di vista credo che bisognerebbe... sono fatti, io non ve li racconto perché sono scritti negli atti parlamentari. Volevo dire solo che a questo punto questa gente... queste sono le cose che abbiamo letto. Un mese dopo, l'anello debole di questo schieramento paga: non è andato al potere, non è andato al Governo, non c'è stato il Governo, il Governo dei capaci e degli onesti; Malagodi era l'unico che non faceva parte, che non aveva accettato, ma avrebbe subìto (su questo erano tutti d'accordo) per il bene della patria perché sennò non era possibile, anche sul cadavere di ... ; e a questo punto, guarda caso, c'è Castiglion Fibocchi. Lo stesso signore, Senzani, a cui va male tutta questa operazione a Roma si trasferisce a Napoli e impianta il caso Cirillo con le stesse caratteristiche. Ci rientriamo di mezzo noi, di nuovo la televisione, ma in quel tentativo la strategia era di ristrutturare la partitocrazia facendo fuori la DC in definitiva, (non se ne sono mai accorti i DC; uno ci sarebbe restato, non si sa quale), di ristrutturare, rilanciare il sistema, il regime, ripulito, capace, onesto, con la P2 che era costituita, come mi è stato detto, da moltissimi patrioti: un po’ scemi, magari, io ci credo che c'erano anche molti patrioti scemi; era vero, c'erano anche questi; poi però c'erano dei ladri, c'erano dei malfattori, c'erano dei putchisti, c'erano dei lealisti; ho conosciuto dei magistrati che erano stati iscritti dal nonno, dal prozio come premio al momento della laurea, essendo da quattro generazioni iscritti alla P2...

CORSINI. Può tornare indietro un attimo? Non ho capito la vicenda, il ruolo di Senzani.

PANNELLA. Senzani, che era quello che ha fatto tutta l'operazione…

PRESIDENTE. E’ quello che rapisce D'Urso.

PANNELLA. ...da lì se ne va giù e ricomincia esattamente tutta l'operazione: sul terremoto, sulle decine di migliaia di miliardi, con una vicenda di strage che - se il Presidente e loro vorranno... - è quasi sconosciuta - ma qui il termine strage è proprio - che vede non un generale, ma uno dei testimoni, di coloro che conoscono un po' le vicende Cirillo, ammazzato, e finisce con un medico, Vicini, ammazzato anche quello e con - come dice Sciascia - tutti i tribunali napoletani che di volta in volta trovavano una questione di lana caprina per giustificare degli assassini, e io sono testimone di una cosa, che viene assassinato un medico, Vicini, che probabilmente aveva a che vedere con ambienti golpisti ma anche camorristi. Dichiaro alla magistratura che lo conoscevo perché un procuratore della Repubblica e un giudice istruttore campani me lo avevano presentato, me lo portavano sempre e via dicendo. Il magistrato a cui ho raccontato a verbale queste cose non ha mai ascoltato, nemmeno una volta, i magistrati in questione sulla vicenda per cui il medico finisce ammazzato.

PRESIDENTE. Lei quindi ritiene che nella vicenda D'Urso la strategia della fermezza era dettata da un fine politico, non coincidente col fine istituzionale della tenuta dello Stato, e tendesse a sostituire il Governo Cossiga con questo Governo P2, P38, eccetera.

PANNELLA. Molti erano in buona fede.

PRESIDENTE. Quello che vorrei capire è perché la liberazione di D'Urso in questa logica, nella sua prospettiva, diventa una sconfitta delle Brigate rosse, perché è da quello che siamo partiti. Io ho detto che nel caso D'Urso le Brigate rosse segnano un colpo nei confronti dello Stato. Perché invece lei ne dà una lettura diversa? Perché vengono sconfitte? E’ questo che non riesco a capire.

PANNELLA. Vengono sconfitte perché credo che Senzani fosse lucido e che sapesse che lì c'era dall'altra parte una sorta di golpe di Stato. Credo che i brigatisti rossi non amassero né Leonardo Sciascia né le componenti liberali, democratiche, del nostro paese.

PRESIDENTE. Le Brigate Rosse salvano questo Stato dalla tremenda sventura di sostituire Cossiga con Visentini. Alla fine questo era. All'epoca io non facevo politica, ma tutto sommato la sostituzione di Cossiga con Visentini non mi sarebbe dispiaciuta come italiano.

PANNELLA. Le Brigate Rosse erano politicamente e militarmente mediocri. Era Senzani che doveva decidere questa vicenda. Senzani ha avuto forza perché nessuno lo ha denunciato. Ci potevano essere giornalisti e altri, con Galvaligi che veniva ammazzato e non si trovava chi lo aveva ucciso. Erano sempre loro, ma in quei giorni - altro che caso Moro - sì poteva trovare D'Urso come volevano. E’ un'azienda editoriale autorevole quella che ha pubblicato questa roba, e che sapeva chi teneva D'Urso; o no? Era un anno e mezzo che De Benedetti lealmente scriveva su "la Repubblica", e io - tranne che nelle conclusioni - ero d'accordo con lui che di fronte al debito pubblico ignorato dalla politica - ed erano dei pazzi ad ignorarlo - occorreva - era qui che io non lo seguivo - un anno, un anno e mezzo di commissariamento della Repubblica. Crede che Bruno Visentini non fosse in buona fede? Ne ho parlato anche: probabilmente non si rendeva nemmeno conto dì quanto era potuto divenire incredibile il background di tutta quella situazione. Era tutta gente per bene. Mi faccia comprendere allora la domanda, Presidente: cioè o lei presta davvero alle Brigate Rosse un'intelligenza politica forte, una strategia, il fatto che loro sono riusciti a controllare una situazione, nella quale De Cataldo ed io stavamo a Palmi con Franceschini...

PRESIDENTE. Capisco perché lei ritenga che sia sbagliato dire che quella è stata una vittoria delle Brigate Rosse, però, dal suo punto di vista, non capisco perché sia stata una vittoria dello Stato. Può essere stata una vittoria umanitaria.

PANNELLA. Houna certa tendenza a ritenere che lo Stato non sia uno Stato etico, il partito non sia un partito etico. Abbiamo salvato una vita e questo era importante. Abbiamo costretto le Brigate rosse a salvarla.

PRESIDENTE. Questo lo capisco: era una vittoria umanitaria.

PANNELLA. No, era una vittoria politica, perché abbiamo impedito loro di giustiziarlo. Dovevate sentire in quell'Italia notturna le centinaia di migliaia di persone dire: io sono di sinistra, sono brigatista, sono anche altro. "Non ci possono provare; non lo facciano". Si poteva fare altrettanto con Moro? Ci arriveremo.

PRESIDENTE. Praticamente li isolavate nell'acqua in cui navigavano.

PANNELLA. Si muovevano come pesci nell'acqua perché l'acqua gliela davano. Questa è la nostra tesi.

PRESIDENTE. Questa, per la verità, è pure la tesi della relazione. E’ un po' sconfessata e sono stato chiamato "mascalzone politico" in quest'aula.

PANNELLA. Si prepari a peggio, Presidente, se scava. A mio avviso, in termini tecnici - per carità, non morali - c'è stata una situazione di sospensione della legalità e quasi di gestione golpista della vicenda Moro. Noi, come Parlamento, siamo stati esclusi, ufficialmente, dai nostri poteri-doveri di indirizzo. Ufficialmente. Il Presidente della Camera, un personaggio sappiamo quanto nobile, comunica a tutti gli altri Gruppi parlamentari il testo della lettera del collega Moro che chiede di riunirci, ma al Presidente del Gruppo Radicale dice invece che la lettera la darà all'autorità giudiziaria. Questo perché non si fida, a noi non la vogliono far leggere. Io non l'ho letta.

PRESIDENTE. Qui, nella scorsa riunione, il senatore Gualtieri osservò giustamente che anche la magistratura e la polizia giudiziaria furono in realtà espropriate della gestione del sequestro Moro, che fu affidata a singolari comitati di crisi.

PANNELLA. Questi erano comitati di crisi "americani", così "americani" che, quando beccano Dozier, in ventiquattro ore trovano un imbecille, Savasta il terrorista, che è peggio di un computer, che tiene in memoria qualcosa come trentamila indirizzi, telefoni, nomi e cognomi. E li tira fuori tutti in un momento. Probabilmente le cose vanno un po' riviste. Il Presidente ha avuto la bontà di ricordare che io tenevo comizi contro D'Amato, in Piazza del Parlamento. Anche uno di noi poteva sapere queste cose e chiamare in causa D'Amato, denunciare che lo avevano trasferito alla Polizia delle frontiere, così che quelli potevano scappare meglio. Non siamo mai stati chiamati a rispondere, né in sede giudiziaria né in sede parlamentare. La questione qual è? Avviene Castiglion Fibocchi e lì scoppia tutto. Abbiamo il Segretario generale del Partito comunista, Enrico Berlinguer, che il 10 gennaio 1984, pochi mesi prima di morire, quando finalmente si riesce ad ottenere che i segretari dei partiti vadano a raccontare qualche cosa dalla signora Anselmi, dice testualmente che lui non aveva saputo nulla di Gelli e della P2 fino al ritrovamento di Castiglian Fibocchi. Dopo, perché il collega Bellocchio insiste un po', aggiunge: "Tranne le cose che si leggevano sui giornali". Questo a gennaio 1984. Di venti miliardi per "Paese Sera", di venti miliardi per Botteghe oscure, dei contatti di Minnucci e di Pecchioli dice che sono tutte cose di cui con lui non parlavano. E’ possibile? E’ possibile che il Segretario generale del Partito comunista non sapesse nulla di tutto questo? E possibile, ma non mi pare probabile. Sulla gestione di quel caso non abbiamo potuto tenere un solo dibattito alla Camera. Diciamola tutta: in Transatlantico, non in un angolino, all'arrivo della prima lettera del collega Moro, dinanzi a quaranta parlamentari, giornalisti, eccetera, mi scontro con un carissimo amico che adesso non c'è più, Antonello Trombadori. Quando affrontiamo l'argomento - sono tutte cose già dette e raccontate in sede parlamentare e quindi possiamo controllare se la mia memoria è fedele - mi dice: "Ma come, decine di migliaia di contadini analfabeti hanno taciuto davanti alle torture dei tedeschi e questo qui già molla? Se esce, se si salva, è la sua fine". Da quel momento noi usiamo la carta opposta e dichiariamo che un uomo che sa scrivere queste cose è tale per cui, quando sarà libero, diventerà candidato alla Presidenza della Repubblica: questo è stato detto da noi radicali nell'azione per salvarlo, per valorizzarlo, per non farlo ammazzare, per dare tempo di approntare delle direttive. Insomma, signor Presidente, andiamo a rileggere gli atti della Commissione famosa su questa materia: è la Commissione per la quale noi abbiamo gridato in Aula e dappertutto che il Parlamento italiano ha stabilito che lo spiritismo è una scienza esatta ed accettabile! Ma è una cosa da poco la questione di Prodi e la questione di Andreotti? Il Parlamento ha avuto questo coraggio e a gridarlo, siamo stati noi gli unici in Aula, dappertutto. Quindi, mai far parte di una Commissione di inchiesta se non proprio quando i conti vengono fuori! Di che cosa è fatta la nostra sconfitta, il nostro isolamento di anni? Dal 1963 (la vicenda ENI e così via), mano a mano andate a vedere tutti i passaggi, il 1974, il 1976...

PRESIDENTE. Però io credo che, tutto sommato, tutte queste questioni, l'ENI, l'AGIP, il suo allarme sulla P2 e il fatto che fosse poco credibile che questa struttura non fosse conosciuta nel mondo della politica dopo che lei aveva preso posizioni pubbliche, eccetera...

PANNELLA. Non solo io.

PRESIDENTE. ...siano tutte cose che lei alla Commissione Anselmi ha già detto: ci sono gli atti di una sua audizione.

PANNELLA. Io ho avuto 14 anni fa l'unica opportunità di parlarne e in quel caso, infatti, l'indomani non ci fu un solo giornale a riferirne, non ci fu un solo dibattito; non ho avuto risposta, mai.

PRESIDENTE. Forse avverrà anche domani, visto che noi le sedute le teniamo di notte.

PANNELLA. Certo, la seduta si tiene di notte, ma poi, per carità...

FRAGALA’. C'è Radio radicale.

PANNELLA. Per sbaglio!

PRESIDENTE. Beh, la stiamo difendendo.

PANNELLA. Credo che ce ne sarà molto bisogno, signor Presidente, proprio nei giorni prossimi.

PRESIDENTE. Ha finito la sua esposizione?

PANNELLA. Sì, chiedo scusa se il mio intervento è stato troppo lungo.

PRESIDENTE. Voglio dire, per chiudere, che io ho sempre trovato poco convincente la conclusione della Commissione Anselmi sulla P2. Secondo me è difficile pensare che una vicenda di quelle dimensioni possa essere liquidata...

PANNELLA. Quella dell'assassinio Moro non mi sembra.

PRESIDENTE. Su quello però non sono molto d'accordo con lei, non mi sembra che la Commissione Moro, nemmeno nella relazione di maggioranza, dichiari di credere allo spiritismo: in realtà a quella vicenda dello spiritismo non ci ha creduto mai nessuno.

PANNELLA. Ma allora, scusi, c'è un Parlamento che dice che la questione di via Gradoli l'ha saputa per quel motivo e non si ha nulla da dire? L'abbiamo votata la mozione...

PRESIDENTE. La Commissione li ha interrogati tutti i partecipanti a quella seduta. La verità è che non si riesce a capire chi, di tutti i partecipanti alla seduta spiritica, fosse in possesso del segreto, questo è il vero problema. Anche noi ce ne stiamo occupando, avrà visto che io personalmente, nella mia relazione, riprendendo una valutazione abbastanza generale, ho detto che non è una storia credibile e che probabilmente era una voce filtrata dagli ambienti dell'Autonomia che era arrivata per vie universitarie fino a Bologna. Che poi è più o meno la stessa frase che qui ci ha ripetuto Andreotti.

DE LUCA Athos. Intanto penso che questa audizione di Marco Pannella sia importante perché il suo è un punto di osservazione diverso; noi abbiamo visto scorrere, nelle audizioni, i potenti di allora, mentre questa volta abbiamo sì un potente, che però stava dall'altra parte e che già allora, così come abbiamo sentito, denunciava alcuni personaggi che abbiamo anche audito di recente. Quindi il suo è un punto di osservazione del tutto originale che credo sia stato bene cogliere per avere una visione completa di quegli anni. Io prenderò spunto solo da una vicenda che ho vissuto quasi direttamente: quel giorno non ero a Roma, ma rimasi molto impressionato dalla dinamica, dal dopo, dal comportamento in quegli anni e in quel momento di personaggi che poi abbiamo ascoltato qui.

PANNELLA. Credo che lei avesse già sentito preannunciare quel pomeriggio da quattro giorni.

DE LUCA Athos. Esatto: mi riferisco (non so se abbia già intuito, onorevole Pannella) a Giorgiana Masi, a cosa successe in quelle ore, in quei giorni. Ecco, vorrei che Marco Pannella, prendendo spunto da quell'episodio, ridisegnasse, desse la sua versione della situazione di allora, le conclusioni politiche che possiamo trarre da quell'episodio di cui fu protagonista un personaggio che ancora oggi è alla ribalta (in questi giorni sta costruendo il nuovo centro): mi riferisco all'allora ministro dell'interno Cossiga. Io ricordo che vidi in quei giorni anche il filmato che il Partito radicale allora proiettò nelle sedi di tutta Italia, in cui si vedevano i poliziotti travestiti in qualche modo, come agenti provocatori, con le armi che da dietro le colonne sparavano...

PANNELLA. L'agente Santoni.

DE LUCA Athos. ...e in quello stesso momento, in quei giorni, Cossiga riferiva in Parlamento che la polizia non aveva sparato. Ricordo poi quello che è avvenuto dopo, cioè l'impunità su quella vicenda, il silenzio per il quale ancora oggi non vi è chiarezza, tant'è che io stesso ho cercato di riattivare un'indagine su quella vicenda e sono andato anche a parlare con Izzo, eccetera, per cercare di riprendere le fila di quella stessa vicenda. Ecco, partendo da questo fatto, dal clima di quei giorni, di quegli anni, mi pare di aver capito anche, nella sua presentazione, che Marco Pannella dà una lettura diversa di quegli anni rispetto a quella che abbiamo ascoltato noi qui dai personaggi che si sono avvicendati. Ho capito che la sua lettura, in realtà, è che la strategia della tensione era bensì funzionale forse anche al mantenimento del potere della DC in quegli anni, però era anche funzionale, in qualche modo, al più grande partito di opposizione di quegli anni e che ci fosse un'intesa, un tacito accordo, un patto che doveva essere il viatico per l'accesso al Governo per accreditarsi nel nostro Paese. Ho detto male una cosa che avrebbe bisogno di essere approfondita, però vorrei anche lasciare spazio agli altri colleghi per porre le loro domande.

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, senatore De Luca, ma anche perché valga come guida mentale al nostro lavoro, invito sempre a individuare una periodizzazione. Cioè, questo può valere per la seconda metà degli anni settanta, sicuramente non per la prima, altrimenti non capiamo perché poi dormivano fuori di casa i dirigenti del PCI.

DE LUCA Athos. Certamente, infatti ci riferiamo ad un episodio che cronologicamente è limitato nel tempo. Quindi, a partire da questo io vorrei che Pannella ci dicesse perché accadde quella vicenda e in quegli anni chi progettava e che cosa, e attraverso chi si portava avanti un disegno o per l'entrata nel Governo del PCI di allora o, comunque, per una normalizzazione o una svolta autoritaria, in qualche modo, nel nostro paese.

PANNELLA. Se permette, signor Presidente, vorrei fare - avevo pensato di farlo prima, ma l'ho dimenticato - una piccola dichiarazione, che affido proprio alla sua attenzione. Cercherò - sinora ci sono riuscito - nel corso di questa audizione di dire non quello che penso oggi di quelle cose - a meno che non mi si chieda - ma di ripetere in questa sede le cose che a quel tempo pensavo e che ora hanno tutte un riscontro, perché così si ha un altro valore. Questo è importante. La mia interpretazione di oggi potrà anche avere un interesse, ma l'aver indicato alcune cose in quel tempo e il fatto che non si sia riusciti a trovare delle responsabilità - allora - di troppe cose, può forse aiutare a comprendere. Che cosa è accaduto il 12 maggio 1977? Quale è il contesto? Quindici, venticinque giorni prima - non lo so di preciso - il Ministro dell'interno, il Governo, con fortissimo appoggio della maggioranza parlamentare (devo dire che in quel momento - scusate l'indelicatezza - dicevamo che vi erano due forze nel paese: il PCI e il Partito radicale; il resto era marmellata. Avevamo i referendum, tutta una serie di riscontri in quel momento; anche per ricordare il mio cattivo gusto, se vuole, però certi riscontri sono andati come sono andati), il Governo, dicevo, propone un decreto-legge (adesso si trova nei testi universitari come esempio di un decreto anticostituzionale) con il quale si sospende il diritto costituzionale di manifestazione a Roma (non di volta in volta, ma si sospende il diritto). A Roma manifestavano sempre e noi dicevamo da Radio Radicale, per esempio, che gli Autonomi di via dei Volsci stavano attraversando Roma e che sembrava che la polizia li stesse portando verso piazza Nicosia. La gestione dell'ordine pubblico era torbida a Roma, e anche i rapporti di via dei Volsci (noi la denunciammo come tale). Questi continuavano a manifestare; le manifestazioni nostre per raccogliere le firme per il referendum d'un tratto furono vietate e, quindi, facemmo in Parlamento una grossa opposizione contro questo. Il 12 maggio è l'ultima data utile per finire di raccogliere le firme per il referendum. Tutti gli anni avevamo festeggiato l'anniversario del 1974 a piazza Navona e anche quell'anno lo facemmo. Ci fu fatto presente il divieto di manifestazione e, pertanto, la mutammo in mera manifestazione musicale di raccolta delle firme per il referendum. Mi recai personalmente dall'amico Cossiga dicendo che non era possibile e che si dovevano rendere conto che a quel punto, se c'era qualcuno a volere l'utilizzazione golpista di quei giorni, bastava cercare qualche morto a Roma per estendere il divieto di manifestare dappertutto. Dissi che a quelli le manifestazioni gliele stavano facendo fare e che la vita democratica era sospesa, non era legale; pertanto, annunciammo l'ostruzionismo in Parlamento su questo.

Si arriva a quattro giorni prima di questa data. Spiegai al Ministro dell'interno e al Presidente del Senato che da almeno mille anni a Roma, qualsiasi poliziotto ti dice che si tratta di "fare" entrare il popolo a piazza Navona, poi, però, come esce... Ma è il luogo ideale - deputato a ciò - ha quattro uscite! Dissi che stavano prendendo una decisione per la quale tenevano fuori le persone, i turisti e via dicendo e quelli di via dei Volsci, se volevano venire. Dissi che era una follia, e badate che di queste cose ne ho parlato con Ingrao tre-quattro giorni prima. Avevamo un rapporto che definirci feroce, allora, con il sindacato. Ebbene, due giorni prima il sindacato prese posizione a favore della manifestazione così come si era configurata, e aderirono moltissimi. Il presidente Ingrao cerca il Ministro. Siamo certi, dopo la presa di posizione del sindacato, che la cosa si farà, anche perché c'è un precedente; non abbiamo mai provocato un incidente in quegli anni, in condizioni molto difficili con gli autonomi, oltretutto, che ci odiavano. Il ministro Cossiga non fu rintracciato, nemmeno dal Presidente della Camera, nelle 18 ore precedenti la tenuta della manifestazione. Si arriva al pomeriggio del 12 maggio e alle tre, dinanzi al Senato, il dottor Improta grida - dico oggi quello che ho detto allora e che è contenuto in un libro - a Pinto, a Mellini, a me e a deputati che stanno lì: "Già hanno sparato a due dei nostri". Avevano fatto venire lì i ragazzi carabinieri di 18 anni della scuola di Velletri, per la prima volta in servizio di ordinanza, il momento era difficile. Non era vero: si sparano i primi colpi a piazza San Pantaleo, un'ora e tre quarti dopo. In tutto il centro di Roma non sì respira; lacrime in tutto il centro e si sente sparare a piazza San Pantaleo.

Presidenza del vice presidente GRIMALDI

(Segue PANNELLA). Registriamo e dichiariamo da Radio Radicale che una voce sulle frequenze della polizia diceva: "Ma che cosa fate? Ne hanno già ammazzati due. Coglioni, sparate!"; questo fu detto in quei minuti. Avevamo quelli di via dei Volsci disciplinatissimi; eravamo riusciti ad ottenere la presenza di questi estremamente disciplinati. Ci sono massacri di botte da tutte le parti, e noi abbiamo controllato, e il bilancio è questo, mai accaduto. Da parte delle forze dell'ordine, l'indomani, non c'era nemmeno un graffio, ma solo un carabiniere che dichiarava di avere avuto un graffio da arma da fuoco, che poi era la sua. Certe dinamiche tutti noi le conoscevamo. In genere c'erano 20 manifestanti all'ospedale e 60 delle forze dell'ordine feriti, con escoriazioni. Non ci fu una sola escoriazione tra le forze dell'ordine. Per contro, che cosa ci fu? Ci mettemmo 4 giorni a provarlo, perché le direzioni dei giornali (il Corriere della Sera, la Stampa) vietarono - lo documentammo - di pubblicare le foto che avevano: avevamo l'agente Santoni, gli agenti della squadra mobile che erano stati costretti a travestirsi da straccioni, i quali con pistole sparavano da Campo de' Fiori nei confronti delle forze dell'ordine che si trovavano tra San Pantaleo fino a piazza della Cancelleria. Ancora 8 giorni dopo, la tesi ufficiale era che nessuno, nelle forze dell'ordine, aveva sparato. Come voi ben sapete, la sera quando si rientra si rileva se si è sparato o meno. Ancora 5 giorni dopo fu dichiarato che nessuno aveva sparato. Noi riuscimmo ad ottenere che il "Messaggero" pubblicasse in prima pagina la foto dell'agente Santoni con la pistola, che stava mirando verso la polizia. Esibimmo un filmato, nel quale si vedevano le forze dell'ordine in divisa che sparavano, le quali immagini furono mostrate in tutta Italia. Le abbiamo date anche in una tribuna politica successiva. E’ stato un miracolo: abbiamo avuto 40 feriti seri. L'episodio di Giorgiana Masi è accaduto alle 20.00; può essere stata una cosa non voluta o niente affatto controllata. Quando però alle 20.15 ho telefonato al presidente Ingrao per dirgli che era morta una ragazza, ho sentito la sua voce dire: "Dio santo, Dio santo! Allora avevi ragione". Risposi: "Spero di no, perché si sono tutti dispersi". Io avevo detto che si tentava di fare decine di morti per estendere il divieto di manifestazione in tutta Italia. Anche in quei giorni c'erano quelli che il Presidente nel periodo, Moro, definiva, "strani comitati di crisi".

Presidenza del presidente PELLEGRINO

(Segue PANNELLA). Non abbiamo rintracciato il Ministro dell'interno. Hanno fatto dichiarazioni false in Parlamento ancora un mese dopo. Lì noi abbiamo affermato che il tentativo era di avere alcuni morti per estendere in tutta Italia il divieto di manifestazione. Sta di fatto che c'è stato un solo morto, per noi è stato un miracolo. Ne abbiamo parlato e dopo sei mesi abbiamo fatto un Libro Bianco (che potremmo solo prestarle, perché ne abbiamo un'unica copia), nel quale dicevamo che il magistrato X e il magistrato Y avevano di fatto occultato tutte le nostre denunce e che ben presto lo Stato li avrebbe ricompensati con alti incarichi di prestigio. Ebbene, quei due magistrati hanno avuto a che fare con il caso Ustica: era una profezia facile. Erano gli stessi; avevano funzionato molto bene in quella direzione.

Allora, siamo stati troppo appassionati, Presidente e senatore De Luca? Troppo parziali? No, quel decreto era illegale, assieme ad un altro decreto emanato nello stesso periodo, che permetteva al Ministero di richiedere notizie sui vari processi per terrorismo in fase istruttoria, in violazione del segreto professionale. Abbiamo ricostruito in seguito che 48 ore dopo che il decreto era stato depositato alla Camera, perché doveva essere convertito in legge, dal Ministero dell'interno erano state chieste diverse informazioni: c'era D'Amato o non c'era? Chi c'era di altri? Cosa aveva a che fare con lo Stato di diritto? Ed erano piduisti? Chi governava la situazione - e questo Cossiga lo ha sempre detto - era l'alta professionalità di quelli che io dicevo erano gli unici "non marmellata" del Partito comunista: Pecchioli, Minnucci, Boldrini, gli altri, i quali avevano stabilito che c'era una guerra: ma contro chi? Non certo contro Franceschini o Senzani. Bisogna pure conoscere questa gente: ce n'è voluto, per non beccarli a via Gradoli! C'è voluta un'arte. C'è voluta un'arte profonda anche in quei mesi, sulla questione del dopo Giorgiana Masi e soprattutto sul caso Cirillo. Ci sono stati 7, 8 o 10 morti nelle carceri, tutti quelli che erano testimoni di qualcosa. Senatore De Luca, quasi sicuramente non avremo in questo alcuna sintonia, però possiamo dire che fra il caso D'Urso, il caso Cirillo e in parte l'episodio definito ingiustamente di Giorgiana Masi, probabilmente si era già deciso essere possibile e necessario quello che ha dovuto aspettare Tangentopoli, per realizzarsi: far fuori la DC e i suoi alleati. Se il caso D'Urso avesse funzionato avremmo avuto la ristrutturazione dell'azienda Italia.

PRESIDENTE. Però qui c'è qualcosa che non torna. Come possiamo veramente pensare che la responsabilità dell'ordine pubblico stesse in mano al primo partito di opposizione? Il Ministro dell'interno che prepara il decreto è Cossiga.

PANNELLA. Einfatti Cossiga, da Presidente della Repubblica (Cossiga è Presidente, come è noto, in modo un po' goliardico in alcuni momenti)...

PRESIDENTE. Nella seconda parte del suo mandato presidenziale.

PANNELLA. Sì,nella seconda parte. Ebbene, quando in una trasmissione televisiva dissi al Presidente della Repubblica, che era con Giuliano Ferrara mentre io ero dall'altra parte, che era questo che stava accadendo, egli mi rispose: "Basta che tu mi riconosca che queste cose le ho fatte io e ... chi? Dimmi tu chí". Tutto questo è registrato. "Chi?". "Berlinguer". Il Presidente della Repubblica in carica dice: queste cose che tu mi attribuisci saranno vere, ma con chi le ho fatte? Lo dice il Presidente della Repubblica in carica.

PRESIDENTE. In questa logica la DC si suicidava.

PANNELLA. Come partito, certo. Dopo di che Fanfani era convinto che il grande vecchio ci fosse e fosse "quell'altro". Quell'altro era convinto che il grande vecchio forse era Fanfani, non lo so, ma sta di fatto che una ristrutturazione dell'azienda Italia c'era.

STANISCIA. Intervengo solo perché, essendo presente, vorrei che rimanesse agli atti, altrimenti domani mi sentirei male. Al di là dei fatti che ho sentito in ormai due ore di incontro, ho questa impressione: che i radicali e gli antifascisti e gli anticomunisti hanno fatto la storia dell'Italia repubblicana, che i comunisti italiani sono responsabili di tutti i mali di questa Repubblica, che "l'Unità" non pubblicava, che il PCI riceveva 20 miliardi per Botteghe Oscure...

FRAGALA’. 28 miliardi.

