Caro Marco,
in questi ultimi mesi e in questi ultimi giorni
(e potrei dire in queste ultime ore) mi è toccato di sentire da te,
direttamente e indirettamente, cose davvero incredibili. Incredibili non solo
perché in sé non credibili (oltre che non vere), ma soprattutto per i tuoi
ricorsi continui ad accuse gratuite e che palesemente travolgevano la realtà.
Fermo restando tutti i miei limiti che, peraltro
tu e tutti conoscevate bene e ben prima del Congresso di Tirana, penso che, a
questo punto, devo trarne le conclusioni e quindi annuncio a te e a tutti gli
iscritti al Partito Radicale Transnazionale che non ritengo più possibile
svolgere le mie funzioni di segretario, se questo è il dato di organizzazione e
di rapporto politico interno in cui devo lavorare e che tu - non solo tu, ma
prevalentemente tu - hai determinato a creare.
La questione è evidentemente e innanzitutto
politica, nonostante i tuoi tentativi di accreditare una lettura “personale” e
psicologica (quando non psichiatrica) del mio disagio e delle mie reazioni. Non
è la prima volta che mi accade di dirlo. L’ho ripetuto all’ultimo Comitato dei
Radicali italiani; l’avevo già detto in precedenti occasioni, come per esempio
in occasione di una riunione del “senato” del partito, da te impostata, con il
supporto di pochi altri, come un vero e proprio processo nei miei confronti.
Un principio implicito di organizzazione e
funzionamento della “cosa radicale”, di cui riconosco il senso storico e la
realtà politica, vuole che il segretario del partito - che, a mia memoria,
negli ultimi 15 anni hai quasi sempre proposto in prima persona al congresso -
debba godere della tua fiducia. Vi è poi un altro principio conseguente al
primo, di cui tu non sembri più tenere conto, è che anche tu - anche Marco
Pannella - debba godere politicamente e personalmente della fiducia del
segretario.
Quindi, per entrambe queste ragioni, è escluso
che la carica di segretario possa continuare ad essere ricoperta da uno che tu
consideri e che sa di essere considerato da te una via di mezzo fra un
mascalzone e un mentitore recidivo, come hai detto - me assente - in una
riunione non pubblica ma ufficiale del gruppo parlamentare europeo.
Da parte mia, non si tratta solo di rimettere un
mandato per ragioni di gravi divergenze politiche. Si tratta anche di mettere
un termine ad una finzione, di restituire la titolarità di una carica “vuota”,
di cui non sono né formalmente, né materialmente in grado di esercitare la
responsabilità effettiva.
Sono l’unico segretario radicale - che io
ricordo - che non ha la disponibilità né diretta né indiretta delle risorse
interne (che non ha nessuna capacità effettiva di spesa, che non dispone della
capacità di gestire gli indirizzari, …), e che non ha nessun effettivo potere
se non quello di fare individualmente quello che ritiene di dovere fare, ma che
continua ad essere sistematicamente accusato, non solo da te, ma soprattutto da
te di avere la gran parte delle responsabilità o per meglio dire delle colpe
della situazione interna.
Ci sono certo delle divergenze politiche fra di
noi, che si vanno sempre più approfondendo, ed in cui è sempre più difficile
distinguere fra “l’interno” e “l’esterno”, fra quanto non funziona nella nostra
vita interna e i riflessi che questa sistematica dis-organizzazione comporta sulle
iniziative esterne. Ma io vorrei che fosse chiaro - pubblicamente chiaro - che
io “divergo” innanzitutto dal tuo tentativo di “mostrificazione” della mia
condotta, dalla tua rappresentazione delle mie iniziative come concepite non
solo senza di te, ma sistematicamente “contro” di te.
Ormai la mia carica di segretario non serve più
a me, per adempiere a responsabilità statutarie, ma per consentire a te di
esercitarne un controllo assoluto e irresponsabile.
A differenza di quanto tu pensi io non ho mai avuto
la presunzione o l’illusione di “salvare il partito da Pannella”; a me va bene
qualunque tua scelta, che tu scelga la strada di essere e di comportarti da
soggetto autonomo, affrancato dalle responsabilità statutarie, e con un
rapporto quasi “esterno” con i soggetti e gli organi dell’area radicale,
oppure, al contrario, che tu scelga di ricoprire in prima persona le cariche di
responsabilità statutaria.
