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2003 01 10 * I Laici - "La vergogna del 41bis"

L’On. Maurizio Turco e l’On. Vincenzo Fragalà sono esponenti di due famiglie politiche tradizionalmente distinte: il primo è il Capogruppo dei deputati radicali al Parlamento Europeo, il secondo è membro della Commissione Giustizia alla Camera di Alleanza Nazionale. Eppure, sono ambedue perplessi circa la recente ‘stabilizzazione’ del sistema di carcere duro recentemente approvato alla Camera dei Deputati per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Abbiamo dunque posto loro una serie di domande intorno alla controversa questione.

Dopo le stragi di Capaci e di via D´Amelio è entrato in vigore, in Italia, il regime di carcere duro. Eppure, in nessun processo è stata mai accertata la responsabilità di un mafioso rinchiuso in carcere all'epoca di quei delitti: come spiegate questa contraddizione?

Maurizio Turco:
“Anche se si fosse accertato che uno o più detenuti avessero impartito gli ordini, si sarebbe dovuto aprire un procedimento penale a loro carico e non imboccare la scorciatoia di instaurare un nuovo regime penitenziario. D’altronde, nella notte del primo attentato vennero trasferite centinaia di persone verso i penitenziari speciali di Pianosa e dell’Asinara e non si poteva certo ipotizzare che fossero stati tutti a dare eventualmente quell’ordine. La Costituzione sancisce che “la responsabilità penale è personale”. In realtà, il potere politico si decise per un duplice segnale: tranquillizzare i cittadini e minacciare i detenuti. Il regime del 41 bis è finalizzato al pentimento, alla collaborazione: è addirittura scritto a chiare lettere nei decreti di assegnazione al carcere duro. Qualcuno deve aver pensato che siccome Falcone e Borsellino erano riusciti ad ottenere notevoli successi attraverso i collaboratori di giustizia, occorresse proseguire a tutti i costi su quella strada. Ma si sottovalutò e si continua a sottovalutare un dato essenziale: quanti collaborarono con Falcone e Borsellino lo fecero per ragioni ben diverse, non perché sottoposti a durissimi trattamenti coercitivi. Non a caso le loro dichiarazioni trovarono, in sede processuale, puntuali riscontri fattuali. Sarebbe interessante indagare invece su cosa è successo a livello di indagini e processi dopo il 1992, in quale modo si è proceduto a contrastare la criminalità organizzata. Come diceva Falcone, le logiche mafiose non sono mai sorpassate né incomprensibili, perché in realtà sono le logiche del potere, sempre funzionali ad uno scopo”.
Vincenzo Fragalà:
“In effetti, noi tutti sbagliamo a definire il regime penitenziario instaurato in quel tempo come se si trattasse di provvedimenti di carcere duro, poiché in realtà sono norme sul ‘carcere sicuro’, riguardanti, cioè, la non plausibilità Costituzionale del fatto che alcuni detenuti, qualunque reato sia loro contestato, abbiano un trattamento differenziato per ciò che riguarda non la sicurezza, bensì il trattamento penitenziario medesimo. Quindi, la contraddizione risiede in una norma immaginata e poi approvata avendo di mira l’obiettivo di rendere impermeabile l’interno del carcere dall’esterno e che, invece, si è prestata a vessazioni e a veri e propri abusi per i quali la Corte Costituzionale è dovuta intervenire più volte…”.

I detenuti contestano le inutili e crudeli vessazioni alle quali sono sottoposti, così come l´automaticità del reitero dei decreti che li confermano di sei mesi in sei mesi nel regime di 41 bis. Soprattutto sono unanimi nel condannare la strategia adottata dallo Stato nei loro confronti: dal carcere duro si esce solo col pentimento?