STANISCIA . .... che "Paese Sera" riceveva miliardi, che la fermezza partitocratica che portò poi all'uccisione di Moro era dovuta al PCI, che Pajetta e Pecchioli volevano fare un governo con la P2, con la P38 e con un'altra masnada di malfattori, che il PCI pubblicava con la casa editrice Einaudi mentre gli antifascisti e gli anticomunisti non avevano nessuna possibilità, che Berlinguer, da quell'ipocrita che era, sapeva della P2 ma non lo diceva perché aveva ricevuto i miliardi, che l'ordine pubblico in questa Italia repubblicana era tenuto da Berlinguer, da Pecchioli e da quell'altra masnada che faceva parte della direzione del PCI in quegli anni. Per essere brevi, perché poi vi tolgo il disturbo, non ho niente da dire sul fatto che i radicali siano stati coloro che hanno fatto la storia di questo paese, che la DC era vittima delle Brigate rosse e del PCI, perché ognuno si rifà la storia come la ritiene giusta e opportuna, come l'ha vissuta. Però quest'anno sono trent'anni che sono iscritto prima al Partito comunista italiano e poi al Partito democratico della sinistra e mi sembrava di aver militato in un partito che lottava per sostenere i lavoratori e le classi più deboli, per difendere le istituzioni democratiche. Invece questa sera ho appreso di aver avuto come compagni una banda di malfattori e come segretario di partito - e, devo dire, come il segretario che ho più amato - un personaggio negativo. Infatti, avendo avuto prima Longo, poi Berlinguer, poi Natta, poi Occhetto e adesso D'Alema, devo dire che di questi quello che ho più amato è stato proprio quel Berlinguer che invece apprendo questa sera... (Interruzione dell'onorevole Pannella). Chiedo scusa, ma io non ho interrotto e quindi preferirei non essere interrotto. Io avevo sempre stimato questo personaggio come un uomo serio, come una persona che aveva un grande rispetto delle idee degli altri e soprattutto come colui che aveva condotto una battaglia sulla questione morale; apprendo adesso che era un mentitore, non solo, addirittura mentiva agli organi della Repubblica, al Parlamento italiano, perché se non ho capito male lui avrebbe mentito di fronte ad una Commissione parlamentare. Signor Presidente, ella sa quanto io la stimo, non solo come Presidente di questa Commissione ma anche come persona, come professionista e come senatore; desidererei avere in futuro, come d'altra parte abbiamo avuto in passato, interlocutori che mi possano dire qualcosa.

PRESIDENTE. Mi scusi, collega. Ciò che lei ha detto merita una risposta da parte mia. Innanzi tutto quanto detto oggi dall'onorevole Pannella non è una novità; c'è una lunga audizione sulla P2 i cui atti ho riletto nel pomeriggio: l'onorevole Pannella già da allora diceva le stesse cose. Mi permetto personalmente di farle notare che ho voluto dare voce ad una critica che viene fatta ad una diversa lettura che io do della storia del Paese. Poi alla fine la Commissione dovrà scegliere nella logica della democrazia e dei voti quale tipo di lettura ritiene di approvare.

STANISCIA. Una cosa è la democrazia, un'altra è venire qua ad attaccare persone con argomenti che ritengo non corrispondano storicamente al vero; dico ciò perché io nella vita faccio l'insegnante di storia e di filosofia.

PRESIDENTE. Siccome il collega Staniscia è venuto poche volte, capisco che essendosi trovato di fronte a questa audizione ne ha ricavato un'impressione...

GRIMALDI. Tutti noi ci troviamo in difficoltà, signor Presidente. Anche perché tutti eravamo nelle liste delle BR ed eravamo naturalmente schedati e minacciati.

PRESIDENTE. Un fatto storico è vero: effettivamente l'allarme sulla P2 il Partito radicale l'aveva lanciato per primo, questo lo dobbiamo riconoscere all'onorevole Pannella.

GUALTIERI. Signor Presidente, con Marco Pannella ci conosciamo da una vita. Spero che Pannella riconosca anche a me costanza di attenzione verso i problemi sui quali stiamo, come Commissioni parlamentari o come parlamentari o come cittadini, lavorando; cioè questo capire la storia che abbiamo vissuto. Anch'io potrei riferire memorie e fatti di una lunga esperienza ormai trascorsa su questo versante. Credo che ciò che più ci univa all'inizio era questa comune radice atlantica o filo-israeliana, che però a me viene oggi rimproverata, quasi che la parte che ha vinto la battaglia venga messa oggi sotto inchiesta dalla parte che è stata sconfitta; ma ciò fa parte della regola di questo scambio di posizioni cui oggi stiamo assistendo, anche dalle relazioni che ci vengono presentate dalle quali dobbiamo poi trarre delle conclusioni che spero siano diverse da quelle che ci sono state presentate. Vorrei fare solo due considerazioni. La prima è di carattere politico e personale ed è legata a quanto Pannella ha raccontato circa il cosiddetto "Governo dei capaci e degli onesti" che doveva essere guidato da Bruno Visentini, alla conclusione del sequestro D'Urso, con uomini della P2 e con generali dei Carabinieri. A parte Pecchioli, che non so se veramente era nella squadra, quello che conosco e che ho conosciuto come onesto e galantuomo era Bruno Visentini. In quel periodo io facevo parte, come Pannella sa, della ristretta direzione del Partito repubblicano e ho vissuto questa vicenda in prima persona, oltre tutto, ero segretario di Ugo La Malfa ed avevo come comune amico un cesenate, Oddo Biasini: posso dire a Pannella che Bruno Visentini non ha mai avuto la più piccola chance di diventare un Presidente del Consiglio di questo tipo. La Malfa glielo avrebbe impedito con la ferocia con cui era capace di trattare tali questioni, la stessa che manifestò quando ad esempio gli impedì di fare il presidente della Confindustria, carica per la quale aveva ricevuto un'offerta. Non sarebbe mai passato e devo dire che nella vita del nostro partito non c'è mai stata una seria chance in questo senso per Visentini. Vorrei quindi sgombrare il campo da eventuali dubbi. Nel partito repubblicano, che io conosco, in quell'epoca questa possibilità non c'è mai stata e ciò anche nel caso in cui fosse stata fatta un'offerta a Visentini che non mi risulta vi sia stata. Dico ciò perché conosco l'uomo La Malfa; allora vi erano uomini che nella vita pubblica portavano anche una sufficiente dose di ferocia e cattiveria per potersi imporre.

Voglio però affrontare una questione che interessa più da vicino questa Commissione, proprio per i suoi fini istituzionali, in relazione a quanto detto dall'onorevole Pannella circa la morte del generale Mino durante il volo in elicottero del 31 ottobre 1977. Nel racconto fatto questa sera il generale Arnaldo Ferrara viene presentato quasi come l'assassino del generale Mino. L'onorevole Pannella ha affermato che l'inchiesta è stata affidata al generale Ferrara, quasi a voler affermare che è stato luì a far precipitare l'elicottero.

PANNELLA. Non intendevo dire questo.

GUALTIERI. Vorrei che questo fatto venisse chiarito: è una lettura che si poteva dare ascoltando le sue parole.

PANNELLA. Certamente si voleva insabbiare.

GUALTIERI. Io certamente ho capito male ed essendo la seduta verbalizzata possiamo comunque rileggerci gli atti; comunque, Arnaldo Ferrara è stato per dieci anni il vero capo dell'Arma dei carabinieri ed èstato per dieci anni il nemico mortale dei piduisti all'interno della stessa.

PRESIDENTE. Ne abbiamo avuto testimonianza nell'ultima audizione.

GUALTIERI. Ne abbiamo avuto testimonianza non solo nella storia dei dieci anni, ma anche quando è diventato l'addetto del presidente Pertini. Arnaldo Ferrara oltretutto è ancora vivo e a lui debbo rispetto. Nella storia dell'Arma dei carabinieri (cerchiamo di capire quali sono le attinenze) in questo periodo, durante i dieci anni di Arnaldo Ferrara, si realizza la struttura più democratica, dopo il periodo di De Lorenzo, quello delle armi pesanti e delle divisioni corazzate. Dopo De Lorenzo, il comandante generale è Corrado di San Giorgio e il capo di stato maggiore dell'Arma è Ferrara. I nemici di quest'ultimo sono coloro che erano annidati nella divisione Pastrengo a Milano e nella P2 (di cui una cinquantina, quando si andrà a vedere, facevano parte dello stato maggiore). Il generale Bozzo l'altro giorno ci ha raccontato qual era la ricaduta in termini di lotte interne molto feroci nell'Arma. Non ho gli elementi per giudicare la storia dell'Arma dei carabinieri in quegli anni nella sua interezza; facciamo fatica, perché la ricostruzione degli equilibri interni dell'Arma è difficilissima. E’ stato pubblicato un libro di Boato che arriva fino al 1977, poi non c'è nessun altro studio sull'Arma che vada oltre quell'anno. Gli archivi dei carabinieri. non sono mai stati penetrati; ne abbiamo penetrati tanti, ma quelli dell'Arma certamente no. Forse abbiamo maggiore conoscenza della storia e delle vicende interne della polizia di Stato piuttosto che dell'Arma dei carabinieri. Tuttavia, il generale Ferrara non può essere indicato neanche come l'uomo che ha beneficiato della morte del generale Mino; prima di tutto perché credo che in quegli stessi mesi era già passato ad altro incarico. Inoltre, l'inchiesta sulla caduta dell'elicottero (il Presidente dovrebbe poterlo accertare) non spetta al generale Ferrara, cioè ad un generale dei carabinieri. Se avviene la caduta di un elicottero dell'aeronautica, la commissione d'inchiesta dovrebbe essere nominata e gestita dall'aeronautica. Noi non riusciamo ad avere certezza di questo, ma l'inchiesta di Ferrara sulla caduta dell'elicottero non c'entra niente. Oltretutto in quell'incidente muore un intero stato maggiore dei carabinieri del Sud.

Vorrei che l'onorevole Pannella precisasse, almeno nella nostra verbalizzazione questa sera, che non è che questo incontro che egli ha avuto a Trevi o vicino Foligno (durante il quale il generale Mino disse che voleva assicurargli una scorta e lasciò capire di non voler più andare in elicottero e dopo un mese cadde con tale mezzo) voglia dire automaticamente che si tratti di un fatto doloso; poi proprio Ferrara conduce l'inchiesta. Inoltre, il capo di stato maggiore dei carabinieri deve pure preoccuparsi quando muore il comandante generale. La caduta dell'elicottero deve avere spiegazioni: o si tratta di spiegazioni tecniche, e rilevano; o si tratta di manomissioni dell'apparecchio, o di esplosivo, o cose del genere. Deve comunque risultare da una commissione d'inchiesta; ma non possiamo rimanere con questo sospetto che sia stata una faida interna all'Arma dei carabinieri, che erano ben altre. Oltretutto, se guardiamo alle date (stasera non ne sono in possesso nei particolari), proprio in quei mesi Ferrara lascia, addirittura prima di Mino, e quindi credo che non fosse più capo di stato maggiore dell'Arma dei carabinieri. Sarà mia cura accertarlo.

PANNELLA. Con grande precisione, vorrei dire subito che se io non lo avessi detto allora, dinanzi a venti persone, la sera stessa in cui vidi Mino (potrò arrivare a ricostruire se si trattava del 17 o del 22 settembre o altra data) e non appena l'episodio luttuoso si verificò non avessi gridato questo ai quattro venti, probabilmente il mio riflesso sarebbe stato quello di tacere.

GUALTIERI. Non ha mai taciuto in alcun momento della sua vita!

PANNELLA. Se lei sapesse su quanti episodi ho saputo tacere che ci riguardano, magari non noi due personalmente ma il nostro ambiente politico, sarebbe stupito! C'è un fatto. Se un deputato, uno qualsiasi, non avesse raccontato tutto questo prima dell'evento; non lo avesse gridato subito dopo l'evento; non avesse continuato a ripeterlo e a chiedere perché nessuno lo ascoltasse, né la magistratura ordinaria né quella militare né la commissione d'inchiesta, probabilmente non staremmo qui a parlarne. Ancora. Il senatore Gualtieri ha ricordato una cosa che ho ricordato anch'io. Devo aver sentito una seduta della Commissione, nella quale un generale dei carabinieri ricordava che il vice comandante generale dell'Arma e buona parte dello Stato maggiore si riunivano, dopo aver ricevuto degli ordini dal capo di Stato maggiore Mino, per neutralizzarli. Tanto è vero che io dissi: ma allora questo è un caso di insubordinazione; c'è o no un codice penale militare? Come è possibile che non gli venga contestato? Questo per dare le dimensioni di quali fossero i rapporti. Secondo: generali dei carabinieri che facevano fiducia, e a ragione, al generale Ferrara, che da vice comandante si riuniva con gli altri generali per neutralizzare gli ordini ed i comportamenti del comandante generale. Allora è indubbio che quando ho detto - e lo ripeto - che dovendo scegliere uno si era scelto proprio il vice comandante generale dell'Arma, che si riuniva con gli altri dello Stato maggiore per neutralizzare l'opera e gli ordini, golpisti o no, del generale Mino, non mi è parsa la cosa la più tranquillizzante. A quali fini? Ai fini della situazione nella quale oggi ci troviamo: degli insabbiamenti, del fatto che di troppe stragi non sappiamo nulla. E io torno a dire: come mai? Può darsi che abbiamo fatto... ma infatti il Presidente sottolinea sempre che ci sono dei periodi; lo ha ricordato anche De Luca, c'è un periodo prima del 1970, poi dopo, eccetera; per cui se non teniamo presente questo problema dei periodi e diamo una sola lettura, in chiave "americana", magari anche di Yalta, o russa o quale che sia, sbagliamo profondamente perché è una storia molto drammatica, molto complessa., molto complicata. Quindi insisto nel dire che non mi sembra che fosse di grande tranquillità che la commissione d'inchiesta venisse affidata proprio a chi - risulta anche dagli atti della tua Commissione - aveva un giudizio del generale Mino che non era quello che dei sottoposti devono avere, perché altrimenti lo denunciano e non si preoccupano invece di riunirsi costantemente per neutralizzare l'azione del capo di Stato maggiore; tutto qui.

PRESIDENTE. Va bene; penso che potremmo acquisire gli atti di queste inchieste per una completezza documentale. Volevo farle però una domanda: dopo quell'incontro, di cui ci ha parlato a lungo, con il generale Mino lei accettò la scorta?

PANNELLA. No.

PRESIDENTE. Ha mai subìto attentati?

PANNELLA. No.

PRESIDENTE. Quindi almeno una delle due paure del generale Mino di quella sera non sembrava avere basi reali.

PANNELLA. Certo. Devo anche dire però, signor Presidente, che ho sempre ritenuto che il non accettare scorta, che il dire da Radio Radicale - come ho fatto per anni: "voi, vigliacchi delle Br, sapete a che ora esco, sapete che non tollero che sotto casa mia vi sia polizia, sapete il percorso che faccio e l'ora in cui lo faccio" - sia stata una carta vincente che è stata giocata. Però abbiamo avuto delle informazioni da Franceschini e da molti altri...

FRAGALA’. Su cui si è molto discusso, su cosa fare.

PANNELLA. E si è molto discusso su questa storia, perché non era del tutto un caso al momento in cui giocavo questa carta, che era di quello che si affidava alla strada e via dicendo... Credo che avessi tatticamente più ragione io.

TASSONE. Signor Presidente, io ritengo che l'onorevole Pannella abbia vissuto da protagonista una lunga stagione politica. Io ricordo in Aula le sue battaglie, le lunghe ore di ostruzionismo del Partito radicale, di Melega, di Boato. Egli, come diceva, è stato presente ed impegnato sia nelle istituzioni sia nel Parlamento, e quindi è stato impegnato anche sulle piazze, ha avuto sempre un raccordo, una possibilità anche di riscontro di dati di verità. La verità che per alcuni versi nel nostro paese è anche un miraggio; certo, ci sono dei dati, dei fatti che vanno ad essere riscontrati, e ritengo che egli abbia avuto la possibilità anche in una stagione politica particolare del nostro paese di conoscere, di aver avuto la possibilità di contatto con alcune frange dell'estremismo del nostro paese, della nostra società, quando qualcuno forse pensava o immaginava che le battaglie del Partito radicale potessero essere riconducibili ad un estremismo distruttivo di quello che era l'ordinamento presente costituito all'interno del nostro paese. Credo che l'onorevole Pannella abbia conosciuto Negri, abbia conosciuto varie storie, per cui le sue parole vanno ad essere considerate. Io do grande considerazione alle cose che egli ci dice proprio per questa possibilità che ha avuto di conoscere, di aver avuto la possibilità di riscontri in termini reali più di ogni altro, da un osservatorio molto più autorevole rispetto ad altri, anche perché alcune battaglie hanno coinciso anche con un sostegno nella storia del nostro paese anche dei partiti di sinistra, diciamocelo con estrema chiarezza. La battaglia relativa al divorzio, la battaglia sull'aborto: ci sono state delle coincidenze, ma il Partito radicale ha fatto una battaglia di libertà, in fondo, all'interno del nostro paese anche rispetto all'affermazione di alcuni diritti; si può essere d'accordo o no, però ci sono state queste situazioni. La cosa più preoccupante a mio avviso è il perché - alcune cose che ha detto questa sera l'onorevole Pannella, che poi giustamente, come ha osservato il Presidente della Commissione, sono state già dette precedentemente in altre occasioni, in altre circostanze - chi era destinatario di queste notizie o di queste valutazioni non abbia accertato, non abbia ritenuto di fare dei riscontri. Questo credo sia un dato che dovrebbe quanto meno riguardare in questo momento la Commissione stragi.

PRESIDENTE. Sì. Per quelle che erano le interrogazioni parlamentari il destinatario era il Governo, però.

TASSONE. Il destinatario era il Governo, ma dovremmo capire perché quei governanti non hanno ritenuto di rispondere...

PANNELLA. IlGoverno poi rispose.

TASSONE. ...o perché, se hanno risposto, hanno risposto in un certo modo. Perché quando l'onorevole Pannella fa riferimento anche ad alcune sue puntualizzazioni in Aula, nel porre delle questioni gravi o richiami al regolamento o sull'ordine dei lavori, che io ricordo molto bene, che riguardavano alcuni fatti specifici, non c'è dubbio che ci sono state anche delle risposte reticenti e vogliamo capire il perché, perché le risposte non sono venute fuori. Questo credo che sia il dato che può interessare in questo momento la Commissione. Due ultime considerazioni, signor Presidente, mi permetto di fare. Onorevole Pannella, lei ha un po' prefigurato uno scenario, sul quale ovviamente noi dobbiamo anche determinare degli approfondimenti, di un Governo formale o meglio ancora di un Governo quasi virtuale nel nostro paese, e di gruppi di potere che erano praticamente uno Stato nello Stato. O meglio ancora: in quel periodo si parlava molto di "corpi separati" dello Stato (moltissimi ne parlavano) i quali corpi separati avevano una possibilità di movimento molto ampia ed un riscontro molto ampio. Vorrei chiedere a lei, onorevole Pannella: questi corpi separati avevano a che fare molto con lo scenario che lei ha prefigurato? E, facendo un passo indietro, nel momento in cui si profilava il grande sconvolgimento studentesco degli anni 1968-1969-1970 - e fu il momento in cui si forgiarono alcune culture che poi degenerarono - ha avuto qualche collegamento, qualche riscontro con il movimento studentesco di allora, con Franco Piperno, tanto per fare un nome che mi viene in mente in questo particolare momento? Tutto questo processo ha poi avuto una sua consequenzialità logica che sfociò nel non ritrovamento di Aldo Moro e poi nel suo assassinio che è consequenziale a quel non ritrovamento. Tutto questo, anche un approfondimento dell'assassinio di Aldo Moro, secondo lei, visto e considerato che ha fatto una lunga descrizione di quegli anni, a che cosa è servito? Quali risultati ha dato? E i traguardi che forse qualcuno prefigurava sono stati raggiunti o no?

PANNELLA. Io e i miei compagni, soprattutto, abbiamo vissuto il Sessantotto in un modo assolutamente negativo e ben presto ostile, con un'ostilità ricambiata. Ce n'è testimonianza anche in un bel libro di Aloisio Rendi pubblicato proprio nel marzo del 1969, in cui erano già chiare alcune interpretazioni. Ancora adesso sono convinto che il Sessantotto, in parte quello europeo, sicuramente quello italiano, è assolutamente sopravvalutato. Lo è la sua effettiva incidenza nella sua stessa generazione. Sono convinto che echi del Sessantotto sono stati molto più nei nonni dannunziani e nei padri postdannunziani che effettivamente nei coetanei. Cosa intendo dire? Il 1966, il 1967 e il 1968 sono stati gli anni di preparazione e conduzione, per esempio, della battaglia sul divorzio. Lì la si è vinta. Il 1974 è stata un'altra tappa. I processi su Mattarella padre, Danilo Dolci e Achille Battaglia, il processo De Lorenzo hanno visto una parte di quella generazione sicuramente presente non meno dei padri e dei nonni nelle battaglie di libertà, le battaglie radicali per i diritti civili. Questo fatto è totalmente cessato. Io ricordo che all'inizio ci chiedemmo se avrebbero scelto un linguaggio libertario o uno leninista, per sapere se sarebbero stati i figli dei fiori che avrebbero dato una stagione di rinnovamento, di maggiore freschezza della nostra vita nazionale, della nostra società, o se invece sarebbero stati l'ennesima ondata dannunziana o di altra natura, irrazionalista, vitalistica e profondamente antiliberale.

CORSINI. E narcisista.

PANNELLA. Sì, con una differenza.

PRESIDENTE. Posso dire un'impertinenza? Ma lei è certo che in questo suo sentimento di perplessità sul Sessantotto non ci sia il risentimento di chi si sente derubato di una parte perché in qualche modo, da quel momento in poi, la contestazione non era più la contestazione sua.

PANNELLA. Era un rischio.

PRESIDENTE. Penso invece che almeno in parte il Sessantotto fu figlio di quella stagione di battaglie dì libertà che lo avevano preceduto.

PANNELLA. Vorrei vedere! Da quegli eventi lì abbiamo tutti cominciato a produrre frutti diversi.

PRESIDENTE. Anche se sono d'accordo con lei che la evoluzione leninista di una parte del Sessantotto fu una contraddizione con le origini.

PANNELLA. Sono abbastanza sicuro di poter dare una risposta negativa a quel rischio, che effettivamente esisteva, perché quelli sono stati gli anni del più grande entusiasmo per noi. Di tanto eravamo isolati nei media, nella loro considerazione, rispetto alle manifestazioni di generazione, di tanto il 1967 è l'anno nel quale in Parlamento sento Ingrao - Dio sa quanto ostile alla nostra impostazione - dire su una pregiudiziale di costituzionalità presentata da Almirante e votata anche dalla DC: "Quando ho visto in maggioranza tutti noi, ivi compresi i liberali, e soccombere i democristiani e i fascisti (così nel linguaggio dell'epoca) ho sentito qualcosa". Nel 1968 si ha la prima vittoria alla Camera dei deputati, eppure eravamo partiti veramente da zero. Il povero Loris Fortuna lo sapeva, lui, quanto fosse isolato rispetto a De Martino, come sensibilità fra le altre cose.

TASSONE. Fortuna e Baslini.

PANNELLA. Certo. La presenza anche in quel momento di Fausto Gullo, di Terracini e di altri non va cancellata. Nella struttura del suo partito, Baslini ha potuto uscir fuori un po' di più. Ma le cose coraggiose e costose che hanno fatto! Fausto Gullo muore presidente della Lega italiana del divorzio e della Lega italiana per l'abolizione del Concordato, carica che accetta quasi provocatoriamente. Ricordo una lezione nell'aula magna della facoltà di lettere a Roma che Lucio Colletti aveva avuto assegnata dagli occupanti per parlare, non so se della quarta risposta di Marx a Feuerbach, o qualcosa del genere, mentre io ero costretto a fare un'assemblea nel corridoio, in una saletta, su Wilhelm Deich, sulle posizioni libertarie applicate ai problemi sessuali, di costume eccetera, con Gigi De Marchi che avevo invitato, come era avvenuto qualche anno prima con Calosso e con i missini che interrompevano la lezione, sparavano a tutto quel che potevano, il traditore Calosso, che anche i comunisti detestavano. Quella facoltà è stata, anno dopo anno, di grande bellezza. Noi eravamo pieni nel nostro corridoio. Nella nostra "aula" non si entrava, e quella di Lucio Colletti era vuota. E' andata sempre così fino a Valle Giulia. Si ricorda Pasolini; ma noi immediatamente eravamo schierati sulle sue stesse posizioni, ma avemmo anche una strana soddisfazione, cioè che il movimento studentesco, quando non ha più potuto occupare l'università, e a Roma è accaduto molto presto - non era la Statale - per le sue riunioni aveva la sede di Via XXIV Maggio n.7, la sede del Partito radicale, che è vero, era restato con poche persone. La nostra era la sede in cui anche Bordiga parlava, perché altrimenti non avrebbe potuto farlo in nessun altro posto, a Roma. Erano gli anni in cui Armando Borghi, non potendo essere giornalista professionista, cedeva a me la direzione di "Umanità Nova". Quindi quelli sono stati anni in cui il dolore non c'era, perché c'era Roberto Cicciomessere che a diciannove anni era segretario della Lega italiana per il divorzio; a venti segretario del Partito radicale, a ventuno nelle galere come obiettore di coscienza. E subito dopo si approvava la legge sull'obiezione di coscienza.

PRESIDENTE. Il discorso ci porterebbe molto lontano. Spesso i meccanismi del rimpianto sono insidiosi, spesso si rimpiange l'avversario di prima. Mi sembra che in qualche modo rimpianga la DC che ha sempre combattuto.

PANNELLA. No. Quello che voglio dire è che la DC, nel momento in cui si realizza l'unità nazionale, diventa strumento inadeguato. Quando ci scontriamo sulla legge Reale, quando ci scontriamo sul finanziamento pubblico, quando ci scontriamo sui grandi referendum, anche quello sull’aborto, la DC non esiste, nessun partito borghese esiste. Lo scontro è fra di noi e il grande Partito comunista che guida lo schieramento democratico.

PRESIDENTE. Sull'aborto e il divorzio non è vero. Era lento, ma quelle campagne le ho fatte anch'io.

PANNELLA. Parlo di una cosa diversa. Ci sono altri aspetti importanti e forse il senatore De Luca lì ricorderà. Chiedo scusa, ma qui non si ricorda - facciamo attenzione - che la legge sull'aborto vigente è stata approvata contro il nostro ostruzionismo e con l'astensione della DC. I sondaggi dicevano che, se fossimo andati con cinque giorni di ritardo alle votazioni con il nostro ostruzionismo avremmo vinto sulla questione della totale depenalizzazione (poi avremmo dovuto fare la legge) con il 70 per cento dei voti. Quando mi riferisco ai referendum sull'aborto, parlo di quello che sostenemmo nell'80, in cui chiedemmo semplicemente che anche la sanità privata potesse agire in un certo modo; è quello che chiediamo tutti adesso; cioè, nel 1980 noi portammo avanti quel referendum e invece si difese la legge com'era dicendo che i radicali volevano abolire la gratuità dell'aborto e la volevano consegnare alla speculazione privata. Questo avvenne nel 1980, assieme ai referendum contro i codici fascisti, contro i decreti Cossiga, contro il deterioramento del nostro diritto penale che ha prodotto quello che ha prodotto. Quindi dico semplicemente che sono stati anni per noi drammatici e difficili, ma non animati da nessun senso di solitudine, perché sono stati gli anni delle grandi vittorie: cioè, c'erano la Statale, c’era Capanna, c'erano le altre cose; e intanto noi abbiamo ottenuto nel 1970 il divorzio, nel 1972 l'obiezione di coscienza, nel 1974-1975 il voto ai diciottenni e la legge sul diritto di famiglia...

TASSONE. Nel 1974 c'è il referendum sul divorzio.

PANNELLA. Sì, il referendum sul divorzio. Ma per venire, credo, a quello che le imporla, lei chiede quindi se in questi anni di promiscuità (perché noi eravamo anche nelle strade e nelle piazze) c'è stata simbiosi od ostilità, chiede che cosa c'è stato. Ebbene, io rispondo che c'è stata una estraneità assoluta, corretta semplicemente dal fatto che ben presto siamo intervenuti nelle carceri per quelli che avevano sbagliato. Alcuni di questi nostri "nemici" vivevano nelle nostre sedi. Io sono stato direttore del primo giornale di Brandirali, cioè del Brandirali di allora, che era un ciclostilato più "falce e martello", mi pare; e da Meldolesi ai contadini, ai leninisti, agli albanesi, eccetera, tutti venivano in sede da noi (e sottolineo tutti), ivi compresi Valpreda, Mander, il "cobra", e tutti quelli che la polizia ci infiltrava, che D'Amato magari infiltrava, quelli che a via Lanzone a Milano, nella nostra sede, dovevano essere arrestati per la strage della Banca dell'Agricoltura solo in base ad una dichiarazione delle ore 23 secondo la quale coloro che avevano fatto la discesa a via Lanzone 1, sede del Partito radicale, la sera della strage della Banca dell'Agricoltura, erano coloro che avevano messo le bombe. Conducemmo un'azione molto dura con Luca Boneschi e con altri compagni. E vi ho dato quello scorcio: di noi a camminare per sei-sette chilometri a piedi, un primo agosto, con a sinistra Calabresi e a destra Pino Pinelli, espulso dal circolo della Ghisolfa il giorno prima perché aveva aderito ad una manifestazione non violenta, mentre il circolo della Ghisolfa in quel momento lo era. Però le devo dire una cosa, onorevole Tassone, a proposito della questione di Tony Negri. Io e lui ci siamo molto ben conosciuti; io l'ho conosciuto nel 1953, ma non ci siamo più salutati fino al giorno in cui io sono andato a Rebibbia e gli ho comunicato che, per ottenere che dopo quattro anni si facesse il processo del "7 Aprile", avrei proposto al mio partito di candidarlo: e all'annuncio stesso fu poi fissato il processo. Quindi le rispondo: sì, li conoscevo bene; mentre altri potranno parlarle di Franceschini ed altri, io ricordo Moretti dire, nella prigìone di Badu 'e Carros, due giorni dopo essere stato arrestato, che lui mi accettava lì ed era proprio un santo, perché senza Adelaide Aglietta e noi non avrebbero avuto il processo a Torino, non sarebbero stati condannati, perché la giuria non si formava. Sono tante le cose accadute in quegli anni. Adelaide Aglietta accetta di fare da giurato ed io sono sicuro - l'ho detto anche a loro - che non era stata sorteggiata: ma dinanzi a 74 cittadini di Torino, democratica e rossa, che per paura, dopo l'assassinio dell'avvocato Croce, non accettano di far costituire la giuria, viene fuori la segretaria del Partito Radicale, Adelaide Aglietta, che permette quel processo. E le devo dire anche che il Presidente, che condusse quel processo in modo tale che le Brigate rosse, Curcio e gli altri condannati non hanno mai contestato la democraticità e la liceità del processo stesso, quel presidente che si chiamava Barbaro, è risultato iscritto alla P2, come altri, per esempio Placco (ci sono nomi di altri magistrati iscritti in quella lista). Ho aggiunto questo per dire che noi, che sulla P2 ci siamo mossi come ci siamo mossi, abbiamo anche visto la complessità della sua lettura: una cosa era l'uno, una cosa era l'altro. Quello che ho detto è molto importante; io capisco che invece a Lecce magari non si avvertisse quello che accadeva a Roma per un motivo semplice: c'era semplicemente la Statale...

