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2010 01 08 * Il Riformista * Alessandro Da Rold

Il bar Doney di via Veneto a Roma non passerà alla storia solo per Giuseppe Graviano e Gaspare Spatuzza, che lì si incontrarono per discutere di attentati e presunti accordi politici con Silvio Berlusconi. Quello che fu uno dei locali storici della Dolce Vita di Fellini, compare anche nelle cronache tutte lombarde della Lega Nord di Umberto Bossi.

Partono da qui, infatti, dal Doney, i problemi giudiziari sotto Tangentopoli del Carrocio, quando il grande e grosso Alessandro Patelli, idraulico da Bergamo, ex tesoriere leghista, nel marzo del 1992, ricevette una "bustarella" di 200 milioni per il partito dal gruppo Montedison.

Stiamo parlando dell'ormai nota tangente Enimont e di quella "sindrome Patelli" che quattro anni fa, nei giorni del processo ad Antonveneta, tornò a spaventare i corridoi di via Bellerio. Una storia che in un modo o nell'altro ritorna di attualità in queste settimane, in cui si discute dell'intitolazione a Bettino Craxi di una via a Milano a dieci anni dalla morte. Proposta, quella del sindaco Letizia Moratti, che ha scatenato più di qualche polemica, innestando, tra le fila del Carroccio, la sola dichiarazione contraria di Matteo Salvini, consigliere meneghino da sempre dedito a parlare alla pancia leghista: Umberto Bossi e i colonnelli al momento tacciono.

Un silenzio definito «imbarazzante » da alcuni quotidiani e politici, ma invece «dovuto e di rito» per i vertici leghisti. Perché i militanti di Alberto Da Giussano, quelli del pratone di Pontida,un'idea in merito se la sono già fatta. Basta ascoltare Radio Padania o leggersi qualche commento sui forum di riferimento: «La Moratti propone questa bestemmia e il Pdl fa quadrato. Ma sono questi i nostri alleati? Vergogna!», scrive Fedegia. «Dopo Craxi ci sarà Riina», le fa eco Luigi.

«Meglio dedicarne una a Gianfranco Miglio e pensare ai problemi della gente», insiste Giovanni. Pensieri non troppo dissimili da quelli che fioccavano negli anni di Mani Pulite, quando i leghisti soffiavano sulle inchieste del finanziamento illecito ai partiti, lodando il lavoro dei magistrati. Il deputato Luca Orsenigo passò alla storia per aver sventolato un cappio in Parlamento il 16 marzo del '93. E il 29 aprile, a Montecitorio, la Lega Nord votò a favore dell'autorizzazione a procedere per Craxi.

Bossi, in una notte d'estate dello scorso anno, confidò ad alcuni cronisti fidati di voler riabilitare Craxi. «Mi chiese aiuto - si legge nella ricostruzione di Repubblica - Ma io non intervenni, non feci nulla. All'epoca Craxi era un nemico, e i miei non avrebbero capito, mi avrebbero dato del matto». E forse qualche insulto se lo beccherebbe pure adesso, il leader della Lega.

Tanto da scatenare il silenzio dei ministri leghisti sulla dedica di una strada per un politico da molti definito come il simbolo di un sistema malato. «Se non ci diamo una mano a vicenda, finirà che ci faranno fuori a tutti e due», disse Craxi a Bossi. Ma il secondo prese un'altra strada. E ora il suo partito veleggia elettoralmente nelle regioni del Nord, tanto da insidiare in Veneto e Lombardia la leadership del Popolo della Libertàdi Silvio Berlusconi e a sostituirsi a quel tessuto economico politico un tempo spartito tra Dc e Psi. Pronto a conquistare palazzo Balbi con Luca Zaia e a insidiare il sistema di potere di Roberto Formigoni al grattacielo Pirelli, il Carroccio evita di riabilitare ufficialmente «il Cinghialone», come lo definivano i giornalisti milanesi prima e dopo Tangentopoli. Bossi e Craxi, va detto, si conoscevano bene, tanto che a metà degli anni '80, ricordano vecchi politici meneghini, il Psi pare avesse dato più di un aiuto economico al Senatùr.

Poi l'esplosione di Mani Pulite. Piergianni Prosperini, tra i leghisti più agguerriti in quegli anni, ora si ritrova in carcere, per presunte tangenti. Altri tempi. Altri tipi di mazzette. Eppure anche quei 200 milioni che Patelli prese in consegna al Doney servirono al partito e alla sua comunicazione radiotelevisiva. Fu Sergio Portesi, segretario di Carlo Sama, ai vertici del gruppo Ferruzzi, a consegnargliela personalmente e a raccontare la vicenda ad Antonio Di Pietro, all'epoca magistrato del pool milanese di Mani Pulite.

Portesi, all'attuale leader dell'Italia dei Valori, disse molto altro: «Bossi voleva che la Montedison si impegnasse per un aiuto alla Lega e lui stesso mi parlò dell'opportunità di una presenza pubblicitaria dei prodotti della società del gruppo Montedison su emittenti radiotelevisive collegate alla Lega». Ma Sama preferiva versamenti privati, così che in breve tempo «fu inserita nell'elenco dei politici da sovvenzionare anche la Lega Nord, proprio in virtù dei primi incontri e della prima apertura che ci aveva dato Bossi e successivamente dei ripetuti colloqui tra me e Patelli».

Per questa vicenda il grande e grosso tesoriere leghista fu condannato a otto mesi di carcere. Dieci anni dopo, alla fine degli anni '90, Patelli, allontanato dalla Lega, fu sul punto di correre con lo stesso Di Pietro. Il Senatùr, dopo aver restituito i soldi, ricevette una condanna a otto mesi in Cassazione per violazione del finanziamento pubblico ai partiti. Bossi ha sempre definito quella tangente «una donazione».