Semplicemente non accetto di dovere rispondere
io di quanto fai tu, scegliendo di volta in volta di chiamarti fuori e di
rimetterti dentro, di fare continua esibizione della tua “esternità” alla cosa
radicale organizzata, e di rimanere allo stesso tempo il principio e il termine
di ogni cosa organizzata da parte del partito.
Non mi pare di essere stato in questi anni poco
comprensivo o, addirittura, scarsamente flessibile. Ho fatto dal 1995 al 2001
il segretario di un partito che usava la quasi totalità delle proprie risorse
economiche e umane sul fronte politico-elettorale italiano, sulla base di un disegno
“italo-centrico” ambizioso; di un partito transnazionale congelato sul piano
statutario, sempre più svuotato sul piano dell’organizzazione e sempre più
abbandonato, anche all’interno, sul piano dell’elaborazione politica; di un
partito da cui sono gemmate organizzazioni d’area (Non c’è pace senza
giustizia, Nessuno tocchi Caino,... ) a cui sono andate risorse umane e
finanziarie di gran lunga più consistenti di quelle assegnate al partito
stesso; di un partito che per 5 anni ha inaugurato una originale extralegalità
statutaria, non celebrando congressi - malgrado i miei numerosi richiami -, ma
ponendosi permanentemente al servizio del tuo disegno in Italia; di un partito
la cui stessa natura era stata ridotta a quella di sezione estera del partito italiano,
con una grave ma inevitabile compromissione della sua effettiva natura
transpartita. Altra cosa è, secondo me, la doppia tessera che per stima,
affetto o interesse questo o quell’altro parlamentare non “pannelliano” -
nell’una o nell’altra circostanza - può avere regalato alla nostra storia e
alla propria storia.
Se ho fatto tutto questo non è stato solo per
compiacenza ma per riconoscimento di una “primato della politica”, che a fronte
di un disegno ambizioso guidato dalla tua leadership poteva comportare
congiunturalmente (sia pure in una congiuntura molto lunga) la messa tra
parentesi o il forte ridimensionamento di alcune priorità transnazionali e
dello stesso partito transnazionale.
Detto questo, e quindi non solo ammettendo ma
sostenendo la tua leadership, attribuire oggi questa “asfissia
politico-organizzativa” del transnazionale alle mie inadempienze è
semplicemente una falsità. Nei soli sei mesi fra il Congresso di Ginevra e
quello di Tirana - in concomitanza con la tua “Presidenza” - il partito ha
speso per il transnazionale più di quanto come segretario io abbia potuto
spendere non dico nei sei mesi successivi ma negli interi cinque anni
precedenti su obiettivi non italiani. E sarei io il distruttore dell’assetto
istituzionale del partito, l’affossatore della prospettiva trasnazionale?
Quanto poi alle divergenze politiche “puntuali”
- cioè su singoli punti delle nostre iniziative - penso che le vicende della
campagna sull’Iraq e della non-campagna sulla Cecenia siano a loro modo
esemplari.
* * *
La tua gestione della “campagna Iraq” è stata
segnata dall’esclusione di ogni momento di reale dibattito politico, e da un
ricorso costante e parossistico all’imputazione di responsabilità
tecnico-organizzative. Si è parlato, quando si è parlato, più di mailing che di
scelte politiche, più di “volumi” che del significato che da questa iniziativa
doveva emergere. Non hai taciuto nulla, neppure pubblicamente, della tua
insoddisfazione - per altro, rispetto al lavoro tecnico di una struttura che
non risponde a me, ma direttamente o indirettamente a te - ma hai taciuto tutto
del lavoro che si fece sin dal momento in cui con Gianfranco buttammo giù il
testo dell’appello; hai escluso sempre non tanto la possibilità astratta (a
nessuno è stato negato il diritto di parola) ma il riscontro concreto a
critiche politiche sulla conduzione, sul profilo “italo-italiano”, sulla non
contestualizzazione internazionale dell’appello.
Posso anche capire che una serie di spunti che
ti ho e ti abbiamo offerto tu li giudicassi fastidiosamente irrilevanti, a
partire da quello di approfondire la critica nei confronti della posizione
defilata, inconsistente, e per molti aspetti vile, del Governo italiano e di
molti settori del parlamento, che pure simbolicamente sostenevano la tua
proposta. L’ho detto pubblicamente nell’ultimo Comitato di Radicali Italiani, e
tu nella parte della tua replica dedicata all’“analisi psicologica” del
sottoscritto non hai neppure accennato alle cose politiche che avevo detto, e
quindi neanche a questa. Ma non si può rigirare la frittata al punto di
sostenere che le mie inadempienze avrebbero impedito di capitalizzare il
successo dell’iniziativa.