PRESIDENTE. L'onda della storia è sempre arrivata in ritardo in certe parti dell'impero.

PANNELLA. O in anticipo.

PRESIDENTE. A Lecce in ritardo.

PANNELLA. Credo che quando è arrivato lì quel barocco era un barocco d'avanguardia. Quindi la risposta è che credo che noi abbiamo avuto una ventura, che queste cose si debbano alla sorte. La collocazione, la dislocazione, le persone con le quali siamo cresciuti, gli Ernesto Rossi, magari il conte Carandini... Con queste persone ci è giunta una chiave di lettura del nostro tempo e della nostra vita della quale io credo non abbiamo nessun merito; sono state così preziose, nell'incalzare degli anni e degli eventi, come elementi di lettura, che noi non abbiamo nessun merito e, se rappresentiamo qualcosa di positivo, non c'è stato merito, solamente un grande dono: e vorrei cercare di metterlo a frutto. Lo ritrovo, d'altra parte, nel presidente Pellegrino, lo ritrovo quando - torno a dire - gli devo quell'approccio che non c'era mai stato prima: avere approcciato con rigore una delle chiavi di lettura necessarie di questa complessa vicenda è quello che non era stato mai fatto precedentemente nelle nostre Commissioni parlamentari.

PRESIDENTE. Di questo la ringrazio.

TASSONE. Signor Presidente, le chiedo scusa, avevo chiesto anche all'onorevole Pannella, visto e considerato che la Democrazia cristiana era considerata un po' marmellata, a proposito della vicenda di Moro...

PANNELLA. Ha ragione, onorevole Tassone. Sarà che tutto vorrei fare io qui tranne che rinnovare dolori o pareri offensivi rispetto a chicchessia; e devo dire che c'è stato un intervento, prima, di cui io comprendo l'assoluta sincerità, che mi addolora molto: tutto avrei voluto tranne quella lettura, quel modo di ricevere. Per questo avevo sentito il bisogno di dire che mi sarei sforzato di ripetere qui le cose che allora dicemmo, cosi da poterle poi voi giudicare sulla base dell'intelligenza di allora, e non di una ricostruzione di adesso. Guardi, su Moro io ho una convinzione, cioè che abbiamo pagato tutti il fatto che il postfascismo italiano non ha sicuramente avuto nessun culto della legge e non abbia seguito nessuna regola, il Parlamento non è esistito - per l'illusione dell'efficacia - la regola del Parlamento e della Costituzione non c'è stata, la regola della DC, lo statuto della DC non c'è stato; lei forse sa quanto io fossi amico di Franco Salvi e quanto anche in quel periodo potessi contare sulla benevolenza, diciamo così, di Zaccagnini in quei momenti, in quei giorni, in quelle settimane. Ebbene, noi che avevamo questa immensa risorsa, questa saggezza di millenni o di culture, proprio nel momento in cui il nemico era alle porte dovevamo tenere alta la bandiera e prendere ad esempio quello che diceva Churchill: stanno arrivando i tedeschi, stanno per sbarcare e noi ampliamo l'obiezione di coscienza in Gran Bretagna; diceva che la loro forza era delineata nelle loro leggi e nella loro civiltà rispetto a quei nemici, e non nell'avere mille persone in più in armi. Noi invece abbiamo ammainato tutte le nostre bandiere; le leggi d'eccezione le paghiamo tutte oggi. E poi non riconosciamo "pentiti" o "non-pentiti". Tutti sappiamo del pentimento, del ravvedimento operoso, che la legislazione garantisce e tutela, dalle criminalità organizzate e via dicendo. Ci siamo illusi dal primo momento, da via Fani, quella mattina, quando invece di rispondere alle BR che non andavamo con un Governo il cui Ministro dell'interno era responsabile di quella situazione italiana, che dunque cambiavamo Governo e che avremmo discusso per 20 giorni il caso, prima di votare; in tre ore siamo stati costretti a votare la fiducia a quel Governo, che non aveva nemmeno i Ministri per i quali il Partito Comunista aveva deciso di votarlo, perché alle tre di notte erano stati cambiati (poche ore prima dì via Fani). La mia convinzione è che da quel momento - oggettivamente? Non mi importa, ma anche soggettivamente - la stragrande maggioranza della classe dirigente, per propria moralità, ha stabilito che Moro dovesse essere assassinato e lo hanno assassinato. Ricordo che su "Il Giorno" sono stati scritti i peggiori articoli su Moro, il quale veniva definito incapace, vigliacco, drogato, un giorno dopo l'altro. Io mi mettevo a gridare che era il futuro Presidente della Repubblica, proprio perché era l'intervento da fare. E invece, con costanza e pregnanza, Zaccagnini dichiara ad uno degli storici ufficiali del nostro regime, a Zavoli, che da due giorni stava per convocare il consiglio nazionale della DC, perché aveva compreso che quello era stato l'errore enorme compiuto. Ebbene, lì chi è che ha retto? Un potere di fatto che era di fronte a partiti marmellata - tutti - e uno investito umanamente come lo era la DC. Ha retto la grande moralità dell'unico partito che esisteva, il Partito comunista, che si è assunto le sue responsabilità giacobine in una situazione che sicuramente Berlinguer non aveva compreso nel suo insieme, cioè con i problemi P2 ed altri. Si è sbagliata l'analisi storica e soprattutto abbiamo pagato - continuiamo a pagare - il fatto che non siamo indietro di 40-50 anni, ma temo più di due secoli; siamo tornati in una situazione nella quale il potere è titolare della legalità (esso stesso è legalità). Questi sono i problemi, e continueremo a dirlo. Anche sul caso Moro ritengo che occorrerebbe comprendere la ragione di quella strage (c'è anche la ragione di quella strage); sono chiarissimi - Leonardo Sciascia li aveva letti, ma non tutti - i messaggi arrivati allo Stato dall'interno delle BR, i quali dicevano che si stava per "beccare" Moro, che stava per accadere qualcosa e che dovevano impedirlo. Gli interlocutori probabilmente erano coloro che lo volevano provocare.

PRESIDENTE. Secondo lei, perché Renzo Rossellini preannuncia il rapimento di Moro da Radio Città Futura?

PANNELLA. Non solo Renzo Rossellini, ma anche due non vedenti; un non vedente che si recò ad Arezzo o a Pistoia il giorno prima, il quale diceva di aver sentito delle voci che affermavano che la mattina - era il giorno prima il rapimento - avevano fatto l'attentato a Moro, o una cosa del genere (è registrato alla questura); e un docente - mi sembra -di Scienze politiche all'Università di Roma, non vedente, che raccontava, lo stesso giorno, che in autobus aveva sentito due persone parlare di un attentato a Moro. Dall'interno coloro che avevano deciso di risparmiare alle BR - non so per quale motivo - l'errore o meno dell'assassinio dì Moro (probabilmente c'erano, da molti mesi) si sono accorti, probabilmente troppo tardi, che il loro modo dì impedirlo era invece un modo per assecondare tutto. Alla domanda di come fa Renzo Rossellini non so dare una risposta, signor Presidente; non so neanche rispondere a come abbiano fatto i due non vedenti o come facciano tutti, insomma. Poi però c'è via Gradoli, il lago della Duchessa... Noi in quei giorni, la mattina alle ore 8 in Aula, cercammo di porre il problema; guadagnammo tempo (non trattammo mai) perché questa "capperi" di polizia arrivasse. Lo dicevamo ufficialmente in Aula. Ho sempre creduto una aberrazione la trattativa, anche se devo riconoscere la grande nobiltà della frase di Sciascia, quando dice, dopo, per D'Urso: "Accettare questo ricatto comporta molto più onore che il respingerlo a spese della legalità e della vittima". Spero che la Commissione sappia spiegarci perché la legge non venne mai rispettata in quei casi, e le responsabilità.

FRAGALA’. Devo dare innanzitutto atto dell'importante contributo che l'onorevole Marco Pannella sta dando questa sera ai lavori della Commissione, per una lettura complessiva di fatti specifici, ma soprattutto per una ricostruzione di quelle che furono - non col senno del poi ma con quello del prima - le vicende e soprattutto i moventi politici di quei giorni. La prima cosa che voglio sottolineare è la seguente. Sono personalmente testimone - lo ho detto più volte - del fatto che l'onorevole Marco Pannella, per quanto riguarda la strage di Monte Covello, nella quale perirono il generale Mino e numerosi sottufficiali...

PRESIDENTE. Abbiamo già deciso che fu una strage?

FRAGALA’. Sì. ... dell'arma dei carabinieri, fin dal primo momento, cioè dal funerale a Girifalco e quindi fin dal momento in cui fu scoperto l'elicottero abbattuto a Monte Covello, parlò subito di attentato, di assassinio, e rivelò l'episodio dell'incontro con il generale Mino, che evidentemente non poteva mai essere un'invenzione e né un’esagerazione. Rispetto a questo episodio, quello che si deve lamentare (secondo me, sulla scorta di questa ricostruzione di Marco Pannella, bisogna consentire alla Commissione stragi di acquisire gli atti di quelle diverse inchieste e perizie giudiziarie, dell'Aereonautica e dell'Arma dei carabinieri) è il fatto che nessuna autorità giudiziaria e amministrativa e nessuna Commissione ritenne opportuno in quei giorni e in quelli successivi, nei quali l'opinione pubblica nazionale fu ferita da quella tragica vicenda, di interrogare formalmente Marco Pannella che, da esponente politico e da testimone di un incontro con il generale Mino, aveva riferito delle cose certamente inquietanti e importanti. Poi, il fatto che il generale Mino in quella occasione non dovesse prendere l'elicottero è affidato alle indagini della inchiesta e della magistratura, perché il generale Mino si recò in Calabria e fece venire da Roma la sua macchina (la 130 del comando generale) dal momento che il giro in quella regione lo doveva fare in automobile e non in elicottero. L'elicottero del comando generale, pilotato dal colonnello Sirimarco, fu fatto venire improvvisamente quel giorno senza che ce ne fosse motivo, anche perché la legione di Catanzaro era munita di un elicottero - anzi di due - del comandante, sul quale il generale Mino, in caso di necessità o di urgenza, avrebbe potuto benissimo prendere posto. Invece, stranamente fu fatto venire quell'elicottero; Mino ordinò che fosse piantonato nel cortile della caserma perché voleva che fosse guardato a vista. Quando si decise di usare l'elicottero per fare un percorso che in automobile avrebbe fatto impiegare appena 40 minuti (in elicottero ne occorrevano 6-7), Mino chiese che il tragitto per arrivare sulla costa fosse prima visionato e monitorato dall'elicottero del comandante della legione, che partì un quarto d'ora prima e via radio diede notizia che il percorso era assolutamente tranquillo e lineare. Inoltre l'elicottero non era andato a cozzare su Monte Covello nella parte prospiciente Catanzaro, tale da poter immaginare un improvviso banco di nebbia. Tutti sappiamo comunque che gli elicotteri vanno a vista e quando c'è un banco di nebbia, anche se in una giornata assolata, qualunque pilota elicotterista lo evita e lo supera o in altezza o su un'altra rotta.

PRESIDENTE. Era ottobre, vero?

FRAGALA’. Era il 31 ottobre. C'era una giornata di sole, tant'è vero che l'elicottero precedente passò in modo assolutamente tranquillo e comunicò via radio. Ebbene, l'elicottero è caduto nella parte di Monte Covello che guarda il mare. In altre parole, l'elicottero aveva già superato la montagna, non era andato a cozzare contro di essa come se il pilota non l'avesse vista a causa della nebbia. Il pilota aveva superato la montagna, c'era il declivio verso il mare. Stranamente l'elicottero cade sulla parte del monte prospiciente il mare. Vi è poi tutta una serie di vicende legate a quello che Pannella ha detto stasera.

PRESIDENTE. Visto che lei, anche per un doloroso episodio familiare, è così informato sulla vicenda, qual è la spiegazione ufficiale dell'incidente, quali sono le conclusioni dell'inchiesta?

FRAGALA’. La conclusione ufficiale dell'inchiesta stabilisce che si è trattato di errore umano del migliore comandante di elicotteri dell'Arma dei carabinieri.

PRESIDENTE. Che tipo di errore umano?

FRAGALA’. Si sarebbe infilato in un banco di nebbia e, una volta superato il monte, a causa della nebbia sarebbe tornato indietro andando a cozzare contro la montagna. E' una spiegazione che tutti gli esperti di aeronautica, ma soprattutto tutti gli esperti di pilotaggio di elicotteri escludono. E la escludono soprattutto tutti quelli che hanno conosciuto il colonnello Sirimarco.

PRESIDENTE. E invece la spiegazione diversa quale potrebbe essere? Un'esplosione?

FRAGALA’. La spiegazione diversa potrebbe essere o l'abbattimento dell'elicottero da terra o un'esplosione. Siamo nel 1977 e sappiamo che nel 1980 in Calabria faranno una perizia falsa e una commissione addomesticata arriverà a conclusioni incredibili sull'incidente del Mig.

PRESIDENTE. Non penso che su questo elicottero con gli altri ufficiali dei carabinieri ci sia andato il vice pretore onorario.

FRAGALA’. Il problema è che la zona dell'esplosione venne immediatamente recintata e resa assolutamente inaccessibile per chiunque e i risultati delle varie inchieste (quella giudiziaria, quella dell'aeronautica e quella dei carabinieri), che si sono chiuse in pochissimo tempo, non hanno dato una risposta tecnica alla teoria dell'incidente che fosse soddisfacente rispetto al fatto che quel percorso era stato utilizzato pochi minuti prima da un altro elicottero che non aveva trovato alcun banco di nebbia o altro. Si disse che, mentre l'elicottero del comandante della legione di Catanzaro aveva fatto rotta verso il mare, questo aveva percorso la rotta diretta, passando sulle serre. Però, poiché l'elicottero vola a vista, se ci fosse stato un banco di nebbia improvviso, la famosa nuvola di Fantozzi soltanto sul Monte Covello, l'ultimo dei piloti avrebbe virato e lo avrebbe evitato, a meno che non si voglia sostenere la teoria del suicidio collettivo o del pilota.

PRESIDENTE. Quante persone muoiono?

FRAGALA’. Muore il Comandante generale, il suo aiutante di campo, tenente colonnello Vilardo, il comandante della legione, colonnello Friscia, il secondo pilota, tenente Cerasoli, nonché due sottufficiali motoristi. Il comandante della legione prende posto su questo elicottero solo per caso e perché all'ultimo momento il comandante Mino gli chiede di andare con lui e un uomo dell'equipaggio rimane fuori.

PRESIDENTE. Non ci sono superstiti?

FRAGALA’. No. E allora il tema è proprio questo: perché non si è mai ascoltato Pannella e soprattutto perché non si è fatta mai una inchiesta seria sui dubbi che sono sorti immediatamente e che non hanno avuto mai nessuna risposta? Inoltre il fatto che Mino fosse malvisto dagli alti comandi dell'Arma lo abbiamo ascoltato da tantissimi alti ufficiali.

PRESIDENTE. Acquisiremo gli atti dell'inchiesta. Ora passiamo alla domanda.

FRAGALA’. La domanda è sul caso Moro e su via Gradoli. Abbiamo ascoltato dal senatore a vita Francesco Cossiga che, secondo lui, il partito della fermezza servì a salvare lo Stato e il Partito comunista, tanto è vero che Cossiga ci ha detto che quel 9 maggio era uscito da casa con la lettera di dimissioni.

PRESIDENTE. Per la verità Cossiga ha detto l'opposto: servì a salvare la DC.

FRAGALA’. No.

PRESIDENTE. Possiamo guardare lo stenografico dell'audizione.

FRAGALA’. Servì a salvare lo Stato e servì a salvare il Partito comunista perché un'eventuale trattativa avrebbe immediatamente aperto le cateratte della contiguità di una certa base del Partito comunista rispetto alle Brigate rosse. Se si doveva tenere fermo il recinto di una certa base ed evitare che questa tracimasse....

PRESIDENTE. Non ricordo che la deposizione di Cossiga sia stata in questo senso.

GUALTIERI. Cossiga dice: il Ministro dell'interno non poteva trattare. Se la Democrazia cristiana quella mattina avesse deciso in un certo senso io mi sarei dimesso.

FRAGALA’. Disse che aveva la lettera di dimissioni in tasca.

PRESIDENTE. E allora che c'entra il PCI?

GUALTIERI. Non lo dice. Dice che se vi fosse stato il caso di trattativa il Ministro dell'interno non avrebbe potuto fare niente.

FRAGALA’. La mia domanda è la seguente. Secondo il punto di vista di chi fu tra gli esponenti del partito della trattativa o comunque che fu favorevole all'ipotesi di salvare comunque la vita di Moro...

PANNELLA. Noi contrapponemmo la parola "dialogo" alla parola "trattativa".

FRAGALA’. Avete mai avuto l'impressione allora che chi fosse per la fermezza proclamata, cioè quella fermezza per cui alle forze dell'ordine non si dava nemmeno il tempo, anche attraverso un finto dialogo o una finta trattativa, di arrivare a scoprire la prigione di Moro, ne volesse in realtà la morte? Avete avuto fin dal primo giorno l'idea di dire che non si trattava, che Moro era pazzo o drogato, che le lettere non corrispondevano alla sua personalità e alla sua filosofia di vita? Mi chiedo se tutto questo non fosse, invece, un sistema per far sì che il partito della fermezza non servisse a liberare Moro ma servisse a farlo morire. Anche perché, e questa è la seconda domanda sullo stesso argomento, se è vero che in via Gradoli il partito trattativista all'interno delle BR tentò mille volte, noi lo abbiamo analizzato tre volte in modo provato, di far arrivare la Polizia in modo che da via Gradoli "saltasse" Moretti e con lui evidentemente il sequestro e si salvasse la vita di Moro, se tutto questo, compresa l'invenzione del professor Clò, del professor Andreatta, del professor Prodi...

PRESIDENTE. Andreatta non c'era.

PANNELLA. Non c'era ma poi subentrò, successivamente.

FRAGALA’. Se tutto questo alla fine non fece sì che vi fosse uno schieramento trasversale all'interno delle istituzioni o dei partiti, Democrazia cristiana, Partito comunista, eccetera e dall'altra parte all'interno delle Brigate Rosse per far sì che fallisse non soltanto qualsiasi possibilità di trattativa per liberare Moro ma soprattutto che nessuno arrivasse a liberarlo come poi si fece con Dozier attraverso un'azione dì Polizia. In proposito, vorrei conoscere la valutazione dell'onorevole Pannella.

PANNELLA. La valutazione che facemmo allora era che sicuramente ci trovavamo in presenza di una cultura dominante nel ceto dirigente italiano. Quindi, buona fede, ma una cultura molto diversa dalla nostra, e che si illudeva: la libertà e il diritto come fine e non la libertà, il diritto e la responsabilità come mezzo. E giocava la nozione dell'emergenza, del "quando" si entra in emergenza e le regole devono essere mutate. Questo appartiene sicuramente alla storia giacobina e comunque era abbastanza all'interno anche della storia comunista e a quella democratico-cristiana e ad una certa storia socialista: era sicuramente avvertibile come convinzione dominante.

PRESIDENTE. Però anche ad una cultura laica, perché la posizione di La Malfa, ad esempio, fu nettissima sulla questione.

PANNELLA. Stavo per dirlo; ho detto giacobina, altro che laica. La posizione di Ugo La Malfa - e non importa se vi fosse affetto, fino alla fine - drammatico, grande e profondo - sulla battaglia sul divorzio è sempre stata di vedere se si riusciva a fare la legge solo per i matrimoni...

PRESIDENTE. Però per Moro propose la pena di morte e disse che da quel momento in poi se lo avessero rapito le Brigate rosse le sue lettere dovevano essere disconosciute.

PANNELLA. E’ quello che sto dicendo, Presidente. La cultura di La Malfa era giacobina. Lui chiese la pena di morte; aveva esattamente l'essenziale della cultura giacobina: quando la Repubblica è in pericolo non ci sono regole, c'è da affermare la sovranità e la legittimità della sovranità dello Stato, punto e basta. Eravamo "vicini di banco" quando lui fece il suo intervento in Aula dicendo che occorreva rispondere alla morte con la morte, perché lo Stato aveva il dovere di farlo.

PRESIDENTE. Era una cultura di cui tutto quanto un popolo era figlio; avevamo sulla tessera il simbolo giacobino.

PANNELLA. Non è un caso se nel 1969 mi assumo la responsabilità di cambiare quel simbolo: abbiamo avuto la Repubblica giacobina e napoletana con quello che ha significato, ma abbiamo il giacobinismo come cultura che ci ha attraversato. Ma lei, Presidente dicendo questo conferma che non si può parlare di cultura della tolleranza. C'era una concezione etica del partito e dello Stato. Quando Ugo La Malfa chiedeva perché si stava "rompendo l'anima" a Dodo Battaglia che era il tesoriere, quando i soldi li aveva presi lui, io risposi: "Ma come puoi pretendere che Saragat sia considerato "straccione", mentre tu sei un eroe quando prendi i soldi?". Lui lo credeva. e si sacrificava per questo. Riccardo Lombardi non aveva una cultura diversa. In realtà, la cultura laica e liberale, nello stesso tempo intransigente e mite, era quella di Paggi, per restare al Partito di azione. Quindi io sentivo la grande sincerità di gran parte del Parlamento, quando parlava della pena di morte - e io ho ricordato un episodio al momento della ricezione della prima lettera perché ricordo dove eravamo e quanti eravamo - oppure, come Antonello Trombadori, affermava che Moro era meglio non uscisse più vivo perché centinaia di migliaia di contadini analfabeti avevano retto le torture naziste mentre lui, che si trova in queste condizioni per la prima volta... Inoltre, più si andava avanti e più si temeva quello che Moro poteva dire o non dire. Questa è stata la tesi prevalente: nelle condizioni di prigionia in cui si trova, Moro non è più padrone di se stesso. Si trattava di un legittimo terrore su che cosa potesse fare o dire, direi anzi un terrore doveroso: se la regola non deve essere rispettata, se è possibile escludere il Parlamento, se è possibile escludere il rispetto dello statuto della Democrazia cristiana e se anche non è possibile avere umiltà dinanzi a dei colleghi che chiedono il rispetto dei Regolamenti, e ci voleva molta buona fede.

PRESIDENTE. Lei ritiene che questa cultura abbia poi potuto influenzare più o meno consciamente la debolezza della risposta degli apparati di sicurezza?

PANNELLA. Vorrei che si prendesse atto che ciò che ci ha consentito di continuare a vivere in mezzo a questi colleghi è proprio questo: c'era rispetto. C'erano accuse gravissime da parte nostra, ma non si trattava di insulti; non si trattava per noi di questione di una diversa dignità. Questa è la differenza tra gli insulti e le precise accuse che facevamo. Lì si è inserito quello che lei ha già detto magistralmente: cosa potevano rappresentare le "cellule di crisi" che si riunivano nel vuoto di certezza del diritto? Il Parlamento non era più tale, il Governo non era più tale, la direzione del partito non era più tale; c'erano delle "cellule di crisi" che erano determinate dalla forte moralità, dal prestigio e dal carisma di Enrico Berlinguer, tormentato - ed in questo è fortissimo -, con attorno però anche i caratteri di Pajetta, di Pecchioli e degli altri. A fianco c'era poi il tormento di Zaccagnini e la singolarità di Cossiga, nonché il ruolo di Andreotti, che io non sono riuscito mai a comprendere, nel senso che per me è una zona buia. Non c'erano solo le "cellule di crisi" non solo questo D'Amato di cui parliamo noi che non sappiamo nulla del potere; c'è il fatto che i Capi di stato maggiore e dei Servizi sono tutti della P2 e Berlinguer ad un certo punto dice che loro non davano indicazioni ma ascoltavano, ed eventualmente facevano obiezioni. Le obiezioni le fecero solo nei confronti di Malizia, perché aveva fatto delle cose con i tedeschi, non so cosa. Abbiamo poi le cene - che sono un fatto importante perché evidenziano una certa solidarietà umana - di Pecchioli con i tre capi di stato maggiore ed i tre capi dei Servizi, e la giusta e comprensibile fiducia nei confronti di quest'uomo, partigiano e persona seria, da parte di questi militari, alcuni in malafede, altri in ottima fede, che però non capiscono nulla, non sanno nulla, non sanno dov'è il referente politico perché non c'è più; non è il Presidente della Repubblica o altri. Questo è il disastro. In tutto ciò si sono affermati anche dei meccanismi para-ufficiali. Il Ministro dell'interno, il Governo e la maggioranza fanno passare quella piccola riforma per la quale il Ministero dell'interno, cioè D'Amato, poteva chiedere notizie, in violazione del segreto istruttorio, su tutto ciò che si stava facendo da parte dei magistrati nelle indagini per terrorismo, lì dove quindi c'era il timore di inquinamenti, della P2 eccetera. Noi che eravamo gli ultimi arrivati non "reggiamo", lasciamo, perché non è possibile... Diciamo: se avete un funzionario infedele o uno "americano" o altro, a questo punto non ci sarà una sola inchiesta. Due giorni dopo che il decreto era stato presentato, il nostro ostruzionismo era inutile perché di già erano partite le richieste. Il fatto che si dovesse praticamente sospendere in un altro periodo, in un momento difficile, il diritto di manifestare in tutta Italia con quello che comporta...

PRESIDENTE. Ritorniamo alla domanda.

PANNELLA. La risposta è che nel vuoto del rispetto della legalità e della sospensione della legalità dello Stato, assolutamente illegale, illegittima e fuori legge, è chiaro che i poteri reali e le incapacità reali si affermano. E’ quello che è accaduto per via Gradoli e per tante altre occasioni; perché ci sono anche i funzionari della polizia di Roma che appartengono alla P2.

PRESIDENTE. In una recente trasmissione radiofonica lei ha detto che anche l'individuazione del Lago della Duchessa poteva essere un segnale d'allarme per le Br, perché c'era il sospetto che in quella zona avessero un ripetitore radiofonico; come l'irruzione a via Gradoli poteva essere una forma di segnale.

PANNELLA. Le dirò di più. Sul Lago della Duchessa all'inizio caddi anch'io, perché erano giorni, giorni e giorni che stavamo chiedendo di affidare eventualmente a nuovi responsabili il proseguimento delle ricerche. Non si capisce come mai si va a finire sul Lago della Duchessa; si è parlato di una seduta spiritica.

PRESIDENTE. Cori ogni probabilità si sa chi ha fatto il falso comunicato sul Lago della Duchessa: un falsario vicino alla banda della Magliana e vicino ai Servizi.

PANNELLA. Qui veniamo ai vuoti. Ricordo di aver dovuto bisticciare con Franco De Cataldo (con il quale c'era quasi un rapporto tra fratello minore e fratello maggiore) perché quando c'era stata la storia della banda dei marsigliesi, proprio all'inizio di tutte queste vicende, egli mi aveva detto che un generale di pubblica sicurezza gli aveva chiesto di fare l'avvocato di quello scemo di suo figlio, con la paura che lo stessero raggirando. Dissi: non è cosa... Dopo un anno seppi che alla fine l'avvocato De Cataldo, che era un ottimo avvocato, aveva accettato l'incarico. Si parlava costantemente o della banda della Magliana o delle vicende attorno a Pecorelli, il quale tre giorni dopo il suo assassinio avrebbe dovuto incontrare Gelli. Anche qui non vorrei avere quella brutta cosa che è il rispetto umano nel senso teologico della parola, che è una orribile cosa. Quindi parlo: è possibile che tutti i libri di Piazzesi, gli atti certi, di Stato, ci dicono che ancora nel 1972 abbiamo un compagno Carobbi di Pistoia sicuramente antifascista, partigiano, che scrive una lettera che dice che Gelli va bene? L'aveva fatto nel 1952 e poi nel 1957, ma lo scrive ancora nel 1972. Ci sono pure queste cose che hanno un po' giocato. Sono convinto che a Roma, a Botteghe oscure, vi era magari qualcuno che non ha saputo perché c'era qualcosa che bloccava, a livello di base o a livello marginale. Anche questa lettura del doppio gioco di Gelli - i rumeni o non i rumeni, magari solo il commercio delle carni - viene del tutto scartata. Devo dire, Presidente, che la specifica lettura "americana" della P2 personalmente non mi trova d'accordo. Mi meraviglierebbe che non ci fossero anche gli americani; c'era tutto: i rumeni, gli americani, gli argentini e in parte è vero che si trattava di un insieme di affari e di malaffari. Ma dove viene fuori un elemento di gestione politica della cosa, a mio avviso è con il caso Moro (per quello che non sappiamo bene, appunto, dei vari centri di gestione) e con i casi D'Urso e Cirillo.

PRESIDENTE. Lei, sempre in quella trasmissione radiofonica, ha citato un episodio a proposito del golpe Borghese.

