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2008 06 18 * Europa * Da Craxi a Letta via Ruini * Federico Orlando

Confesso di non aver capito molto (parlo per me) della lettera scritta dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta ai direttori del Corriere della Sera e della Stampa sulla norma che imporrebbe all’autorità giudiziaria, quando indaga su religiosi, di darne comunicazione all’autorità ecclesiastica.
Confesso anche un’altra cosa all’amico Letta, col quale ci siamo conosciuti in calzoni corti un secolo fa al Tempo di Renato Angiolillo.
La sua lettera riguarda un argomento che per un vecchio laico come me è peggio di una manganellata fascista sulla testa, mentre la novità assoluta, e benedetta dal mio punta di vista, è l’articolo di un cattolico a 18 carati, il giurista Francesco D’Agostino (sul quale tornerò domani nella mia rubrica Lib). Vi si parla di «regalo oltre il Concordato» fatto dal governo Berlusconi alla chiesa; di «generosa concessione di ulteriori garanzie», visto che la chiesa si era limitata a sollecitare “implicitamente” ripari da nuovi casi giudiziari-mediatici come quello del cardinale Giordano di Napoli, coinvolto, mi par di ricordare, in sospetti casi di usura.
Chapeau. Il cattolico oltranzista della bioetica dà scacco matto all’oltranzista liberale di Europa; ma non solo e non tanto per le considerazioni dialettiche che abbiamo riportato fra virgolette, quanto per il problema di diritto internazionale che solleva senza guardare in faccia ai due soggetti: la repubblica italiana e la Santa Sede, firmatari del Concordato fascista del 1929 e di quello craxiano del 1984 o ’85. Non basta – scrive D’Agostino – che l’autorità giudiziaria italiana debba “avvertire” l’autorità ecclesiastica (quale?) se un sacerdote o altro religioso è coinvolto in un’indagine giudiziaria; non basta che il giudice debba dare subito comunicazione alla chiesa (quale ufficio della chiesa?) se il medesimo religioso è sottoposto a misura restrittiva; «ma soprattutto, se l’indagato o imputato è un vescovo o una figura equivalente, il pm deve informarne non il presidente della Cei, che non è un alter ego dello stato, ma il cardinale segretario di Stato vaticano».
Qui la tentazione diabolica (facile a prevalere in uno spirito laico) sarebbe quella di rivolgersi a un esperto di mezzadria. Infatti lo stato, se le cose stanno come il professor D’Agostino ce le descrive (e finché non leggeremo i testi, che nemmeno Gianni Letta cita con chiarezza, così stanno), gestirebbe a mezzadria con la chiesa alcuni appezzamenti della sua giurisdizione, quelli relativi ai cittadini-italiani-preti. Dei quali sapevamo soltanto che il Concordato del 1929 equiparava i cardinali, principi della chiesa, ai principi del sangue dell’allora casa regnante. Non so cosa sia accaduto a quei cardinali (Marcinkus era vescovo o cardinale?) dopo il tramonto dei principi del sangue.
Perciò, anziché a un docente di mezzadria, ci siamo rivolti a una docente di diritto canonico e di diritto ecclesiastico alla Cattolica di Milano, la nostra amica collaboratrice del Giornale e già collega in parlamento Ombretta Fumagalli Carulli. La quale ci spiega che il Concordato non impone ai giudici italiani di fornire alcuna informazione sui preti indagati, come non impone ai preti di fornire ai giudici notizie di reati apprese per ragioni del loro «sacro ministero» (edizione 1929), o «ministero » (edizione 1984).
Bene. Ma questo regalo ultra petìta fatto da Berlusconi alla Curia a chi dev’essere consegnato? A chi il giudice deve dare comunicazione? L’«autorità ecclesiastica competente per territorio», di cui scrive Gianni Letta, è facile da individuare, se trattasi di prete o frate: sarà il vescovo nel primo caso, l’abate o il capo dell’ordine nell’altro.
Ma se fosse proprio il vescovo a essere indagato? Secondo la nostra professoressa, la comunicazione andrebbe indirizzata non alla Cei, che «non è alter ego dello stato» (D’Agostino), e «non ha rilevanza internazionale » (Fumagalli Carulli). E allora a chi? Alla segreteria di stato? Ma il segretario di stato è il capo del governo della Santa sede, l’equivalente in zimarra del cavaliere di palazzo Chigi. Non è un po’ troppo? Allora, siccome la segreteria di stato ha vari uffici – quello degli affari interni, quello dei rapporti fra stati, a cui fa capo la congregazione dei vescovi – si potrebbe pensare che è a codesta congregazione che il povero pretore di Canicattì dovrà rivolgersi se per sventura indaga sul vescovo della sua diocesi. Ma non per chiederne l’autorizzazione – insiste Ombretta Fumagalli – ma solo per dare alla congregazione la notizia, non essendo così sfrontato Berlusconi da volere anche l’autorizzazione ecclesiastica al giudice laico, affinché continui pure a indagare, se proprio ci tiene.
Anche il Concordato di Craxi, infatti, è costretto a riconoscere o comunque riconosce il principio della doppia laicità, insito nella doppia sovranità di stato e chiesa. Ripete infatti che stato e chiesa sono «indipendenti e sovrani», cioè recepisce pari pari l’articolo 7 della Costituzione. Vero è che successivamente ai rimaneggiamenti craxiani ci sono stati, fra governi italiani e chiesa cattolica, «scambi di lettere e forse anche di intese » (Arcana Imperii): anche i bimbi sanno, infatti, che gli strumenti diplomatici sono diversi e corrispondono alle diverse e specifiche contingenze. Se l’amico Gianni Letta ci avesse detto qualcosa di più in proposito, ci avrebbe reso proprio un favore da vecchio collega giornalista.
Che ci chiarisca almeno l’ultimo dei cinque punti della sua lettera ai direttori, che per noi (ma anche per lui, se è rimasto l’uomo di cultura istituzionale che conoscevamo) è in assoluto il primo: «Ove confessioni religiose diverse da quella cattolica richiedessero una analoga norma, si potrebbe procedere all’integrazione delle intese vigenti, o si potrebbe introdurre tale disposizione in eventuali nuove intese da stipulare». Eh no, caro Gianni, qua ti fermi. Anzi, qua ti ferma di brutto la Costituzione. Articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», Articolo 8 «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge». Perciò, caro Gianni, non è proprio questione di «si potrebbe», ma solo di «si dovrebbe ». Anzi, «si deve».
Naturalmente, né il sottosegretario né chi scrive sono nati sotto il pero (e, purtroppo, nemmeno ieri) e ci rendiamo conto delle esigenze arcane che muovono i fatti visibili. Diciamo pure che dietro quest’ambaradam c’è il desiderio clericale, legittimo, di riportare i poteri fra i vari bracci della chiesa allo status quo ante Ruini.
Negli anni ruiniani, la Cei s’è allargata parecchio, come si dice a Roma. In tema di informazione all’autorità competente sui procedimenti giudiziari, si è creata, con quegli «scambi di lettere e forse anche di intese» cui abbiamo accennato, una prassi, che l’ordinamento italiano non ha formalizzato con sue norme. Adesso, per rimuovere quella prassi e togliere l’«informazione» alla Cei e riportarla ad altra autorità (appunto, la segreteria di stato), il governo italiano si fa zelante promotore di norme. Che sarà mai, caro Gianni, coi tempi che corrono? Basta dirlo.