* * *
Più indicativo ancora è stato il tuo approccio
nell’ultimo anno alla questione cecena: c’è un enormità di atti e di omissioni,
di parole dette e ritirate, di comportamenti contraddittori, quasi volutamente
esibiti in una logica di fastidioso e permanente stop and go. E’ per me del
tutto inutile ripercorrerli, perché come è ovvio i rispettivi ricordi hanno coloriture
diverse, e perché non ho nessuna intenzione di infognarmi in quelle lunghissime
“ricostruzioni storiche” a cui tu sai dedicarti incomparabilmente meglio di me
e che sono nella sostanza del tutto irrilevanti.
La realtà è che alla nostra posizione esterna e
propagandistica della questione cecena (basti pensare che il congresso di
Tirana è stato anche contrassegnato in modo non marginale dalle parole di Umar
Khanbiev e dalla tua risposta al suo intervento) fa da contrappunto la totale
cancellazione della questione cecena dall’agenda delle priorità e delle
iniziative del partito.
Nonostante le mie ripetute richieste - e qualche
impegno implicito ed esplicito che ritengo tutti quanti abbiamo assunto facendo
della questione cecena una nostra bandiera - non abbiamo speso un euro (a parte
quelli, non pochi, che mi sono dovuto trovare per conto mio, al di fuori delle
casse del partito).
E’ semplicemente incredibile la diffidenza o la
sufficienza con cui hai liquidato tutte le richieste e tutte le iniziative,
anche quelle rese pubbliche o addirittura pubblicizzate. Basti pensare al
trattamento che hai riservato al recente piano di pace del ministro degli
esteri ceceno per una amministrazione controllata delle Nazioni Unite, che
avevo anticipato in lungo e in largo nel seminario di Chianciano del dicembre
scorso - non riscontrando la benché minima obiezione o osservazione critica da
parte di nessuno delle 35 persone che partecipavano con te al seminario -, che
dopo la sua presentazione ufficiale è stato messo integralmente a disposizione
di tutti i radicali, attraverso il nostro sito, e che in seguito è stato
dibattuto da alcuni persino durante l’ultimo comitato di Radicali Italiani. E
tu, fino a quel momento, non hai mai detto una parola.
Ma appena ho predisposto, con l’aiuto di alcune
persone che mi avevano manifestato il proprio interesse per la proposta, il
testo di un appello che non fa altro che sostenere il piano che conosci nei
suoi punti essenziale da mesi, tu, in occasione di una riunione (o meglio di un
altro processo in contumacia al sottoscritto) tenutasi mentre ero in Corea con
la Delegazione del Parlamento europeo, hai provveduto a stopparlo, sostenendo
che questa iniziativa sarebbe da una parte inopportuna e dall’altra
politicamente “dissennata” in quanto non sarebbe credibile una “amministrazione
controllata Onu” su una parte del territorio di un Paese che fa parte del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dovremmo smettere di lavorare sul
Tibet, sul Turkestan orientale perché anche loro hanno la sfortuna di essere
colonizzati da un Paese membro del Consiglio di Sicurezza ?
Probabilmente a Maurizio Turco, Danilo Quinto,
Daniele Capezzone e Sergio Stanzani la tua “posizione” sulla Cecenia e sulla
Russia apparirà chiara e limpida. Francamente io non la capisco. Personalmente
non credo che questa campagna comporti particolari rischi di rottura col
presente Governo ma soprattutto non capisco perché mai il rischio di una
eventuale rottura sui temi internazionali con questo Governo - come pure con
qualsiasi Governo - possa rendere inopportuna questa campagna, ammesso che
possa essere opportuno interrompere, sospendere, chiudere o ridimensionare una
campagna che abbia come scopo quello di tentare di contribuire a fermare un
genocidio in corso. Di cosa o di chi non ti fidi ? Di me, che avrei la “fissa”
della Cecenia solo per darti fastidio, o dei ceceni che, secondo te, sarebbero
tutti, fatto salvo Umar (l’unico fra l’altro che, mi sembra, tu abbia mai
incontrato), riconducibili a una deriva terroristica della resistenza cecena ?
Oppure non ti fidi di un segretario che si fida di precisi interlocutori ceceni
?