Turco:
“L’automaticità del reitero dei decreti è una prassi costante, un gioco dell’oca da cui esci solo se ti arrendi con il pentimento o con la morte. Entro dieci giorni il magistrato di sorveglianza dovrebbe discutere il ricorso contro il decreto di assegnazione al 41 bis: in dieci anni è accaduto rarissimamente, impedendo così di poter accedere alla Corte di Cassazione. Quando questo è avvenuto, la Suprema Corte si è pronunciata criticamente. Non è un caso che non si riesca ad avere uno straccio di analisi istituzionale sul 41 bis. Cos’è successo in questi 10 anni ai detenuti sottoposti al carcere duro? Le vessazioni inutili che abbiamo constatato sono state, purtroppo, moltissime, spesso dipendenti da soggettive interpretazioni del regolamento carcerario. Perché impedire al detenuto di difendersi in aula dalle accuse dei pentiti, costringendolo a seguire le udienze in videoconferenza, spesso con l’impossibilità materiale di intervenire via telefono o semplicemente di contattare il proprio avvocato difensore? Che senso ha mettere alla finestra della cella due file di sbarre e poi una rete metallica, con un gioco ottico pazzesco a cui i detenuti sono sottoposti dalle 20 alle 22 ore al giorno? Che senso ha aggiungere alle tre file incrociate di ferro un pezzo di plastica opaca o un altro oggetto che impedisca di vedere il muro di cinta del carcere? Che senso ha mettere uno spesso vetro tra il detenuto e i propri famigliari che devono comunicare tramite un citofono, quando il colloquio (di un’ora al mese) è comunque videoregistrato? Che senso ha imporre ai figli che hanno più di 12 anni il colloquio con il vetro facendogli così perdere il diritto a 10 minuti al mese (minuti comunque da sottrarre ai 60 mensili) di colloquio senza vetro? E che senso ha impedire a chi lo vuole di poter studiare? Che senso ha oscurare MTV?”
Fragalà:
“Io sono infatti d’accordo con Paolo Mieli quando, tempo fa, sul Corriere della Sera ha scritto che una democrazia liberale non dovrebbe consentire trattamenti vessatori verso i detenuti. Non c’è dubbio che, da questo punto di vista, il 41 bis abbia provocato una serie di abusi non compatibili né con la nostra Costituzione, né con il nostro tema penitenziario, che prevede come fine della pena anche la rieducazione. Cè poi da dire che, in un sistema come quello del 41 bis, nel momento in cui diventa, come ormai è diventato, ‘stabile’, si presta ancora di più ad una critica di incostituzionalità in quanto provvedimento emergenziale, dunque temporaneo e non stabilizzabile”.

Ma il regime del 41 bis è stato ormai inserito in pianta stabile nel nostro ordinamento giudiziario: ritenete che i parlamentari avessero, al momento del voto, sufficienti informazioni sull’effettiva applicazione di questo regime di carcerazione?

Fragalà:
“Secondo me, la maggior parte dei parlamentari non hanno sufficienti informazioni sul 'pianeta-carceri', perché è un mondo piuttosto estraneo alla cultura politica corrente: sono pochi i parlamentari che si occupano delle prigioni o che seguono effettivamente le vicende carcerarie. Per quel che riguarda il problema della ‘stabilizzazione’, non c’è dubbio che questa sia elemento ulteriormente negativo, in quanto scarica sui detenuti prerogative che sono di competenza dello Stato. E’ lo Stato, infatti, che dovrebbe far sì che la detenzione carceraria sia sicura per tutti i detenuti, siano essi imputati di gravi delitti o di modesti fatti di reato. Nel momento in cui lo Stato immagina un sistema vessatorio nei confronti di determinati detenuti, alcuni in stato di custodia cautelare, finisce col mostrare il fianco a fondate critiche di fuoriuscita dal vero dettato interpretativo costituzionale”.
Turco:
“Insieme ai detenuti, gli unici che sanno cos’è realmente il 41 bis sono gli agenti di polizia penitenziaria in servizio presso le sezioni speciali che abbiamo visitato l’estate scorsa. Il Parlamento ha legiferato per bieco conformismo”.

Quanto ha pesato - nelle decisioni dei partiti e dei singoli parlamentari - il timore che un eventuale voto contrario alla 'stabilizzazione' del carcere duro avrebbe potuto essere usato come arma propagandistica dagli avversari politici?

