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2003 07 24 * La Repubblica * Calvi fu ucciso dalla mafia * Francesco Viviano

ROMA - Il presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, trovato impiccato il 18 giugno del 1982 sotto il ponte dei frati neri a Londra, fu ucciso da Cosa nostra. Il mandante sarebbe stato il boss Pippo Calò che si sarebbe avvalso della complicità del faccendiere Flavio Carboni, della sua amica Manuela Kleinsizig e dell’imprenditore romano Ernesto Diotallevi, tutti indagati per concorso in omicidio aggravato e premeditato. è questa la conclusione della lunghissima indagine, cominciata 21 anni fa, a cui sono giunti i pm romani Anna Maria Monteleone e Luca Tescaroli che ieri hanno depositato migliaia di pagine di atti istruttori (oltre 20 faldoni), «avvisando» gli indagati nei confronti dei quali, nei prossimi mesi, sarà chiesto il rinvio a giudizio. Dall’inchiesta esce di scena il boss pentito Francesco Di Carlo, ma nel registro degli indagati sono stati iscritti altri sei nomi, ancora top secret. Nomi che orbitano nel giro della malavita romana e della massoneria. Roberto Calvi, per i magistrati, non si suicidò, come tentarono di fare apparire i suoi assassini. Fondamentale l’esito delle perizie che dimostrano che prima della morte ci fu un’azione violenta. Calvi fu ammazzato per tre motivi. Il primo perché Cosa nostra decise che il banchiere doveva essere punito per non avere gestito bene i miliardi che le famiglie mafiose gli avevano affidato, e che riuscirono in parte a recuperare poco prima e poco dopo la sua morte. Il secondo quello di chiudere per sempre la bocca a Calvi che conosceva tutti i segreti del riciclaggio del denaro di Cosa nostra attraverso il Banco Ambrosiano e lo Ior (la banca del Vaticano). Il terzo motivo era «il potere ricattatorio» che Cosa nostra, con l’uccisione di Calvi, avrebbe continuato ad esercitare nei confronti «dei suoi referenti politici ed istituzionali, della loggia massonica P2 e dei vecchi dirigenti dello Ior», con i quali aveva gestito il riciclaggio. Le indagini hanno consentito di ricostruire quegli enormi flussi finanziari, «transitati attraverso le società estere del banco Ambrosiano (con sede a Panama, Bahamas, Perù, Nicaragua, ecc.) per un valore pari, all’epoca dei fatti, a 1300 milioni di dollari statunitensi». E tali movimentazioni, «relative a complesse operazioni societarie», sono risultate connesse all’uccisione di Calvi. Ma, soprattutto, i finanzieri sono riusciti ad individuare una cassetta di sicurezza, intestata a Roberto Calvi, della quale era ignota l’esistenza: il suo contenuto (un mattone avvolto in una pagina del “Corriere della Sera” che riportava notizie sul processo di Calvi per bancarotta) «è risultato significativo rispetto all’omicidio» del presidente del Banco Ambrosiano. «Per me la vicenda era già chiusa. Chiusa come è stata chiusa, solo Dio potrà dire la verità». Così ha commentato ieri Licio Gelli, il braccio, la mente e l’anima della Loggia P2, da villa Wanda, l’abitazione aretina dove sta scontando la condanna a 8 anni per il crack del Banco Ambrosiano.