PANNELLA. Avevo un rapporto di grande amicizia con Pino Romualdi, che tra l'altro nacque nel momento in cui lui mantenne la sua posizione favorevole al divorzio mentre l'onorevole Almirante, che anche lui era stato favorevole, avendo assunto la segreteria del partito aveva preso un'altra posizione per i motivi che tutti conosciamo. Mi ricordo di averlo visto da Giolitti, di aver parlato con lui perché era contrario alla pena di morte. Egli era parlamentare europeo, abbiamo continuato a vederci. Bene o male ha condiviso le altre battaglie che continuavamo a fare sulla pena di morte, anche quelle sulla legge Reale e altre, sulle quali si era pronunciato molto nettamente. Una sera, eravamo a Bruxelles, mi racconta un po' di cose, tra cui anche che Borghese aveva pure lui un mucchio di simpatia per me, per il mio linguaggio. Gli rispondo di non aver mai visto Borghese e gli chiedo del golpe. Lui sta zitto. Dopo tre o quattro giorni ci rivediamo e dice che mi doveva raccontare una cosa, così avrei capito com'era la vita da loro. Dice di averlo continuato a vedere, e che Borghese gli aveva chiesto: tu sei pronto?

PRESIDENTE. Gli preannuncia un'azione imminente.

PANNELLA. Imminente no, ma gli preannuncia qualcosa di molto importante, sul quale probabilmente occorre dismettere le prudenze e i calcoli politici normali. Immagino si tratti di questo. Romualdi gli chiede di poter riflettere, dicendo che dovevano parlarne, se si trattava di una cosa del genere, magari alla presenza della moglie. Nel frattempo Romualdi aveva maturato una convinzione e chiese a Borghese se gli poteva assicurare che era lui che guidava e comandava le decisioni: se era così ci sarebbe stato, altrimenti no. Chiese: puoi assicurarmelo? Borghese non glielo assicura e quindi Romualdi esce dalla cosa.

PRESIDENTE. Va bene. Ora è il turno dell'onorevole Corsini.

FRAGALA’. Signor Presidente, non ho fatto ancora nemmeno una domanda. Se volete, possiamo aggiornare i nostri lavori, perché il senatore deve fare diverse domande, io devo fare diverse domande; è un'occasione importante.

CORSINI. Signor Presidente, vorrei trarre spunto da questa conversazione per ribadire un suggerimento che mi sono permesso di avanzare, e cioè che i commissari che si prenotano per formulare interrogativi e domande alle personalità che vengono audite abbiano a disposizione un tempo, che può essere fissato in un quarto d'ora, in venti minuti, per poi eventualmente, finito il giro, ricominciare. Altrimenti capita, al di là della cortesia dell'onorevole Fragalà che tante volte ha interrotto la sua attività di interrogante per lasciare il posto a me o viceversa, che non vi sia un'equa distribuzione dei tempi. Credo che sia un problema che dobbiamo in qualche misura affrontare e risolvere.

PRESIDENTE. Penso che lei abbia ragione; decidiamo però che cosa vogliamo fare. Vogliamo interrompere, vogliamo proseguire? Sono a vostra disposizione.

CORSINI. Se l'onorevole Pannella fosse disponibile a partecipare ad una tranche diun'altra seduta, credo che gliene saremmo grati.

PANNELLA. Sono disponibile per tutto il tempo che vorrete sentirmi.

PRESIDENTE. Ringraziamo pertanto l'onorevole Pannella. Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle ore 00,15 del 29 gennaio 1998.

 

 

 

 

 

 

Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi

32ª SEDUTA
MERCOLEDI 18 FEBBRAIO 1998
Presidenza del Presidente PELLEGRINO
indi del vice Presidente MANCA

Indice degli interventi

PRESIDENTE

PANNELLA

CORSINI (Sin.Dem.-l'Ulivo), deputato

MANCA (Forza Italia), senatore

MANTICA (AN), senatore

PACE (AN), deputato

PALOMBO (AN), senatore

La seduta ha inizio alle ore 20,20.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito il senatore Palombo a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

PALOMBO, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

 

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.

 

INCHIESTA SU STRAGI E DEPISTAGGI - SEGUITO DELL’AUDIZIONE, DELL'ONOREVOLE MARCO PANNELLA

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione dell'onorevole Marco Pannella. Ringrazio l'onorevole Pannella per la sua rinnovata disponibilità.

MANTICA. Signor Presidente, vorrei soltanto far sapere alla Presidenza di codesta Commissione e ai colleghi presenti che, a mio giudizio, è avvenuto in questi giorni un fatto certamente non "simpatico". Due giornalisti, tali Pasqualetto del "Giornale Nuovo" e Pietrangelo Buttafuoco de "Il Foglio" sono stati chiamati da uno dei pubblici ministeri che affianca il giudice Salvini nell'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana, esattamente dal dottor Meroni (collega della dottoressa Pradella): uno è stato invitato a non interessarsi più della strage di Piazza Fontana e del processo Salvini - cosa che ha pubblicato sul Giornale Nuovo -, e all'altro è stato chiesto come si fosse permesso di scrivere articoli in cui ha dichiarato l'innocenza di Carlo Maria Maggi (anche questo articolo pubblicato su Il Foglio con il commento del direttore Giuliano Ferrara). Non chiedo commenti alla Commissione, perché volevo soltanto informarla del clima nel quale si opera in questo momento.

PRESIDENTE. Senatore Mantica, accetto il suo invito a non fare commenti soltanto per ora; tuttavia le pregherei di dare rimedio ad una mia colpevole disinformazione facendomi avere questi articoli e la documentazione. Se le cose stessero come lei ha detto, non mi esimerei dal fare commenti.

MANCA. Signor Presidente, vorrei chiedere preliminarmente se preferisce che io esponga tutte le domande che intendo rivolgere all'onorevole Pannella oppure che le faccia una alla volta: lascio a lei la scelta. Per me potrei rivolgerle tutte insieme perché credo che l'onorevole Pannella conosca bene gli argomenti in esame, tanto che non vi è il timore che non possa più ricordare il tema della prima domanda.

PRESIDENTE. Dato il tipo di audizione, va bene anche così; fosse un'audizione di tipo diverso, sarebbe preferibile rivolgere all'onorevole Pannella una domanda per volta.

MANCA. Con il permesso del presidente Pellegrino, con la mia prima domanda vorrei reintrodurre l'argomento P2 e, in particolare, vorrei conoscere il pensiero dell'onorevole Pannella sul rapporto che sembra sia esistito tra il Banco Ambrosiano del piduista Calvi e il Partito comunista italiano. E' inutile aggiungere altri particolari sui finanziamenti nel 1978 di Calvi al Paese Sera e così via...

CORSINI. Tutte storie segrete! Tutte cose nuove!

MANCA. Se mi fossi riferito ai rapporti tra Calvi e il Movimento sociale, saremmo tutti entusiasti della domanda! E’ noto quello che ha scritto Gualtieri o Pellegrino, ma dobbiamo ascoltare comunque il parere. Altrimenti il passato è tutto conosciuto!

PRESIDENTE. Né io né Gualtieri abbiamo mai scritto nulla in relazione ai finanziamenti del Banco Ambrosiano al Movimento sociale italiano: non fa parte dei contenuti delle proposte di relazione, né delle relazioni approvate.

MANCA. Onorevole Pannella, nel resoconto della sua precedente audizione - cui purtroppo non ho potuto partecipare perché stavo poco bene - ho letto che lei ha parlato, a proposito della chiave di lettura della strategia della tensione, di un confine dell'ordine di Yalta presente in Italia e ha parlato anche di un partito di Yalta e di un partito partitocratico. Ci vuole spiegare meglio cosa ha inteso dire con queste espressioni? In secondo luogo, la bozza di relazione Pellegrino accoglie la lettura della P2 essenzialmente come luogo di oltranzismo atlantico. Lei condivide questa lettura oppure la considera del tutto riduttiva? A questo proposito, per altro, basta pensare alla "poliedricità" dei personaggi che ne facevano parte. In terzo luogo, a suo parere cosa ha rappresentato in Italia il potere dell'ENI? E’ possibile, in particolare, leggere la vicenda Mattei esclusivamente come la guerra del Davide italiano contro il Golia delle sette sorelle? Ci può dire, inoltre, come legge il ruolo dell'ENI nella nascita del PSIUP e del progetto politico cui si diede vita con esso? Cosa pensa, infine, del grande accentramento di potere nelle mani di Cefis, presidente dell'ENI e poi della Montedison?

Ultima domanda: nel corso della precedente audizione lei ha illustrato e ha delineato uno scenario che sarebbe stato conseguente alla conclusione del rapimento del magistrato D'Urso; ha parlato di P2, di Pci, di P-Scalfari, di P38, di "governo dei capaci e degli onesti", collegando la scoperta di Castiglion Fibocchi alla liberazione di D'Urso. Ritiene verosimile che l'effetto di Tangentopoli sia stato quello che lei presupponeva essere quello della P2-Pci e cioè quello di ripulire il regime non per abbatterlo, ma per farlo rivivere? In altre parole, lei ritiene corretta la seguente equazione: CAF (è inutile che spieghi cosa sia), come alternativa all'assetto del dopo D'Urso, e attuale regime, come alternativa a Tangentopoli con Craxi però, ad Hammamet?

PRESIDENTE. Se il presidente Manca consente, poiché sono stato chiamato in ballo, vorrei ricordare a tutti come ho formulato il quesito sulla P2 e l'oltranzismo atlantico nel sottoporlo ai nostri consulenti, di cui tutti ricordiamo le modalità di nomina: ho detto che era "anche" un luogo di oltranzismo atlantico. Sempre ai fini di un'informazione complessiva, vorrei rendere noto alla Commissione che recentemente sono stato sentito come testimone in un processo per diffamazione a mezzo stampa che aveva come parte lesa il conte Sogno. Ho chiesto, tramite gli uffici della Commissione, l'acquisizione degli atti di quel dibattimento perché vi sono dichiarazioni di Sogno che sembrano molto interessanti. Parlando come testimone sotto giuramento, alla precisa domanda se ritenevo che l'oltranzismo atlantico stesse dietro le stragi, la mia risposta - cito a memoria - è stata di questo tipo: "Ritengo di sì, ma ritengo anche che dall'oltranzismo atlantico vennero gli inputs che impedirono che il disegno strategico cui le stragi erano funzionali si realizzasse". Quindi, per un'informazione più completa, questa è l'idea, anche arricchendo e in parte modificando il concetto espresso nella proposta di relazione, che mi sono fatto, alla stregua peraltro dell'attività d'inchiesta che abbiamo condotto nell'attuale legislatura. Do ora la parola all'onorevole Pannella.

PANNELLA. Rispondo alla prima domanda relativa alla questione P2-Banco Ambrosiano-Pci. Ho sentito che, mentre formulava la domanda, al senatore Manca è stato fatto osservare con un commento ironico che si tratta di cosa del tutto ignota, di cosa nuova. Vorrei semplicemente dire che questa vicenda è stata evocata moltissime volte, raramente trattata e soprattutto è sempre restata una citazione avulsa da analisi politiche complessive; non si è cioè contestata la verità abbastanza complessa e grave dei fatti (IOR e tutto un sistema). Quando un problema di questa natura, inerente a rapporti tra politica e affari, è emerso nella politica italiana, vi sono stati, direi comprensibilmente, comizi, riunioni, congressi, linciaggi di uomini politici e di forze politiche. A quanto mi risulta, tranne problemi pubblicistici, nel caso in questione ciò non è stato fatto in sede di grandi dibattiti politici e di valutazioni politiche. Ritengo che vi sia una ragione politica, la stessa per la quale per un'intera legislatura - è questo un fatto pacifico - non sono stati attivati strumenti parlamentari di interrogazione all'Esecutivo sulla realtà P2; mentre quattro deputati radicali, entrati per caso nel 1976, fra i loro primi atti parlamentari interpellarono il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'interno (lo fecero subito, quasi come un manifesto d'ingresso in Parlamento) intorno alla natura dei rapporti tra l'allora presidente del Consiglio Andreotti e "tal Gelli", capo di una loggia che ricordo nell'occasione di aver definito pseudomassonica con risvolti golpisti eccetera. Anche su questo si è discusso poco. Era un fatto che era accaduto, cioè che una forza marginale come la nostra si occupasse della questione. Mi è stato ricordato nei mesi scorsi un mio comizio tenuto in piazza del Parlamento esplicitamente contro un signore che si chiamava D'Amato e che menzionavo. Ho sottolineato la stranezza, l'inaccettabilità del fatto che dinanzi alla Commissione allora competente, quando tutti i segretari dei vari partiti - quindi anch'io - furono interrogati, il segretario del Partito comunista dichiarò di non aver avuto sostanzialmente contezza dell'esistenza e dell'importanza della P2 (peraltro coerentemente con il fatto che non era mai stata presentata un'interrogazione sulla materia da parte del Pci, quando invece della P2 discutevamo, lottavamo e cercavamo d'interpellare da anni) se non praticamente in occasione della scoperta di Castiglion Fibocchi, che aveva qualcosa a che vedere con il salvataggio di D'Urso e il disegno non realizzato del "governo dei capaci e degli onesti"; Castiglion Fibocchi è poi l'anello più debole, quello piduista in senso stretto, di quella coalizione. Avvenne invece che agli onori del potere si trovarono ad essere lasciate finalmente le indagini della magistratura, com'era giusto, oltre che l'indagine politica. Non so altro in più rispetto a quanto è già negli archivi di questa Commissione o di quanto da giornali e giornalisti è stato acclarato, come sottolineava il deputato Corsini. Diciamo che si conosce tutto e non si sa nulla, nel senso che tutte queste cose restano avulse e ognuno resta per conto suo. Ricordo che vi fu un'iniziativa di Roberto Calvi che venne a Roma e chiese di incontrare tutti gli esponenti politici di tutti gli ambienti; ed erano tanti. Normalmente, in una storia italiana, quando si dice tutti si vuol dire quasi tutti, tranne i radicali. In quel caso erano veramente tutti, perché chiese di incontrare anche me. Pregai allora il senatore Spadaccia di incaricare due esponenti del nostro partito di andare a vedere che cosa voleva e volutamente non andai. Comunque c'era questo giro di incontri.

PRESIDENTE. Vorrei capire bene la domanda...

PANNELLA. Non la risposta?

PRESIDENTE. La domanda e la risposta. Quello che si sa è che il Banco Ambrosiano aveva finanziato "Paese Sera". Vedere un legame tra tutti i finanziamenti del Banco Ambrosiano e la P2 forse è eccessivo, anche se non ho dubbi che Calvi, nel finanziare "Paese Sera", volesse anche acquisire una benevolenza dall'area politica cui quel quotidiano era riferibile. Resta però un fatto accertato che non vi sono iscritti al Pci, e nemmeno al Partito radicale, che fossero anche iscritti alla P2. Resta accertato che quando Calvi cadde sotto il rigore dell'iniziativa giudiziaria forze politiche precise ne assunsero la difesa. Resta accertato che conti bancari successivamente scoperti, come il conto "Protezione", non erano riferibili a uomini del Pci. Ciò per ricondurre la vicenda nei suoi esatti confini, anche se chi conosceva Calvi non ha dubbi che tendeva ad avere buoni rapporti con tutte le forze politiche; non forze come il Partito radicale, non forze politiche minori, però non mi risulta nemmeno che il sistema delle cooperative rosse o tutte le imprese che avevano sicuramente un riferimento o erano addirittura sotto il controllo del Partito comunista abbiano mai firmato lettere di patronage come quelle che firmò lo IOR, cosa che pure avrebbero potuto fare data la loro consistenza patrimoniale.

MANCA. E i contatti che Calvi aveva con Minucci, il responsabile dei rapporti con la stampa e della propaganda del Partito comunista? C'è ampia documentazione al riguardo.

PRESIDENTE. Aveva rapporti con tutte le forze politiche. Non voglio esprimere un giudizio, voglio ricondurre il discorso nei suoi giusti confini.

PANNELLA. Devo ringraziarla per le sue capacità maieutiche, che sono note, ma in questo caso sono enormi. Solo questa cosa, la cito così, alla rinfusa, perché anche i modi importano Ricordo che fui un pochino sconvolto dalla bellezza "estetica" della cosa, all'idea che quello che era poi il sacrario del comunismo italiano, Botteghe oscure, fosse stato dato (attraverso una forma o un'altra di sostegno alla proprietà) in quel momento come garanzia per 27 o 28 miliardi, non so se per "Paese sera" o per altre cose. Torno a dire che c'è una bellezza estetica nelle cose. Diciamo quindi che sono sospetto di essere un esteta, però in quel momento tutti erano prudenti e tutti, Presidente, sapevano cosa fosse la P2. Fra gli antifascisti o, in modo più legittimo, i liberali autentici con senso dello Stato invece...

PRESIDENTE. Sì, però la P2 non era l'Ambrosiano. Io all'epoca ero fuori dalla politica, facevo parte di un consiglio di amministrazione di una banca e ricordo che a un certo punto discutevamo col direttore: "ma qui, da questa impasse, ne dobbiamo uscire", c'era un certo problema e il direttore - che era una bravissima persona, il senatore Manca lo conosce, il dottor Carmelo Montinari - disse: "ma, per uscire da una vicenda di questo genere ci vorrebbe il miglior banchiere d'Italia, Roberto Calvi". Aggiungo che qualche anno dopo assistevo come avvocato una ereditiera della nostra zona, proprietaria di una banca; questa banca aveva dei problemi e questa signora, che viveva a Roma, ogni tanto diceva: "guarda, io tramite una persona conosco Roberto Calvi, gli vado a chiedere consiglio" e io che ero un avvocato dicevo: "fai bene, mi hanno detto che Roberto Calvi è il miglior banchiere d'Italia". Questo non fa parte della storia, fa parte della cronaca del mio vissuto.

PANNELLA. Continua le funzioni maieutiche per le quali la ringrazio. D'accordo, Calvi era uno dei migliori banchieri.

PRESIDENTE. No, passava per uno dei migliori banchieri. Poi si è scoperto che faceva la più antica delle truffe: era diventato proprietario della sua banca con i soldi dei depositanti. Perché in fondo tutto l'imbroglio dello IOR, delle lettere di patronage, era banale.

PANNELLA. Bene, Presidente. Qui affiora poi oltre che il maieuta anche l'avvocato, giganteggia subito. In quel periodo, Presidente, abbiamo avuto una serie di vicende. Quando si dice: "i contatti, Minucci e altri", benissimo, lei dice: "con tutte le forze politiche"; però era un periodo nel quale noi eravamo gli unici a contestare, a non essere soddisfatti del grado di "diversità" che il leader comunista affermava essere una caratteristica del partito comunista. Era diverso, ma qui era estremamente simile. Ci fu una vicenda di un anno e mezzo, che credo potreste utilmente andare a scavare per comprendere, in relazione anche alle stragi di Stato: si chiamava emendamento "ammazzadebiti" e significava il salvataggio di aziende che dovevano essere salvate dopo essere state acquistate dall'ambiente P2. E’ una torbida vicenda attorno al Corriere della Sera, Tassan Din con Di Bella ed altri. Diciamo che negli anni immediatamente successivi, Di Bella, certo uomo di tradizioni tutt'altro che di Sinistra, era letteralmente di casa in via delle Botteghe oscure; Tassan Din era indicato e linciato come personaggio che aveva scalato, tolto di fatto ad Angelo Rizzoli la gestione della più grossa realtà editoriale - e quindi anche un po’ politica - italiana. In questa vicenda di salvataggio delle aziende del settore imprenditoriale con delle leggi incredibili noi fummo assolutamente soli ad opporci, ma avendo un coacervo di forze, che erano il consiglio di redazione, il comitato di redazione del "Corriere della Sera, che più o meno è quello anche di adesso. Vi sono molte continuità: ecco perché, quando lei ha accennato nei mesi precedenti che forse potremmo consegnare alla storia, come fa un paese civile come l'America, fatti gravi io mi permisi subito di dirle che temo che, al contrario che in America, in Italia tutto questo non è presente solo nella memoria ma negli attori, nelle continuità, nelle responsabilità penali possibili e in molte altre cose a livelli molto alti della politica, diciamo, di unità nazionale. Quindi, se lei mette in relazione il fatto che nessuno strumento di interrogazione parlamentare fosse stato presentato da parte di circa 450 parlamentari di Sinistra tra Camera e Senato (con una forza politica che aveva una grande tradizione di opposizione radicale, paiettiana anche, eccetera) con quello che in quegli anni - poi abbiamo saputo acclarato - erano i rapporti fra tutti i capi di Stato maggiore e i capi dei Servizi... Per esempio, a Trastevere una cena con la quale si dava atto al senatore Pecchioli… con i tre capi dei maggiori Servizi e due comandanti generali di armi... per carità, una cena privata del tutto legittima, in un determinato ristorante, con menù poi controfirmato, che dimostrava una dimestichezza che... per carità, non possiamo incolpare nessuno, ma la dimestichezza non era né tra giocatori di golf, né tra giocatori di scopone; probabilmente qualcosa d'altro c'era, era salvare la patria, salvare l'assetto. Io ho sempre detto che nella P2 probabilmente la quota di imbecilli del mio stampo era alta, cioè di gente che stesse lì magari pensando davvero che salvava la patria: imbecilli, probabilmente. C'era addirittura una quota di questo tipo, non ho mai voluto criminalizzare una posizione. Certo, però, era indubbio il carattere criminale rispetto a chi avesse senso dello Stato di questo uomo, di questa organizzazione, dell'uso che ne veniva fatto o potenziato, rispetto ai valori costituzionali del nostro Paese, rispetto alle limpidità democratiche. Non vorrei annoiarvi e quindi mi limito a questo.

Sono i dati che parlano di un atteggiamento pienamente "politico" di valutazione dell'opportunità - e l'opportunità fa parte della moralità politica - di non rompere, di non lottare contro la P2 da parte del PCI e di non essere diverso rispetto a tanti altri che si erano sbagliati nel sottovalutare la gravità - magari Andreotti - della P2. In questo caso la diversità è difficilmente evocabile a favore della politica del PCI: non parlo di persone come Minucci, Pecchioli, gli altri, ma del segretario che, ripeto, uomo di quella statura, civile, politica, culturale, attenta all'idea di professionalità, deve dichiarare che lui della P2 non sapeva nulla tranne dopo Castiglion Fibocchi, quando - lo ripeto - Tassan Din, "Corriere della Sera"... lì ci sono state occasioni nelle quali l'appoggio del "Corriere della Sera" all'unità nazionale è venuto proprio nel momento nel quale poi quel quotidiano era il massimo, come dire, del piduismo. Sugli emendamenti ammazzadebiti ci fu uno scontro terrorizzante e li si marciò. Allora - non voglio estendere ad altri esempi - un'operazione finanziaria, normale o non normale, ma comunque consueta, è quella; poi ci fu anche quell'altra, poi, per carità, perché non si dà per garanzie Botteghe Oscure per ottenere del denaro certo. Come mai però tutto questo non ha avuto valenza politica, non ha avuto dignità di considerazione politica? Perché quello che è concretamente accaduto nel Parlamento italiano viene sottovalutato? Una distrazione può essere quella di un segretario o di una direzione di partito, ma una distrazione di quattrocento parlamentari non esiste. Se la distrazione è opera di quattrocento parlamentari, non è più una distrazione, è un indirizzo, una linea.

PRESIDENTE. Visto l'andamento ideologico che ha assunto la discussione, non voglio fare la difesa d'ufficio del PCI, non mi interessa e commetterei un errore istituzionale se lo facessi...

PANNELLA. Io non vorrei fare l'accusatore.

PRESIDENTE. Appunto. E’ il metro di valutazione che mi lascia perplesso perché, personalmente, non ritengo affatto di poter addebitare a Craxi e alla dirigenza del PSI connivenze con gli aspetti antidemocratici, o con l'oltranzismo atlantico, che indubbiamente era annidato nella P2, anche se la P2 non era soltanto oltranzismo atlantico. Ma se dovessimo usare questo metro di giudizio dovremmo, invece, pronunciare una sentenza di condanna fortissima: c'è la difesa di Calvi fatta da Craxi; c'è il conto Protezione; c'è il fatto che molti iscritti alla P2 erano anche alti dirigenti del PSI. Malgrado ciò, non mi sentirei affatto di sostenere che o la Democrazia cristiana o il PSI o il CAF stessero nella P2, ne conoscessero fino in fondo l'esistenza, la utilizzassero e facessero valutazioni di opportunità politica sul fatto che non bisognava intervenire. Se usiamo questo metro di giudizio per il PCI, nei confronti del PSI che metro di giudizio dobbiamo utilizzare?

PANNELLA. Presidente, su questo argomento le cito un aneddoto. Non vorrei però bloccare i lavori della Commissione, visto che siamo solo alla prima domanda del senatore Manca. Ricordo che dopo il caso D'Urso (che vivemmo per un mese con una drammaticità immensa e credo giustificata, a posteriori, se andiamo a vedere la storia di quelle settimane) mi recai all'hotel Raphael a trovare Bettino Craxi (non avendolo visto né sentito al telefono), perché entrambi davamo una lettura positiva del salvataggio di D'Urso e, inoltre, io gli dovevo una certa gratitudine. Infatti, all'inizio di dicembre (quando feci un intervento sul caso D'Urso rivolgendomi ai compagni assassini, con una lettera che suscitò nelle Brigate Rosse qualche reazione, che sul momento parve per noi pericolosa), alla vigilia di Natale, dicevo, Craxi intervenne per accelerare la conclusione del trasferimento dei detenuti dell'Asinara dicendomi di poterlo fare per le pressioni costanti ricevute in quel senso dal generale Dalla Chiesa. Gliene fui molto grato anche perché la notizia venne data il giorno di Natale dalla direzione del PSI. La ritenni una cosa importantissima. In seguito mi disse: "Guarda non posso fare un solo passo in più perché altrimenti mi sparano, però questo l'ho potuto fare perché Dalla Chiesa lo chiedeva da tempo e non si poteva non farlo perché lo volevano anche i brigatisti". Mi recai quindi, a vicenda del "Governo dei capaci e degli onesti" conclusa, e trovai Craxi piuttosto contento di vedermi, quasi allegro, come per dire: "Bene questa è andata; fosse andata così anche la vicenda Moro". Mi disse poi: "Sai cosa sta succedendo? Questi adesso sono tutti passati, - quasi ante marcia - con noi. Pensa che ha chiesto di vedermi e di conoscermi perfino... sai… "quello"…" "Quello chi?" "Gelli".

Dunque, da questo aneddoto ne traggo semplicemente il ricordo che Craxi, fino al febbraio 1981, non solo non lo aveva mai visto, ma aveva addirittura dovuto fare i conti con l'ostilità di "quello", che in effetti era favorevole ad una politica di unità nazionale in sintonia con Minucci e gli altri (il "Corriere della Sera" che attaccava e Rizzoli che veniva fatto fuori, sospetto amico di Martelli ed altri). Comunque, conoscendo il mio amico, gli dissi: "Ti vuole vedere? Tu non ti permettere di incontrarlo, perché altrimenti chissà che capperi combini". In seguito, comunque, lo vide.Io però rispondo di quella fase che va dal 1977-1978 al 1981. Qual è la differenza? Lei ci ha portato proprio all'argomento definitivo. Nei cosiddetti partiti borghesi o imborghesiti esisteva una situazione nella quale c'era qualche ladro, qualche debole, qualche arrivista: esisteva poi la diversità comunista. La diversità comunista era data dal fatto che il Partito comunista faceva passare le leggi sul finanziamento pubblico per moralità, ne era convinto. Incontravamo solo il Partito comunista nelle piazze, nelle strade e per difendere il referendum. Faceva passare un linea, mentre gli altri erano vagamente a favore, ma poi non osavano Quello che voglio dire è che lì non c'era nemmeno un comunista, lì c'è l'alleanza tra il Partito comunista e quella forza. Non voglio ora parlar addirittura della categoria del reato di omissione, ma il fatto che quattrocento parlamentari, in tre anni, non avessero presentato un'interrogazione parlamentare, all'epoca e su quell'argomento (con dei "grilli parlanti" che sollecitavano il Ministro e il presidente del Consiglio a rispondere alle interrogazione presentate all'inizio della legislatura e che costantemente accusavano sul Corriere della Sera, De Benedetti, editore di Repubblica, di avere strane assonanze con il partito degli editori, ma al servizio di Tassan Din e di quella componente, che all'epoca era chiara e veniva indicata come massonica), non può che essere l'espressione di una politica consapevole, di una precisa scelta. Dall'altra parte, invece, c'era chi ci andava. Poi c'era chi si trovava dalla parte di Salvini, che era nemico di Gelli, e così via. C’era la nostra marmellata, la marmellata borghese dei soliti partiti. Qui, invece, c'era la moralità ferrea, l'unità di un'organizzazione diversa, nella quale non ce n’era nemmeno uno iscritto, anche perché nessuno era così imbecille probabilmente. Quanti imbecilli, invece, si sono iscritti senza nemmeno accorgersene! Su questo mi permetto di ribadire quanto dicevo al senatore Manca. E’ interessante, al fine di vedere le politiche che portarono a stragi (non solo di legalità), chiedersi come mai tanti episodi eloquenti, o suscettibili di essere eloquenti, nel momento in cui hanno riguardato il problema PCI e P2, non hanno avuto rilevanza politica né giudiziaria, mentre sappiamo quanto - ancora due anni fa - questa linea, che è quella del piano Gelli, diventi ancora un modo per incriminare una linea politica.

