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Discussione del testo unificato delle proposte di legge Boato; Lumia; Forgione ed altri; Angela Napoli; Lucchese ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare (A.C. 40-326-571-688-890) (ore 17,50).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 40 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Popolari-Udeur e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare la relatrice, deputata Amici.

SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, anzitutto chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione predisposta dai relatori sul testo unificato delle proposte di legge in discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Amici, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

SESA AMICI, Relatore. La ringrazio, mi limiterò, pertanto, ad illustrare in maniera molto sintetica alcuni aspetti di rilievo relativi a questo importante provvedimento in materia di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle problematiche relative al fenomeno della mafia, che apre la nostra legislatura. Si riconferma, quindi, la costituzione di una Commissione parlamentare antimafia e, soprattutto, se ne assumono fondamentalmente alcuni degli aspetti più notevoli. Si tratta di un fenomeno che, nel corso degli anni, ha conosciuto un notevole sviluppo ed ha consentito una maggiore comprensione del sistema legato alla infiltrazione mafiosa. Inoltre, grazie alle varie Commissioni istituite negli ultimi anni, si è verificato un dato di notevole importanza: l'assunzione di una maggiore responsabilità nell'aggredire un fenomeno capace di mutare all'interno delle condizioni economiche e sociali del paese, assumendo rilievi di grande negatività sul piano della legalità e, soprattutto, dell'attentato ad alcune condizioni di ordinamento democratico del nostro paese.
La Commissione nel corso degli anni ha anche sviluppato un'attività di monitoraggio, di ricerca, di individuazione, di messa in discussione e di verifica di elementi legislativi che l'azione parlamentare di volta in volta ha accentuato come obiettivo strategico dell'azione del Governo per individuare elementi che potevano tendere fondamentalmente alla riduzione di questi fenomeni.
In particolare, in sede di Commissione si è sviluppata una discussione molto stringata, assumendo come testo base del testo unificato la legge n. 386 del 2001, poiché le proposte di legge abbinate presentavano una larga convergenza in ordine Pag. 81a questi aspetti. Abbiamo assunto questi elementi introducendo due grandi novità di rilievo, che l'intera Commissione ha discusso ed esaminato approfonditamente e che vorrei ricordare perché riguardano anche fondamentali aspetti dell'attività su cui la nuova Commissione sarà chiamata a riflettere.
Il primo elemento è relativo alle integrazioni volte ad introdurre una specifica procedura aggravata per l'adozione da parte della Commissione di provvedimenti limitativi dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti. Il secondo aspetto è quello di prevedere un limite massimo per le spese annualmente sostenute dalla Commissione d'inchiesta.
Questi due aspetti nascono nell'ambito di un ragionamento sulla fattualità di tali proposte in considerazione di quanto avvenuto nella scorsa legislatura per quanto riguarda la Commissione antimafia. Ci è sembrato ragionevole assumerli come dati di integrazione e di novità perché al riguardo si possa aprire un dibattito che ne potenzi gli elementi di garanzia e, contestualmente, si assumano elementi di moralizzazione anche nella spesa pubblica. È un segnale che si lancia rispetto al rigore delle Commissioni d'inchiesta; ma, soprattutto, è anche una risposta data al paese circa l'assunzione di grande responsabilità anche dalla parte politica.
Inoltre, nel corso della discussione sono stati approvati una serie di emendamenti che ci hanno permesso di arricchire il provvedimento che - lo ricordo ancora - ha assunto come testo base la legge n. 386 del 2001, istitutiva della Commissione antimafia nella precedente legislatura. In particolare, è stato espressamente previsto che la Commissione avrà il compito di verificare l'attuazione delle disposizioni relative all'applicazione del regime carcerario di cui all'articolo 41-bis alle persone imputate o condannate per delitti di mafia.
È stato, inoltre, esteso l'ambito dell'attività di accertamento e valutazione di competenza della Commissione, con riferimento ai processi di internazionalizzazione e cooperazione delle organizzazioni mafiose con altre organizzazioni criminali finalizzati alla gestione di nuove forme di attività illecite, anche alle attività svolte contro i diritti di proprietà intellettuale. Ciò quasi a testimonianza che i lavori svolti nel corso degli anni arricchiscono ed impegnano la parte politica a comprendere che, relativamente alla questione della mafia, vi sono oggi grandi novità. È giusto che la parte politica si interroghi e le analizzi, e che in qualche modo le verifichi anche alla luce dell'approvazione delle normative vigenti.
Il secondo aspetto riguarda la questione di come ci si debba orientare relativamente ad un maggiore controllo del territorio, perché i fenomeni criminali di oggi attaccano fondamentalmente le realtà degli enti locali. Questo monitoraggio deve essere capace di individuare i tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa che avvengono proprio negli enti locali e proporre misure idonee a prevenire e contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, anche con riferimento alla normativa concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la rimozione degli amministratori locali.
Alla luce di questo ragionamento, in Commissione è stato esaminato uno degli aspetti che costituivano una parte importante di una proposta di legge, nella quale veniva istituzionalizzato un elemento che già era prassi nei lavori della Commissione antimafia, ossia l'ascolto di associazioni cittadine che combattono questo fenomeno. Ci è parso di poter assumere tale novità perché all'interno di questo fenomeno ci fosse l'assunzione di responsabilità da parte non solo dei commissari dell'antimafia e degli organi preposti, ma anche di associazioni che su questo terreno possono contribuire ad una comprensione maggiore del fenomeno e alla corresponsabilità, da parte della cosiddetta società civile, di una lotta che riceva dal sistema della legalità un contributo notevole e, forse, anche più incisivo nei confronti delle generazioni più giovani.
Rinviando, anche per la ristrettezza dei tempi, al resoconto dei lavori della Commissione, Pag. 82vorrei sottolineare che, insieme al collega D'Alia, abbiamo ascoltato con grande attenzione gli elementi che provenivano dalla formulazione degli emendamenti. Credo che l'aver proposto un testo unificato sul quale abbiamo ricevuto il mandato da parte della Commissione sia l'elemento più prezioso che dobbiamo tenere presente nella discussione. La costituzione della Commissione antimafia, infatti, rappresenta, per l'insieme del sistema politico, un punto rispetto al quale nessuno può vantare elementi di soggettività o di primato.
Abbiamo bisogno che sulla questione della criminalità, in particolare, del sistema mafioso l'insieme del sistema politico torni ad essere un elemento centrale di garanzia per tutti i cittadini. A tale proposito, è necessario l'impegno ad un reciproco ascolto, ad una chiarezza di obiettivi, alla determinazione dei compiti che qui vengono elencati e al mantenimento di alcune di queste funzioni. Credo che questo sia anche un modo per restare nell'ambito del dibattito generale, guardando ad un fenomeno che negli anni ha avuto la capacità di modificarsi, di infiltrarsi e di rendere più debole il nostro sistema di garanzie e di democrazia.
Alla classe politica e alla discussione da parte del Parlamento oggi è affidata una grande responsabilità: la questione della lotta alla mafia riguarda tutti noi, che abbiamo l'impegno di guardare a questo fenomeno con le sue novità e i pericoli, ma, soprattutto, assumendoci la responsabilità di utilizzare questa Commissione non per un teatro della politica, ma fondamentalmente al servizio dello Stato e della democrazia in questo paese (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole D'Alia.

GIANPIERO D'ALIA, Relatore. Signor Presidente, rinunzio a svolgere la relazione e mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, anch'io mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Forgione. Ne ha facoltà, per trenta minuti.

FRANCESCO FORGIONE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi deputati, abbiamo contribuito al dibattito e ai lavori preparatori per la definizione del testo unico in esame con una nostra autonoma iniziativa legislativa. Oggi possiamo dichiararci soddisfatti non solo del testo giunto in quest'aula, ma anche della volontà comune a tutti i gruppi politici di giungere in tempi brevi all'approvazione e successivamente all'insediamento della Commissione parlamentare antimafia.
Il Parlamento ha bisogno di un proprio strumento di analisi, di studio, di comprensione di un fenomeno come quello mafioso, ma anche di una rinnovata e ritrovata volontà nell'azione di contrasto a livello istituzionale e territoriale, di una nuova capacità propositiva dal punto di vista legislativo, di una diversa chiave di lettura dei processi economici e sociali e delle relazioni tra questi, le azioni di Governo e le scelte normative per provare a prosciugare, per quanto riguarda l'azione istituzionale, il brodo di cultura, politica e sociale, nel quale le mafie trovano alimento, sostegno, coperture trasformandosi da emergenze in fattori strutturali e di sistema.
Le cronache politiche e giudiziarie ci offrono ogni giorno uno spaccato del Mezzogiorno e del paese che, proprio in rapporto alla forza delle organizzazioni criminali, alla loro capacità di adeguamento alle trasformazioni sociali e politiche, al loro peso nelle dinamiche del mercato e del sistema delle imprese, alla loro pervasività sociale sul territorio, evidenzia una cresciuta soggettività politica, economica e finanziaria della presenza mafiosa.
Ad ogni straordinario risultato degli apparati investigativi e delle Forze dell'ordine, dall'ultima grande operazione palermitana Pag. 83che ha svelato lo scontro di potere ed i nuovi nascenti equilibri del dopo-Provenzano, fino ai primi importanti risultati sull'omicidio Fortugno in Calabria, corrisponde un'acquisizione di conoscenze e di informazioni che supportano la tesi di questa capacità di trasformazione e di ricambio, nonostante i colpi subiti, delle mafie sul territorio. Diversi elementi e diversi dati informativi ci parlano di una crisi che potremmo definire di bassa militanza, ma tutte le informazioni che emergono dalle inchieste evidenziano altrettanto una forza economico-finanziaria crescente, una capacità di penetrazione nella politica e nelle istituzioni mai prima conosciuta, un'attitudine ad internazionalizzare le proprie attività che, proprio partendo dai dati del PIL mondiale delle attività criminali, superiore alla somma del PIL mondiale del commercio del ferro e dell'acciaio, potremmo ormai definire nella soggettività grande che le mafie hanno nei processi di globalizzazione economica su scala mondiale. A questo livello di analisi, di studio, di contrasto la nuova Commissione parlamentare antimafia dovrebbe collocare la propria attività.
