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2004 08 10 * L'Opinione * Intervista con l’ex europarlamentare Maurizio Turco, che parla del 41 bis e dell’insensibilità dei politici italiani. "Una convenzione europea per i diritti dei detenuti" * Francesca Mambro

Il 9 marzo del 2004 il Parlamento Europeo approvava il rapporto sui diritti dei detenuti nel vecchio continente presentato da Maurizio Turco, ex presidente degli europarlamentari radicali. Lo abbiamo intervistato per L’opinione delle carceri.

Perché i media non intervistano un esperto come lei sulla situazione nelle carceri italiane ed europee?

Perché la voce dei radicali è fuori dal coro e il conformismo trova ugualmente schierate maggioranza ed opposizione. Il carcere non rientra nei loro obiettivi se non sotto elezioni. Prendiamo ad esempio il 41 bis. Nessuno degli schieramenti politici una volta arrivato al governo si è mai preoccupato di capire che cosa sia veramente il carcere duro. Letture superficiali del fenomeno mafioso non hanno portato ad alcun risultato soddisfacente nella lotta alla mafia. Ci sono nel nostro paese persone sottoposte al 41 bis da decenni senza che questo abbia portato alcun risultato utile dal punto di vista delle indagini - semmai ha messo l’Italia tra i paesi con più condanne dell’Unione Europea per i ritardi nei processi e la violazione dei diritti. La commissione antimafia farebbe meglio a documentarsi prima di accontentarsi della lettura che propone il direttore delle carceri sull’efficacia del 41 bis o dello sconcertato Lumia, perché ai mafiosi è consentito di andare a messa!

Che cosa è accaduto dopo l’approvazione del rapporto sui diritti dei detenuti?

C’è stato un aumento dell’attenzione politica europea e di fronte a dati concreti non si è risposto con sterili polemiche. Parliamo della vita di migliaia di persone. Se è vero che il grado di civiltà di un paese si vede proprio dallo stato della giustizia e dalle condizioni di detenzione in cui versano i cittadini meno fortunati, allora l’Europa ha il dovere di dare indicazioni precise. All’Italia per prima.

Nonostante Castelli abbia ereditato una situazione difficile è anche vero che la necessità di un’attenzione liberale e di rispetto delle leggi fino ad oggi è mancata. Al Consiglio d’Europa invece c’è ascolto. Almeno si tenta di dare delle risposte. Dietro 50.000 detenuti nel nostro paese ci sono anche 50.000 famiglie. E non dimentichiamoci che oggi molte persone si trovano in carcere perché non saprebbero dove metterle. Mi riferisco ai malati di mente, ai tossicodipendenti, ai disgraziati che sbarcano sulle nostre coste in fuga da guerre e fame. Questa è una giustizia che non funziona, preoccupata di garantire alcuni non tutti.

Su cosa state lavorando in questo momento?

Ottenere una convenzione europea sui diritti dei detenuti perché siano garantite condizioni di vita decenti a tutti. I problemi del sovraffollamento, la sorveglianza inadeguata, la mancanza di servizi, di assistenti, operatori sono la punta dell’iceberg. Il carcere così com’è non risponde al dettato Costituzionale, anzi lo elude e lo viola.

Recentemente le figure dei garanti, quindi strutture di garanzia esterne alla macchina penitenziaria, stanno aprendo una pagina ricca di aspettative anche se è innegabile il sentimento di frustrazione diffuso sia nel personale penitenziario che nei detenuti, come se fosse davvero impossibile cambiare qualcosa. Il 14 agosto insieme al segretario dei radicali italiani presentiamo la nostra risposta al rapporto del ministero della Giustizia. Dati semestrali che sono meno approfonditi di quanto ci si aspetti.