Per quanto riguarda la questione Yalta, il presidente Pellegrino, molto più felicemente di me, aveva sintetizzato un'osservazione da me fatta, vale a dire, siamo certi che dinanzi al sospetto, alla possibilità o alla convinzione che il partito americano, che poi è divenuto una frangia di estremismo filo americano (e questo è già un passaggio importante, tant'è che il Presidente ci informa adesso di quella sua dichiarazione molto esplicita fatta in occasione del processo di cui si parlava), in Italia esistesse invece un partito, che ha guidato e può spiegare molto, e che esisteva oggettivamente, non soggettivamente, cioè un partito di Yalta. Il partito di Yalta è per esempio quello che ha garantito a partire dal 1949, non solo con Cucchi e Magnani ma con altri, la difesa contro Tito, cioè uno schierarsi non con Tito che rompeva con il Cominform e con gli altri. L'atteggiamento naturale sarebbe stato da parte di noi italiani: ben venga, ci mettiamo un po' d'accordo, vediamo un po’ l'America e l'Inghilterra se ci fanno trovare per Trieste la soluzione. Invece no, in quel caso c'è stata una politica a quel punto di estrema durezza, di nessuna facilitazione delle eventuali trattative sulla questione di Trieste. Era una manifestazione del partito di Yalta, cioè non si doveva con l'Italia aiutare una scissione di Yalta. Quello che era chiaro in quel caso era che la Jugoslavia doveva stare dall'altra parte e che noi non dovevamo in nessuna misura essere strumento che facilitasse lo slittamento ad Occidente della realtà jugoslava. In realtà il partito di Yalta significava poi assegnare all'Occidente l'Italia, lasciarla libera. Poi ci poteva essere qualche estremista della CIA, del Pentagono e via dicendo. Significava in realtà un'Italia libera anche dalla politica di unità nazionale, scelta che poteva essere gradita o no e che era quella che già negli anni ‘50 era presente in Parlamento.La caratteristica degli anni ‘50 è che nella democrazia italiana l'80 per cento dei poteri decisionali attribuiti nei paesi occidentali all'Esecutivo si trasferirono nel Parlamento e nelle decisioni prese all'unanimità nelle Commissioni legislative dello stesso. Questioni che all'estero sarebbero state risolte con una circolare di un capo servizio, ad esempio del Ministero delle finanze francesi, da noi venivano risolte con una leggina e questo spiega le 80.000 leggi di quel periodo. Quindi Yalta non in quanto partito operante come tale, ma come una situazione quasi di solitudine: l'Italia sia libera. La strategia di Togliatti era chiaramente nazionale, non tendeva ad aspettare la rivoluzione, ma a concorrere alla formazione di uno specifico italiano che è stato quello partitocratico e delle 200.000 leggi, dell'intangibilità dei codici Rocco, del serbare, d'intesa con una parte della Destra, tutto l'armamentario fascista dello Stato per vent'anni, del non consentire i referendum, del non votarli; tale politica ha avuto dei riflessi che sono durati fino al 1979-1980, quanto meno, con poche parentesi. Per quanto riguarda il luogo di oltranzismo, la terza domanda, vi ha già risposto in modo molto chiaro il presidente Pellegrino.

PRESIDENTE. Quanto alla risposta alla seconda domanda vorrei ribadire ciò che ho detto nel presentare la sua audizione. Indubbiamente lei propone alla Commissione un’ipotesi di lettura della storia nazionale con la quale la Commissione ha il dovere di confrontarsi. E’ una lettura più difficile e complessa, che atterrebbe quasi ad un piano più sotterraneo ed ultimo delle cose. Ripeto, noi dobbiamo anche esaminare questo tipo di ipotesi; ovviamente, prima di farla nostra dovremo trovare una serie di risposte, capire come la strategia della tensione si sia inserita in tutto questo.

PANNELLA. Miscusi, Presidente, io sono per il metodo Pellegrino. Lei non ha presupposto che esistesse un partito americano, anzi ha avuto un approccio iniziale molto diverso. E’ giunto a rilevare ed a offrirci una serie di eventi che puntualizzavano agli occhi di molti l'effettiva esistenza - sulla consistenza si potrà poi discutere - di questo soggetto nell'economia generale nell'evoluzione italiana. Perché D'Amato? Io ne parlo nei comizi: una piccola forza che non ha rapporti con i Servizi, intuisce, legge e parla di D'Amato, che poi aveva ottimi rapporti con degli ex Radicali come quelli de "L'Espresso" e con altri. C'è poi il resto, la grande opposizione, quelli che hanno una parte dei Servizi, che "hanno" un senso di lealtà nel confronti della Sinistra, come l'unica che vuole forse salvare la Costituzione e la democrazia - non importa se poi sia vero o meno - che invece non sa nulla. Non c'è niente da parte della Sinistra contro D'Amato in quel momento, Il quale, se era "francese", era anche molto "americano".

PRESIDENTE. Il tutto però nella specificità di questo Paese, dove nella stessa casa, allo stesso desco familiare, sedevano un Ministro della Repubblica ed un capo del partito guerrigliero che ha attentato al cuore dello Stato. C'è il rischio di smarrirsi dietro a queste cose.

PANNELLA. Il rischio di smarrirsi c'è anche se inseguiamo il golpe di Borghese e la sua vicenda; lei giustamente ha voluto correre questo rischio.

PRESIDENTE. Quello che lei ci ha detto l'altra volta sulle confidenze di Romualdi lo ha confermato.

PANNELLA. Certo. Alcune evidenze hanno il solo torto di essere così evidenti da essere accecanti, per cui hanno indotto artificialmente troppe persone a chiudere gli occhi e a far finta che Calvi è una cosa a sé stante, Tassan Din è un'altra questione, quello che abbiamo sentito da Mario Moretti in televisione l'altro giorno, un'altra ancora; cioè sarebbero tutte questioni diverse. Questo non è possibile, specie quando vi è stata questa grande, tragica convergenza e molto spesso univocità della nostra storia. Cioè, il Partito comunista italiano ha assunto su di sé il salvataggio della democrazia e del regime in Italia. Lo ha fatto secondo un rigore non moralistico del dividere in qualche misura e di giocare con alleanze ed ostilità con le varie componenti dei poteri borghesi, più o meno ridotti ad una marmellata, e lo ha fatto con grande machiavellismo ma anche con grande capacità politica. A mio avviso ha una sola colpa: ha sbagliato, come spesso accade, nello scegliere i valori di base. Questo ai miei occhi, ma devo dire che tale lettura di un Partito comunista con tutti i dirigenti che se ne vanno "a nanna" fuori casa, ma che non si accorge di nulla e, poi, quando scoppia davvero la questione Cefis tutti sanno di chi si tratta.... Certo, Mattei sarà antiamericano, come lo era Mossadek ed altri, ma era anche il grande iniziatore della corruzione politica nel nostro sistema italiano; allora c'era la Sicilia, c'era Verzotti, il caso Milazzo e bisognerà di certo chiamare Macaluso. Io credo, Presidente, che l'unica cosa che posso tentare di fare è di essere un testimone quasi giudiziario, cioè di parlarvi non attraverso i sentito dire. Io, come ho fatto per il caso del generale Mino e per quanto riguarda Craxi, ho riferito fatti precisi che mi ricordavo; potrei citare altro, però non vorrei dare l'impressione di fornire una lettura ideologica, né divenire avvocato di alcune tesi cui mi sono affezionato. Però, per quanto riguarda il caso D'Urso, il mese precedente l'assassinio di Galvaligi, la solitudine di Senzani, il fatto che i giudici ed i magistrati italiani in quelle ore stavano per arrestare il direttore de "L'Espresso", se non l'editore, le frasi di Pertini all'Accademia di San Luca e la riunione in una casa privata; di tutto ciò non ho parlato al condizionale, me ne assumo la responsabilità. Cerco di fare questo puzzle utilizzando delle cose che non credo né di avere sognato, né che siano frutto di una lettura faziosa e troppo partigiana della realtà. Perché cerco di fare questo puzzle, di inserire delle questioni che non credo siano né cose che ho sognato, né frutto di una lettura faziosa e troppo partigiana della realtà. Certo, alle volte ti rendi conto che per vent'anni dici tutti i giorni cose semplici e non ti ascoltano; per esempio, sulla vicenda del generale Mino non mi hanno mai ascoltato, a me e ad altri; quando io ho detto in pieno Parlamento, dopo la sua morte, di vigilare perché venti o quaranta giorni prima il generale Mino mi aveva detto che non prendeva più gli elicotteri altrimenti lo ammazzavano, è mai possibile che né il Parlamento, né la giustizia né altri ne abbiano tenuto conto? Sul caso Masi (ma non era un "caso", quello Masi) vi è un personaggio chiave in tutta questa storia così italiana, appunto così, diciamo, Yalta, eccetera (e, per la resa, ancora più italiana): mi riferisco a Francesco Cossiga, che dagli omissis relativi al 1964 non ha smesso un minuto; sottosegretario, ministro, presidente del Consiglio, presidente della Repubblica, "picconatore" come istituzione, per cui legibus solutus per moralità: orbene, lui sa tutto.

CORSINI. Quindi supponiamo che Pannella sarà un grande oppositore di Cossiga e dell'UDR.

PANNELLA. Voipotete supporre giustamente, perché Pannella, da questo punto di vista, nella sua storia non riserva sorprese. Io chiesi conto al Partito comunista del perché, come con la P2, nei confronti di Cossiga fece solo finta di accettare la nostra richiesta di incriminazione (ripeto, fece solo finta: adesso non l'ha nemmeno fatto).

PRESIDENTE. Si riferisce all'impeachment?

PANNELLA. Certo.

PRESIDENTE. Ci fu un dibattito estremamente...

PANNELLA. Sì,negli ultimi sei mesi, signor Presidente, quando fu consentito, ma per sei mesi...

PRESIDENTE. Io ero già in Parlamento.

PANNELLA. Sì. E quando poi noi chiedemmo almeno, nella legislatura successiva, di regalare al Parlamento, con le firme di 140 parlamentari, la possibilità di avere due giorni di dibattito in Aula prima di liquidare questa vicenda, si fecero ritirare le firme raccolte, anche di molti compagni. Allora ci sono cose che continuano a venire fuori. Certo, quando mi si fanno domande sul potere ENI…

PRESIDENTE. Però lei sa chi ci mise in minoranza all'interno del Comitato per i procedimenti di accusa, è scritto nei verbali; io c'ero ed ero del parere che la formula dell'archiviazione fosse sbagliata...

PANNELLA. Certo.

PRESIDENTE. ...e che bisognasse dare un giudizio perlomeno negativo su tutta la questione delle esternazioni.

PANNELLA. Benissimo.

PRESIDENTE. Parlai di una "zona grigia" che si situava fra ciò che era legittimo, l'attentato alla Costituzione e una serie di prassi che potevano essere censurate, pur non potendo portare a un processo penale.

PANNELLA. Anche perché ormai poi c'era la Costituzione materiale. Questa fu la tesi. Presidente, a lei capita spesso di continuare ad essere un po' radicale nella sua vita...

PRESIDENTE. Non sono il solo: c'era anche un ministro...

PANNELLA. Sono i momenti nei quali la ascoltano poco. Rispetto a quella questione, noi raccogliemmo le firme, ma furono fatte ritirare 32 firme di parlamentari di sinistra solo per avere due giorni di dibattito in Aula, perché non ci restasse. Nel 1964 noi rendemmo pubblici i finanziamenti redazionali, quelli che sono vietati adesso, dell'AGIP e vedemmo in un anno 180 milioni destinati a un organo come "Voce Repubblicana", vedemmo 250 milioni a "Lo Specchio" (me lo ricordo ancora), vedemmo 160 milioni a "Paese Sera" e poi anche 15 milioni a "Il Mondo" (che, poveretto, c'era cascato, per un convegno al ridotto dell'Eliseo) e questo proseguiva da anni; accadde l'episodio di Ravenna (ho ricordato questo episodio l'altro giorno al senatore Gualtieri) ed era chiaro a Ravenna chi c'era andato, chi era e con quali soldi e per fare che cosa e vi racconto che Lami mi diede del denaro come Partito radicale e mi disse: "Guarda, non continuare, è tanto un buon compagno, quello, della Resistenza"...

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, onorevole Pannella: non ripetiamo l'audizione dell'altra volta.

PANNELLA. No,ma allora dico, a proposito del potere ENI, che c'è Rocca, Allavena, eccetera; io le ricordo, onorevole Manca, che c'è un resoconto stenografico...

MANCA. Io l'ho letto.

PANNELLA. ...e mi limito a dire che (non è un caso) mi pare che nei confronti dell'AGIP, dell'ENI e di tutta quella componente, fortissima nei suoi collegamenti e nelle sue influenze sui servizi italiani in quel periodo, come è noto (è documentato e conosciuto), anche su quello, nessuna ostilità sia stata mostrata dal Partito comunista italiano, anzi. Quindi, l'interpretazione a mio avviso è che il Partito comunista italiano ha compiuto una scelta strategica che spiega, nel bene e nel male, l'evoluzione in quei lustri della realtà italiana; ma che siccome non si vuole rispettare questa politica e leggerla per ciò che realmente è stata, continuiamo a vedere in un modo troppo falsato tutto quello che è accaduto e possiamo allora vedere solo degli spezzoncini.

MANCA. Scusi, onorevole Pannella, la prima parte della mia domanda era relativa a come lei legge la vicenda Mattei: come il Davide italiano contro il Golia, oppure può essere data una lettura diversa?

PANNELLA. Guardi, siccome quella vicenda è veramente frutto delle mere speculazioni di una persona, devo dire che in quel momento non ero in condizioni di seguirla, nel senso che io qui sto parlando di cose che ho vissuto e questa l'ho vissuta ma come spettatore; di conseguenza, ricordo semplicemente, per esempio, nella scissione liberale, quella da cui nacque il Partito radicale, l'atteggiamento dell'onorevole Cortese, che doveva costituire con noi il Partito radicale; egli non ci seguì e poi vedemmo la posizione che il Partito liberale e il ministro dell'industria Cortese avevano assunto nel confronti dell'AGIP, cioè una posizione molto favorevole, che era molto in contrasto, formalmente, con quella di Malagodi e della Confindustria. Ecco, ricordo dei piccoli spezzoni di questo genere. Per quanto riguarda l'accertamento su Cefis è la stessa cosa: qui noi abbiamo questo gruppo dirigente. Io vorrei rendere omaggio, ma forse l'ho già accennato, ad un grande magistrato, che era il procuratore generale Di Giannantonio, che tentò alcune operazioni di verità su questo settore e lo pagò praticamente con il suo "siluramento" proprio in relazione a queste vicende; e anche qui io credo che sarebbe interessante analizzare il comportamento dell'"Unità" su tutte queste questioni, ivi compreso il comportamento sugli scioperi del SlLP, cioè gli scioperi dei lavoratori del petrolio, che sono arrivati fino a fare delle marce dall'EUR a Piazza Venezia e a Botteghe Oscure senza che l'"Unità" ne pubblicasse un rigo di cronaca, con solo noi che li accompagnavamo. Poi vi è la vicenda D'Urso. (Il presidente Pellegrino si leva in piedi a fianco dell'onorevole Pannella). Vederla in piedi, Presidente, accentua i miei rimorsi.

PRESIDENTE. No, non si preoccupi, sto in piedi perché sto più comodo.

PANNELLA. Sì,ma accentua i miei rimorsi nell'audizione. D'altra parte, le domande del senatore Manca sono così interessanti.

MANCA. La mia era una domanda che inizialmente sembrava pleonastica e invece pare fosse una domanda che apriva un dibattito. Apprezzata, se non ho capito male, anche dal presidente Pellegrino, su cui noi mediteremo, faremo delle meditazioni, delle riflessioni, delle considerazioni.

PANNELLA. Affatto: guardi che a mio avviso quella domanda riguarda la storia d'Italia di questi vent'anni. Punto e basta. Infatti la sua domanda riguarda la parte "carsica", che per me è quella maggioritaria, della storia d'Italia, è la parte della storia d'Italia che per il momento ancora non affiora. Tangentopoli ha portato alla luce tutto, ma le cose importanti riguardanti la vita, le stragi e via dicendo, purtroppo no; e, diciamo, la capacità di lottare lucidamente contro le politiche che consentivano le stragi o le permettevano evidentemente non c'è stata. Circa D'Urso, mi richiamo a quello che ho detto la volta precedente; ripeto che vi è una connessione strettissima fra il caso D'Urso e il caso Cirillo, data non solo dal soggetto Senzani, ma dalla continuità del progetto; fallisce a Roma, riprende ma in un modo più legato anche alle cooperative rosse. Anche a questo riguardo, Presidente, mi si è ricordato che io facevo dei comizi in Piazza del Parlamento allora - quando D'Amato non era ancora stato trasferito all'ufficio della polizia delle frontiere o stava per andarci - facevo dei comizi, dicevo, contro Gelli, abbiamo fatto un'opera per la quale noi abbiamo salvato la vita anche di Cirillo, perché c'erano delle forze che invece non lo volevano, le stesse che volevano la morte di D'Urso. Allora io parlavo in molti comizi, sicuramente dal 1975, di una cosa per la quale i miei amici credevano che io avessi la balbuzie o stessi starnutendo, cioè la CCC, dicendo che si andava in Arabia, si andava in Somalia, si andava in Sicilia, si andava a Reggio Calabria, e via dicendo, ma se c'erano delle sigle FIAT o dintorni, le vedevo sempre citate, e vi era una CCC che invece non lo era mai. Volevo solo segnalare una curiosità. Ora è emersa, a carico di Cirino Pomicino in uno dei processi che lo riguardano, una dichiarazione dei due grandi pentiti, Alfieri e Galasso, di Napoli. Costoro mi pare dicessero - era il periodo del terremoto, quello dei soldi, delle spartizioni - che a loro, alla camorra, le spartizioni arrivavano attraverso alcune persone della Lega delle cooperative, che poi le redistribuivano ad Almirante, a Gava e a De Lorenzo, cioè alle tre forze di opposizione della Giunta Valenzi due. La cosa viene amputata da questo seguito e posta a carico di Cirino Pomicino, dicendo che i soldi passavano da alcune cooperative bianche, che invece non c'entravano nulla. Su questo, su D'Urso e su quello che accadde in Italia tra dicembre e il 10 gennaio e poi tra il 10 febbraio e la fine del caso Cirillo, mi auguro che vi sia un'ampia analisi. La strage di legalità è stata immensa, ma credo sia stata anche foriera di quella lunga strage, relativa al caso Cirillo, per cui dodici persone sono state una dopo l'altra uccise, non a caso tutti coloro che potevano essere testimoni su quel caso: forse per continuare a lasciar dire che c'entravano Scotti o qualcun altro.

MANCA. Vorrei ringraziare l'onorevole Pannella e dichiarare che mi ritengo soddisfatto delle risposte fornite alle mie domande.

CORSINI. Signor Presidente, nel corso del mio intervento seguirò due linee: da un lato, mi sforzerò di discutere l'interpretazione complessiva che l'onorevole Pannella ci ha offerto del fenomeno stragistico e terroristico e, dall'altro, farò invece riferimento ad alcuni dati di carattere più strettamente fattuale che meritano un’ulteriore approfondimento e rispetto ai quali mi auguro che l'onorevole Pannella ci dia ulteriori delucidazioni. Sulla questione dell'interpretazione, lo credo che l'onorevole Pannella già in altre occasioni - penso al dibattito svolto nel convegno promosso da Radio Radicale - abbia fornito o comunque in qualche misura squarciato una sorta di orizzonte investigativo nuovo, proponendo quella lettura - col punto interrogativo - legata al partito americano, al partito di Yalta, al partito partitocratico. Si tratta del tentativo di fornire una lettura del fenomeno considerato in questa sede, per certi versi nuova, anche se, sostanzialmente e nei riferimenti di fatto, trae spunto da prese di posizione che Pannella ha già adottato in altre occasioni. Sono andato, per esempio, a rileggermi il resoconto dell’audizione che l'onorevole Pannella ha svolto nella Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dove sostanzialmente i riferimenti sono analoghi a quelli che sono stati poi riprodotti nella conversazione tenuta con noi la scorsa audizione: una lettura che, peraltro, ha avuto in passato una sua solidificazione ed una sua dignità politica e storiografica nella relazione di minoranza, o controrelazione, che l'onorevole Teodori ha steso in occasione della conclusione dei lavori sulla P2.

Presidenza del vice presidente MANCA

Anche in quel documento ritornano alcuni dei luoghi tipici della riflessione di Pannella. Nella prima parte, ad esempio, viene riprodotta una dichiarazione di Berlinguer sulla P2; l'onorevole Teodori costruisce un capitolo che utilizza gli identici riferimenti fattuali e gli stessi argomenti di Pannella per quanto riguarda l'interpretazione del caso D'Urso. Quindi, il fatto che alcune tesi non siano nuove evidentemente non ci esime dall'interrogarci e dall'esprimere una valutazione.

Cominciamo dalla tesi di fondo, quella che fa riferimento alla triade evocata e chiamata in causa appunto da Pannella, cioè la P-Scalfari, la P2 e il PCI. Io penso che ci sia una divaricazione di fondo nell'interpretazione dei fenomeni che qui stiamo affrontando nella lettura mia ed in quella dell'onorevole Pannella. In realtà - e questa è la tesi anche del professor Teodori - all'origine di tutto c'è la partitocrazia, un luogo classico della cultura dei radicali italiani, ma a me pare che ci sia un rovesciamento del rapporto causa-effetto. In sostanza, io ritengo che, preso atto che vi è stato in Italia un sistema retto sul principio partitocratico, in realtà la partitocrazia rimanda ad una causa a monte, e in questo sta parte della verità che Pannella ci riferisce. Indubbiamente è esistito un sistema legato a Yalta, dentro il quale ha operato - al di là di alcune tentazioni incorse verso la fine degli anni Quaranta - anche il PCI, il partito di opposizione, accettando appunto tale sistema. Qual è la verità sulla democrazia bloccata nel nostro paese? Io propendo - Pannella lo sa perché abbiamo già avuto modo di discuterne - per un'interpretazione sistemica della storia politica italiana. Quindi, al di là del giudizio che ciascuno può dare, al di là del fatto che a qualcuno possa piacere e ad altri possa non piacere, resta il fatto che il sistema di Yalta ha imposto una democrazia bloccata e il mancato sblocco della democrazia ha determinato lo sviluppo del regime partitocratico. Come si inserisce dentro questa lettura l'interpretazione del fenomeno piduista? Per Teodori - e anche per Pannella, che dà l'interpretazione politica anche sul piano divulgativo delle testi storiche e storiografiche di Teodori - la P2 è soprattutto espressione della partitocrazia e per questo tutti i partiti sarebbero uguali nel loro rapporto con essa, compreso appunto il PCI. Credo di non dare una lettura forzata e che questa in realtà sia la conseguenza della interpretazione che Pannella e la cultura radicale hanno proposto.

PANNELLA. Sono appassionatamente interessato a quello che lei sta dicendo e quindi la interrompo brevemente. Devo dire però di no, è diverso: di fronte alla marmellata dei partiti borghesi, che sono stati inquinati, il PCI ha perseguito una politica di alleanza con una parte, che forse riteneva la più razionalizzante, del sistema borghese.

CORSINI. Al di là delle sfumature e sottolineature, l'impianto tuttavia è sinteticamente quello che riferivo. A me pare che questa interpretazione sia suscettibile di una lettura diversa sul versante della P2 e del PCI. Indubbiamente, sul versante della P2, è un dato assolutamente incontrovertibile la natura fortemente anticomunista di quella loggia massonica, di presidio occidentale e nazionalista. La P2 non è solo espressione del regime partitocratico, è qualcosa di molto più complesso e magmatico, che chiama in causa ed evoca molte altre responsabilità, forze e componenti. Che ci fosse questa identità fortemente anticomunista è acquisito, al di là del dibattito che anche Teodori ha istituito nella Commissione presieduta dall'onorevole Anselmi in ordine all'informativa Cominform e al riconoscimento in una certa fase della resistenza di un'attività filocomunista di Gelli; resta appunto il fatto che anche Teodori parla di un Gelli che assolve ad un ruolo stabile e fisso - cito testualmente - in senso anticomunista.

PANNELLA. Come agente doppio.

CORSINI. Ruolo assunto da Gelli, continuamente ribadito e proclamato e confermato dal fatto che la trimurti "Gelli-Sindona-Ortolani" fondò la propria battaglia ideologica e politica sul principio dell'anticomunismo. Certo, c'è l'episodio di Paese Sera e la vicenda dei finanziamenti, ma perché la P2 persegue un progetto che ha una sua riconoscibilità politica. Siccome è un mix di compressione antidemocratica e di eversione - appunto, il venir meno del senso dello Stato, nella teorizzazione per molti versi paradossale di un altro Stato, quale quello riconoscibile nel piano di rinascita nazionale o nel memorandum della situazione politica che Pannella sicuramente conosce - c'è un intento di liquidazione del sistema dei partiti che passa anche attraverso l'integrazione subalterna di tutte le forze politiche, compreso appunto il PCI. Giustamente il presidente Pellegrino ricorda - se vogliamo mettere sul piatto le connivenze e le responsabilità - che non c'è un solo comunista iscritto alla P2, che l'eredità politica, o meglio la battaglia per...

PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, ma potrei essere rimproverato di una presidenza "latitante" se non la invitassi a rivolgere le sue domande all'onorevole Pannella.

CORSINI. Deve concedermi il piacere di una discussione con l'onorevole Pannella!

PRESIDENTE. Anche a me sarebbe piaciuto farlo, senza dovermi limitare soltanto a tre o quattro domande!

CORSINI. Ho la presunzione di non affermare cose banali. Qui non stiamo soltanto cogliendo la preziosa opportunità della presenza dell'onorevole Pannella per verificare alcuni dati fattuali (in realtà Pannella, più che dati fattuali, ci ha fornito una lettura globale del fenomeno), perché credo che possa essere utile alla Commissione svolgere una serie di valutazioni.

PRESIDENTE. Si tratta, però, di un'audizione e non un dibattito!

CORSINI. Tra breve, comunque, verrò alle domande e anche io richiamerò alcuni dati attuali.

Stavo dicendo che, anche in ordine al caso Calvi, non mi pare che le amicizie politiche, le frequentazioni di quest'ultimo e l'eredità di tale esperienza in qualche misura siano riconducibile al Pci. Esaminiamo ora alcuni dati come, ad esempio, la questione del Corriere della Sera. Non sono più tanto giovane, però ho qualche ricordo delle letture di quel periodo. La P2 arriva al Corriere molto prima della stagione della solidarietà nazionale (intorno al 1974). Per mio interesse sono andato a rileggere il dibattito tra Pannella e i commissari comunisti dell'epoca; c'era ad esempio un parlamentare, Antonio Bellocchio (infatti, le replicarono in particolar modo Bellocchio, Petruccioli e Occhetto), che all'epoca le citò una serie numerosa di articoli, pubblicati sul Corriere della Sera da alcuni giornalisti di quella testata, che erano stati vigorosamente anticomunisti; non si può parlare, infatti, di una piega filocomunista prima degli anni della Società nazionale. A me pare che l'onorevole Pannella dimentichi alcuni dati che mi sembra siano riscontrabili. In realtà, fin dal 1974 (quindi molto prima della scoperta degli elenchi di Castiglion Fibocchi), vi furono interpellanze ed interrogazioni sulla questione della P2 presentate da esponenti comunisti - cito, ad esempio, quella dell'onorevole Natta alla Camera dei Deputati e un'altra della senatrice Giglia Tedesco al Senato -. Nel 1976 su l'Unità vennero pubblicati articoli di Franco Scottoni, dopo l'omicidio Occorsio, nei quali si denunciava il connubio P2-estremismo di destra, che fu all'origine - appunto - del delitto Occorsio. Nel 1977 vennero presentate interpellanze ed interrogazioni e poi vi fu (mi farà piacere, onorevole Pannella, regalarle una fotocopia) un'inchiesta pubblicata su l'Unità nel 1980 - il primo articolo è dell'11 novembre - di un giornalista a me molto caro, che ho avuto modo di conoscere e di frequentare in un certo periodo, personaggio certamente non secondario tenuto conto anche dei rapporti stretti che aveva con l'allora segretario Berlinguer: sto parlando di Ugo Baduel, che nel novembre e nei mesi successivi di quell'anno ha pubblicato una serie di articoli proprio dedicati alla P2. Quello dell'11 novembre del 1980 si intitola ad esempio "C'è in Italia un potere occulto" (mi sono permesso di fare una piccola ricerca in proposito); vi è poi un articolo di qualche giorno dopo, del 13 novembre, sempre di Ugo Baduel, intitolato "Quel burattinaio chiamato massoneria" e non si sta parlando della Massoneria in generale, ma degli insegnamenti di una insolita intervista giornalistica relativa a Salvini, Gelli, P2, codice segreto e così via (potrei leggervi i brani). Un ulteriore articolo, e potrei continuare a ricordarne altri, intitolato "Tutti i segreti portano a Sindona". C'è, quindi, da parte dell'organo ufficiale del Pci una serie di prese di posizione che mi sembrano significative per affermare che non si possono leggere alcuni fatti, come la cena di Pecchioli o cose del genere, perché la vita politica italiana anche oggi è costellata di pranzi a base di crostate o di altri menù!

Presidenza del presidente PELLEGRINO

(Segue CORSINI). Sono convinto che probabilmente le denunce avrebbero potuto essere più ferme, magari più circostanziate, ma allora le conoscenze erano abbastanza frammentarie. Faccio presente all'onorevole Pannella che le stesse denunce del Partito radicale erano abbastanza generiche. Poc'anzi lo stesso Pannella ha affermato - riconosco la sua onestà intellettuale e politica - che quando parlò di Gelli disse "un certo signor Gelli". Il fenomeno P2, proprio perché si trattava del partito occulto - come lo ha definito un notevole interprete del pensiero giuridico italiano, Stefano Rodotà -, del partito che si qualificava come l'anti-Stato democratico, proprio perché era l'insieme di quelle forze che tenevano coniugate pulsioni eversive, compressioni antidemocratiche e destabilizzazione del sistema democratico, proprio perché era circondato da una sorta di oscurità melmose e magmatiche, impedì anche al Partito radicale di intervenire con quella lucidità e quella chiarezza di riferimenti che i Radicali e Pannella stesso oggi rimproverano al Pci; infatti, moltissimi settori politici e giornalistici - sicuramente non accusabili di connubio e di connivenze filopiduiste - osservarono quello che oggi può essere interpretato in modo sconcertante e sconcertato una sorta di scrupoloso silenzio, pur avendo certamente informazioni più ampie e circostanziate di quelle a disposizione del Partito comunista. Mi sembra che la lettura dell'onorevole Pannella (che ha tanto scandalizzato il mio collega di partito, senatore Staniscia, che ha avuto una reazione abbastanza risentita) meriti una smentita solo sul piano dei riferimenti fattuali e sull'interpretazione complessiva del fenomeno: lo merita tanto sul versante della P2, che certamente non è mai stata filocomunista, tanto sul versante della gestione del rapporto con la P2 che Pannella - appunto - attribuisce al Pci. Ripeto che questi elementi si possono desumere in filigrana anche da una serie di passaggi che la relazione Teodori - che indubbiamente va riconosciuta come il testo più approfondito e lineare di lettura del fenomeno da parte radicale - mette in luce e riconosce.