È un fatto positivo che il testo in discussione, innovando la legge della passata legislatura, inserisca questo filone di attività, di analisi, di ricerca e iniziativa istituzionale della Commissione. È davvero l'elemento su cui vorremmo insistere: se produrre e accumulare ricchezza, trasformarsi in impresa è fattore non più di arretratezza e sottosviluppo, ma elemento dinamico di un processo di modernizzazione e di un modello di sviluppo drogati del Mezzogiorno e del paese, usando la sua forza economica e finanziaria per condizionare la politica, la società, le libertà e gli individui, allora è oggi questo il tratto fondamentale della natura delle mafie. Proprio per questo è necessario aggredire i patrimoni, i capitali, le ricchezze mafiose per colpirne l'essenza, indebolirne la forza, incrinarne la pervasività, fermarne la crescente soggettività politica, sconfiggerne la struttura militare. Si tratta quasi di cambiare paradigma, e vorrei proporlo senza essere equivocato. Nell'azione di contrasto - e dovrebbe occuparsene anche la nostra futura Commissione - si tratta oggi di partire dalla pericolosità sociale dei patrimoni, delle ricchezze, dei capitali dell'impresa criminale mafiosa e non più e non solo dalla pericolosità sociale degli affiliati alle cosche stesse, contro i quali, ovviamente, non va per un solo momento abbassata la guardia. È questa grande massa di capitali, questa ricchezza accumulata con le attività criminali che in intere aree del paese rende l'economia, la politica, la società dipendenti, e nasce da qui quella soggettività di Cosa nostra, della 'ndrangheta, della camorra, della Sacra corona unita che, attraverso la rappresentanza diretta o grazie a politiche compiacenti, cambia le regole della democrazia, altera il rapporto tra rappresentanti e rappresentati.
Nella sua prima relazione annuale il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha scritto: nel rapporto tra mafia e società è rinvenibile un blocco sociale mafioso che è, di volta in volta, complice, connivente o caratterizzato da una neutralità indifferente. Tale blocco - continua il procuratore Grasso - comprende una borghesia mafiosa fatta di tecnici, di esponenti della burocrazia, di professionisti, di imprenditori e politici che sono strumenti o interagiscono con la mafia in forma di scambio permanente fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni. La cosiddetta zona grigia - conclude - rappresenta la vera forza della mafia.
Ecco il punto: il carattere di sistema, non emergenziale, politico e sociale prima che giudiziario, della ricostruzione di un'Antimafia che prefiguri un'alternativa di società per intere aree del Mezzogiorno e del paese. È questo sistema che ci interroga anche sulla politica e sul rapporto tra rappresentanti e rappresentati nel Mezzogiorno; serve davvero una svolta: oserei dire, una rottura. Non solo nel modo di essere della politica e delle istituzioni, ma anche nel lavoro della stessa Commissione parlamentare antimafia rispetto alla passata legislatura.
Se rileggo l'ultima relazione di maggioranza approvata in Commissione - la Pag. 84rimozione di ogni rapporto tra la mafia e la politica e la riduzione della mafia quasi ad un fenomeno di sporadica criminalità - e poi considero non le vicende di questi anni ma le cronache di questi giorni, dalla Sicilia alla Calabria, mi chiedo quale sia stata la reale volontà politica di quella Commissione, di cosa si sia realmente occupata, quale supporto normativo e propositivo abbia realizzato, di quale mafia si sia interessata.
Non ne sto facendo una questione di schieramento, colleghi deputati; so bene, dopo anni di impegno politico e anche di lavoro di inchiesta, che la mafia non ha ideologia, se non quella dell'accumulazione della ricchezza e del potere (anche il suo storico anticomunismo è sempre stato funzionale a questo suo fine). So, altresì, bene che proprio per tale ragione le forze di Governo oggi sono esposte a tentativi di penetrazione e di ricerca di interlocuzioni. Perciò, serve rigore; una svolta profonda, dopo gli anni del liberismo senza regole che ha abbattuto ogni forma di trasparenza e di controllo, ha favorito i condoni e le sanatorie, da quelle urbanistiche a quelle ambientali e fiscali, piuttosto che il rispetto delle regole e della legalità, rendendo palpabile, per i cittadini, per le imprese e per lo stesso mercato, che è più utile l'illegalità della legalità.
Abbiamo bisogno di rompere definitivamente il sistema delle impunità; lo sostengo io che non sono sospettabile di tendenze liberiste. Dobbiamo batterci in intere aree del paese per la libertà effettiva del mercato; in questi anni, sono crollate le denunce per il racket e per l'usura, non perché il fenomeno sia diminuito - anzi, è ormai totalmente diffuso, dal sud al nord del paese - ma perché, come ha spiegato in I Commissione affari costituzionali il presidente della Confindustria calabrese Callipo, la gente ha paura ed in intere regioni lo Stato e le istituzioni non sono in grado di tutelare chi trova il coraggio di ribellarsi al controllo mafioso. Ma dobbiamo anche aggiungere che esiste un problema complessivo di fiducia nelle istituzioni e nello stesso tempo di autoriforma dei comportamenti sociali. Se un imprenditore denuncia il racket ed il pizzo e la sua associazione, la Confindustria, non espelle i suoi dirigenti che hanno condanne già passate in giudicato per associazione mafiosa, ciò significa che esiste un sistema nel quale le mafie non solo sono tollerate ma sono organiche ad un modello di relazioni sociali e di accumulazione della ricchezza e del profitto. Spesso, come in Calabria, chi denuncia, quando non muore, viene anche accusato di ostacolare i processi di sviluppo.
Insomma, siamo di fronte ad un salto di qualità nel rapporto tra la mafia e la società e tra la mafia e la politica; molti di noi hanno trovato un po' ridicola la trasmissione della RAI dal covo di Bernardo Provenzano, con tanto di profumo di formaggio, di ricotta e di cicorie bollite. Ma prima ancora di quel covo, tutte le inchieste su Provenzano hanno portato ad un grumo di interessi e di potere che la mafia ha saldato con la politica e con l'imprenditoria, utilizzando la grande massa di risorse della privatizzazione della sanità. E dopo quell'arresto, è partita la grande operazione che ha individuato il tesoro di Ciancimino negli Stati di mezza Europa, con investimenti miliardari nei paesi dell'est e nei paradisi fiscali distribuiti in tutto il mondo.
Quando emerge la mappa dei nuovi capimafia, a fianco degli storici latitanti «viddani», come venivano definiti i vecchi corleonesi, troviamo avvocati, laureati e, guarda caso, ancora medici e primari, come il boss di Brancaccio, Guttadauro; tutti con una propensione accentuata ai rapporti politici. Ecco, in passato, quando si pensava ai rapporti tra la mafia e la politica si pensava ai politici come referenti; ma le entità erano due: la mafia e la politica rimanevano separate, seppure in un sistema di scambi e di collusioni. Oggi, in intere aree, questo confine non si avverte più e in tale situazione bisogna intervenire con forza; la nuova Commissione antimafia può contribuire con analisi e proposte.
Del resto, negli ultimi anni, sia la commissione presieduta dal professore Fiandaca sia quella guidata dal professore Pag. 85Grosso si sono cimentate con il tema del rapporto tra la responsabilità politica e quella penale, che poi riguarda quel blocco sociale e quella borghesia mafiosa senza i quali le mafie, oggi, non avrebbero la forza che hanno.
Siamo davvero ad una fase di passaggio del potere mafioso; e la nuova Commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe coglierne i tratti salienti, svolgendo una funzione di analisi e di proposta, per costruire quella svolta che in tanti si attendono.
È tempo di giungere ad un testo unico delle norme antimafia e ad un testo unico delle norme antiriciclaggio. Sappiamo bene che i danni di questi anni sono stati notevoli. Il reato di falso in bilancio, al di là della specifica fattispecie, permetteva l'apertura di indagini su reati finanziari e rappresentava una sorta di Cavallo di Troia per il sistema imprenditoriale e finanziario, anche per quello apparentemente legale delle mafie. Averlo abolito ha reso tutto più difficile ed ha favorito la copertura di attività economiche illegali, così come il rientro dei capitali illecitamente esportati ne ha favorito il «lavaggio».
Occorre cambiare registro! La Commissione parlamentare può avere un ruolo attivo, anche di stimolo oltre che di denuncia. Si dice, in occasione di ogni convegno, che vanno potenziate le indagini patrimoniali e, poi, si impedisce alla Banca d'Italia - per legge - di riferire all'autorità giudiziaria le anomalie riscontrate nell'attività ispettiva; anzi, non si riesce a scardinare neanche il segreto bancario, se è vero che la legge del 1991, istitutiva dell'anagrafe dei conti correnti e dei depositi, è rimasta sino ad oggi inapplicata a causa dell'assenza dei decreti attuativi. Lo stesso vale per la cosiddetta legge Mancino del 1993 sui trasferimenti di proprietà di immobili e terreni, visto che, fino ad oggi, non si è mai trovato un solo notaio o commercialista disposto a collaborare con la giustizia, ma tanti, tantissimi, invece, organici alle cosche.
La Commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe contribuire all'elaborazione di una normativa in grado, con coraggio, di svincolare le misure di prevenzione patrimoniale da quelle di prevenzione personale, proprio per evitare che il carcere, che, ovviamente, agisce sulla pericolosità dei soggetti mafiosi, lasci intatta la pericolosità sociale dei loro patrimoni e delle loro ricchezze.
Ho molto insistito su questi aspetti, colleghi, perché credo che essi rappresentino il corpo di azione prioritario della futura Commissione, e perché davvero avverto come un macigno quel monito lanciato nell'omelia pronunciata ai funerali di Francesco Fortugno dal vescovo di Locri. Disse il vescovo: «Per il sud ed il paese, oltre che una purificazione etica, serve una forte purificazione economica». Ecco, credo che questo sia il centro del nostro lavoro: non vuol dire non agire, nell'analisi e nel contrasto, sulle nuove attività criminali, sulla presenza delle nuove mafie internazionali sul nostro territorio (queste stanno mutando non solo la mappa delle attività, ma anche la geografia del controllo criminale del territorio nazionale).
Sappiamo bene, altresì, che servono un monitoraggio di diverse leggi - di quelle sulla confisca dei beni e del loro utilizzo sociale - ed una verifica delle leggi riguardanti la pubblica amministrazione ed i processi di privatizzazione e, soprattutto, delle leggi sugli appalti, la cui ispirazione liberista, unita alle immense possibilità di deroghe previste in nome di urgenze inesistenti, rappresenta uno dei favori principali concessi a quel sistema di imprese malato che, in Sicilia ed al sud, vive del ciclo del cemento. Ed è noto come, senza ciclo del cemento, non esista processo di accumulazione mafiosa.
Sto parlando del sistema degli appalti con l'1 per cento di ribasso e degli appalti assegnati a condizioni tali da avere la certezza o che la proprietà delle imprese usufruisca di capitali illegali o che esse pratichino lavoro nero o, come spesso avviene al sud, sia l'una che l'altra. È davvero ipocrita piangere lacrime di coccodrillo quando succedono tragedie come quella verificatasi a Siracusa qualche giorno fa, quando tutti, al sud, conoscono Pag. 86quanto tutto ciò faccia parte della normalità. Sarebbe significativo se la futura Commissione parlamentare antimafia assumesse i temi delle condizioni di lavoro al sud e del rapporto tra imprese, lavoro nero e sfruttamento minorile come temi della legalità e della lotta alla mafia!
Allo stesso modo, una verifica attenta andrebbe condotta anche sugli effetti delle attuali norme antiproibizioniste in materia di sostanze stupefacenti (così come innovate dall'ultima legge n. 49 del 2006), in rapporto proprio al fatturato mafioso del traffico e del commercio della droga, che ormai ammonta - le cifre sono di ieri - ad oltre 8 miliardi di euro all'anno.
Insomma, con una comune volontà del Parlamento, possiamo, ad inizio di legislatura, definire il profilo di un'Antimafia che assuma il primato di un'iniziativa istituzionale e dell'azione sociale come scelta di autonomia dall'azione giudiziaria, alla quale, comunque, vanno assicurati tutto il sostegno nella sua azione di legalità e tutte le garanzie per la sua iniziativa, la sua autonomia e la sua indipendenza.
Concludendo, come già avvenuto in Commissione, so bene che, nel corso del dibattito e, poi, in sede di valutazione degli emendamenti, emergeranno diversi punti di confronto tra noi; ne riprendo uno, non solo perché ha già avuto un'eco sulla stampa, ma perché rimanda ad un tema più generale: possono parlamentari sui quali gravano indagini, precedenti penali, rinvii a giudizio per le diverse tipologie di reati di mafia far parte della futura Commissione parlamentare? È un tema posto con forza dai deputati di Alleanza Nazionale ed anche da alcuni colleghi del centrosinistra, che ne propongono l'incompatibilità. È un tema difficile, che chiama in causa le prerogative dei parlamentari e del Parlamento previste dalla Costituzione, così come la presunzione di innocenza dei singoli sottoposti a procedimento penale sino alla sentenza definitiva. È, tuttavia, una questione cruciale che ha che fare non con questa o quella norma del codice penale o della legge istitutiva della Commissione parlamentare antimafia che ci accingiamo a votare, ma con la natura della politica, del rapporto tra la politica e il consenso, del rapporto tra i rappresentanti ed i rappresentati.
Chi conosce me e la mia parte politica sa bene che in Sicilia sono stato e siamo stati protagonisti, spesso solitari, di una battaglia radicale contro il sistema di collusione e di scambio tra la mafia e la politica; eppure oggi non credo sia sostenibile la posizione dei colleghi di Alleanza Nazionale. Perché consegnare alla magistratura la composizione di una Commissione parlamentare? E se ci avviassimo su questa strada, non sarebbero anche incompatibili quei colleghi deputati che, svolgendo la professione di avvocato, potrebbero essere difensori di mafiosi e boss di alto calibro e, considerata la condizione di privilegio del far parte di questa Commissione, avere accesso ad informazioni di cui potrebbero beneficiare nello svolgimento delle proprie funzioni professionali? E come sarebbe compatibile un veto in tal senso con quel diritto alla difesa sancito dalla nostra Costituzione? Non dobbiamo perdere per un solo attimo, credo, quell'ispirazione garantista che in passato ha reso grande la storia dell'antimafia sociale, quell'antimafia che già nel dopoguerra aveva come protagonisti contadini, capilega e sindacalisti.
Certo, garantismo, dopo lo scempio fatto in questi anni, è una parola che va rinominata, ricostruita di senso, ma noi non ce la sentiamo di sostenere la tesi di chi, con disinvoltura ed ipocrisia, propone veti a Roma e prima sostiene, ed ora si accinge a governare con un presidente della regione, in Sicilia, già sotto processo per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Né possiamo dimenticare che, quando il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso fece appello ai partiti, prima delle elezioni, a non candidare persone indagate o rinviate a giudizio per mafia, fu accusato da tutta la Casa delle libertà - e, devo dire, per primo, incautamente dall'ex Presidente della Camera - di ingerenza nella vita dei partiti. No, cari colleghi, l'accoglimento di tale invito avrebbe affrontato il tema posto alla radice, almeno nel rapporto tra politica e rappresentanza, Pag. 87e da tale punto credo dobbiamo partire. Le vicende della mafia, come quella della corruzione, ripropongono l'esigenza della ricostruzione di un'etica pubblica. Per questo, anche sulla scelta dei componenti la Commissione parlamentare, è giusto consegnare la responsabilità ai partiti, alla loro coerenza, alla trasparenza dei loro comportamenti, perché tutto sia esplicito di fronte al Parlamento e di fronte al paese, quella coerenza di comportamenti alla quale ci richiamano ancora le parole di Danilo Dolci, la sua denuncia: «Chi tace è complice».
Signor Presidente, colleghi deputati, non ho descritto un'antimafia rituale. Sappiamo che senza una grande riforma morale e senza una grande riforma sociale la lotta alla mafia non potrà che rimanere rinchiusa nelle aule dei tribunali e sarebbe davvero - e definitivamente - la sua sconfitta sociale e politica; ma noi oggi, discutendo di come e cosa fare, anche attraverso i poteri e l'istituzione della nuova Commissione parlamentare, per ricostruire un diverso e più proficuo rapporto con la società civile, proviamo ad evitare che ciò avvenga (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Boscetto, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Li Causi. Ne ha facoltà.

VITO LI CAUSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi Popolari-Udeur riteniamo primario combattere la criminalità organizzata che ostacola lo sviluppo del nostro territorio e mina le basi della nostra Repubblica.
È essenziale, in questa XV legislatura, a norma dell'articolo 82 della Costituzione, garantire la continuità da parte dello Stato nella lotta contro le organizzazioni criminali, attraverso l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle problematiche relative al fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari.
Le sette Commissioni che si sono succedute negli anni, a partire dal 1962, avvalendosi di poteri variamente definiti dalle rispettive leggi istitutive, hanno posto al centro delle proprie indagini e delle proprie iniziative il fenomeno della mafia nelle sue diverse espressioni: nella sua morfologia, nei suoi collegamenti con la vita sociale e politica.
Desidero ricordare che alla prima Commissione, istituita nel 1962, venne attribuito il compito di esaminare la genesi e le caratteristiche del fenomeno della mafia e proporre le misure necessarie per reprimere le manifestazioni ed eliminarne le cause.
La suddetta Commissione ha avuto un ruolo fondamentale, in quanto ha acquisito un ampio patrimonio conoscitivo; ciò avveniva in una situazione in cui, a quei tempi, il contributo di accertamento proveniente dalle autorità giudiziarie era, per la verità, poco sufficiente.
La seconda Commissione, istituita nel 1982, non può essere annoverata fra le Commissioni parlamentari d'inchiesta perché ad essa era attribuito soltanto il compito di verificare l'attuazione delle leggi antimafia, di accertare la congruità della normativa vigente e della conseguente azione dei pubblici poteri e di suggerire al Parlamento misure legislative ed amministrative.
È bene ricordare l'enorme contributo che diede questa Commissione al pool antimafia dell'ufficio istruzione di Palermo.
