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2003 01 11 * La Repubblica * Vita in carcere con il 41 bis * Salvo Palazzolo

Il dilemma, laico ma anche religioso dilemma, viene posto dai Radicali a Palermo: «Può lo Stato contrastare i mafiosi con la loro stessa arma? Può rispondere alla violenza delle stragi con la tortura del carcere duro?». Prima di proporre una risposta, i Radicali hanno raccolto le voci dal 41 bis. E un editore impegnato come Marsilio ha deciso di pubblicarle. Totò Riina, il capo dei capi, continua a impersonare il suo ruolo («Io, un detenuto modello, non sono il promotore della campagna contro il carcere duro»). Il superkiller Giuseppe Lucchese bacchetta «i professionisti dell' antimafia e quelli della retorica». Leonardo Vitale si rivolge ai politici: «Se lo ricordano che se sono seduti in quelle comode poltrone lo devono proprio ai nostri voti». Ma i mafiosi del 41 bis hanno anche storie da raccontare, come mai avevano fatto prima: la loro vita dietro le sbarre, le famiglie dietro un vetro. Antonino Cinà, il medico che conosce i segreti della trattativa fra mafia e Stato ammette: «I miei familiari non li ho mai fatti venire in carcere, è un' immane sofferenza giustificata da un atto d' amore».L' ordine delle storie è rigorosamente alfabetico. Dietro le sbarre, tutti sono uguali. O almeno così dovrebbe essere. I racconti si trovano sotto il titolo "Tortura democratica"; autori Sergio D' Elia, di "Nessuno tocchi Caino" e Maurizio Turco, eurodeputato; prefazione di Marco Pannella. Aglieri Pietro: «Quando sono entrato in carcere pensavo di essere educato e non abbandonato». Agrigento Giuseppe: «L' antimafia non viene mai qui». Antonuccio Emanuele, di Gela: «Vorrei studiare». Bagarella Leoluca: «Sono stato segregato tre anni e sette mesi in una sorta di stanza iperbarica, blindato in una cella con la porta chiusa e con la finestra, oltre alle sbarre, sigillata da un vetro blindato. La luce accesa notte e giorno, due o tre telecamere, l' aria veniva introdotta e cambiata da un aeratore. Sembrava di stare in un aeroporto militare, tanto forte era il rombo dell' apparecchio di aerazione. La mia protesta è stata solo strumentalizzata». Calò Giuseppe: «Sono stato un mese a Poggioreale per una operazione, qui a Tolmezzo non c' è possibilità di fare raggi o ecografie perché non funzionano. è un anno che aspetto». Sono in molti a lamentare gravi condizioni di salute. Salvatore Enea, mafioso che operava a Milano, spiega: «Ho già ricevuto due volte l' estrema unzione». Qualcuno si racconta. Giuseppe Graviano, uno dei fratelli terribili di Brancaccio, mandante dell' omicidio di padre Puglisi, scrive: «Sono a Terni, nell' aria riservata, isolato da tutti. Ho le telecamere 24 ore al giorno, nel bagno di un metro quadrato ne ho due». Il libro ci informa che il boss si è diplomato quest' anno in ragioneria e si sta iscrivendo alla facoltà di Biologia molecolare. «Prima aveva il walkman per studiare inglese, concesso da un ispettore, poi glielo hanno ritirato», scrivono gli autori, che questa estate hanno visitato i gironi del carcere duro: «Graviano ha avuto buoni voti in tutte le materie, ed è dispiaciuto che la media si è abbassata a causa del voto in inglese e in informatica, non avendo la possibilità di usare il walkman e un computer. è appassionato di pittura, mostra delle cartoline bianche raffiguranti dipinti di Monet, Kandisky, Klimt, deturpate dal visto della censura apposto sia dalla parte bianca sia sul dipinto». Cristoforo Cannella, uno degli stragisti di via d' Amelio: «Sono al secondo anno di ragioneria, i professori stessi si rendono conto che abbiamo bisogno di una guida nello studio. Invece di stare ad oziare ci facciano fare dei corsi. Vogliamo essere inseriti nella società». Carmelo Dominante, invece, non sa né leggere né scrivere: «Da due anni e mezzo non comunica con la famiglia - dicono gli autori - avrebbe bisogno di uno scrivano». Giuseppe Giuliano, 39 anni, in carcere dal '91 per omicidio: «So che devo farmi la galera, ma almeno con più umanità». Gioacchino Cillari, ergastolano: «Ci chiedono dei segnali, e che siamo indiani?» Qualcuno spera ancora. Michele Greco, il "papa" della mafia: «Sono definitivo per una collana di ergastoli senza alcuna prova e una nuova ondata di pentiti mi scagiona. Sono da 16 anni in isolamento totale. A Termini sono stato tenuto in una cella con un buco nel tetto per fare entrare la luce». C' è chi non spera più: «Noi del 41 bis siamo dei vuoti a perdere, e allora non sarebbe meglio oltre a decretare la morte civile, di andare al di là?». Nitto Santapaola: «Io mi lascerò morire se non mi faranno fare il carcere come tutti gli altri». Mariano Tullio Troia: «Qui stiamo morendo piano piano». Pietro Vernengo: «Mettessero la pena di morte, ci impiccassero, così la facciamo finita». Nessun boss parla delle proprie vittime, e del dolore delle famiglie. Le storie del 41 bis sono comunque lì, per chi volesse leggerle. Di "Tortura democratica" si è parlato nell' aula consiliare di Palazzo delle Aquile. C' era anche Daniele Capezzone, il segretario dei Radicali. «Nessuno sconto per chi ha commesso reati efferati», dice Piero Milio, ex senatore e legale di parte civile di vittime della mafia: «Ma la giustizia è incompatibile con la vendetta». «Davvero peccato - commenta Pannella - che all' incontro ci fossero solo due avvocati».