Sento che adesso vuoi discutere sulla Cecenia.
Qui purtroppo c’è poco da discutere, soprattutto quando la richiesta di
discutere è nuovamente uno stop al fare. Falla tu una proposta “radically
correct” sulla Cecenia, che non serva possibilmente solo a passare sul TG1 e a
esibire Umar come una madonna pellegrina nella prossima campagna elettorale.
* * *
Per quanto riguarda le priorità che tu hai
proposto nel corso della riunione della direzione allargata di Radicali
Italiani non si capisce neppure cosa vuoi dal partito transnazionale, se la
piattaforma politica di RI è raccolta attorno ai temi dell’Organizzazione
Mondiale delle Democrazie, dei Montagnards e del caso Italia.
Sul caso Italia, non si discute. Come le rondini
annunciano la primavera, il “caso Italia” annuncia l’arrivo di elezioni e
segnerà l’analisi del risultato elettorale.
Altrettanto per i Montagnards che hanno preso il
posto delle priorità della stagione della rivoluzione liberale, liberista e
libertaria sulla quale è nato il soggetto “Radicali Italiani”: “riforma del
sistema pensionistico”, “Articolo 18”, “riforma elettorale”, “debito pubblico”,
... E’ vero che Kok Ksor e i 200 Montagnards iscritti, a quota occidentale,
hanno avuto l’intelligenza di capire che il partito poteva essere una buona
sponda in Europa, alle Nazioni Unite. Senz’altro un salto di qualità rispetto a
quanto si è fatto con loro e per loro da quando, quattro o cinque anni fa, con
Marco Perduca abbiamo cominciato a dar loro una mano. Salto di qualità sul
quale il partito ha investito non poco, in particolare con l’impegno di un
compagno, Matteo Mecacci, che ci ha dedicato buona parte del suo tempo da oltre
un anno da New York, dove l’avevi mandato senza del resto consultare gli organi
del partito (o comunque senza consultare me).
Alla necessità che avvertivo di un dibattito
approfondito sulla campagna per l’Organizzazione Mondiale delle Democrazie che
ho più volte richiesto in seguito all’operazione anglo-americana di polizia
internazionale in Iraq, tu e altri avete risposto facendone una priorità per i
Radicali Italiani. Come a dire, non c’è niente da discutere.
Ma che ora la questione dell’OMD diventi priorità
dei Radicali Italiani pone però anche un altro problema, quello della nostra
collocazione sullo scacchiere italiano. Ha davvero senso, a due anni
dell’insediamento del governo Berlusconi, dare come priorità ad un soggetto
politico italiano nato da una lunga battaglia per la rivoluzione liberale in
Italia quella per l’Organizzazione Mondiale delle Democrazie e per la libertà
dei Montagnards ?
Ha questo un “senso”, se non quello, da qualcuno
teorizzato, di assicurare, vista la mia orrenda conduzione del partito, una
supplenza da parte di Radicali Italiani sui temi di politica transnazionale ?
Personalmente non credo che le supplenze siano
opportune. Se c’è un grave problema politico, non c’è altra soluzione che la
sostituzione.
* * *
E per venire all’Italia, ha senso prolungare,
contrariamente alla nostra posizione ufficiale: “siamo all’opposizione del
governo e all’opposizione dell’opposizione”, una - lunga - luna di miele, fatta
più di omissioni condiscendenti, che di espliciti sostegni, con un Governo che
ha le posizioni che sappiamo sulla Cina che occupa e opprime il Tibet, il
Turkestan orientale e la Mongolia meridionale e che nega libertà e diritti ad
un miliardo e trecento milioni di Cinesi, sulla Russia che “genocidia” la
Cecenia, sulla Tunisia del dittatore Ben Ali, sulla lenta ma inarrestabile
giapponesizzazione dell’Italia, sulle pensioni che non riforma, sulle rigidità
del mercato del lavoro che non cancella, sul sistema sanitario che non rifonda,
sulla riforma elettorale che non fa, sulla questione droga che si propone di
gestire con un ritorno ai peggiori momenti degli anni ’80, e più in generale,
sull’idea di ritornare a una normalizzazione moderato-conservatrice della
politica italiana fatta di mani pubbliche invadenti e di mani private complici
e beneficiarie del nuovo assetto di potere ?