La terza Commissione venne istituita nel marzo 1988 ed oltre ai poteri d'inchiesta della prima Commissione le vennero attribuiti anche poteri di controllo. La citata Commissione ha avuto un ruolo fondamentale nell'attività propositiva, soprattutto perché il periodo che va dal 1988 al 1992 coincise con gli anni in cui l'attività giudiziaria subì profonde battute di arresto, che culminarono con lo smantellamento del pool antimafia. Ed ancora, erano anni in cui il fenomeno mafioso subiva profonde modifiche. Infatti, si avvertiva un cambiamento dei rapporti mafia-società e mafia-istituzioni, si era notevolmente Pag. 88accresciuto il volume di affari gestiti o controllati dalle grandi organizzazioni criminali, erano mutati i rispettivi gruppi dirigenti e l'attacco allo Stato era divenuto sempre più insidioso, anche se si registra in quegli anni un notevole impegno delle istituzioni e delle Forze dell'ordine.
La quarta Commissione antimafia, istituita con poteri di inchiesta nell'agosto del 1992, ha svolto i suoi lavori per circa 16 mesi soltanto, in quanto la XI legislatura si è conclusa anticipatamente. Però, per la prima volta, vennero affrontati temi di connessione tra le organizzazioni mafiose ed il sistema politico-istituzionale. Inoltre, sono state approvate a larghissima maggioranza due relazioni, la prima sul fenomeno Cosa nostra, la seconda su quello della camorra, ponendo in luce le interrelazioni fra di esse. Si è data, altresì, rilevanza al fenomeno della presenza mafiosa straniera.
La quinta Commissione antimafia, istituita nel giugno del 1994, ha svolto i suoi lavori per la durata della XII legislatura e ciò che più caratterizzò la sua attività fu la rilevante eccezione contenuta nell'articolo 3, comma 2, della legge istitutiva del 1994, n. 430, in forza del quale articolo i fatti di mafia sono qualificati come eversivi dell'ordine costituzionale al fine di escludere a tale riguardo la possibilità di opporre il segreto di Stato.
La sesta Commissione antimafia, istituita nel 1996 nella XIII legislatura, ha compiuto importanti passi avanti nella sua lotta alla criminalità organizzata. Così, anche per la settima Commissione antimafia, istituita nel 2001, proseguendo la scia della precedente e contribuendo al conseguimento dei recenti successi.
Signor Presidente, alla luce di quanto esposto finora, noi Popolari-Udeur riteniamo che il lavoro fin qui svolto dalle precedenti Commissioni debba proseguire con continuità, forti del bagaglio acquisito dai lavori delle Commissioni che si sono succedute nel corso degli anni e che ho sinteticamente citato.
Onorevole Lumia, onorevole Violante, non solo chi sta parlando ma tutto il gruppo dei Popolari-Udeur condivide pienamente l'impostazione che è stata data da chi mi ha preceduto negli interventi. E attraverso questi interventi nasce in noi ciò che abbiamo dentro, vale a dire costruire attorno a questo argomento una proposta di legge che possa essere forte e robusta nel perseguire gli interessi generali. Noi la sosterremo in ogni azione, nell'interesse delle istituzioni e della centralità dei cittadini italiani.
Si deve, in conclusione, aggiornare l'analisi e soprattutto verificare la funzionalità degli strumenti istituzionali più adeguati per porre in essere un'azione di contrasto efficace, perché, comunque, il pericolo mafioso è ancora ben presente nel nostro territorio. A tale proposito, sarebbe opportuno che la Commissione svolgesse un lavoro di riordino in un testo unico di tutta la complessa legislazione antimafia, in modo da individuare gli strumenti più idonei per rafforzare ed incentivare la presenza dello Stato sul territorio. Infatti, la Commissione antimafia, esaminando ciò che succede nel territorio e cogliendone gli aspetti e leggendone i segni, dovrebbe avere il potere di agire in tempi brevi con un riscontro immediato e provvedere, dopo lo svolgimento delle audizioni, a risolvere situazioni anomale che non riescono ad essere rimosse con sollecitudine da chi ne ha il compito.
Diverse sono le problematiche da affrontare, per cui sarebbe anche necessario addentrarsi più profondamente nelle strutture più intime e segrete della mafia e della criminalità organizzata, in modo da eliminare il patto scellerato criminalità organizzata-politica-impresa. È necessario valutare attraverso indagini specifiche il rapporto fra le diverse organizzazioni criminali e il sistema economico, da un lato, e la rappresentanza politica, dall'altro, in modo da individuare un'azione di contrasto così efficace da evitare che le ingenti risorse che si investiranno negli anni a venire nel Mezzogiorno d'Italia siano speculate dalle organizzazioni criminali stesse.
Infine, è necessario affiancare all'intervento repressivo, proprio delle Forze dell'ordine, Pag. 89uno strumento adeguato di politica sociale e promuovere e diffondere nelle scuole di ogni ordine e grado programmi di attività con cui rafforzare tra i giovani la cultura della legalità costituzionale. Tutto ciò, allora, rende necessario un intervento che preveda una strategia nazionale e internazionale tra più livelli di iniziativa, quelli legislativo, economico, culturale, sociale, giudiziario e - perché no? - repressivo.
Perciò, noi Popolari-Udeur riteniamo che sin dall'inizio di questa XV legislatura ci si debba adoperare per la immediata approvazione della proposta di legge oggi in discussione, affinché si abbia una continuità ed un maggiore e doveroso impegno del Parlamento italiano nella lotta contro la mafia e tutte le altre organizzazioni criminali (Applausi del deputato Violante).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi deputati, già all'inizio della precedente legislatura, quando eravamo all'opposizione, avevo presentato, a nome dei Verdi, una proposta di legge per ricostituire tempestivamente la Commissione d'inchiesta antimafia. Quella proposta fu approvata nell'ambito di un testo unificato, come avviene oggi, cioè con la legge n. 386 del 2001. Mi è sembrato, parimenti, doveroso, anche all'inizio di questa legislatura, nella quale appartengo, come gli altri colleghi dell'Unione, alla maggioranza, ripresentare, il primo giorno della legislatura, una proposta di legge ricostitutiva della Commissione antimafia.
Credo che sia giusto da parte di tutti noi, e anche da parte dell'opinione pubblica, all'esterno, prendere atto con soddisfazione, in primo luogo, della decisione assunta dalla Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera di calendarizzare tempestivamente l'esame in Assemblea di questo insieme di proposte di legge, tutte finalizzate a ricostituire tempestivamente la Commissione antimafia. Tutto questo, del resto, in parallelo con quanto sta avvenendo anche per le proposte di legge - una delle quali io stesso ho presentato - ricostitutive della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite connesse.
Anche a seguito di questa decisione unanime della Conferenza dei presidenti di gruppo, la nostra Commissione, la Commissione affari costituzionali, sotto la presidenza del presidente Luciano Violante, ha svolto nei giorni scorsi, e sta svolgendo ancora oggi, complessivamente un buon lavoro, io credo, in sede referente. Ha fatto bene, a mio avviso, il presidente Violante a nominare due relatori - l'una appartenente alla maggioranza, la collega Sesa Amici, l'altro appartenente all'opposizione, il collega D'Alia - in modo da dare un segnale anche di tipo istituzionale, oltreché politico, dell'ampia e, mi auguro, unanime convergenza che si può verificare in questo Parlamento nel raggiungere, nel giro di pochi giorni o di poche settimane dall'inizio della legislatura, l'obiettivo della ricostituzione della Commissione d'inchiesta antimafia.
La Commissione affari costituzionali ha svolto un buon lavoro anche perché, assumendo come riferimento il testo approvato all'inizio della scorsa legislatura, tuttavia ha approvato una serie di emendamenti migliorativi del testo, come è giusto che avvenga dopo cinque anni di esperienza. Anche oggi, essendosi riunito, il Comitato dei nove, che rappresenta in Assemblea la Commissione affari costituzionali, ha valutato ulteriori nuovi emendamenti che potremmo insieme votare, nelle sedute di domani o dopodomani, perfezionando ulteriormente il testo.
La collega Amici, che è intervenuta anche a nome dell'altro relatore, D'Alia, ha opportunamente messo in evidenza, nella sua relazione iniziale, alcuni di questi aspetti relativi all'aggiornamento, miglioramento ed approfondimento del testo sotto il profilo degli obiettivi e delle finalità.
Ne indico alcuni che anche la collega Amici ha già citato.Pag. 90
In primo luogo, la verifica dell'attuazione delle disposizioni relative all'applicazione del regime carcerario di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, che - come tutti sanno - è l'ordinamento penitenziario, per quanto riguarda le persone imputate o condannate per delitti di mafia. Questa è una norma di particolare gravità e rilevanza ed è giusta una corrispondente attenzione da parte della Commissione. È stato esteso, inoltre, l'ambito dell'attività di accertamento e valutazione di competenza della Commissione, con riferimento ai processi di internazionalizzazione e cooperazione delle organizzazioni mafiose con altre organizzazioni criminali; si è anche espressamente attribuito alla Commissione il compito di analizzare e di verificare l'adeguatezza delle strutture preposte alla prevenzione e al contrasto dei fenomeni criminali, nonché al controllo del territorio, e, inoltre, il compito di svolgere il monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali, in modo da proporre misure idonee a prevenire e a contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, con riguardo anche alla normativa concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e la rimozione degli amministratori locali. Anche qui ci sono, da una parte, esigenze di tutela della legalità e di sicurezza e, dall'altra parte, il rispetto delle garanzie dello Stato di diritto: sono norme di particolare delicatezza, su cui è opportuno che ci sia una speciale attenzione da parte della prossima Commissione antimafia.
Dopo che, in sede di ufficio di presidenza allargato, i rappresentanti dei gruppi della Commissione hanno ascoltato il dottor Callipo, presidente degli industriali calabresi, che ci ha portato una drammatica testimonianza in prima persona della situazione della criminalità organizzata nella sua regione, abbiamo deciso, di comune accordo, su proposta dei colleghi relatori, di inserire fra i compiti della Commissione d'inchiesta anche quello di verificare l'impatto negativo dell'attività delle associazioni mafiose sul sistema produttivo, con particolare riguardo all'alterazione dei principi di libertà dell'iniziativa economica privata e di libera concorrenza nel mercato, di libertà di accesso al sistema creditizio e finanziario, di trasparenza della spesa pubblica comunitaria, statale e regionale, finalizzata allo sviluppo e alla crescita del sistema delle imprese.
