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1998 05 22 * Il Mondo * I ricordi e le esperienze dell'ex premier - Io, Arafat, Reagan: tutti intercettati * Michele Lastella

Durante il sequestro dell'Achille Lauro c'erano orecchie molto potenti, che ascoltarono tutte le conversazioni telefoniche tra i dirottatori e i loro complici. E non solo quelle. Anche ogni comunicazione tra i governi impegnati nella crisi veniva captata. La conferma viene dalla fonte più autorevole per i fatti dell'epoca: Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio. "Nei giorni del dirottamento dell'Achille Lauro, nel Mediterraneo non si poteva muovere foglia che non venisse intercettata", dice al Mondo l'ex premier. "Arafat telefonó a Roma dalla Mauritania. E sembrava di essere su un tram". Non è l'unica convinzione che Craxi si porta dietro da quei giorni. "Anche la mia lunga telefonata con Ronald Reagan di quella notte è certamente agli atti". Nervosismo. A parlare dell'attività di intercettazione straniera durante la crisi internazionale dell'Achille Lauro, e quella successiva di Sigonella, era stato Giuseppe De Lutiis, storico dei servizi segreti e consulente della Commissione stragi. Secondo De Lutiis, dopo la scoperta dell'esistenza della rete di intercettazioni Echelon, gestita da Stati Uniti, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Canada e Australia, si possono rileggere diverse vicende della storia recente. "Una ricostruzione, molto credibile, della crisi di Sigonella spiega, in questo modo, il nervosismo Usa", ha detto De Lutiis al Mondo: "intercettando le telefonate di Craxi, gli americani avrebbero scoperto che i nostri, al contrario di quanto sostenevano ufficialmente, conoscevano bene l'identità di Abu Abbas, il terrorista palestinese che si trovava sull'aereo egiziano atterrato in Sicilia". Conferme. Oggi Craxi conferma che le telefonate di quei giorni erano ascoltate, ma si ferma a questa constatazione. Di Echelon, premette, non sa nulla: "Non ho mai avuto conoscenza diretta. Nemmeno mi è mai pervenuto un genericamente in guardia, ma il riferimento era piuttosto ad agenti italiani che venivano sospettati di lavorare per servizi stranieri". Un'ignoranza, che, a dar retta alle parole pronunciate in Parlamento in risposta ad alcune interrogazioni da Romano Prodi, l'ex premier condivide con i suoi successori. Di Echelon il governo continua ufficialmente a non sapere niente, anche se un lungo rapporto della direzione generale Ricerca del Parlamento Europeo ne parla con toni estremamente preoccupati. E la stampa internazionale, da Liberation al Guardian, ha dedicato inchieste al tema. Anche le rivelazioni dell'ex agente canadese, Michael Frost, colgono impreparato l'ex premier. Frost ha raccontato al Mondo di aver spiato, dall'interno di diverse ambasciate canadesi, le comunicazioni di altre sedi diplomatiche. Nome in codice dell'operazione: Pilgrim. Particolare importante: dall'aprile del 1983 Frost ha operato nella capitale italiana. "L'idea che l'ambasciata canadese a Roma fosse un vero e proprio centro di spionaggio mi lascia letteralmente sbalordito", dice oggi Craxi. L'ex premier ricorda comunque, non senza una punta di veleno, che "sul piano internazionale, in materia di sicurezza interna e internazionale, i rapporti continuativi e diretti venivano tenuti rispettivamente dal ministro degli Interni, da cui dipendeva il Sisde, e dal ministro della Difesa, da cui dipendeva il Sismi. Le iniziative o le relazioni dei servizi, le spese ordinarie e straordinarie erano sotto il controllo di quei ministri. Il Cesis, che dipendeva dalla presidenza del Consiglio, era un organo di direzione generale e di coordinamento. Allora il ministro degli Interni era Oscar Luigi Scalfaro e il ministro della Difesa Giovanni Spadolini". Inoltre, ricorda sempre Craxi, "che l'Italia fosse un ricettacolo di spie dell'estero era noto. Ce lo hanno confermato autorevoli esponenti del Kgb sovietico e lo ha detto, nelle scorse settimane, anche la super spia tedesca Wolf. Quanto ai nostri alleati non credo avessero difficoltà ad avere occhi dappertutto".