Ma soprattutto, è davvero compatibile questa
politica di sostegno pure blando al Governo con una politica di denuncia
totale, senza quartiere, del regime italiano, nuova “peste italiana” che sta
contaminando già il resto d’Europa ? E’ davvero compatibile la definizione del
“regime” come ideologia e cultura profonda delle classi dirigenti, con una
politica che sceglie sempre più nei rappresentanti ufficiali di questo “regime”
gli interlocutori della politica radicale ? “L’alternativa” è davvero tra, da
una parte, una politica di tolleranza attiva con il Governo e di esclusione di
qualsiasi tentativo serio di dialogo con l’opposizione, e, dall'altra, una
politica di denuncia totale del regime italiano e quindi sia dell’opposizione
che del Governo con la preclusione di trovare qualsiasi sponda seria con l’uno
o l’altra ? E ancora, se fino a oggi siamo stati di fatto così complici della
maggioranza di Governo, perché mai non potevamo farne parte da subito, liberi di
uscirne se e quando l’avessimo ritenuto necessario ?
Tutto questo pone, anche per dovere
istituzionale, il problema dell’articolazione tra Radicali Italiani e Partito
Radicale Transnazionale oppure - e meglio - dell’utilità di avere due soggetti
politici. Ha ancora un senso, oltre ad un “senso” prettamente interno,
mantenere due soggetti politici che affrontano - o non affrontano - le stesse
tematiche con le stesse modalità ?
Non sarebbe il caso di chiederci se non abbiamo
finito per vivere di rendite del passato ? Se non siamo diventati un po’
parassiti dell’amicizia e del rispetto di alcuni esponenti del mondo della
politica e del mondo dell’informazione - cioè dei rappresentanti del regime -
per le posizioni giuste assunte in solitudine, in parte consistente da te, per
quarant’anni ?
Non sono queste alcune delle domande alle quali
dovremmo tentare di dare delle risposte ? Non sono queste domande più
pertinenti di quelle che vai da mesi ponendo con gli insulti, gli anatemi, le
falsità nei miei confronti ? Mi sembrano lontani i tempi nei quali tenevi
sempre a precisare che, semmai, eri un azionista di riferimento. Dopo sono
venuti i tempi della Golden Share. Oggi siamo alla "proprietà” con qualche
diritto residuale per gli iscritti che, al massimo, possono ambire alla qualità
di “affittuari”.
Come ho già detto in un’altra lettera
indirizzata al tesoriere e, per conoscenza a te e a pochi altri compagni e che
tu hai ritenuto di pubblicare censurandola peraltro di una parte che riguardava
i miei giudizi sulla Cecenia e sul Governo Berlusconi, questo processo sta
trasformando la tua leadership da leadership politica a leadership di mero
potere interno. E ti sta rendendo pigro, disinteressato ai pensieri nuovi che
si vanno formando nel resto del mondo, insofferente a qualsiasi cosa tu ritenga
possa contraddire questa tua nuova forma di leadership.
Il tuo atteggiamento nei miei confronti da
Tirana in poi ha avuto una costante: impedire che io potessi dare un minimo di
vita organizzata al partito. La stessa organizzazione del congresso di Ginevra,
lo stesso tentativo di fare arrivare gente e idee a cui ho cercato di dare
corpo è stato bollato come una forma di “cammellaggio” elettorale interno. Chi
si è dato da fare per Ginevra è stato guardato con sospetto, chi si è dato da
fare per Tirana, allo stesso modo (e sono state le stesse persone) è stato
benevolmente assolto dall’eccesso di zelo.
Dopo il congresso di Tirana mi hai sconsigliato
di creare una giunta malgrado questa fosse richiesta dallo statuto e malgrado
questo fosse indispensabile, secondo me, per creare una dinamica di lavoro
comune. Ma nel darti retta sono io, soprattutto io, ad avere sbagliato.
In seguito hai preteso che questa giunta fosse
invece una direzione comune del tesoriere, del presidente e del segretario, ma
hai poi impedito di fatto di poterla costituire.
Abbiamo concordato, te presente e te d’accordo,
una riorganizzazione degli indirizzari del partito che consentisse di creare un
solo indirizzario – per poi poterlo potenziare - con una gestione romana
dell’indirizzario italiano e una gestione brussellese dell’indirizzario
transnazionale. A quattro mesi dal trasferimento di tutti gli indirizzari a
Roma è stata abolita la parte della “riforma” che riguardava la gestione degli
indirizzi transnazionali da Bruxelles. Col risultato che, di fatto, non c’è una
“gestione”, ma un tuo controllo personale degli indirizzi transnazionali.