Questi sono alcuni dei principali aspetti innovativi che abbiamo introdotto - devo dire con amplissima convergenza tra maggioranza e opposizione - all'interno del testo che è sottoposto ora all'esame dell'Assemblea.
C'è un altro aspetto innovativo, sotto il profilo dell'attività di inchiesta e di consultazione che la Commissione antimafia sistematicamente mette in atto. Non è una novità, dal punto di vista della prassi, perché già in precedenza la Commissione antimafia aveva ascoltato associazioni, soggetti, realtà associative appartenenti alla società civile, particolarmente impegnati nella realtà concreta, nella battaglia contro la criminalità organizzata; ma l'aver esplicitamente previsto la possibilità di consultare anche tali soggetti, realtà associative a carattere nazionale o locale, che operano contro le attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso e similari - ripeto: averlo esplicitamente previsto nel testo di legge -, valorizza il ruolo importante che queste realtà associative hanno all'interno della società civile. Infatti, è a tutti chiaro che la lotta contro la mafia è un impegno che - ovviamente - comporta l'attività, in primo luogo, degli apparati dello Stato, degli apparati di polizia, di sicurezza e giudiziari, ma anche una grande responsabilità da parte delle forze politiche, di quelle sindacali, imprenditoriali, economiche, sociali e anche da parte delle espressioni della società civile. Valorizzare questo elemento, anche in modo esplicito nel testo istitutivo, della Commissione antimafia credo sia stato giusto.
Ci sono alcuni particolari aspetti su cui la nostra comune riflessione si è espressa e che potranno comportare, forse (nel voto dell'Assemblea su qualche singolo emendamento), Pag. 91qualche opposizione legittimamente differenziata, ma che mi auguro consentano alla fine - credo di esserne certo - una convergenza pressoché unanime nel voto finale sul testo. Uno di questi aspetti riguarda l'elezione del presidente della nuova Commissione antimafia. Vorrei infatti segnalare che era stata anche ipotizzata, da parte di qualcuno, non l'elezione, bensì la nomina da parte dei Presidenti delle Camere.
Ci è parso opportuno, comunque, non seguire tale strada, dal momento che, ormai da alcune legislature (vale a dire, dal 1994 in poi), i Presidenti delle Camere appartengono entrambi allo schieramento di maggioranza pro tempore in quella legislatura; pertanto, ritengo sia stata opportuna e saggia la scelta, da parte della I Commissione e dei relatori, di proporre che sia la stessa Commissione di inchiesta ad eleggere il suo presidente al proprio interno.
Nel corso del dibattito sono emerse valutazioni diverse, e forse emergeranno anche nelle proposte emendative che saranno presentate, su quale sia il tipo di maggioranza sulla base della quale il presidente debba essere eletto. Ricordo che, nel testo presentato dalla maggioranza di centrodestra nella scorsa legislatura (ma che, devo riconoscere, è stato approvato in modo unanime), si prevedeva il requisito della maggioranza assoluta dei voti. Si tratta di un termine concettualmente un po' imperfetto, per cui oggi, in sede di Comitato dei nove, si è registrato un largo accordo nel senso di precisare meglio che la maggioranza che si richiede, almeno nella prima votazione, è quella assoluta dei componenti la Commissione, con eventuale, successivo ballottaggio laddove tale maggioranza non dovesse sussistere.
Segnalo che altri colleghi, in particolare alcuni deputati del centrodestra, propongono invece, nelle prime votazioni ipotizzabili, di elevare il quorum per l'elezione del presidente; tuttavia, è stata mossa da alcuni l'obiezione - forse risentiremo tali argomentazioni nel momento di votare i testi in Assemblea - per cui creeremmo in questa Commissione una situazione un po' anomala rispetto ad altre Commissioni di inchiesta, che non richiedono quorum particolari per l'elezione del loro presidente. Credo che prevedere l'elezione del presidente a maggioranza assoluta dei componenti rappresenti una garanzia sufficiente: l'importante è che le candidature siano di alto prestigio ed abbiano un'alta capacità politica ed istituzionale.
Un secondo aspetto particolare sul quale ci siamo soffermati in sede referente, già riecheggiato in quest'aula, riguarda la delicatezza della composizione della Commissione, composta da venticinque deputati e da altrettanti senatori (si tratta, quindi, di una Commissione d'inchiesta molto ampia). È emersa, ovviamente, la valutazione politica - difficile che possa essere posta in termini giuridici - sulla responsabilità che hanno tutti i gruppi parlamentari, sia della Camera sia del Senato, di proporre ai rispettivi Presidenti persone che possiedano una particolare adeguatezza rispetto al compito che sono chiamate a svolgere nella Commissione di inchiesta.
Sotto questo punto di vista, i relatori hanno opportunamente proposto un testo unificato che fa riferimento, al momento della nomina, alla necessità di tener conto della specificità dei compiti della Commissione antimafia, ma non sono andati oltre; altri colleghi, appartenenti sia al centrodestra, sia qualcuno al centrosinistra, hanno invece presentato proposte emendative molto più determinate e «determinanti» nel prevedere possibili esclusioni formali in ordine alla possibilità di far parte della Commissione stessa.
Sono convinto che sia probabilmente inopportuno, e forse anche costituzionalmente assai dubbio, andare oltre quanto è previsto nel testo oggi all'esame dell'Assemblea - vale a dire la necessità di tener conto della specificità dei compiti della Commissione -, perché, come ci ha fatto notare il parere molto motivato ed articolato espresso, in sede consultiva, dalla Commissione giustizia, si potrebbero prospettare seri profili di incostituzionalità nello stabilire status diversi per i parlamentari Pag. 92in relazione alla partecipazione alla Commissione di inchiesta in oggetto.
Sta di fatto che, se da una parte dobbiamo rispettare le garanzie costituzionali di tutti i parlamentari, dall'altra dobbiamo pacatamente e senza demagogia, ma con fermezza, sottoporre all'attenzione dell'Assemblea, dei gruppi parlamentari e dei Presidenti delle due Camere la necessità di valutare con senso di responsabilità le proposte che saranno avanzate per l'ingresso in questa Commissione, in modo che i nominati siano all'altezza dei compiti e della delicatezza degli impegni istituzionali e politici che tale Commissione di inchiesta prevede.
Abbiamo anche inserito una novità assoluta nel testo relativo a questa Commissione di inchiesta, e credo che qualcosa di analogo sia previsto anche per la Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti; quindi, probabilmente, questa nuova ipotesi sarà destinata ad entrare a far parte di tutte le proposte di legge che dovessero istituire nuove Commissioni d'inchiesta. Abbiamo previsto un quorum particolarmente elevato nell'ipotesi che la Commissione d'inchiesta debba assumere provvedimenti limitativi delle libertà personali. È chiaro a tutti che l'articolo 82 della Costituzione prevede che le Commissioni di inchiesta agiscano con gli stessi poteri e gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria. Comunque, per quanto riguarda l'autorità giudiziaria, la richiesta di un provvedimento restrittivo deve essere sottoposta al vaglio di un giudice terzo - che in qualche modo è una garanzia dal punto di vista istituzionale -, mentre ovviamente un ente terzo che valuti le eventuali richieste di provvedimenti da parte di una Commissione di inchiesta non c'è e non ci può essere. Quindi, la proposta che viene presentata all'Assemblea - credo abbia trovato l'unanimità dei consensi - è che eventuali provvedimenti limitativi delle libertà personali vengano assunti dalla Commissione con la maggioranza dei due terzi dei componenti della stessa e con atto motivato.
Mi pare che questa sia un'ipotesi positiva, da condividere, che da una parte mantiene, come non poteva che essere, questo potere - eventuale, straordinario ed eccezionale, ma c'è - in capo alla Commissione di inchiesta in forza dell'articolo 82 della Costituzione, ma dall'altra impedisce che provvedimenti limitativi delle libertà personali possano essere utilizzati dalle maggioranze politiche pro tempore. Tale ipotesi prevede che ci sia una valutazione più ampia da parte dei componenti della Commissione sull'opportunità/necessità di assumere eventualmente provvedimenti di questo tipo, per evitare anche polemiche strumentali o l'uso strumentale di questi provvedimenti.
Vi è un altro aspetto che costituisce una novità assoluta in questo testo ed anche in quello, parallelo, relativo alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, cioè la previsione di una limitazione programmata delle spese che possono essere sostenute dalla Commissione di inchiesta. Abbiamo sentito poco fa il dibattito svoltosi sulla mozione che ha preceduto l'esame di questa proposta di legge, concernente gli impegni istituzionali a contenere al massimo le spese per la politica. In questo caso, c'è una norma - sia pure in un ambito abbastanza ampio, in modo da non impedire il lavoro della Commissione, il che ovviamente sarebbe controproducente - che prevede un tetto alle spese della Commissione di inchiesta ed anche, come è opportuno che sia, un certo grado di elasticità e la possibilità di superare, eventualmente, del 30 per cento quel tetto qualora ci sia l'autorizzazione da parte dei due Presidenti delle Camere. Anche questa è una novità assoluta per quanto riguarda le Commissioni di inchiesta. Siccome nella scorsa legislatura si sono verificati casi, lo dico senza troppa demagogia, di dilatazione abnorme delle spese di qualche Commissione di inchiesta, forse è stato opportuno inserire questa nuova norma, come atto di autoresponsabilizzazione del Parlamento, all'interno del testo al nostro esame.
