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2008 03 09 * La Stampa * Intervista a Francesco Cossiga: "Sapevamo che la fermezza era un rischio" * Fulvio Milone

Presidente Cossiga, Steve Pieczenick nella sua lunga «confessione» coinvolge direttamente lei che all’epoca era ministro dell’Interno. Dice: «Abbiamo dovuto strumentalizzare le Br che uccisero Moro... Cossiga mi disse che lo Stato rischiava la destabilizzazione». E’ vero?

«Quando si decise per la linea della fermezza, che ebbe i suoi più fermi sostenitori in Berlinguer e l'intero Pci, in Pertini, in Andreotti e in me, eravamo tutti consapevoli che ciò avrebbe portato all’uccisione di Aldo Moro, a meno di possibili ma improbabili colpi di fortuna».

Pieczenick dice anche che le trattative erano solo un modo per prendere tempo e consentire a lei di riprendere il controllo dei servizi segreti.

«Lo Stato, se avessimo trattato, sarebbe stato, per usare le parole di Enrico Berlinguer, allo sbando. E' vero che erano allo sbando le forze di polizia, di cui la sinistra aveva chiesto, fino al giorno del sequestro Moro, il disarmo. I servizi segreti del ministero dell’Interno erano scompaginati per una dura offensiva del Pci e del Psi, e quelli militari erano vittime dell’abilissima azione di disinformazione del Kgb che riuscì a intossicare con il “Piano Solo” la stampa italiana e la sinistra».

Aggiunge Pieczenick: «Lasciavo che le Br credessero che un’apertura era possibile e alimentavo in loro la speranza che lo Stato, pur mantenendo un’apparente fermezza, avrebbe comunque negoziato». 

E’ vero?

«Quello era il consiglio del vice-capo dell'unità antiterrorismo del Dipartimento di Stato, ma io gli spiegai che se avessimo finto di trattare, tutta l'Italia avrebbe creduto che trattassimo sul serio… Un giorno Enrico Berlinguer e Ugo Pecchioli vennero a protestare, dicendo: "Così non si può continuare", perché il governo aveva dato via libera alla segreteria della Dc nel cercare di far intervenire Amnesty International e la Croce Rossa Internazionale, che però posero una condizione: il governo doveva riconoscere alle Br lo status di "combattenti". D'altronde, quando fu reso pubblico il primo messaggio di Moro che chiedeva la trattativa, Ugo Pecchioli, a nome del Pci, venne a dirmi che Aldo Moro, fosse ucciso o liberato, "era già politicamente morto"».

Veniamo al giallo del comunicato Br che annunciò la presenza del corpo di Moro nel Lago della Duchessa. Pieczenick dice che fu un falso dei servizi.

«Una fesseria! La Procura della Repubblica di Roma, la polizia e i carabinieri attestarono unanimemente che il comunicato era autentico».

Condivide l’analisi dell’esperto americano quando dice che «l’uccisione di Moro ha impedito il crollo dello Stato», e che «la ragion di Stato ha prevalso sulla vita dell’ostaggio»?

«E' una diagnosi crudele ma esatta: tutte le istituzioni democratiche sarebbero state forse colpite a morte».

Presidente, lei è uno dei protagonisti di una delle pagine più buie della nostra storia. Racconterà mai il caso Moro?

«Ho tenuto un diario giornaliero di quella vicenda, chissà che non lo pubblichi. Ma non vorrei creare imbarazzi a ex-fautori della linea della fermezza come Beppe Pisanu e Piero Fassino. Io sono rimasto con la stessa idea e con gli stessi incubi: ho ucciso Aldo Moro, l'uomo che mi gratificò della sua fiducia e a cui debbo la mia immeritata vertiginosa carriera. Ma credo di espiare ricevendo periodicamente dalla famiglia Moro l'epiteto di assassino».