Turco:
“E’ l’unico argomento pesante che abbia davvero contato. Per il resto si è trattato di leggerezza. Si è legiferato completamente 'al buio', non c’è stato dibattito, nemmeno sulla sicurezza. Quello del 41 bis è un dossier che andava chiuso in fretta e così è stato. Una pagina parlamentare vergognosa, da non dimenticare”.
Fragalà:
“Anch’io sono di questo parere: il timore di un attacco demagogico ha contato moltissimo”.

Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha recentemente dichiarato che il 41 bis "è il frutto di una cultura illiberale”, che comunque va mantenuto e rafforzato. Non pensate sia una dichiarazione pericolosa per uno Stato di diritto?

Turco:
“Una simile dichiarazione, se pronunciata prima del voto in aula, avrebbe potuto aiutare la riflessione del Parlamento. E invece no: il Presidente Berlusconi si è limitato a commentare il 41 bis a cose fatte. E’ chiaro che un’affermazione del genere significa che anche le violazioni allo Stato di diritto possono essere giustificate. Il nostro Paese ha accettato passivamente e - peggio ancora - con indifferenza che il Parlamento approvasse un regime di detenzione illiberale, che segna una vera e propria sospensione dello Stato di diritto. D’altronde, questo è uno Stato che - radicali a parte - ha accettato in silenzio che per due anni la Corte Costituzionale deliberasse senza il plenum previsto dalla Costituzione. La Storia ci insegna che, laddove c’è strage di diritto, prima o poi vi è anche strage di vite umane. Ecco perché siamo seriamente preoccupati per quanto sta avvenendo…”.
Fragalà:
“In effetti, sostenere che un provvedimento illiberale sia necessario, dal punto di vista del rafforzamento dell’ordine pubblico e del sistema di prevenzione dei reati è dichiarazione pericolosa: un domani potrebbe arrivare qualcuno che potrebbe sostenere che la tortura, ad esempio, è sì figlia di una cultura illiberale ma che, in un momento di particolare emergenza, può diventare ipotesi plausibile ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico…”.

Alcune settimane fa, è stato esposto allo stadio di Palermo uno striscione contrario al 41 bis. La locale Procura della Repubblica ha subito aperto un fascicolo contro ignoti ipotizzando il reato di concorso esterno in associazione mafiosa: come giudicate questo episodio?

Fragalà:
“Io lo giudico esattamente come Marco Pannella quando ha detto che non è possibile ipotizzare la critica pubblica ad un provvedimento legislativo come una sorta di complicità con le associazioni criminali. E credo che, semmai fosse vera la notizia dell’apertura di questo fascicolo d’indagine, sia meglio chiuderlo al più presto”.
Turco:
“Io non sono meravigliato dalla vicenda. C’è tanta gente in galera, anche in regime di 41 bis, per associazione o per concorso esterno senza che gli siano contestati reati specifici: un’aberrazione giuridica. L’associazione come aggravante, nel caso in cui vi sia un reato specifico, ha un senso, ma l’associazione fine a se stessa, secondo me rappresenta un dato incomprensibile dal punto di vista del diritto, della logica e del buon senso”.

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e la Corte europea dei diritti dell’uomo si sono espressi a più riprese contro l’effettivo trattamento dei detenuti sottoposti in Italia al regime del carcere duro. In che modo ritenete si debba intervenire per evitare che, in futuro, tali condanne internazionali si ripetano?