Non mi soffermo oltre, signor Presidente e colleghi, sugli altri articoli che riguardano la richiesta di atti e documenti, l'obbligo del segreto, l'organizzazione interna, Pag. 93e così via (articoli 5, 6 e 7), perché sono temi che, in qualche modo, ricalcano la struttura e il modo di funzionare di un'organizzazione interna o norme che debbono essere rispettate sotto il profilo dell'acquisizione di documenti, da una parte, e del rispetto del segreto, dall'altra: ripeto, ricalcano norme delle precedenti leggi istitutive delle Commissioni di inchiesta, sia di questa che di altre Commissioni.
Concludo, signor Presidente, colleghi e amici relatori, ringraziandovi per il lavoro che avete fatto in questi giorni e che continuerete a fare. L'auspicio è quello di un rapido esame da parte della Camera dei deputati, in modo da rendere possibile un tempestivo completamento dell'iter parlamentare anche da parte dell'altro ramo del Parlamento prima della pausa estiva. Esprimo inoltre l'auspicio, che credo si verificherà, che, al di là di alcune valutazioni diverse che potremo avere su specifiche proposte emendative - come è ovvio e normale che sia nel dibattito parlamentare -, alla fine la Commissione antimafia possa essere istituita dal Parlamento con una convergenza sostanzialmente unanime (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lumia, al quale ricordo che ha 15 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come gruppo de L'Ulivo, all'avvio della nuova legislatura abbiamo subito presentato una proposta di legge perché riteniamo che l'istituzione della Commissione in oggetto sia un fatto rilevante della vita del nostro Parlamento. All'inizio della legislatura, mettere come uno dei primi punti dei lavori della nostra Assemblea l'approvazione della legge istitutiva della Commissione antimafia ci pone nelle condizioni di fare bene, di raggiungere un grado elevato di unità e di provare a partire nella lotta alla mafia con il piede giusto.
La Commissione di merito ha svolto un ottimo lavoro, confermando la struttura portante che è stata utilizzata nelle legislature scorse, ed ha anche introdotto dei punti di innovazione molto interessanti: uno per tutti, com'è già stato ricordato, riguarda la possibilità della Commissione di procedere istituzionalmente alla consultazione di coloro che, nell'associazionismo antiracket (ricordiamo la FAI), nel mondo del volontariato (ricordiamo Libera) e nelle altre organizzazioni, in questi anni hanno prodotto esperienza e sapere, nonché una dimensione progettuale interessante, con risvolti legislativi che possono interessare il lavoro della Commissione.
Nella nostra storia abbiamo avuto sette Commissioni parlamentari. Ognuna di esse, tra alterne vicende e con alti e bassi, ha provato ad offrire al Parlamento ed alle istituzioni tutta una serie di letture sulla presenza mafiosa e ad aprire anche la vita del nostro paese a quello che realmente succede in tanti nostri territori. Tutte, alcune con relazioni unitarie, altre con relazioni di maggioranza o di minoranza, hanno evidenziato l'estrema pericolosità delle mafie, il carattere collusivo con settori della società italiana, con pezzi delle istituzioni e della politica, e con settori altrettanto importanti dell'economia. Ci sono stati momenti importanti, con inchieste ed indagini che hanno aperto gli occhi a molti italiani, denunciato gravissime responsabilità politiche e istituzionali, proposto soluzioni legislative ed indirizzi di governo.
Un dato è da sottolineare: le Commissioni hanno espresso il meglio di sé quando sono state capaci di stare un passo in avanti rispetto alle logiche, spesso chiuse, di appartenenza, alle dinamiche politiche oppure, peggio, ai giochi strumentali di maggioranza ed opposizione. Quando invece le Commissioni sono state gestite burocraticamente, supine ai vizi delle classi dirigenti, preoccupate di coprire le responsabilità politiche dei vari sistemi di collusione, pronte ad utilizzare la clava per colpirsi a vicenda, con accuse spesso poco trasparenti e poco fondate, si sono ottenuti risultati scadenti, privando il paese e il Parlamento di un forte ed autorevole punto di riferimento nel colpire Pag. 94le mafie, al meglio delle possibilità presenti nella società e nelle istituzioni democratiche.
Dobbiamo recuperare la buona memoria, evitare errori e distorsioni, avviare una forte e qualificata capacità progettuale ed operativa, che la Commissione antimafia può tracciare e stimolare. Ci avviamo verso l'ottava Commissione parlamentare. Le mafie tuttavia rimangono un nodo strutturale della vita del nostro paese. Siamo chiamati a fare un vero salto di qualità. È possibile farlo? Certo. Oggi conosciamo più che mai cosa sono le mafie, come agiscono, quale forma di accumulazione utilizzano, il grado di collusione, i rapporti internazionali, la capacità di riproduzione ed organizzazione militare, sociale, economica e politica. Nessuno può più dire «non sapevo» oppure stupirsi, o ancora peggio sottovalutare oppure, ancora, pensare che la soluzione sia quella di convivere con esse.
Oggi, nessuno può sostenere che le mafie non siano un serio danno ed una minaccia di primo piano per la vita sociale, economica ed istituzionale. Prendiamo, ad esempio, la parte economica: il Censis, pochi anni fa, colpì al cuore la vecchia e rovinosa idea che le mafie, tuttavia, sono pur sempre un fattore di sviluppo e di crescita occupazionale. Non è vero! Le mafie nel sud non solo hanno tolto opportunità e diritti, ma hanno anche bloccato una certa crescita del PIL, che si stima pari almeno al 2 per cento della ricchezza prodotta, cancellando ogni anno ben 170 mila posti di lavoro e bloccando la propensione al mercato di fasce intere dell'imprenditorialità legale.
Così, è anche sbagliato pensare che le mafie fossero semplicemente legate al sottosviluppo, tenute in vita da società antiche, premoderne. No! Soprattutto oggi, le mafie sono ancorate a fenomeni - ahimè - di modernizzazione, di sviluppo e crescita economica. Certo, uno sviluppo senza qualità, senza legalità, capace di accumulare ricchezza mal distribuita, in grado di produrre profonde disuguaglianze, distorsioni della libera concorrenza e delle stesse potenzialità del mercato.
In sostanza, la lotta alle mafie fa bene alla crescita di uno sviluppo sostenibile, in grado di fare della legalità una risorsa e non un vincolo alle dinamiche produttive e sociali dei nostri territori più martoriati dalla presenza mafiosa.
Inoltre, sappiamo con certezza che le mafie sono forti perché colludono anche con la politica. Qui il discorso si fa delicato e, spesso, carico di strumentalità, ma, per quanto complesso e delicato, questo nodo va sciolto. Dobbiamo con forza recuperare la consapevolezza della funzione della responsabilità politica, ben diversa dalla responsabilità penale. La Commissione antimafia non è il quarto grado di giudizio, non deve rincorrere l'azione penale, non deve forzare un giudizio, in un verso o nell'altro, di assoluzione o di condanna. La Commissione usa i poteri dell'autorità giudiziaria per svolgere inchieste, conoscere meglio, dare indicazioni al fine di individuare le responsabilità politiche di chi ha consapevoli e sistematici rapporti con le cosche, di chi omette di fare scelte contro le mafie, di chi facilita il compito delle infiltrazioni negli appalti, nelle istituzioni, di chi allaccia rapporti inconfessabili e devastanti con i clan, anche in momenti elettorali.
La politica non deve attendere, guardarsi la scena, per poi dividersi in tifosi o detrattori dell'azione penale. La Commissione, certo, deve verificare se l'azione penale è libera, approfondita, supportata da mezzi e risorse e soprattutto da buone leggi che rendano efficace e forte l'azione di prevenzione e repressione dello Stato. La Commissione potrebbe supportare la politica anche in positivo, sull'esempio dei codici etici di autoregolamentazione, nel selezionare le classi dirigenti e le candidature. Le notizie intorno alle inchieste giudiziarie di questi mesi e di questi anni confermano quanto sia necessario avere più coraggio, più determinazione, e procedere lungo queste scelte.
In tal senso, la questione della scelta dei membri da mandare in rappresentanza dei gruppi in Commissione è quanto mai delicata, ma vera. Un meccanismo di selezione va previsto, non invasivo naturalmente Pag. 95delle prerogative democratiche e costituzionali dei parlamentari e dei gruppi che li designano. Si potrebbe trovare una soluzione condivisa, potenziando i poteri discrezionali dei Presidenti delle Camere nel verificare le varie compatibilità di coloro che, per gravi condizioni o per incompatibilità professionale, rendono inopportuna la loro presenza rispetto al lavoro che deve svolgere un componente della Commissione, un Commissario appunto, che viene a conoscenza di atti giudiziari segreti e che deve essere libero e privo di condizionamenti per svolgere al meglio la propria funzione parlamentare all'interno della Commissione antimafia.
Ritengo che la soluzione individuata dalla Commissione e gli emendamenti proposti potrebbero rappresentare il terreno per svolgere un passo in avanti serio e rigoroso in tale direzione.
Cari colleghi, possiamo organizzare le istituzioni e la politica per prevenire e colpire le mafie e le loro collusioni. Si tratta di un'occasione che non dobbiamo perdere, per fornire una corretta e preparata risposta. Certo, la strada è in salita, in quanto le mafie sono ancora forti e ben radicate, ma si può vincere.