Veniamo ora alle domande. Partirci da una domanda che mi sorge spontanea alla luce della lettura della sentenza-ordinanza di Salvini (solo da poche settimane trasmessa alla Commissione), che propone tutta un'altra interpretazione rispetto a quella di Pannella e alla quale offre il supporto di una serie di riscontri documentali e testimoniali e che, a mio giudizio (al di là di sfumature o di suggestioni che possono essere approfondite o ulteriormente indagate sotto il profilo della ricostituzione dell'insieme del fenomeno) è particolarmente significativa e rilevante; non dico che essa sia del tutto convincente, ma che costituisce una pietra miliare dalla quale nessuno potrà scostarsi se non altro per gli interrogativi che susciterà in futuro rispetto alla rilettura che faremo insieme di questo fenomeno.

Le domande sono sostanzialmente le seguenti: Pannella è stato sicuramente un protagonista privilegiato - qui, a mio giudizio, è stato più un interprete che un testimone - di quanto è avvenuto in Italia e quindi anche degli eventi tragici che si sono susseguiti per oltre 25 anni. Le chiedo pertanto, sempre stimolato dalla lettura di Salvini, se è vero che vi sia stata una consociazione nella storia dell'Italia repubblicana. Per il momento io, che mi sento un apolide di questa Repubblica e che quindi non appartengo a nessuna seconda Repubblica fino a quando non sarà costituzionalmente sancita, non ho dubbi a riconoscere che c'è stato un sistema consociativo, nel senso che la DC ha gestito le funzioni del governo politico e il Pci ha gestito il controllo della dinamica sociale, della leva e della lotta sindacale; ma c'è stata anche un'altra significatica consociazione, quella tra apparati di Stato, anti-Stato che vuole diventare Stato, settori della destra estrema radicale, servizi segreti e così via. Chiedo ora all'onorevole Pannella, per quanto riguarda le stragi che hanno insanguinato l'Italia tra il 1969 e il 1980, se era a conoscenza o qual è il suo giudizio in relazione al comportamento di corpi, non dico separati, perché in realtà si trattava della norma e non dell'eccezione (soprattutto per i sevizi segreti); se sia vero o no, cioè, che hanno sabotato istruttorie, che hanno tenuto comportamenti omissivi, che sono stati depistanti? E perché? Per input politico, per suggerimento, per suggestioni o disposizioni di natura internazionale? Forse perché anche questo serviva per destabilizzare l'ordine di Yalta, per far sì che in Italia le cose cambiassero affinché nulla cambiasse? Qual è la sua lettura di questo fenomeno? Le cose che ci dice il giudice istruttore Salvini, che richiama testimonianze e le cui argomentazioni si basano sulla verifica dei fatti, evocano responsabilità che richiamano questi soggetti. Ancora, le responsabilità vanno ricercate soltanto in queste logiche omissive, compromissorie, depistanti, inquinanti, gestite dal Servizio segreto militare italiano, dall'Ufficio Affari riservati del Ministero dell'interno, oppure l'onorevole Pannella ritiene possibile che vi siano altre corresponsabilità che evocano, ad esempio, il ruolo che alcune potenze straniere possono aver giocato? Siccome reputo che quella americana sia una grande democrazia, al di là di quello che possano aver fatto singoli personaggi o apparati, ritengo che la democrazia americana mai abbia pensato di far imboccare al nostro paese la via che si tentò in Grecia o in altri paesi dello scacchiere europeo nel corso degli anni della grande guerra civile contemporanea mondiale. Un'altra domanda che mi sorge spontanea, avendo letto Salvini, riguarda un riferimento al presidente del Consiglio Mariano Rumor. Ho letto nella rassegna stampa che il senatore Taviani smentisce radicalmente anche la possibilità di pensare a tale ipotesi. Quella di un Rumor in un primo tempo impegnato a proclamare lo stato d'emergenza per poi, di fronte alla coralità della risposta popolare, tirarsi indietro dopo la grande strage milanese è un'ipotesi che le sembra plausibile alla luce delle sue conoscenze? Per quanto riguarda l'assassinio di Aldo Moro, dirò una cosa che può suonare blasfema alle orecchie di taluno, cioè che sul piano fattuale non vi sono ancora molti segreti in ordine a tale vicenda; ritengo invece che i grandi interrogativi investano l'uso politico del caso Moro. Questo credo sia l'interrogativo di fondo che ancora possiamo porci. Tornando però alla questione fattuale, quali valutazioni può esprimere, onorevole Pannella, ad esempio sul comportamento delle forze di polizia? Lei sa che il comitato di crisi che lavorò intorno al caso Moro era sostanzialmente tutto piduista. Che ruolo può avere avuto la P2 nella gestione della vicenda, nel momento in cui essa si svolse, e successivamente al fine di orientarne l'uso politico? Avendo letto la sua audizione presso la Commissione d'inchiesta sulla P2, ricordo che affermò che la polemica radicale contro quella loggia massonica, già iniziata nel 1969, individuò pericoli nell'ex Sifar, nei ricatti, in alcuni incartamenti; nell'occasione citò Carmelo Spagnuolo, Licio Gelli e il gran maestro dell'epoca Salvini. Crede vi siano legami tra la strategia della tensione e le attività e le iniziative di questi personaggi?

Ho poi una curiosità che non vuole essere una provocazione né personale né politica. Lei, onorevole Pannella, ha fatto un sacco di illazioni sul Pci; io non faccio alcuna illazione sul tentativo di candidatura di Gelli da parte del Partito radicale, al quale riconosco di aver fornito un contributo rilevante alla vita civile del paese, alla laicizzazione del costume, al venir meno di rapporti di tipo deferenziale rispetto ad istanze di tipo autoritario che sono invalse nella società italiana; è una parte meritoria quella che ha svolto il Partito radicale. Tuttavia mi è sempre rimasto un interrogativo: mentre per certi versi ho capito le ragioni della candidatura di Toni Negri, mentre ho capito - anche se personalmente mi è costato molto - le ragioni della candidatura di Ilona Staller, mi piacerebbe capire quale fu il senso che i radicali attribuirono alla candidatura di Licio Gelli. Ovviamente non penso assolutamente ad un connubio tra Gelli ed il Partito radicale.

PANNELLA. In che anno?

CORSINI. Mi pare intorno alla metà degli anni Ottanta.

PANNELLA. Fu nel 1987.

CORSINI. Questo chiarirà le ragioni della sua tentata candidatura. Faccio ora riferimento al generale Mino ed a Giorgiana Masi. Lei sapeva che il generale Mino era aderente alla P2 quando lo incontrò oppure fu messo al corrente in un altro momento? Aveva quanto meno subodorato che gravitasse intorno a quell'area? E’ possibile conoscere le istintive riflessioni che le vennero all'indomani della morte del generale Mino, all'indomani di quell'" incidente "?

PANNELLA. Urlai, alla Camera e ovunque. Ci sono gli atti parlamentari.

CORSINI. E’ possibile che lei possa scavare nella sua memoria e portare alla luce qualche sintomo, qualche elemento che possa aiutarci a capire meglio che cosa c'è dietro questo "incidente"? Qualche allusione che il generale Mino possa averle fatto, qualche pista che possa averle aperto? Un'ultima questione, del tutto personale. A metà degli anni Settanta insegnavo all'università e, come sempre mi è capitato finché ho potuto insegnare, avevo un rapporto con gli studenti; ricordo che vi fu una grande emozione nell'ambiente giovanile in ordine al caso di Giorgiana Masi.

PANNELLA. Due anni dopo.

CORSINI. Esattamente. Lei issò quella bandiera, fu uno dei pochi a far sentire una vox clamans in deserto in ordine a quella morte. Qual era il significato che aveva attribuito alla vicenda? Vorrei che tornasse su questo argomento perché mi procura un'emozione che intendo coltivare.

PANNELLA. Dinanzi a tutte queste domande, ovviamente vorrei scappare da qui per guadagnare un luogo dal quale parlare molto a lungo. Mi consenta prima alcune considerazioni. Le sono innanzi tutto molto grato perché, pur essendo necessariamente sommario nel ricordare, mi dà l'occasione di dire che anche in quei periodi di lotte, nella nostra vita di lotta, difficilmente eravamo armati della capacità e della possibilità di documentarci a fondo. Lei mi ha fornito ora una splendida verifica di quello che pensai, dissi e continuo a pensare. Lei ha detto che nel corso della legislatura che va dal 1976 al 1979 perfino Natta, allora Presidente del Gruppo del Pci, aveva presentato un'interpellanza in qualche misura attinente anche alla P2; e aveva inoltre utilizzato altri strumenti parlamentari. Lei ha quindi voluto ricordarmi che il Presidente del Gruppo parlamentare del Pci (ma anche altri parlamentari, mi pare di ricordare Flamigni, ed alcuni giornalisti rispetto ai quali lei arriva al 1980) fece le dichiarazioni che lei ricorda pochi mesi prima della sua morte. Dunque lei conferma che il segretario del Partito comunista italiano...

CORSINI. Possibile che si occupasse di altre cose?

PANNELLA. …dinanzi all'esistenza, all'opera del mondo P2, della P2, era informatissimo da sempre; per necessità, per riflessione, per cercare di comprendere la realtà italiana, che cosa accadeva nel suo mondo del potere e del sottopotere, perché il partito comunista l'aveva individuato da moltissimi anni, dal momento del Sifar, dal momento di De Lorenzo, dal momento dei riscontri tra il capo della massoneria Salvini e Celli, l'ex sindaco di Trieste che era un altro grande dignitario massonico Cecovini con le altre cose, con le denunce di Piazza del Gesù contro il Palazzo... Io nel 1969 feci un comizio in piazza del Pantheon, sotto piazza Giustiniani, per denunciare il degrado violento, purulento, della realtà massonica e della storia della massoneria, nel suo pensiero e nelle sue tradizioni. Insomma, Ernesto Natta per me... ecco. Quindi, questo è incredibile. Cosa accade? Lei mi ha chiesto la mia interpretazione: si può spiegare quello che accade tra il 1976 e il 1979-1980 semplicemente come una scelta politica. Una scelta politica grave dinanzi alla constatazione, quale? Scusi, quando c'è un comitato di crisi sul caso Moro tutto targato P2, io vorrei conoscere meglio i nomi. Voglio dire, sono qui, non l'avrei fatto se avessi avuto il tempo professionalmente di dedicarmici. Nella P2 c'erano sia Miceli che Maletti. Contemporaneamente erano associati - credo all'insaputa l'uno dell'altro - in tutti i settori bancari, dei boiardi di Stato, dei militari, i capi delle cosche nemiche. Allora, nella cellula di crisi, che questi fossero tutti targati non mi basta. Era una piovra per modo di dire: in realtà se la piovra si muove con i tentacoli e via dicendo, ha come copertura questo schieramento di quasi tutto il ceto dirigente militare, dell'apparato dello Stato, dei boiardi di Stato che confluiscono lì dentro. Il problema mi pare quindi essere chiaro da questo punto di vista. Proprio perché nel 1980 Baduel scrive quegli articoli e lo fa ben prima che Berlinguer debba dichiarare, debba adottare una linea dinanzi alla Commissione P2: "no, di questo no, perché io non ne ho saputo... non ne abbiamo mai discusso come di un elemento importante". Allora di che cosa hanno discusso? Quando ho da dire delle dimestichezze di Pecchioli, dei diversi riflessi - malgrado il suo carattere romagnolo e via dicendo - di Boldrini, di Bulof e di Minucci dall'altra parte, costantemente non c'è a priori nessuno che abbia zone di corruzione individuale; no, c'è una linea politica, un dover essere che ricerca cosa si fa, come si può fare dinanzi alla fatiscenza di questo Stato, di questa classe, dinanzi al precipitare delle cento...

CORSINI. Onorevole Pannella, c'è un elemento che lei non può trascurare. Tutta la battaglia politica di Berlinguer, dalla seconda metà degli anni '70 fino alla sua morte, è incentrata sulla questione morale come grande questione dello Stato. Non è soltanto un problema di etica personale evidentemente.

PANNELLA. Proprio per questo trovo incomprensibile che poi, appunto, la diversità del partito comunista si esplicava su mille cose tranne che su Calvi, lo IOR e le altre questioni. Noi avevamo bisogno di molto denaro; quando Calvi parlò con Spadaccia, presumibilmente si potevano aprire delle possibilità anche oneste, serie. E’ proprio li che è mancata la diversità e Tangentopoli è cresciuta...

CORSINI. Lei sa che, per quanto riguarda il finanziamento, fu tutto restituito al Banco Ambrosiano.

PANNELLA. Guardi, io questo non lo so nemmeno. So che questa è la tesi. Ma non è questo: diciamo che erano in affari assieme, ognuno per le sue ragioni. Ma io devo correre invece verso le sue domande. Chiedo scusa al Presidente ma mi riesce impossibile saltarne alcune.

Vorrei parlare di una questione di fatto. Lei dice che io ho soprattutto dato una interpretazione. No, io mi sto sforzando di versarvi dei ricordi personali di fatti e di periodi. Quando vi dicevo: "ma come è possibile, eravamo quelli che eravamo"; i massimi dirigenti comunisti si diceva che andavano in giro a dormire altrove, conoscevano tutto, una parte dell'apparato dello Stato gli era fedele (non come partito, ma come ideale antifascisti e via dicendo), tanto questo è risaputo che per quella motivazione annulliamo una marcia antimilitarista per fare i dieci giorni di lotta in difesa del diritto in Italia a Roma, eccetera, li mobilitiamo, diciamo che questa estate è annunciato qualcosa di grave, avviene l'Italicus e andiamo al Ministero dell' interno dopo due ore? Non è possibile, l'intelligenza storica di un grande corpo politico che funziona non può essere a tal punto inesistente da trovarsi in una situazione così sfasata rispetto alle intuizioni di quattro ragazzi, di quattro uomini o di quattro persone, che hanno dalla loro solo la tradizione azionista, la tradizione liberale e le mani nude di qualsiasi potere, di qualsiasi informazione di potere. Per quanto riguarda l'interpretazione sistemica, è proprio quanto io le chiedo e che chiedo alla Commissione, onorevole Corsini. L'interpretazione sistemica è: per vent'anni non si concede al popolo italiano il diritto al referendum. L'interpretazione sistemica è: non si tocca il codice Rocco. L'interpretazione sistemica è: dopo che la Corte costituzionale, Branca, Bonifacio in parte, hanno toccato i referendum (contro il Parlamento che non voleva farlo e contro la prima Magistratura democratica che con noi fa la prima raccolta di firme per l'abolizione dei reati di opinione nel 1971) dopo tutto questo noi abbiamo sempre questi ambienti contro qualsiasi variazione del codice Rocco Fino a quando poi arrivano i peggioramenti dell'unità nazionale, con i decreti Cossiga e Reale e tutte le altre cose prima, lasciamo stare la Bartolomei. Noi questo lo denunciamo, diciamo che stiamo andando distruggendo il corpo dello Stato, perché addirittura peggioriamo i codici fascisti per molti versi e distruggiamo il processo penale, creiamo delle eccezioni che individuavamo essere parti di un disegno. Allora, interpretazione sistemica: quale era la politica economica, la giungla delle pensioni, la giungla delle categorie, la giungla delle leggine corporativiste e corporative, la difesa degli enti di Stato a gestione boiardesca ma associata, il sindacato che non difende i diritti degli operai nel settore pubblico, oppure nella FIAT accadono alcune cose strane mentre nel settore privato accadono le cose che accadono. Bene, in una interpretazione sistemica di scontro di classe, con una lettura però liberale e non necessariamente marxista, anche, è ben strano: la sovrastruttura giuridica viene difesa assieme, per inerzia, dalla DC; per prudenza, per paura, dal Partito comunista che è consapevole. Non si toccano quel codici, non si fanno i referendum, si è nemici dei referendum anche abrogativi, si cerca di impedire anche quello nel 1974 dopo essere riusciti a rimandarlo di due anni; dal 1976 comincia la lunga marcia per abolire di fatto il diritto di esercizio. Noi chiediamo che si faccia l'abolizione dei codici fascisti prima del referendum, chiediamo che si faccia l'abolizione del concordato clerico-fascista - e secondo una lettura della Costituzione ciò era possibile - e raccogliamo le firme, ma troviamo l'unica forza intelligente, rigorosa, forte, non debole, il Partito comunista, che fa blocco a questi nostri tentativi. Noi abbiamo sempre preso di sorpresa i partiti borghesi e la DC. Sul divorzio abbiamo preso di sorpresa anche il partito comunista, che non credeva che ce l'avremmo fatta. Anche sull'aborto e su tante altre cose. Ma quello che ha dato l'illusione di un rilancio giacobino della difesa della libertà e della democrazia negli atti dell'unità nazionale è però un giacobinismo vestito della cultura degli anni '30, '40 e '50 sia in Italia che altrove. E’ un dramma del quale si è consapevoli nel momento in cui lo si vive. La sconfitta, se di questo si tratta, ma direi meglio la scomparsa della forza politica (diciamo piuttosto della nostra possibilità di concorrere al governo del paese, della nostra storia, dei nostri gruppi, pur così presenti molto spesso nel cuore degli eventi, ai quali hanno dato qualche luce), è quello che paghiamo. E lo paghiamo nello scontro, perché la conventio ad escludendum, da quel momento gioca solo contro di noi e non anche nei confronti del MSI, a tutti i livelli, umani, personali e ancora adesso. Fatta eccezione per Emma Bonino con Berlusconi, sono stato con il qui presente senatore Pace, perché gli altri erano andati tutti in galera, presidente di una circoscrizione. Nella mia vita però non ho mai potuto dare un apporto al mio paese, e me ne sono andato da lì cacciato dalla Sinistra, perché altrimenti sarei restato. Emma Bonino, ad esempio, non ha mai avuto una menzione. Perché? Non mi dolgo. Però dico questo: lo scontro è stato così chiaro, così limpido, così profondo che continua ancora adesso. La chiusura di radio Radicale non è voluta da nessuno, ma solo nelle viscere di un certo segno si sta riuscendo probabilmente a provocarla.

Tornando alle domande relative alle stragi del 1969 e del 1980, lei afferma che si tratta di corpi separati. Appunto. Tutta questa storia di stragi, di legalità e di stragi materiali, come si può pensare di attribuirla solamente, in presenza di grandi forze politiche che possono mutare leggi, fare riforme, contrattare in qualche misura il formarsi dei gruppi dirigenti nei vari settori... come è immaginabile che un paese che ha una sua opposizione, che non si può muovere sul piano della politica estera, che nella sua posizione vigorosa su queste cose non può mutare i codici fascisti, non può mutare certe visioni. Anche la lentezza, la timidezza mostrata per anni e anni nella smilitarizzazione...

PRESIDENTE. Ma cosa c'entra con le stragi materiali? Siamo una Commissione che indaga sulle stragi.

PANNELLA. C'entra con la sua domanda. Il fatto che lo Stato italiano, il Parlamento nello svolgimento delle sue funzioni, non sia riuscito a portare alla luce la verità, rappresenta una responsabilità comune di opposizione e di Governo. Tutti sapevano che c'era un D'Amato, che c'era un ufficio Affari riservati e che questo serviva in una politica che probabilmente era quella che cercava di comprendere dove fosse il nocciolo duro della borghesia, ovvero se nelle sue componenti "democraticistiche" o in quelle "efficientistiche", più o meno militari, si potesse realizzare, nella moralità, il compromesso con quella forza, per riuscire a mutare, nel bene e per quanto possibile, la situazione. Ricordo un solo no nei confronti di Malizia per i suoi precedenti, nel 1944. Rispetto a questi altri militari non ne ricordo uno. E questo mentre noi gridavamo, manifestavamo su Henke per le strade, venivamo denunciati, carcerati e isolati dalla vita del nostro paese, fino a diventare dei dissidenti con quattro deputati. Nelle stragi non è quindi un problema di corpi separati. E’ lo Stato, che voi chiamate consociato, uno Stato delle fazioni, della proporzionale, nel quale la ragion di partito non consentiva il senso dello Stato e la moralità. Non crediate, ricordo personaggi nobilissimi, non creda che non capisca questa cosa o non la condivida. Vi sono persone che Dio sa quanto io abbia stimato e sia stato anche ricambiato, come Ugo La Malfa o Riccardo Lombardi. Cosa dicevano costoro? L'amministrazione dello Stato ci è ostile. In realtà non funzionerà mai; se noi non prendiamo i soldi per i nostri partiti e le nostre correnti non abbiamo forza. A ciò si potrebbe rispondere: ma perché, quando la Sinistra liberale o quando il partito d'Azione ha chiesto che, invece di dire: "Tutto è confermato tranne quello che è abrogato", si potesse avere un minuto di rottura di continuità... Quindi la risposta è che tutto era interno allo Stato, poi potevano esserci anche quelle cose che voi, nel loro meccanismo, siete riusciti ad individuare. Era tutto e si sapeva tutto lì dove si conosceva la politica; si sapeva cosa fosse Cefis, Eni e Agip, lo sapeva il partito Comunista, lo sapeva Lami, la politica di Milazzo e nelle pieghe di tutto questo potevano esserci poi le impunità per i servizi deviati, le informazioni sessuali sul candidato... e via dicendo. Il problema era questo: si mandava in galera un generale dei Carabinieri se era più di sinistra o più di destra. Non si diceva questo è impossibile. C'era tuttavia una cosa e la dico per coloro che allora erano nel MSI. Quando il sistema era spremuto qualcuno tirava lo sciacquone e lo si faceva proteggere dall'immunità parlamentare eleggendolo nel Movimento Sociale Italiano. E il MSI pagava queste cose duramente, perché non erano persone appartenenti al suo dna. Il sistema ha funzionato e bene. Quindi la mia risposta è che queste stragi erano implicite, necessarie al degrado dello Stato, al peggioramento cinico, stupido del diritto, all'illusione di tutta la serie che va dalla legge Reale, ancora comprensibile, alla marea di decreti dell'unità nazionale, alle bestemmie che individuavamo.

PRESIDENTE. Questo però porterebbe ad una conseguenza assurda - me lo lasci dire - ovvero che il terrorismo e le stragi sarebbero esistiti solo per poter realizzare le leggi dell'emergenza.

PANNELLA. Io non ho detto questo e non intendo dire questo, ma affermo una cosa diversa. Abbiamo avuto una cultura politica nella quale le scelte politiche e storiche sono state fatte da forze politiche che non avevano nel loro dna nessun senso dello Stato. Avevano senso di parte e di partito e hanno espulso dal loro interno quanto ci fosse di sensibilità liberale. Questo è valso perfino nel partito liberale italiano, perché allora il corporativismo, per denunciare un altro aspetto che è strutturale alle bardature corporative, al proseguire dell'illusione gentiliana, corporativista, ma tutta antidemocratica e antiliberale... Voglio dire che quando le contraddizioni di una società, gli istinti di una società... Scusate ma io credo che l'America sia ancora la più grande democrazia del mondo e anche la più umana, e i suoi presidenti muoiono ammazzati continuamente. Non voglio dire quindi che lo si fa per difendere la grandezza americana; no, ma quando non c'è senso liberale dello Stato, ci si difende con concezioni emergenzialiste dal 1975 in poi e, fino a quella data, si difende il corpo dei fratelli Rocco - splendido corpo - e lo si fa da parte del partito comunista e di tutto il Parlamento, negando in Italia quel referendum con il quale i radicali vogliono far fuori all'80 per cento il Concordato e una serie di altre cose, come dicono i sondaggi. Si impedisce di progredire. Quando si perdono grandi confronti ideali, predominano le risse. Il fatto che l'Italia sia stata depauperata di grandi confronti, di grandi partiti, di spoil system veri, ha fatto sì che con chiunque, un po’ di più un po’ di meno, D'Amato restasse e restassero quelli che durante il caso D'Urso hanno agito, al di fuori dello Stato, indisturbati, senza domande, l'Espresso, Scalfari, De Benedetti, con i magistrati che si fermavano perché si spaventavano a vedere quel che poteva venir dopo.

Seconda domanda: Rumor plausibile? Plausibile, non posso dire di più. Però c'è una cosa che probabilmente vi farà ritenere Pannella assolutamente incorreggibile e quindi inutilizzabile. Le dimissioni del presidente Rumor dalla carica di Presidente del Consiglio, attribuite alle minacce di rivolta sociale e di grandi conflitti, si verificarono invece per un altro motivo: fu il Presidente del Consiglio cattolico e veneto che rifiutò di controfirmare il referendum sulla cosiddetta legge Fortuna, cioè quella relativa al divorzio. Lui si è dimesso in tempo e non lo ha controfirmato. Lui era davvero un uomo di partito, quindi avrebbe messo in crisi il Governo perché c'erano i rischi della rivolta sociale e degli scioperi? E’ da ridere, ma è passata come la verità ufficiale. La verità era che Rumor era un cattolico che non intendeva mettere quella firma; in alcuni articoli de "L'Osservatore Romano", di non ricordo chi, forse padre Concetto, si descriveva come un cattolico si sarebbe dovuto comportare al momento in cui avesse dovuto controfirmare un provvedimento del genere.

PRESIDENTE. Su questa vicenda di Rumor vorrei dire una cosa. Può darsi che la mia lettura delle carte del giudice Salvini non sia esatta ma l'impressione che ho è che lui non dica mai da nessuna parte che Rumor avesse promesso di dichiarare lo stato di emergenza. Lui dice che in determinati ambienti c'era il convincimento che lo avrebbe potuto fare, il che però è una cosa diversa.

PANNELLA. Io non conosco affatto il giudice Salvini perché non ho avuto la possibilità tecnica di conoscerlo; ho sempre ritenuto che le dimissioni di Rumor non avessero nulla a che vedere con questa storia, conflitti sociali, richieste di dichiarazioni di stati di emergenza eccetera, ma molto più semplicemente, molto più italianamente, seriamente e bellamente erano motivate dall'indisponibilità di coscienza ad apporre quella firma. Per il resto confesso tutta la mia ignoranza, non conosco nulla di Salvini. Allora quel gesto di Rumor non mi sorprese, me lo aspettavo. Per quanto riguarda poi l'uso politico di Aldo Moro, ritengo che il primo Governo Andreotti-Cossiga e l'altro più di unità nazionale abbiano dato molto spazio ad un disegno sostanzialmente e formalmente eversivo e golpista. Anche qui cito dei fatti: i decreti che si susseguivano ed erano ferocemente difesi in Aula solamente dal Partito comunista italiano in modo efficace, dandogli vigore morale e legittimità politica sotto il clima della necessità, dinanzi al pericolo di "Annibale alle porte", anzi, già dentro l'Italia. Vi erano decreti fatti per poter, indipendentemente dalla circostanza che il Parlamento li avesse poi utilizzati o meno, creare subito la possibilità tecnica che il Ministero dell'interno, e magari D'Amato, chiedesse ai giudici informazioni coperte dal segreto istruttorio sulle indagini inerenti il terrorismo e le stragi. Lo dicemmo allora come esempio e si è verificato per due di questi. In effetti, non appena approvato il decreto, dal Ministero dell'interno ed ovviamente in esecuzione di questo si chiesero delle informazioni a Milano e ad Ancona, mi sembra (vi chiedo scusa della mia imprecisione ma credo abbiate gli strumenti per verificare questi dati). Era una valanga di decreti incostituzionali, alcuni a livello scolastico.

E veniamo al caso di Giorgiana Masi, che richiamo perché diverso: è una provocazione estrema. In queste cose Cossiga ha sempre detto di essersi consultato in coscienza con i comunisti, lui a volte ha detto di essersi consultato proprio con Enrico Berlinguer sul vari problemi, d'altra parte ciò era evidente dallo svolgimento dei lavori d'Aula e nelle nostre Conferenze dei Capigruppo con Ingrao alla Camera dei deputati. C'è un decreto emesso a seguito di comportamenti "purulenti" delle forze dell'ordine a Roma. Noi affermavamo da Radio radicale che, ad esempio, era chiaro che un corteo che veniva da Via dei Volsci era protetto nel suo percorso dalla Polizia e chiedevamo perché non si intervenisse; era prevedibile, erano scortati ed erano tutte manifestazioni vietate.

PRESIDENTE. Questo ce lo ha detto l'altra volta, però in quella occasione lei disse che tutto sommato questa escalation della tensione era funzionale ad un disegno che doveva poi portare Visentini a...

PANNELLA. Sitratta di due periodi un po' diversi.

PRESIDENTE. Però la vicenda di Giorgiana Masi attiene al secondo periodo.

PANNELLA. No, la vicenda di Giorgiana Masi è aperta a quel periodo ma anche ad altri.

PRESIDENTE. Allora la mia domanda è: Cossiga in tutta questa vicenda che ruolo aveva? Lui partecipava ad una specie di congiura o di golpe....

PANNELLA. Presidente, lo stavo spiegando un minuto fa e mi sono assunto la responsabilità di dire che ritengo esistessero disegni soggettivi eversivi e stavo spiegando a partire da quali dati ho ritenuto di dover fare questa affermazione in Commissione.

PRESIDENTE. La cosa strana è che lui è venuto qui in Commissione ed ha difeso il suo partito; invece, secondo questa tesi, complottava per abbatterlo.