Fragalà:
“Riguardo a ciò, io le faccio semplicemente presente il caso di un imprenditore trapanese e dell’ex sindaco di Castelvetrano, accusati di gravi delitti di mafia, sottoposti al regime di 41 bis e assolti dopo due anni di custodia cautelare, i quali hanno chiesto risarcimenti miliardari allo Stato. Un’altra anomalia del 41 bis rimane il fatto che esso viene applicato non solo a condannati di mafia che si ritengono particolarmente pericolosi, ma anche a incensurati in custodia cautelare che poi vengono assolti. Quindi, non c’è dubbio che, facendo ricorso alla Corte di Strasburgo, questi poi ottengano la condanna dell’Italia e risarcimenti molto cospicui”.
Turco:
“A mio parere, sono necessarie due condizioni: La prima è che il principio liberale dello Stato di diritto sia inviolabile. Questo concetto rappresenta, infatti, l’Abc di un moderna concezione giuridica, ma purtroppo questo è lo stato delle cose nel nostro Paese e tacerlo aiuta solo a precipitare ancora di più nel baratro dell’illegalità diffusa. La seconda condizione è una riforma radicale della giustizia. Il Partito Radicale, nel corso dei decenni, di fronte all’inettitudine del Parlamento ha promosso diversi (molti? troppi?) referendum. Possiamo ricordare che il popolo italiano approvò con l’80% dei consensi i cosiddetti ‘referendum-Tortora’. Anche in quell’occasione, gli interessi di parte e, soprattutto, di potere, prevalsero sul diritto e sulla legge. Insomma, la storia ‘dell’illiberale ma necessario’ perseguita ormai da più di qualche tempo i cittadini italiani…”.

A dieci anni dalla sua prima applicazione, che bilancio si può trarre sull’efficacia del regime del 41 bis come strumento di contrasto della criminalità organizzata?

Turco:
“Insieme a Sergio D’Elia ho tracciato un primo bilancio del 41 bis nel libro “Tortura Democratica”, edito da Marsilio. Abbiamo visitato tutti i detenuti nelle sezioni speciali e - constatata la mole delle violazioni, delle vessazioni, delle assurdità del carcere duro - ci siamo resi conto che questo era l’unico modo possibile di fornire un po’ di informazione ai cittadini, ai politici, ai magistrati, agli uomini delle istituzioni in senso lato. Anche in questa occasione, noi radicali abbiamo reso un servizio pubblico supplendo, con il nostro rapporto, alle carenze della Commissione Giustizia del Parlamento. Nel nostro libro ci sono le schede personali di tutti i detenuti, le caratteristiche dei luoghi di detenzione, le assurdità del carcere duro. Ci sono i nomi dei morti in carcere, per malattia o suicidi, perlomeno quello che la memoria dei detenuti ha consentito di registrare. Esistono purtroppo ancora delle domande che non hanno risposta e che sarebbero necessarie per completare il quadro. Sarebbe ad esempio essenziale sapere quanta gente, in questi primi dieci anni di applicazione, è entrata nel carcere duro e quanta ne è uscita perché morta, assolta, pentita o perché non pericolosa. Sul contrasto alla criminalità, il carcere, per quanto duro, può davvero poco. Lo Stato ha il dovere di assicurare che le prigioni siano luoghi di espiazione della pena tendenti alla rieducazione del condannato e non, invece, ambienti dai quali continuare a gestire il malaffare. E, sempre lo Stato, dovrebbe garantire che in carcere ci vadano i colpevoli, se non altro perché un innocente in cella implica necessariamente un colpevole in libertà. La criminalità si contrasta con le indagini, con le inchieste, con i processi. In questi dieci anni, quanti latitanti sono stati arrestati? Quante e quali indagini sono state condotte? Quanti e quali processi si sono fatti? E con quali esiti? Alla fine del bilancio risulta comunque evidente che l’accanimento penitenziario non potrà mai bilanciare il fallimento della giustizia. Un detenuto, a Novara, nella sezione del 41 bis mi ha chiesto se mi sembrava normale che dovesse essere uno che ha infranto la legge a dover chiedere il rispetto della legge stessa e non invece i suoi tutori a farla rispettare. E’ purtroppo quello che accade in Italia, un Paese illiberale per necessità”.
Fragalà:
“Il bilancio del carcere duro in Italia è assolutamente magro, lo confermo anch’io. Ciò in quanto, per quel che dicono anche le statistiche, esso non è servito né al fine di sicurezza che era stato immaginato, né a quello di tortura psicologica che costringesse gli accusati di mafia a pentirsi, poiché, tra l’altro, i collaboratori di giustizia nati dal 41 bis sono risultati essere pochissimi...”.