Il Presidente Ciampi diceva che le mafie «non basta combatterle, dobbiamo sconfiggerle». Allora, è necessario organizzare i poteri e le funzioni della Commissione per passare dall'antimafia del «giorno dopo» (l'antimafia del giorno dopo le stragi, l'antimafia del giorno dopo l'omicidio Fortugno, dei grandi delitti, delle azioni di collusione, di controllo del territorio, dei traffici internazionali) all'antimafia del «giorno prima», all'antimafia dell'antiriciclaggio, che sa individuare quali risorse - sempre meno, per la verità - sono reinvestite sul territorio, condizionando in negativo la vita economica di quel territorio nonché gli stessi diritti e le opportunità. Quell'antimafia dell'antiriciclaggio che è in grado di cooperare sul piano giudiziario internazionale per anticipare i grandi flussi che velocemente si inseriscono all'interno dei paradisi fiscali dei paesi off-shore.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» dell'antiracket che, oggi, nel nostro paese è realizzabile avendo ottenuto risultati positivi, dimostrando che attraverso l'associazionismo, la denuncia, la fiducia, da porre al servizio degli operatori economici, si possono produrre risultati non solo penalmente rilevanti, ma anche di grande pregio economico. L'esperienza dell'associazionismo antiracket, guidata da Tano Grasso, ci dimostra che al riguardo diversi obiettivi si possono ottenere.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» dei beni confiscati, di quelle esperienze che Libera, guidata da don Ciotti, e tante altre associazioni, insieme a prefetti e comuni, hanno organizzato sul nostro territorio; di quei beni confiscati già produttivi, che già forniscono risultati, e di quei tanti altri beni confiscati - sono ancora migliaia - che attendono una risposta moderna per essere strappati alla gestione delle mafie e inseriti nuovamente in un circuito sociale e produttivo al meglio delle potenzialità.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» del controllo degli appalti e della lotta al lavoro nero, che spesso impediscono la celere realizzazione di grandi infrastrutture e di piccole opere pubbliche, al fine di evitare che le imprese colluse siano le vere protagoniste attraverso i subappalti, il controllo della filiera del cemento, del ferro e, in molte occasioni, dell'intermediazione della manodopera.
Dobbiamo passare all'antimafia del «giorno prima» della cooperazione internazionale, del testo unico delle norme antimafia, del potenziamento del ruolo dei testimoni di giustizia e della tutela della funzione dei collaboratori di giustizia, dei processi veloci e in grado di garantire l'efficacia dell'azione penale, in rapporto con le giuste garanzie degli imputati e anche delle vittime. Per tale motivo, dobbiamo liberare la lotta alle mafie dall'emergenzialità e dal ritmo episodico che spesso questa assume, per recuperare sistematicità, continuità, territorialità e globalità.Pag. 96
Colleghi, la sfida delle mafie rimane aperta. Oggi è possibile. Risultati inediti potrebbero senz'altro arrivare, ma guai a sottovalutare le caratteristiche e la forza del radicamento sociale e culturale, economico e finanziario, politico e istituzionale, tanto sul piano locale che internazionale, dei vari poteri mafiosi: di Cosa nostra come della 'ndrangheta, della camorra, così come della Sacra corona unita, delle altre mafie straniere - quella albanese, cinese, russa, nigeriana, slava - e di quelle globalizzate che trafficano uomini, donne e bambini, riducendoli spesso in condizioni di vera e propria schiavitù, sappiamo di più. Ma sappiamo anche che hanno una forte capacità di riproduzione; ecco perché occorre rendere la lotta alle mafie una vera e sostanziale priorità nella vita del Parlamento e del Governo. Raramente ciò è stato fatto; oggi, dobbiamo riprovarci!
Riguardo alla minaccia terroristica, nella storia del nostro paese, ci siamo riusciti più volte; riguardo a quella mafiosa, ancora no. La minaccia terroristica è stata affrontata con coraggio, determinazione, senza lesinare risorse e con interventi legislativi severissimi, ai limiti dei sistemi di garanzia previsti dalla nostra Costituzione. Ciò è stato possibile anche perché le organizzazioni terroristiche, che sono state isolate nella società o sono rimaste sostanzialmente estranee al sistema politico e istituzionale del nostro paese, non godevano di ampio consenso, non erano in grado di condizionare la vita istituzionale di interi territori. Il nemico rimaneva sempre visibile e, rispetto ad esso, si potevano adottare le giuste misure, definendone i caratteri organizzativi, militari ed il grado di contatto con la politica e le istituzioni.
Le mafie sono, invece, un nemico più subdolo: stanno all'interno della società e sanno mimetizzarsi bene, spesso più di quanto si pensi. Sanno farsi percepire come una realtà che dà anche delle utilità, per quanto false, rispetto a cui, a volte, si ritiene valga la pena scambiare favori e servizi. Esse intrattengono un antico rapporto con la politica ed il potere economico, che si ridefinisce, di volta in volta, in rapporti di mediazione o di rappresentanza diretta.
Ecco perché è necessario compiere uno sforzo in più, impegnare il meglio delle nostre energie democratiche e dare giusto rilievo al lavoro da svolgere.
La Commissione può facilitare questo compito. Ecco perché siamo pronti a collaborare in Assemblea sugli emendamenti ed a garantire, per quanto ci riguarda, una veloce approvazione del provvedimento in discussione (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, come ben ricordato nelle tre proposte di legge presentate in questa legislatura, a partire dal 1962, ben sette Commissioni di inchiesta parlamentari hanno lavorato e posto al centro del dibattito sulla legalità e sullo Stato di diritto il fenomeno mafioso nelle sue diverse espressioni.
Attraverso la lettura degli atti e delle relazione prodotte, riusciamo a tracciare il divenire storico di mezzo secolo di subculture criminali e a definire come le classi politiche dell'Italia repubblicana succedutesi hanno affrontato il problema, con alcuni successi e molte delusioni (compresa, ovviamente, quella relativa all'impossibilità di inquisire per mafia il senatore Andreotti).
Mentre ancora ci prepariamo ad affrontare la sfida con l'ottava Commissione di inchiesta, già sono presenti o si affacciano dal mondo della globalizzazione e del fenomeno immigratorio nuove transculture criminali che stanno mettendo radici nel nostro paese, che sono preda delle organizzazioni criminali locali o si affiancano ad esse, trovando una giustificazione alla propria esistenza seguendo comuni principi etnici, religiosi, socioeconomici e politici e dando vita a nuove stratificazioni criminale su cui c'è ancora molto da comprendere.Pag. 97
Da ciò si deduce che non sarà l'ottava Commissione d'inchiesta a concludere in modo definitivo il lavoro iniziato nel 1962 e che la lotta alla criminalità organizzata mafiosa o similare sarà un impegno ed un'emergenza costante, organica e prioritaria per il nostro paese, sentita come tale anche da tutti i cittadini.
Quindi, se siamo tutti convinti di tale priorità, chiedo se non sia opportuno superare la necessità di presentare una proposta di legge per l'istituzione di tale Commissione, per giungere, invece, ad una forma stabile ed istituzionale: di fatto lo è già da quarant'anni, ponendosi come XV Commissione permanente mista.
In tal senso, ho proposto al Presidente della Camera dei deputati e agli onorevoli colleghi una modificazione del capo V, articolo 19, del regolamento della Camera e del capo VI, articolo 22, del regolamento del Senato. Ho inviato tale proposta al Presidente della Camera Bertinotti. È strano come un parlamentare non abbia alcun mezzo per parlare con il suo Presidente. Non si capisce bene come si possa fare: si può interrogare il Governo, ma non il Presidente della Camera. Istituire una XV Commissione permanente mista è molto difficile e farraginoso.
Mi dispiace che l'onorevole Forgione non sia più presente in aula, ma credo - lo dico anche all'onorevole Boato - che il fatto che si debba sempre nominare una nuova Commissione di inchiesta sulla mafia faccia crescere la mafia stessa. Il mio sospetto è che in campagna elettorale molti dicano che le Commissioni non si fanno più e che la mafia non vuole la Commissione permanente. Quindi, non istituire una Commissione permanente, di fatto, alimenta la mafia.
È per questo che mi sento di suggerire due temi. Non li ho presentati come emendamenti, ma come suggerimenti, che non trovo nella relazione svolta dal relatore Amici, né negli interventi dell'onorevole Boato e degli altri colleghi che mi hanno preceduto.
I due temi non compaiono nelle relazioni conclusive della settima Commissione di inchiesta e nelle intenzioni di lavoro per l'ottava, tra l'altro segnate anche da troppi distinguo e da troppe differenze anche ideologiche, troppe accuse tra la maggioranza e la minoranza di allora.
In primo luogo, onorevoli colleghi, dobbiamo chiederci se il Parlamento ha il diritto e il dovere di indicare alla magistratura quali siano le priorità, anche di spesa, nella lotta alla illegalità e al crimine. Dobbiamo chiarire se le risorse economiche dello Stato sono illimitate su questo punto, oppure limitate senza priorità, o limitate con delle priorità. In altre parole, dobbiamo chiarire se la lotta ai fenomeni mafiosi e similari è veramente importante e quanto lo Stato intende investire per sostenerla, comunicandolo alla magistratura e chiedendo di agire di conseguenza.
Credo che, di fronte ai costi dello Stato per le sole intercettazioni telefoniche, noi siamo rabbrividiti: quasi un miliardo e mezzo di euro in cinque anni e un milione e mezzo di persone intercettate in un anno. Mancheranno sicuramente, come ci si lamenta sempre, la carta e la benzina per le auto dei magistrati, ma, certamente, non mancano gli investimenti per il nostro gossip quotidiano.
Sembra che la perversione e l'impotenza di alcuni nostri magistrati trovino eccitazione dall'ascolto di intercettazioni a sfondo sessuale, inventandosi anche la famosa concussione sessuale. Va a finire che, prima o poi, accuseranno anche certi partiti politici di concussione transgender...