PANNELLA. Certo, queste sono delle cosiddette scorie della storia. Ciò che a me importa è di continuare ad assumermi la responsabilità di dare adesso questa risposta dicendo: sì, noi abbiamo avuto tali comportamenti a livello soggettivo da parte dei massimi poteri dello Stato italiano. Probabilmente non è che si riunivano in Consiglio dei ministri per approvare queste scelte, ma comunque era chiaro che dolosamente si cercava di uscire fuori dalla situazione del Paese, che ciascuno giudicava come giudicava, attraverso un disegno eversivo di sospensione della Costituzione, che si realizzava anche con lo stato di necessità. Ciò avviene ad esempio quando il presidente della Camera Ingrao è d'accordo nell'impedire l'esercizio di poteri di indirizzo che spettano al Parlamento sul caso Moro e lo impedisce fino in fondo; o quando si costringe di fatto, per accordo dei partiti, a rispondere all'attentato di Via Fani ed al pericolo delle Br, anziché con la constatazione che c'è un Ministro dell'interno ed un Governo che hanno reso possibile questa situazione e quindi si deve alzare la bandiera della democrazia nominando un Governo diverso, con la creazione di un Governo senza dibattito, un Governo che non si sarebbe fatto senza Via Fani. Era noto che alle due di notte, dinanzi all'elenco dei Ministri, Natta ed altre persone avevano detto che non si poteva dare più la fiducia ad Andreotti. In quella circostanza noi chiedemmo un dibattito approfondito: l'Italia deve rispondere ai brigatisti e agli altri con un grande dibattito per fare un Governo adeguato. No, con toni giacobini si risponde di no perché "Annibale è alle porte". Ma Annibale chi? Quei quattro lì, li avete visti. Questo fu un tradimento della Costituzione.

PRESIDENTE. Erano quei quattro lì che però avevano vinto cinque-zero a Via Fani.

PANNELLA. Ma noi abbiamo sempre detto, e lo ha detto Sciascia e lo abbiamo detto noi in altre relazioni, che dalle Br all'interno erano venuti moniti e preavvisi su questa operazione, preavvisi diretti all'interno dello Stato, di uno Stato piduista e antipiduista, di uno Stato di corrotti che erano nella P2 (non che tutti i piduisti fossero corrotti; diciamo di democratici corrotti) e di comunisti lucidi che tentavano di perseguire l'obiettivo della salvezza del paese, eccetera, attraverso l'individuazione in quel nocciolo duro efficientista della borghesia e con i contatti che c'erano, si gioca anche quella carta. Ma voglio arrivare a parlare di quando si emana il decreto che sospende i diritti di manifestazione a Roma, i diritti delle forze non violente. Stiamo raccogliendo le firme sui referendum, tutti quelli contro i decreti e via dicendo, importantissimi (c'era anche poi altra "robetta", cioè l'aborto e altre cose); ebbene, a quel punto a Roma ci si impedisce la raccolta delle firme, i tavoli e via dicendo. Noi il 12 maggio, nell'anniversario della vittoria, come sempre, facciamo qualcosa a piazza Navona. Quindici giorni prima vado da Cossiga, vado da Ingrao, eccetera, e sollevo il problema di questo decreto riferendomi al 12 maggio; intanto gridiamo che quel decreto sospende la democrazia e che se, quindi, si arriva all'uso della forza, qualcuno ammazza qualcun'altro delle forze di polizia, noi temiamo che il decreto lo estendano a tutta l'Italia. Lo diciamo subito che non è costituzionale, ma viene emanato e lo schieramento di Unità nazionale lo conferma, anche con urla contro di noi in Parlamento, quando noi facciamo questa critica. Il 12 maggio riusciamo ad ottenere alla fine l'avallo a quella convocazione anche dei sindacati, con i quali avevamo un pessimo rapporto, e con grosso interessamento del presidente Ingrao. Siamo in assoluta mancanza di legalità. Quel pomeriggio tutto era stato organizzato in modo da creare una strage, e io non conosco la tentata strage ma conosco, secondo il codice italiano, una strage. Abbiamo predisposto un libro bianco che lo ritengo clamoroso, da questo punto di vista, e abbiamo avuto subito assegnato al tandem D'Angelo-Santacroce (che poi qualcuno ha conosciuto in altre occasioni subito dopo), prevedendolo, l'accertamento delle verità su quel pomeriggio. L'andamento di quel pomeriggio è chiaro; c'è stato un solo fatto: quasi per miracolo e per caso siamo riusciti ad impedire una strage che doveva sicuramente scattare alle quattro del pomeriggio a piazza San Pantaleo, a Campo de' Fiori, in cui c'è stato oltraggio al Parlamento, il Ministro ha dichiarato il falso al Parlamento tre volte, dicendo che la polizia non avrebbe mai sparato (abbiamo dato per fortuna un pezzo filmato con la polizia che sparava); si è detto che da parte dei manifestanti vi erano degli armati che sparavano contro la polizia: state attenti, è vero, e riuscimmo ad ottenere solo da "II Messaggero", perché il "Corriere della Sera" e "La Stampa" di Torino si rifiutarono per cinque giorni di pubblicarla, la pubblicazione della foto di un membro della polizia (ecco perché in Italia non è proprio la storia, Presidente); il capo della squadra mobile di allora a Roma era il dottor Masone e questi aveva accettato che i suoi uomini si armassero, vestiti o travestiti da autonomi, fossero di fronte alla polizia e sparassero; a riprova di ciò avevamo una foto che riuscimmo a malapena (ecco il clima d'Italia allora) a vedere pubblicata sul "Il Messaggero", perché non c'erano i venti o trenta morti. Quel pomeriggio con una voce che arrivava o dalla Questura di Roma o dal Ministero che noi registrammo e demmo ai magistrati...

PRESIDENTE. Questo ce l'ha detto già l'altra volta, onorevole

PANNELLA. Sì.

PRESIDENTE. Speriamo di poter finire questa sera l'audizione.

PANNELLA. La ringrazio, Presidente. Le chiedo scusa, ma era un riferimento correlato alla domanda. Quindi dico che in quel caso, per esempio, vi è stata sicuramente una scelta politica del Presidente del Consiglio, del Ministro dell'interno, del Partito comunista, in tutto il periodo nel quale si è compiuto quello che sicuramente è un atto anticostituzionale, cioè si è impedito al Parlamento di esercitare il suo potere-dovere di indirizzo, non si è consentito nessun dibattito, mai, si son fatte cose dell'altro mondo, non si è permesso nelle televisioni di dare atto di un qualsiasi dissenso di impostazione. Noi, nemici di Moro, dicevamo, come ho ricordato, "Moro presidente del Consiglio", "Moro presidente della Repubblica", per salvarlo, sapevamo che doveva mantenere un valore, e una voce ci diceva nel Transatlantico: "Deve morire, perché ormai lui... ", e via dicendo. E’ stato tutto coerente e coerenti poi sono state tutte le storie che abbiamo visto, che conosciamo, che poi sono venute e che non ripeto. Quindi sì, c'è stato un disegno eversivo, in gran parte lo si è realizzato; se è eversivo, si deve sospendere e mutare, anche contro la Costituzione, il funzionamento delle istituzioni. Circa le responsabilità, sono quelle che Cossiga poi ha dichiarato quando era presidente della Repubblica e che rispondeva, quando gli chiedevano: "Ma con chi faceva queste cose?" dicendo: "Con Berlinguer". Conosciamo i drammi di coloro (è stato citato prima Gughi Baduel, io posso citare Franco Salvi) che allora erano più vicini a Moro e che erano più vicini anche a Zaccagnini; in quei giorni chi ha avuto la grandezza storica di fare le sue scelte e la sua lotta era il Partito comunista, e infatti il Partito comunista aveva il prestigio, e l'ha avuto morale, per essere il referente al quale persone della grandezza anche di Zaccagnini, Salvi, eccetera, hanno chiesto quotidianamente come reggere la situazione, come condurla. Devo dire che nelle Aule del Parlamento c'era la testimonianza di tutte le richieste di difesa rispetto ai decreti, eccetera, delle nostre iniziative, dei referendum del 1980. Quindi io credo che sia stato uno Stato fuori legge, uno Stato che non ha creduto alla legge, per il quale la legge non ha avuto senso, nel quale la legge è stata questa, cioè ha avuto forza di legge la "non legge" e la forza politica e sociale di organizzazioni di partito che si sono assieme unite e hanno assieme rissato. Circa il comportamento delle forze di polizia...

PRESIDENTE. Se la posso interrompere un attimo, onorevole Pannella, ho letto un bellissimo romanzo di Marquez che si intitola "Cronaca di una morte annunciata": ebbene, io più rifletto sul caso Moro più mi vado convincendo che sia una tragedia dello stesso tipo.

PANNELLA. Assolutamente.

PRESIDENTE. Cioè, nella storia di Marquez alla fine il protagonista viene ucciso da quelli che avevano lanciato segnali chiarissimi che lo volevano uccidere e avevano fatto di tutto per farsi fermare, però alla fine tutti i protagonisti della tragedia finiscono, sia pure staccati l'uno dall'altro, proprio con un senso di tragedia greca, per agire in maniera tale da rendere ineludibile la fine tragica.

PANNELLA. Certo, poi...

PRESIDENTE. Mi faccia dire, onorevole Pannella. Io mi vado convincendo che in quella vicenda di Moro poi in fondo ognuno nel suo ruolo assunse posizioni che alla fine portarono verso quell'esito tragico, perché il partito della fermezza poi non assumeva i comportamenti conseguenti, cioè le azioni di polizia che dovevano servire per liberarlo, perché si terrorizzava probabilmente delle conseguenze politiche che sarebbero potute venire fuori da un'azione militare in cui Moro sarebbe morto; il partito della trattativa non diede nessun contributo; cioè, si assistette al cinismo istituzionale del PSI, che tratta con Pace (abbiamo sentito la Faranda l'altro giorno, ci ha spiegato come andò la trattativa) ma non pensa che sia suo dovere andare a dare informazioni alla magistratura, ai corpi di polizia, su quello che sta avvenendo; e forse anche la famiglia, in qualche modo, era in possesso di informazioni che non dava ai corpi di sicurezza perché non si fidava; se questa mia lettura fosse esatta, anche il suo ruolo, onorevole Pannella, e del Partito radicale avrebbe contribuito a questa tragedia, perché pensare che viene rapito Moro e come prima cosa non si debba formare il Governo a me sembra una stranezza; io mi domando i corpi di polizia come si sarebbero sentiti all'idea che era stato rapito Moro e intanto il Parlamento italiano dibatteva se formare un Governo diverso da quello annunciato: non mi sembrava una buona idea, ci si sarebbe trovati in un momento di crisi con uno Stato acefalo, insomma.

CORSINI. Pannella oggi sottovaluta la presenza, il pericolo, l'incidenza, il consenso di cui le Brigate Rosse disponevano in quella stagione: non erano quattro scalzacani come si vuole far credere, insomma.

PANNELLA. Locredo: quando lo Stato dimostrava contro di loro di essere uno Stato come loro avrebbero voluto che fosse, credo che in effetti fosse difficile che noi creassimo davvero nel nostro paese...

PRESIDENTE. Io rispetto la sua posizione, onorevole Pannella, ma la mia impressione però che lei riporti oggi qui da noi (che invece saremmo impegnati nel tentativo di fare chiarezza) i contenuti di antichissime, e ancora vive, però, nella sua memoria, polemiche politiche. Forse le polemiche politiche non giovarono in quel caso.

PANNELLA. Signor Presidente, infatti continua anche lei a essere portavoce della stessa risposta politica di allora. Io affermo semplicemente che il cittadino Moro, il deputato e presidente del Consiglio democristiano aveva il diritto di non vedere sospeso lo statuto del suo partito. Le regole dello Stato servono nei momenti gravi o quando non sono necessarie? Le regole si sospendono quando c'è il nemico alle porte? Questa è la concezione prevalente in Italia: le regole liberali, le regole dello Stato, le regole democratiche valgono se il momento non è grave; altrimenti non valgono e ci si sbarazza di loro, ricorrendo all'emergenza. Questa è la cultura di Cossiga, questa è la cultura del Partito Comunista di allora (non parlo del PDS). Non sto dando un'interpretazione, dico semplicemente che in termini di diritto vi è stata una violazione di diritto ed una violazione della Costituzione quando il Parlamento non ha potuto esprimere il suo potere di indirizzo. Non parlo solo della legittima scelta, che io tuttavia ho ritenuto gravissima, di costituire il Governo in poche ore: non dico che fosse una scelta illegittima, è stata una scelta politica. Avevamo un Ministro dell'interno ed un Governo che ci avevano portato a questi begli esiti e in quarantotto ore viene rinnovata la fiducia con un Governo peggiorato e alle stesse persone! Per carità, ripeto, non ho detto che era illegittimo, ma sottolineo il livello della politica italiana, sottolineo il contenuto dell'accordo tra DC e comunisti nel Parlamento. Io contesto la legittimità della sospensione dello statuto della DC mentre un nostro collega chiedeva che si rispettasse almeno la Costituzione - così scriveva Moro dal carcere - e che si discutesse di come doveva morire, perché avesse almeno l'onore di essere menzionato negli atti del Parlamento.

PRESIDENTE. Non sarebbe stato più giusto discutere di come lo si doveva salvare, cioè andare a rintracciare la prigione e liberarlo?

PANNELLA. Questa è stata la nostra tesi. Noi affermavamo che se discutevamo ancora guadagnavamo tempo per cercare di controllare e di raggiungere le brigate rosse. E si poteva farlo, tant'è vero che poi abbiamo visto quello che è successo, mentre l'amore dello Stato e il salvataggio della Repubblica comportava per il Partito Comunista e persino per Zaccagnini in quel momento la messa a morte delle regole e la stessa morte di Moro. Poi non vi meravigliate se a Via Gradoli sono arrivati con le sirene spiegate senza sfondare la porta! Personalmente - ci tengo, signor Presidente, altrimenti dovrei solo chiederle scusa e andarmene - non sono qui a difendere una tesi.

PRESIDENTE. Sto accettando il dialogo.

PANNELLA. E’vero, la nostra può anche essere una interpretazione ideologica. Ma se uno afferma che la Repubblica si difende alzando la bandiera delle leggi, non smentendole astutamente dinanzi all'eversore, all'assassino, questo è vero, non è un'ideologia.

PRESIDENTE. All'interno della difesa delle leggi sono stati compiuti, in quei cinquantacinque giorni, alcuni atti che - sarà un mio limite - non riesco a capire. Per esempio, come sono stati costituiti i comitati di crisi? Che c'entrava il professor Vincenzo Cappelletti, direttore dell'Isitituto dell'Enciclopedia Italiana nel comitato di crisi che doveva salvare Moro? Qual è la sua risposta?

PANNELLA. La mia risposta è che non c'entrava nulla, ma dava tutte le garanzie al Partito Comunista e alla DC di non rompere l'anima: punto e basta. Che fossero piduisti di destra o di sinistra (anche se non significava nulla), in quel momento era la garanzia che si trattava tutto al di fuori delle sedi a ciò deputate: è stato un atto di rivolta, un golpe contro la Costituzione italiana. E’ come se lei mi dicesse che, dato che gli jugoslavi ci attaccano, a un certo punto viene sospesa completamente la democrazia italiana, al di là delle clausole costituzionali a tutti note sulla proclamazione dello stato di guerra. Questo modo di procedere continua ancora oggi: questa è la verità, signor Presidente. All'onorevole Corsini che mi chiede se, oltre al comportamento delle forze di polizia, vi siano state altre responsabilità - ed io aggiungo soggettive, per aggravare la sua domanda - io rispondo di sì. Noi abbiamo avuto un lungo disegno golpista, realizzato dall'unità nazionale, che si è fondato sulla violazione dei principi costituzionali ed ha provocato una legislazione della quale siamo tutti molto lieti per il successo dell'amministrazione della giustizia nel nostro paese.

Per quanto riguarda Mino, quando l'ho incontrato non sapevo che era della P2. Sapevo - l'ho già detto - che era un personaggio particolare. Io ricordavo l'esistenza di un colonnello Mino perché con l'ammiraglio Spigai era stato indicato, all’inizio della presidenza Saragat, come uno dei "generali del Presidente". Era l'epoca del SIFAR, De Lorenzo, eccetera. Però ho già detto che nell'ingenuità del suo modo di fare, questa persona - che io non conoscevo - mi fece capire di essere un anticlericale e un po' massone, così, discorsivamente, parlando male di "questi preti"; non ricordo cosa disse, ma il tono era quello di chi pensava che un radicale fosse necessariamente massone. Tutto lì. A posteriori ho riflettuto ma allora il mio riflesso era non chiedermi se uno avesse una targa oppure un'altra, ma cercare laicamente di valutare quanto mi veniva proposto.

Per quanto riguarda la domanda su Licio Gelli e la sua candidatura nel 1987, devo dire che, Gelli è stato potente, la sua organizzazione della politica è stata quanto meno rispettata dalle grandi forze politiche e dai poteri italiani. Quell'anno - Gelli era da almeno un anno in una giungla, irrintracciabile - nella nostra sete di verità io pensai e dissi pubblicamente che eravamo disposti ad andare al disastro elettorale - perché non avremmo avuto modo di spiegarci agli italiani, grazie all'assenza di democrazia e di rispetto dei diritti in Italia per quello che ci riguarda - pur di offrire a Gelli l'immunità parlamentare dietro la garanzia che lui avrebbe raccontato la verità. C'era stato un precedente e vi ho già fatto cenno: il generale De Lorenzo, che era stato attaccato soprattutto da L'Espresso e dai radicali, ad un certo punto chiese a Franco De Cataldo di difenderlo. Dopo averne parlato con me personalmente, Franco De Cataldo gli rispose che l'avrebbe difeso se egli avesse raccontato quello che sapeva, cambiando linea difensiva; e le cose che si seppero in quel momento, emersero proprio in base a questo impegno di De Lorenzo. Quindi, la nostra idea - lo dicemmo pubblicamente - era di offrire l'immunità al fuggiasco, a colui che poteva essere ammazzato da un momento all'altro. Ormai Gelli non faceva più comodo a parecchie persone e infatti scappava perché pensava che qualcuno avrebbe potuto ucciderlo. Abbiamo tentato di avere la garanzia che, in cambio dell'immunità parlamentare, ancorché relativa, Gelli si impegnava con noi a raccontare la sua verità; ma avemmo la sensazione che non poteva o non voleva dare questa garanzia e quindi non se ne fece nulla. Voglio sottolineare ancora che questa notizia la demmo noi.

PALOMBO. Vorrei ringraziare l'onorevole Pannella, anche a nome del collega Fragalà (che questa sera non può essere qui presente per "disservizi della compagnia di bandiera"): egli rappresenta indubbiamente uno spaccato reale della vita italiana per le battaglie, condivisibili o meno, che con grande coraggio e fermezza ha condotto in questi ultimi anni. Vorrei rivolgere all'onorevole Pannella cinque domande dirette e brevi: con il permesso del presidente Pellegrino, vorrei formularne prima tre, alle quali spero che l'onorevole Pannella riterrà opportuno rispondere, e poi altre due.

PRESIDENTE. Collega Palombo, lei è un esperto di interrogatori!

PALOMBO. Forse servono a qualcosa 39 anni di servizio nell'Arma! Vorrei sapere dall'onorevole Pannella, innanzi tutto, quali sono stati i collegamenti tra Licio Gelli, il Partito Comunista Italiano e i servizi segreti dell'Est, con particolare riferimento a quelli della Romania. Vorrei chiedere poi se e per quale motivo, a suo avviso, sarebbe utile audire l'onorevole Pietro Ingrao in merito al rapimento Moro e, sempre relativamente a tale vicenda, quali sono stati i rapporti tra l'ENI, Moro e il mondo arabo.

PANNELLA. In merito ai collegamenti tra Gelli, Pci e Romania, non so nulla; so quello che tutti abbiamo letto, ad esempio sul libro di Piazzesi e Giustiniani, con le polemiche e gli ulteriori aggiornamenti e che - appunto - non hanno mai dato luogo ad un dibattito politico. A ciò non potrei aggiungere nulla. Proprio perché so quelle cose, ritengo che qualificare Gelli come un agente doppio - anche a lungo - nella sua attività non mi sembra a priori arbitrario, tutt'altro!

PRESIDENTE. Neanche a me!

PANNELLA. La seconda questione - e mi rivolgo anche al senatore Corsini - riguarda il fatto di usare l'anticomunismo...

PRESIDENTE. Le recenti rivelazioni su Hass dimostrano che è diffusa la pratica della spia e della controspia o dell'agente al servizio di due sistemi.

PANNELLA. E’indubbio che ufficialmente la P2 abbia creato il suo impero con l'appello anticomunista e d'altra parte lo si è fatto con l'appello antifascista e magari antircorruzione democristiana; il problema è quale uso si fa della forza che così si ottiene! Nel 1976 troppo a lungo dichiarai che dieci milioni di italiani votarono Andreotti contro Berlinguer e altri 10 milioni votarono Berlinguer contro Andreotti per essere tutti e 20 milioni, non proprio turlupinati, ma insomma... Certamente hanno cercato di avere la forza nell'anticomunismo per trattare con il potere italiano. Per quanto riguarda Ingrao, la sua audizione sarebbe interessante; tuttavia, a mio avviso, la domanda da formulare dovrebbe essere non quella sul Governo che appartiene alla legittimità politica, ma la seguente: perché il potere di indirizzo non è stato consentito alla Camera dei Deputati? Era un potere-dovere, ma è stato vietato, non è stato consentito. O ancora, perché, ad esempio, quando Moro gli ha scritto, lui ha passato la cosa all'autorità giudiziaria invece che al Parlamento? In questo modo, formalmente, si è affermato che il Parlamento non se ne può occupare e che la questione riguarda l'autorità giudiziaria. Questa è una visione da anni '30 e non una visione democratica!

Per quanto riguarda l'ENI e Moro, non so nulla in particolare. Come noto, sono sempre stato un filoisraeliano convinto. La politica di Moro, come d'altra parte quella di Fanfani e buona parte di quella cattolica (non quella degasperiana), mi è apparsa molto sensibile al mito mediterraneo e al mondo arabo; sappiamo che il colonnello Giovannone era molto importante, ma non so nulla di specifico in proposito. Potrei soltanto dare rappresentazioni e interpretazioni, ma non fatti.

PALOMBO. In una dichiarazione lei ebbe a dire: "E’ importante non liquidare vicende che nascondono scheletri negli armadi del Partito Comunista Italiano e non solo, dicendo che sono vicende marginali e di nessuna importanza". Le sarei molto grato, onorevole Pannella, se ci spiegasse in modo un po’ più approfondito questo concetto.

PANNELLA. Abbiamo aperto l'audizione di stasera in questo modo, quando l'onorevole Corsini ha interrotto il collega Manca affermando che si trattava di questioni note: ecco, qui ci sono tante cose che si sanno, ma che non sono mai state riconosciute nella loro possibile significanza politica complessiva.

CORSINI. Vorrei fare una considerazione: in questo paese non c'è storia di partito politico più studiata ed indagata di quella del Pci.

PANNELLA. Non dalla politica, ma dagli studiosi e comunque neanche da tutti e non ha riguardato tutta la storia perché la situazione degli archivi...

CORSINI. Non credo vi sia sistema archivistico più aperto di quello del Pci.

PANNELLA. Sì,c'è quello del Partito radicale!

PRESIDENTE. Ho stima del senatore Palombo, a cui voglio preannunciare che, come Presidente di codesta Commissione, cercherò in tutti i modi di impedire che accada una cosa: ormai siamo in possesso di una serie di verità; può darsi che non siano le verità ultime o che vi siano strati ancora più sotterranei e ulteriori chiavi di lettura delle vicende, però codesta Commissione, a mio giudizio, ha il dovere di iniziare a rivelare queste verità. Infatti, non possiamo iniziare con un gioco di specchi ad aprire scenari infiniti, rispetto ai quali dovremmo cominciare da zero per trovare riscontri, affinché ciò serva a non dire le cose ormai accertate, o semmai ad ascoltare un appello come quello di Dario Fo - che io rispetto ma che secondo me non ha senso - che la storia della strategia della tensione e la storia della divisione Pastrengo all'interno di quella strategia è stata scritta ormai negli atti giudiziari: perché allora non dobbiamo dirlo agli italiani? Poi faremo altre indagini, però abbiamo il dovere di dire: oggi abbiamo accertato questo! Vi potranno essere altri accertamenti, ma - ripeto - quello che abbiamo accertato rimane tale; oppure dobbiamo andare sempre a ricasco dell'autorità giudiziaria per dimostrare questa incapacità del Parlamento di dire quanto già sa con sufficiente chiarezza?

PALOMBO. Non sono d'accordo con la sua osservazione, ma credo che essa non abbia alcuna attinenza con la domanda che ho rivolto all'onorevole Pannella: credo, infatti, che siamo andati un po' fuori tema.

PANNELLA. Io, pero, le ho risposto: le ho detto che sono assolutamente convinto che la storia italiana di questi dieci o quindici anni è stata piena di cadaveri di ogni tipo, che stanno tutti nell'armadio della verità storica italiana.

PALOMBO. L'ultima domanda che intendo rivolgerle forse potrà sembrare ingenua ed è già stata formulata ma lei, onorevole Pannella, è un personaggio molto interessante...

PRESIDENTE. Su questo sono d'accordo.

PALOMBO. …che sa tante cose e le dice (si deve darle atto di questo perché ha sempre dette le cose che pensa!). La domanda è la seguente: cosa è accaduto realmente negli anni intercorsi tra il 1969 e il 1974? Che possibilità vi erano di portare a termine colpi di Stato in funzione anticomunista con un Partito comunista forte, che aveva la possibilità - come, d'altra parte, ha attualmente la sinistra al Governo - di mobilitare grandi masse di militanti? Chi avrebbe potuto organizzare un colpo di Stato e quali potevano essere le possibilità di riuscita? Non le sembra che affidarsi alle dichiarazioni, senza prove di riscontro, di funzionari, di pentiti, di ufficiali e anche di carabinieri (magari amareggiati per non aver ottenuto un posto di prestigio dopo il collocamento in congedo) possa essere pericoloso e riaccenda e sobilli rancori? In questo caso, mi riferisco all'allucinante vicenda della signora Franca Rame: la tristissima vicenda di violenza subita dall'attrice, nonostante gli anni trascorsi, non può che suscitare indignazione e ferma condanna. C'è però da dire questo: non sarebbe più importante, secondo lei, prendere in esame solo fatti facilmente riscontrabili invece di dare spazio a gente amareggiata o, peggio ancora, a dichiaranti che poi si scopre essere trafficanti di droga o grosse canaglie? Una maggiore moderazione non gioverebbe alla politica, al paese, a tutelare la memoria di chi non c'è più e che quindi non si può neanche difendere, soprattutto a tutelare un'istituzione come l'Arma dei carabinieri verso la quale è in atto il tentativo strisciante, ma non più di tanto, di colpevolizzare l'istituzione, guarda caso sempre nel momento in cui il Parlamento ha all'esame proposte legislative di primaria importanza per il ruolo che l'Arma stessa dovrà assumere nei prossimi anni nel sistema di sicurezza nel nostro paese? Mi riferisco a dichiarazioni come quelle riportate dal quotidiano "la Repubblica" in un sottotitolo dove, dopo l'affermazione "II generale gioì per lo stupro", viene riportata virgolettata la seguente frase: "Avete violentato Franca Rame. Era ora!". A chi ha rivolto questa frase, agli autori della violenza? Un giornale come "la Repubblica" che scrive queste cose in questo modo mi preoccupa. Si legge ancora che in caserma c'era euforia: "Pensai che fosse solo questione di cattivo gusto". Me lo immagino l’appuntato pugliese che lavora a Milano con uno stipendio di 200.000 lire al mese che gioisce perché è stata violentata Franca Rame! Questo generale Bozzo parla di ritardi nella carriera; ma era un miracolato, veniva chiamato Lazzaro perché fu messo in pensione, poi riciclato ed infine posto a capo di una divisione! Ed ora infanga l'Arma e la stampa riporta queste cose, si arriva a scomodare il Presidente della Repubblica. Ma chi le ha dette queste cose? Pittaresi, che è stato arrestato perché è un trafficante di droga, perché è una grossa canaglia. Eppure si dà risalto a queste cose. Quando finiremo di chiudere la nostra inchiesta se si aprono nuove finestre attraverso dichiarazioni di gente inqualificabile, impresentabile e di altri che purtroppo sposano la causa di queste persone? Sono amareggiato per questi fatti che portano il nostro paese sempre alla ribalta per certi motivi. Esprimo la massima solidarietà a Franca Rame che stimo per la sua capacità e per la sua arte. Questo è solo uno dei casi, ma ce ne sono stati tanti altri in cui si è dato ascolto a persone che poi si sono rivelate inattendibili ed inqualificabili. Quindi le chiedo, onorevole Pannella, se può dirmi cosa è avvenuto realmente negli anni che ho indicato e che possibilità vi erano per questo colpo di Stato in Italia. Ho vissuto quei momenti, ero in uniforme e posso giurare sul mio onore che non ho mai sentito né ho avuto la sensazione che vi fosse un solo preparativo in tal senso. Come dicevo nell'audizione del senatore Andreotti, nel momento in cui si sarebbe dovuto compiere questo famoso colpo di Stato avevamo pochissimi carri armati; in un battaglione ce n'erano sei e per farne andare due bisognava cannibalizzare gli altri. C'è stata gente che ha sbagliato, ma perché buttare questo fango, perché sollevare questo allarme continuo? Il paese ha bisogno di serenità, di spinte per lavorare, la gente ha bisogno di stare tranquilla e non è possibile buttare veleno in continuazione. Per questo rivolgo all'onorevole Pannella queste domande in quanto sicuramente egli potrà dirmi qualcosa per togliermi di dosso le angosce che mi porto dietro.