Ho riproposto ancora la settimana scorsa a
Danilo Quinto e a Sergio Stanzani di organizzare a metà maggio un seminario e
poi un Consiglio Generale. Su basi di ragionamenti che mi sfuggono l’uno
riteneva il tutto inopportuno, l’altro che il seminario andasse fatto dopo il
Consiglio Generale.
Ora scopro che, per te, il Consiglio Generale
non può essere convocato perché questo non avrebbe raggiunto il plenum senza 25
parlamentari; trovo interessante, nell’attuale situazione interna, che tu o
qualcun altro pensiate che questa sia una deroga particolarmente allarmante per
la legalità del partito, e che sia meglio non riunire affatto il C.G. e quindi
non costituire l’unica sede di discussione comune con tutti i nostri dirigenti
“stranieri” perché mancano i 25 deputati per completarne la composizione.
Fra poco probabilmente scoprirei che altra colpa
è quella di non avere costituito una giunta, che pure, solo, ho proposto e
riproposto senza essere degnato di un'attenzione.
Siamo al punto in cui in questo partito si può
fare qualunque cosa extrastatutaria - dalle direzioni straordinarie come quella
del pre-Ginevra, ai triunvirati di fatto (segretario, tesoriere e presidente
come unico organo) che anche tu recentemente hai riproposto. Ma le cose
“semplicemente” statutarie sono sempre impossibili o inopportune.
Come ricorderai bene, io non ero candidato a
Tirana. Ero molto tranquillo perché ritenevo che malgrado gli insulti e le
cariche di violenza che mi avevi riversato addosso dal congresso dei Radicali
Italiani dell’anno scorso ero riuscito a dare pure un contributo al partito e
alle sue battaglie in quei mesi. Non ho capito bene perché mi hai candidato, a
Tirana. Ho accettato perché pensavo che qualcosa si sarebbe riuscito a fare, e
perché pensavo che quello fosse anche un tuo atto di generosità politica a cui
era doveroso rispondere con uguale generosità. Riconosco che sono stato
ingenuo. E me ne scuso con gli iscritti al partito. Oggi credo di aver capito
meglio e per questo ritengo che non ci sono le condizioni perché io possa
continuare a fare il segretario del Partito Radicale Transnazionale.
Nessun dramma. Delusione sul piano umano,
tristezza per delle cose importanti che il partito avrebbe potuto (e dovuto)
fare e che probabilmente non si faranno. Ma all’impossibile nessuno è tenuto.
Sono arrivato al partito un po’ più di 22 anni fa. Non sapevo chi eri. Lo ho
saputo un bel po’ di tempo dopo. Da quando ti ho conosciuto ho sempre
riconosciuto la tua leadership politica. L’altra, quella a cui ti dedichi così
accanitamente oggi, non mi interessa. Non mi interessa condividerla. Conosco
anche la ferocia di cui puoi essere capace. Ma sono profondamente convinto che
al partito - e a te, se vorrai - devono tornare a essere assicurate delle
condizioni di vita organizzata proprie di un partito di “iscritti azionisti”,
cominciando col ricondurre a una “fondazione radicale” tutti i soggetti
economici e imprenditoriali dell’area radicale, nel cui consiglio di
amministrazione siedano persone direttamente elette dal congresso del partito.
Quella di costringerti ad assumere le
responsabilità connesse alla tua leadership “carismatica” è una alternativa più
problematica per te, ma per tutti i radicali più pagante, che quella di
mantenerti “dominus” di una organizzazione carismatica in cui il tuo problema
non è quello di costruire consenso esterno, ma di gestire potere interno.
Ci sarebbero ovviamente molte altre cose che si
potrebbero dire. Ma mi fermo qui. Ribadisco, a scanso di ogni equivoco, le mie
dimissioni e, conseguentemente con questo, convoco un congresso straordinario
che le possa accogliere.
Spero che consentirai che possa essere celebrato
questo congresso a cui, come è ovvio, arriverò non candidato e indisponibile a
qualunque candidatura.
Rimane il dato che, per quanto mi riguarda,
indietro non si torna. Prima e dopo avermi candidato e ricandidato non hai mai
mancato di ricordare che se sono un buon militante e un buon parlamentare, sono
stato un pessimo segretario. Ora questo problema, per me, e questo alibi, per
te, non c’è più.
Saluti,
Olivier