PANNELLA. Rispondo con un fatto. Perché il presidente Giovanni Leone si dimise? Per lo scandalo Lockheed? Per altre nostre denunce puntuali? Vi fu qualche seguito istituzionale? No. Ricordo quando noi riportammo il 43 per cento dei consensi in condizioni di esclusione peggiori del fascismo e del comunismo da parte delle televisioni e dappertutto. Fu l'anno del bavaglio. Allora vi erano soltanto due telegiornali e ricordo quando il principale di essi alle ore 13 disse: "Questa mattina si sono aperte le urne. Votano sì ai referendum i radical-fascisti e i terroristi. Votano no ... " Fu un giornalista ora scomparso a dirlo, Rocco. Così affrontammo il referendum e in quelle condizioni prendemmo il 43 per cento, unico partito a sostenerlo perché anche il Movimento sociale italiano era favorevole al finanziamento pubblico; e il Partito comunista, ancora una volta il partito dell'intelligenza e della battaglia storica, decise che bisognava mollare qualcosa a questo paese che dava il 43 per cento dei consensi ad un partitino dell'1,1 per cento, senza libertà.

PRESIDENTE. Di quale referendum parla?

PANNELLA. Quello sul finanziamento pubblico dei partiti. Non avemmo alcuna possibilità di difenderlo, venimmo linciati dappertutto.

PRESIDENTE. Che c'entra con le dimissioni di Leone?

PANNELLA. Sostengo che si decise di mollare d'urgenza all’opinione pubblica qualcosa. Non avendo voluto svolgere sulla Lockheed un'indagine seria, avendo preso solo quattro polli, poverini, socialdemocratici, si pretesero in realtà le dimissioni di Giovanni Leone. E’ una cosa di cui ancora mi vergogno per il nostro paese, non certo per le battaglie che facemmo. Per la Lochkeed già funzionò l'unione nazionale e si fece pagare a Tanassi ed a Gui. Cosa intendo dire? A un inizio di risposta: un Presidente della Repubblica che certamente fu l'ultimo - e tutti sanno quanto ho adorato ed appoggiato Pertini - ad agire sicurissimamente nel rispetto della Costituzione è stato costretto a dimettersi, apparendo quindi all'opinione pubblica come qualcuno che doveva confessare una propria indegnità. Non ha avuto il diritto democratico di essere processato ed assolto. Fu un atto di protervia dell'unità nazionale e del Pci. Un solo colpo di Stato era possibile; è stato fatto ed ha avuto successo: quello di liberare dalle ipoteche - rivoluzionarie in fondo in questa nostra società - liberali lo Stato concepito dai costituenti. Questo è stato portato a termine con la violazione della Costituzione (golpe) e la negazione dei diritti costituzionali, con un ordine giudiziario che è stato totalmente omogeneo, per cultura, a questa liquidazione dello Stato liberale. Questo sì, ma nessuno in Italia poteva immaginare, nessuno poteva essere così idiota, imbecille o pazzo da pensare di realizzare con successo un golpe che mettesse fuori legge il Pci. E Borghese sicuramente non aveva questo disegno. Quindi la risposta è che si è trattato di un golpe strisciante, pubblico, ufficiale, continuo, finalizzato alla liquidazione di quelle parti della Costituzione italiana che erano di pretta derivazione liberale.

PRESIDENTE. La domanda di Palombo era: a quale disegno erano funzionali le stragi?

PANNELLA. E’quello di eliminare l'autorità formale dello Stato. Alcune le ha spiegate lei, signor Presidente, quelle che abbiamo ricostruito. Spero che ricostruiate anche le altre.

CORSINI. C'è un problema cronologico, nel 1969 chi realizza la strage di piazza Fontana lo fa pensando che dopo qualche anno ci sarebbe stata l'unità nazionale?

PANNELLA. Non ho letto Salvini. Rispondo che certamente queste persone non erano di grande intelligenza perché era chiaro che ogni attentato all'umanità della vita della nostra società sarebbe invece servito come ulteriore rafforzamento della necessità di unirsi contro la barbarie. Questo è pacifico. D'altra parte, per la terza volta vorrei sapere, per esempio, se è vero o è un errore di memoria che la prima sede del Partito radicale visitata quella sera della strage di Milano fu quella di via Lanzone n.1, e se è vero che il capitano della celere, Margherito, fu processato per avere detto a Peschiera di aver avuto sostanzialmente l'ordine di ammazzarmi, di liberarsi di me, durante una marcia...

CORSINI. Questo non mi scandalizza nemmeno un po'. Le posso dire come testimonianza personale che la prima abitazione perquisita il pomeriggio stesso dopo la strage di piazza della Loggia è quella che un ex partigiano comunista, Bailetti. Perché questo è il meccanismo spontaneo e la cultura introiettata da anni dalla polizia italiana.

PANNELLA. No, ma li c'era un tentativo molto più lungo: dietro quella visita c'erano stati tentativi da tempo di attribuirci Valpreda, di attribuirci Pinelli, di attribuirci, attribuirci, attribuirci... Era andata male. Devo dire alcune cose che mi sembrano pertinenti. Noi eravamo già allora dei liberali, mi pare; questo era il senso della nostra presenza. Il tentativo di vedere se si riusciva ad accollare la responsabilità a noi, per ingenuità eventuali che non ci sono state, è stato perseguito a Roma, a Milano, costantemente; noi che combattevamo contro l'unità nazionale, che avevamo alcuni punti di riferimento: noi che rappresentavamo - le chiedo scusa - il rischio, se non ci fosse stata una Corte costituzionale che stabiliva che dopo quello sul divorzio non si potevano fare i referendum sui codici fascisti e quindi sul concordato (i sondaggi di allora, imperfetti, davano il 75 per cento di sì a questa nostra iniziativa) di una rivoluzione italiana. Quali furono le forze politiche? Tutte, ma le assicuro che la DC non ha mai avuto in quel momento la forza di fare checchessia anche nei momenti del divorzio: le leggi Bozzi, Carrettoni, eccetera, per far fuori i referendum non venivano dalla DC o dalla Chiesa, non ce la facevano. Noi abbiamo fatto ilreferendum il 12 maggio 1974 perché siamo riusciti miracolosamente ad impedire l'approvazione di quelle leggi che il Partito comunista promuoveva: della Carrettoni...

CORSINI. La legge sul divorzio l'abbiamo votata.

PANNELLA. Scusi,ma perché mi fa dire una stupidaggine: non ho mai detto che non è così.

PRESIDENTE. Onorevole Pannella, lei è una persona intelligente e come tutte le persone intelligenti non possiamo piegare poi i fatti alle nostre ricostruzioni. Che cosa sappiamo con certezza? Prescindiamo da Salvini. Noi sappiamo con certezza che una serie di persone, tra le quali mi risulta difficilissimo che ci fosse l'unità nazionale - Freda, Ventura, Pozzan, Giannettini, Delle Chiaie - sono state a un certo punto, non voglio dire se giustamente o ingiustamente (le indagini della Magistratura si indirizzavano su di loro come possibili autori della strage di piazza Fontana) aiutate dai nostri apparati di sicurezza per sfuggire alle indagini giudiziarie e rifugiarsi in Spagna. Una deputazione di questa Commissione è andata a interrogare l'uomo che allora reggeva i Servizi; può darsi che sia riuscito a ingannarmi, ma non ho avuto affatto l'impressione che Maletti fosse un golpista. Mi assumo la responsabilità di quello che dico. Può darsi che sia riuscito a ingannarmi ma la mia impressione non è stata quella. Allora mi domando perché Maletti ha protetto queste persone. Probabilmente voleva coprire legami che queste persone avevano avuto e che veniva ritenuto politicamente opportuno non emergessero. Questa è la storia semplice che noi dovremmo raccontare agli italiani. Io sono d’accordo con Palombo: in Italia non c'erano le concrete possibilità di un golpe militare. Questo non toglie che frange estremiste e schegge delle istituzioni abbiano potuto coltivare questo progetto, non ispirato dall'unità nazionale. E infatti le stragi non sono servite affatto a determinare poi il golpe e persone che indubbiamente non erano golpisti, erano uomini d'ordine, avevano maggiore preparazione, maggiore intelligenza, maggiore cultura, anche maggiore senso dello Stato - però devo dire che Maletti ci ha detto con grande chiarezza: "fino al 1974 non mi avevano spiegato che dovevo difendere la Costituzione" - hanno finito per pagare "prezzi" maggiori rispetto agli autori delle stragi. Questa è una delle caratteristiche di tutta questa vicenda: Maletti si è visto condannato a 12-14 anni di carcere per una vicenda che a me sembra poi non gravissima, anche se illecita, come quella del rapporto Mi.Fo.Biali. Ci possono essere poi valutazioni politiche più complesse, i limiti dell'opposizione del Partito comunista... su questo potremmo discutere moltissimo, però c'è ormai un livello di realtà così facilmente percepibile che non vedo perché dobbiamo fare questo sforzo per dare una lettura diversa, che poi finisce per farci perdere di vista queste cose che sappiamo con certezza.

PANNELLA. Presidente, quando lei ha questo tono di estrema ragionevolezza...

PRESIDENTE. Lei diffida, ho capito.

PANNELLA. …io sto un po' attento. Si dice: "perché dobbiamo esagerare, via, abbiamo già trovato delle cose così importanti, che vogliamo ancora?". Lei è partito da una premessa che è quella che usiamo tutti quando troviamo dinanzi a noi una verità che ci pare avere una sua dignità ma che è paranoica, paranoide, quindi tende sempre a ricondurre ad una sola spiegazione tutto quello che accade nella vita; e la conosciamo, no?

PRESIDENTE. Questo è sbagliato.

PANNELLA. Questo ovviamente è sbagliato, ma forse non è in questo caso del tutto azzeccato attribuire solo a questo le cose che stavo tentando di dire. Non è infatti solo il senatore Staniscia, ma perfino qualcuno che ha delle caratteristiche del tutto diverse, come l'onorevole Corsini, che quando io dico: "A" capisce: "antiA". Ho forse detto che non c'è stato il voto dei comunisti italiani per vincere quel referendum? Ho detto una cosa diversa e il processo verbale glielo dimostrerà: ho detto che per ottenere quel referendum abbiamo dovuto lottare innanzitutto e soprattutto contro il Partito comunista italiano che voleva impedirlo, tutto qui. E questo, Presidente, non è voler spiegare tutto. Stavo dicendo che c'è stato un momento nel quale l'ipoteca liberale forse è apparsa pericolosa, ed è proprio quando c'è stato quel referendum che il Partito comunista voleva assolutamente impedire sostenendo la legge Carrettoni che doveva superare la legge Fortuna e impedire che si tenesse il referendum, la legge di Aldo Bozzi che doveva superare... eccetera; ma non arrivarono a tempo, quel referendum fu fatto. Ho detto che in quel momento i sondaggi dicevano che se si fossero fatti anche i referendum - noi stavamo raccogliendo le firme ed eravamo arrivati al quorum prestabilito - per l'abolizione del concordato (quindi l'articolo 7 della Costituzione) e dei codici Rocco, perché il Parlamento non li aveva toccati, c'era una maggioranza del 75 per cento. Sarebbe stato forte che con l'1 per cento noi, con Loris Fortuna e con altri... In quel momento la cosa è stata liquidata, inventando le interpretazioni della Corte costituzionale sulla ragionevolezza dei quesiti; altrimenti fino ad allora si andava secondo Costituzione al confronto. Quel pericolo liberale è stato profondo: ha sconvolto la Chiesa, ha sconvolto l'ordine: soprattutto ha fatto emergere per un momento, in qualche misura, una candidatura di leadership, per coloro che in fondo credevano con Croce che questo è un paese che non ha mai avuto le riforme e sarebbe stato forse ora di farle. Siamo stati liquidati in due o tre anni e ancora adesso, quando dico: "non volevano i referendum" lei, onorevole Corsini, mi risponde istintivamente: "ma abbiamo votato tutti noi". Cosa c'entra, io dico che allora fu possibile che il popolo comunista inducesse poi alla fine anche il Partito comunista che non voleva il referendum dal 1922.

Ma dove sta scritto, presidente Pellegrino, che uno può tentare di fare colpi di Stato, eccetera, solo per il grande scopo di battere il comunismo e non per regolare anche al proprio interno degli altri gruppi di potere o scontri di gruppi di potere? Non sta scritto in nessun posto, è solo un pregiudizio. Allora, in uno Stato partitocratico, cioè con culture di fazione e non senso dello Stato ma con ragion di partito, l'aggregazione c'è stata e abbiamo compiuto in quegli anni una vera e propria rivoluzione. Cioè noi abbiamo peggiorato i codici Rocco, abbiamo peggiorato la concezione stessa e la realtà dell'amministrazione della giustizia e oggi facciamo i conti con tutto questo. Quando il presidente Pellegrino afferma che non dobbiamo schiacciarci sulle verità degli accertamenti giudiziari, mi domando se su Peteano Vinciguerra abbia detto tutto sui tre carabinieri assassinati, sulle responsabilità di un colonnello, poi divenuto generale dei Carabinieri, sull'imbarazzo dell'onorevole Almirante in quella situazione. Tutto ciò è qualcosa che nessuno sembra ricordare, perché la spiegazione suggestiva e sicuramente in gran parte Vinciguerra...

PRESIDENTE. Ci sono sentenze su questo.

PANNELLA. Certo, ci sono sentenze di una magistratura che non sono convinto abbia indagato tutti gli aspetti della vicenda, perché si son date coperture anche a destra, in alcuni casi.

CORSINI. Vorrei sollevare due obiezioni che ritengo rilevanti. Lei ignora (io ho pubblicato degli studi e ho usato una documentazione, dei materiali di prima mano e delle fonti che provengono da ambienti precisi) che a partire dalla costituzione del centro sinistra in Italia c'è tutto un mondo - posso citarle a memoria articoli di giornali "Moro e Fanfani i cavalli di Troia del comunismo italiano" - che si muove, e che percepisce che sta cambiando qualcosa (ci sarà il '64, la ripresa del movimento sindacale, il '68, il '69). C'è tutto un mondo che percepisce questo sommovimento della società italiana come una minaccia, come un rischio cui bisogna contrapporre qualcosa. C'è tutta una teorizzazione che non è semplicemente quella dei filosofi, dei politologi, degli studiosi di scienza della politica, perché le parole ad un certo punto diventano pietre, perché qualcuno a quelle parole crede, perché qualcuno quei disegni li vuole perseguire. Questi sono dati oggettivi, assolutamente riscontrabili. Quando ho chiesto al senatore Mantica...

PANNELLA. Scusi ma non vedo il rapporto.

CORSINI. Il rapporto è che non si può negare che a partire dalla costituzione del centro sinistra, e in ragione dell'evoluzione della società italiana, in modo particolare nell'ultimo biennio degli anni '60, qualcuno ipotizzi e persegua la necessità di una sorta di contro rivoluzione postuma, perché percepisce questo sommovimento come un dato rivoluzionario. Questo è un dato di fatto.

PANNELLA. Se siamo d'accordo su questo dato di fatto poi cosa succede?

CORSINI. Lei sta negando un dato che...

PANNELLA. Io sto negando che esistesse davvero la strategia... scusi ma così se la prende con quello che dico e non con quello che non dico, consistente nel mettere fuori legge il partito comunista italiano. Semmai volevano mettere fuori legge Riccardo Lombardi. Quando Cossiga si reca insieme a De Lorenzo da Segni, quest'ultimo è malato e gli viene il "coccolone" mentre gli spiegano i fatti. Vi sono dei dati che conosciamo, ma lei non spiega così vent'anni di storia...

CORSINI. In quegli anni il partito comunista viene percepito come una forza, che all'interno di un sottomovimento più generale della società, sta portando una sorta di minaccia all'ordine costituito. Contro questa minaccia si reagisce.

PANNELLA. Guardi che in quegli anni il pericolo, il linciaggio era rappresentato da una parte dei democratici, non solo dai comunisti. Contro di loro avviene lo scontro, perché a nessuno viene in mente di fare.... nemmeno al conte Sogno, malgrado Violante. A Sogno non viene in mente di mettere fuori legge...

CORSINI. Questo eventualmente può essere lo strumento per il raggiungimento di un fine, il disegno comunque è di battere quel movimento.

PRESIDENTE. In quel processo da lui promosso come querelante, Edgardo Sogno ha affermato che era pronto a prendere il mitra.

CORSINI. Non solo. Recentemente in un convegno ha dichiarato che nell'estate del 1974 stavano preordinando il tentativo. Sulla questione del PCI - voglio essere assolutamente onesto - lei afferma una mezza verità quando sostiene che all'interno del partito Comunista, tra il 1972 e il 1974, vi fu un dibattito molto acceso...

PANNELLA. Del tutto segreto.

CORSINI. No, no, del tutto pubblico. Gli atti della direzione del partito Comunista sono pubblici e li può leggere nei resoconti sull'Unità e sui giornali. In tale dibattito rispetto allo strumento vi erano componenti che avevano dei dubbi e altre componenti, che facevano capo a esponenti che lei ha personalmente conosciuto, che non avevano alcuna difficoltà a riconoscere che quello strumento, vale a dire il referendum, potesse essere la soluzione del problema che i radicali e la cultura liberale e socialista avevano posto.

PRESIDENTE. Era fatale, data la personalità dell'audito, ma stiamo trasformando l'audizione in un dibattito.

PANNELLA. Quanto al problema dei Carabinieri, parlando di Mino ho ricordato i tre carabinieri di Peteano e il capitano della celere Margherito. Sono vent'anni che cerco di avere gli atti di quel processo senza riuscire ad ottenerli. Era proprio all'interno di quelle marce antimilitariste che vi fu lo stupro di Franca Rame. Quel periodo lo ricordo molto bene e l'ho vissuto veramente. Mi ritrovai con la testa spaccata ad opera della seconda Celere di Padova, inviata a tale scopo a Udine; solo che avevo la testa molto più dura del previsto. Abbiamo vissuto quegli anni e devo dire che il colpo di Stato, la violazione della Costituzione che si compì non si configurò come un golpe classico. Noi non siamo una società sudamericana e non possiamo temere lo stesso tipo di golpe che si potrebbe avere in Sud America o in Grecia. Il risultato lo abbiamo ottenuto: abbiamo liquidato quanto di liberale i nostri costituenti avevano inserito nella nostra Costituzione e per farlo vi sono stati dei costi: stragi di legalità che hanno avuto qualche connessione con le stragi di persone.

PACE. Cercherò di essere breve. Rivolgerò all'onorevole Pannella tre domande iniziali ed infine una quarta, di carattere più generale. Volevo sapere qualcosa circa i rapporti tra l'Italia e il mondo arabo e, in particolare, tra l'Italia e la Libia. Alcuni di questi rapporti passavano attraverso l'Eni e vorrei sapere dall'onorevole Pannella se non ritenga che l'Eni abbia condizionato in parte la politica estera nazionale. Un'altra domanda riguarda il caso D'Urso e in particolare l'intervista di Senzani a l'Espresso: fu un'operazione editoriale? Di che tipo? Il caso D'Urso - ne abbiamo parlato anche la scorsa volta - che tipo di operazione politica fu? La terza domanda. Il caso D'Urso ebbe un seguito nel caso Cirillo. Non ritiene che fallito il tentativo di far fuori D'Urso ci abbiano poi provato con Cirillo? L'ultima domanda, di carattere più generale, si riallaccia ad alcune questioni, quali il cosiddetto partito di Yalta, la relazione Teodori e il cosiddetto corporativismo gentiliano. A mio parere definire il partito di Yalta come il partito americano o soltanto il partito americano, è riduttivo, perché se il partito di Yalta aveva come obiettivo - altrimenti lo definiremmo in un'altra maniera - il mantenimento dello status quo a livello internazionale, faceva comodo non solo agli americani ma anche al blocco che si contrapponeva ad essi.

PRESIDENTE. Questa è la chiave di lettura.

PACE. La mia curiosità, anche intellettuale, è la seguente: quando nasce il partito di Yalta e quando finisce? Si potrebbe pensare che il partito di Yalta finisca con il crollo del muro di Berlino e la fine dell'impero sovietico. Quando nasce? Mi viene in mente un libro che scrisse Canfora, credo dieci o dodici anni fa, che non può essere tacciato di essere storico e scrittore di Destra perché era un uomo di Sinistra. In quel libro si parlava dell'assassinio di Gentile e in esso Canfora citava dei brani importanti della relazione di Teodori e faceva riferimento ad un particolare importante riferendosi all'ultima guerra: a Berna era operativo il cosiddetto Ufficio delle operazioni coperte degli alleati occidentali; questo durante la guerra civile. Con questo Ufficio avevano rapporti importanti alcuni esponenti del Partito comunista italiano. Attraverso tali rapporti venne poi fuori la creazione dei Gap e da questo ufficio e a seguito anche dei rapporti che ebbero con questo esponenti comunisti italiani fu deciso anche l'assassinio di Giovanni Gentile, che poi come tutti sanno fu eseguito. Quindi, probabilmente questo partito di Yalta nasce durante la guerra civile italiana ed ovviamente nel periodo in cui ci fu l'accordo di Yalta. Vorrei quindi sapere cosa pensa l'onorevole Pannella di tale questione.

PANNELLA. Rispondo seguendo l'ordine delle sue domande. E’ chiaro che l'influenza sull'ENI è stata enorme e che non dico "la" ragione ma ottime ragioni hanno potuto indurre la politica italiana, quindi non necessariamente pressioni dell'ENI, a difendere dalle multinazionali e in particolare dalle situazioni americane l'autonomia del nostro Paese per ciò che riguardava tutta la politica energetica e via dicendo.

PRESIDENTE. Più che influire sulla politica estera diciamo che fu un momento che determinò una politica estera italiana dotata di una certa autonomia.

PANNELLA. Io ho appunto detto che Yalta ha significato un'Italia lasciata alla sua libertà, mentre nell'interpretazione del partito americano (ma non nell'accezione delle frange estremistiche citate dal presidente Pellegrino ma in altre letture che ci sono state) l'Italia era un paese a sovranità limitata perché vi era la presenza americana. Evidentemente non era così, quindi mi sembra evidente che noi abbiamo avuto a che fare anche poi con sensibilità diverse, così come ad esempio nel 1914 dovevamo fare i conti in Italia con le posizioni filo-Londra, filo-Parigi, con quelle dei democratici e dei liberali e quelle dei clericali, cattolici e via dicendo; ci sono vecchie tradizioni italiane e sensibilità che sono affiorate in quegli anni. Io dico che l'ENI è stata importante non per quanto ha condizionato la politica estera, credo che tale influenza sia stata poca o nulla, ma per quanto ha condizionato la politica interna dell'Italia: la sua corruzione attiva, la sua spinta alla nascita dello PSIUP o il prendere o meno il "taxi" del Movimento sociale italiano. Quello è stato davvero il momento massimo, il grande salto di qualità nella corruzione della nostra politica.

Per quanto riguarda il caso D'Urso, la nostra lettura è che quello che vedevamo in quell'arco di 40 giorni doveva essere un deterrente, la miccia per realizzare una grande operazione politica formale che era stata preannunciata e che passò attravero il carattere del presidente Pertini; Scalfari ne chiese quasi l'impeachment con un articolo di fondo. Si era convenuto che se dopo quello di Moro fosse venuto anche il cadavere di D'Urso, a quel punto, ed era in carica il Governo Forlani, si sarebbe fatto questo nuovo "Governo dei capaci e degli onesti" che, torno a dire, includeva il PCI, la P2, la P-Scalfari, ma non la P38. Esso prosegue con il caso Cirillo nel senso che soggettivamente Senzani si sposta su Napoli. A Napoli c'è l'operazione Cirillo che diviene poi un fatto nazionale -, "Repubblica" lo tratta in un certo modo. Ripeto, noi riteniamo non solo di aver salvato la vita di D'Urso ma anche quella di Cirillo mostrando alla stampa, all'interno dei nostri uffici di Montecitorio, un orrendo documento che Senzani ci aveva fatto avere ufficialmente: era un appello di quel poveretto di Cirillo. In quel caso affermammo che non avremmo mostrato tale documento alla nostra televisione; nel caso però in cui costoro avessero assassinato Cirillo lo avremmo fatto vedere ai giornalisti e, a nostre spese fatto mandare in onda da tutte le televisioni napoletane giorno e notte per tre-quattro giorni; era un deterrente che usavamo contro l'inumanità e la bestialità di quella vicenda.

Quando sento parlare di Bozzo mi viene in mente sempre un altro Bozzo, che fu il decimo o il dodicesimo assassinato o suicida nelle carceri, essendo un testimone delle varie vicende connesse al caso Cirillo e da parte dell'ordine giudiziario italiano, della magistratura napoletana, ancora con uno degli ultimi episodi noti di quella strage, di testimoni, il dottor Vicini, l'ho ricordato... Come diceva Sciascia: quando vuoi essere sicuro se una cosa è un affare di mafia o di camorra vedi se quelli cercano subito di smistarterlo come un affare di "pelo". Quindi, la mia risposta è che c'è continuità con il caso che prende il nome ingiustamente e impropriamente di Giorgiana Masi e l'uso da parte del potere dello Stato anche di fatti criminali con gradi diversi di partecipazione.

Per quanto riguarda la questione di Yalta ho già detto. Credo che Yalta significhi semplicemente l'assenza di sovranità limitata per l'Italia. C'è stato un partito di Yalta che ha operato quando vi è stata la rivolta di Tito in Jugoslavia. L'Italia poteva scegliere un atteggiamento che aiutasse l'evoluzione e l'avvicinamento all'Europa ed all'Occidente di Tito, invece scelse poi una posizione...

PACE. Con la Cecoslovacchia?

PANNELLA. Sì,ma allora vi erano anche forze liberali, ad esempio Mario Pagi; insomma, la destra azionista, non solo Cucchi e Magnani.

PRESIDENTE. Capisco l'Ungheria, ma perché la Cecoslovacchia?

PACE. Sempre in relazione all'ipotesi di lavoro del partito di Yalta, se questo ha come obiettivo il mantenimento di certe situazioni a livello internazionale è evidente che un paese occidentale non può...

PRESIDENTE. Capisco l'Ungheria, ma per la Cecoslovacchia tutti condannarono l'invasione, compreso il Partito comunista.

PANNELLA. Per l'Ungheria fu determinante.

PACE. Come anche per i patti di Berlino.

PANNELLA. Certamente. Così come per la spiegazione dell'assassinio di Gentile, io ho sempre usato questo termine...

PACE. Mi sono dimenticato di ricordare una cosa. Sempre Teodori nella sua relazione ci dice che il capo responsabile di questo Ufficio di Berna risultò poi iscritto alla massoneria.

PANNELLA. Io ho ricordato che Ernesto Nathan era il grande maestro della massoneria e ho sempre detto che se avessi vissuto in un altro paese, diverso da questo nostro sicuramente avrei, come accade in America, avuto un bel distintivo massonico. In Italia la partitocrazia in questi 40-50 anni ha corrotto la mafia, la massoneria e tutto il resto. Forse è una boutade, ma non troppo. Cioè ho sempre ritenuto che nel 1969 la massoneria italiana nelle sue espressioni organizzate fosse qualcosa di una desolante corruzione delle tradizioni e di ciò che poteva rappresentare. Quindi sono ovviamente anche contro le criminalizzazioni dei massoni, di qualsiasi massone, ma da questo punto di vista lo Stato liberale oggi si manifesta poco: mi risulta che esista, per le Amministrazioni dello Stato, il divieto di essere iscritti alla massoneria, ma non all'Opus Dei: io non voglio che ci sia il divieto per l'Opus Dei, ma vorrei che non ci fosse nemmeno quello per la massoneria, cioè voglio giudicare la persona se compie atti criminali, massone o non massone, o se realizza un'associazione per delinquere. Quindi credo che l'episodio della morte di Gentile non possiamo liquidarlo semplicemente dicendo che c'era uno scontro; io, come ho sempre detto quando si negava che i brigatisti rossi potessero essere, come lo li definivo, dei compagni assassini, richiamavo l'attenzione sul fatto che nella storia di tutti i movimenti, in particolare quelli di sinistra, l'attentato terrorista in un certo quadro ha avuto molto spesso legittimazione anche morale; l'assassinio dell'avversario ha fatto parte di una storia e di una cultura, non posso inventarmi la storia non violenta e gandhiana della sinistra di riferimento per me. Tutto qui. E’ un episodio tragico, drammatico, ma non credo che possa questo suffragare nessuna lettura...

PRESIDENTE. Ma è stato così per tutte le uccisioni dei filosofi. A questo punto non ci resta che ringraziare l'onorevole Pannella, e vorrei aggiungere un’ulteriore motivazione a questo ringraziamento per renderlo non rituale: ci ha consentito di anticipare qualcosa che, a mio avviso, dovremmo cominciare a fare abbastanza presto, cioè un dibattito fra noi sulle risultanze dell'inchiesta alle quali siamo già pervenuti, perché altrimenti corriamo il rischio di avvitarci su noi stessi. Con l'onorevole Pannella abbiamo svolto un buon dibattito. Devo dire che l'audizione della Faranda, che abbiamo tenuto la scorsa settimana, ci ha lasciati al punto di partenza, non abbiamo acquisito nuovi elementi di conoscenza. Molte cose le sappiamo, diverse chiavi interpretative ci sono state proposte, da ultime quelle dell'onorevole Pannella: è bene che inizi un dibattito nella Commissione. Ma di questo parleremo nei prossimi Uffici di Presidenza.

Salutiamo quindi di nuovo l'onorevole Pannella.

PANNELLA. Se posso ringraziarla, signor Presidente, dico solo due parole. Volevo solamente dirle che se in effetti, in tutte queste ore, l'unica cosa che io sono riuscito a fare è stato portare tesi e interpretazioni piuttosto che anche cercare di consentire l'acquisizione di fatti, ritengo di avere corrisposto molto male alla fiducia della quale sono stato onorato con questo invito.

PRESIDENTE. No, io le ho rivolto un doppio ringraziamento: un ringraziamento che rivolgiamo a tutti gli auditi per gli elementi di conoscenza che ci hanno fornito e un altro perché ci ha consentito l'anticipazione di un dibattito che quanto prima dovremo intraprendere.

PANNELLA. La ringrazio, signor Presidente.

La seduta termina alle ore 23,40.

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