Ebbene, non ci possiamo più permettere questa spesa che tocca i cittadini, come diritto alla nostra camera da letto, come diritto stesso della democrazia. Allora, dovremo fare delle scelte sulla coperta, che - lo sappiamo - o copre i piedi, o copre la testa. In buona sostanza, dovremo decidere se pagare per spiare le «cornette» dei Savoia e i pruriti di avanspettacolo di certi giudici, o se scegliere di dare priorità ai soldi per la lotta alla mafia, al terrorismo e alla grande criminalità finanziaria, che ingentissimi danni economici ha portato ai risparmiatori.Pag. 98
Apro una parentesi: si continua a parlare dei Savoia e li si chiama «principi». Ricordatevi che il re Umberto si è fatto seppellire con il collare e il sigillo e che, quindi, ha posto fine alla sua dinastia. Non c'è più la dinastia dei Savoia in Italia per volontà di Umberto.
Ecco, allora, che la precondizione alla lotta del fenomeno mafioso, oggetto di dibattito per la settima Commissione di inchiesta, sta nel decidere se il Governo e il Parlamento debbano indicare delle priorità all'azione giudiziaria e, quindi, destinare alla magistratura le risorse concrete e possibili che ci possiamo permettere per raggiungere gli obiettivi prefissati da tali priorità e che, allo stesso tempo, si dica molto chiaramente che lo Stato e i cittadini non possono permettersi di pagare le prime pagine dei giornali ad alcuni giudici.
Se ciò viene fatto, la politica torna sulle barricate dello Stato di diritto. Se, viceversa, continuiamo a delegare, come avviene troppo spesso, tali compiti alla sola magistratura, non lamentiamoci se poi i giudici decidono per noi o, meglio, come dice il ministro Di Pietro, se i giudici diventano i Catoni che danno lezioni morali a tutti noi, anche se di lessico e grammatica molti di loro non sanno granché.
Il secondo punto riguarda la scuola e voglio introdurlo con una frase di Paolo Borsellino: la lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. Queste sono le parole di Paolo Borsellino che spesso e volentieri si dimenticano.
Le Commissioni parlamentari antimafia hanno più volte scelto l'incontro con la scuola e con tutti i soggetti che in essa agiscono proprio perché la miglior prevenzione nei confronti dei fenomeni mafiosi riguarda la cultura, la mentalità, il rapporto del giovane con se stesso prima ancora che con gli altri e perché fondamentale è l'opera pedagogica dell'insegnante. Condivido le osservazioni svolte da Tiziana Maiolo quando dice: delicatissimo è il compito della scuola, sconsigliabile rifugiarsi nella cultura dello Stato etico con la pretesa di plasmare le menti dei cittadini sudditi, difficile indicare la strada delle regole, che devono essere poche e rigorosamente osservate. È una questione di metodo, mai di ideologia; è una questione che porta la legalità senza avere la pretesa di educare alla legalità. Non credo, infatti, che ci possa essere un'educazione di Stato alla legalità e all'etica. Credo, tuttavia, che oggi si debba andare oltre lo sportello antimafia ed i concorsi saltuari fatti nelle scuole, per giungere ad un'educazione generalizzata alle regole. Come dice Don Ciotti, cultura di legalità vuol dire ricostruire le regole nella società, nelle istituzioni, nell'economia e nell'informazione. Sì, anche nell'informazione: senza regole crescono i poteri oscuri e arroganti, la criminalità più o meno in doppio petto, la politica inquinata, l'informazione drogata e disonesta.
In modo particolare, suggerisco di mettere a frutto nella scuola italiana tutta, con un vero impegno programmatico, il grande patrimonio di esperienze acquisito da tanti insegnanti ed educatori che da anni si battono per inserire nella scuola in modo sistematico la cultura della legalità e delle regole e da cui si può trarre la giusta azione didattica. Cito solo un esempio rappresentato dall'associazione Scuola e cultura antimafia, fondata nel 1983 da alcuni insegnanti e presidi siciliani. Scuola e cultura antimafia è un'associazione che ha guidato e guida gli insegnanti sulla didattica antimafia e sull'educazione della legalità. Quando l'associazione è nata la regione Sicilia aveva da pochi anni approvato una legge che affidava alle scuole il compito di formare una coscienza civile contro la criminalità mafiosa. La legge era stata votata sotto la spinta emotiva dell'uccisione del presidente della regione Mattarella da parte della mafia. Tuttavia, essa si stava dimostrando un completo fallimento perché molti insegnanti avevano paura di attuarla, altri non sapevano come Pag. 99e cosa fare in classe, altri ancora diffidavano della regione e di questa legge stessa. Scuola e cultura antimafia creò un coordinamento per l'applicazione della legge regionale n. 51 e, a poco a poco, trasformò gli atteggiamenti degli insegnanti e le loro competenze professionali su questo campo.
Ecco, per concludere, i punti fermi dell'associazione di cui la scuola italiana, nel suo complesso, deve farsi carico: l'attività antimafia deve costituire parte integrante dell'intera programmazione didattica; la scuola deve rinnovare metodologie e contenuti per lo sviluppo di una coscienza critica degli alunni; il fenomeno mafia può essere compreso e combattuto solo attraverso lo studio complessivo della realtà in cui essa si muove e con cui ha relazioni. Bisognerebbe istituzionalizzare il cosiddetto consiglio comunale e il sindaco dei giovani a mo' di vaccinazione civica.
Come le vaccinazioni contro le malattie infettive ci danno gli anticorpi affinché, quando entriamo in contatto con il germe, riusciamo a reagire e ad isolarlo, così tale vaccinazione civica riesce a far sì che vi siano nei nostri giovani, quando entrano in contatto con situazioni mafiose, quegli anticorpi che impediscono che esse penetrino al loro interno.
Onorevoli colleghi che parteciperete ai lavori della Commissione d'inchiesta antimafia, io credo che non potrete prescindere da questi due temi fondamentali. Buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, onorevoli deputati, un argomento di grande rilievo, certo, meriterebbe in quest'aula una maggiore partecipazione da parte di tutti i colleghi; lo sostengo non perché venga sottovalutato il tema - non potrei nemmeno immaginare tale ipotesi! - ma, forse, perché (e in ciò sono in qualche modo d'accordo con il collega Barani) il ripetersi di questa procedura, legislatura per legislatura, può avere dato a qualcuno, certamente inducendolo in errore, la sensazione quasi di un rito ripetitivo.
Mi rendo conto di quanto sia complessa e difficile l'istituzione di una Commissione permanente. Ricordo, naturalmente, il dibattito - devo riconoscere, più o meno sincero - che si svolse quando si introdusse nel nostro ordinamento l'articolo 416-bis del codice penale; ricordo, altresì, il dibattito svoltosi più recentemente, proprio nella scorsa legislatura, a proposito dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Si trattava della possibilità di rendere in qualche modo continuo nel tempo un atteggiamento di ferma contrapposizione che potesse disporre anche di strumenti adeguati.
Non vi è dubbio - e mi rivolgo così al collega Barani - che una Commissione permanente, laddove fosse proposta, susciterebbe immediatamente il seguente interrogativo: se la Commissione stessa in qualche modo conclamerebbe la permanenza nel tempo, quasi perpetuandolo, di un fenomeno così drammaticamente presente nel nostro paese o se, al contrario, darebbe piuttosto la sensazione di un atteggiamento di rigore. Un atteggiamento che vuole protrarsi, certo, nel tempo ma con l'auspicio - sottinteso o, nell'ipotesi migliore, esplicitato - che trovi un punto finale nella sconfitta definitiva del fenomeno mafioso. In tale ultima evenienza, certamente si giustificherebbe, quindi, la cessazione tanto del vigore degli articoli 416-bis e 41-bis citati quanto, eventualmente, della stessa Commissione permanente.
Mi rendo conto, dunque, che soltanto evocare una proposta di questo genere può suscitare immediatamente questo tipo di duplice interpretazione; al riguardo, chiarisco subito il mio pensiero. Infatti, sono stato d'accordo sul 416-bis, lo sono stato, e anche molto esplicitamente, sul 41-bis e sarei altresì d'accordo sull'istituzione di una Commissione permanente superando, ovviamente, i problemi - legislativi, per un Pag. 100verso, e regolamentari, per un altro - che si frapporrebbero rispetto al raggiungimento di tale risultato.

MARCO BOATO. Non potrebbe essere una Commissione d'inchiesta?

ENRICO LA LOGGIA. Non potrebbe essere una Commissione di inchiesta, collega Boato; potrebbe essere un organo diverso che avesse, comunque, lo stesso valore e, siccome questo tipo di misure, nel nostro paese, si decidono con legge, non escludo che si possa anche immaginare di varare una legge siffatta, articolata adeguatamente con tutti i requisiti che occorrono perché sia costituzionalmente ineccepibile. Ma la mia affermazione era legata solo alla necessità di dare una risposta motivata all'osservazione, che mi è sembrata pertinente, del collega Barani.
Ciò che, invece, mi sembra ancora più opportuno sottolineare è come questa lunga guerra - che, tra mille incomprensioni e mille contrapposizioni, si è sviluppata nell'arco di diversi decenni, ancor prima che fosse istituita, nel 1962-1963, la prima Commissione antimafia - non abbia sempre trovato rispondenza in una univoca azione da parte di tutti coloro i quali avrebbero dovuto svolgerla. Lo dico con rammarico, con dolore, ma credo non possa essere sottaciuta la circostanza che, in questa lunga guerra, non sempre tutte le forze politiche si sono ritrovate dalla stessa parte. Spesso, il contrasto all'interno della politica ha determinato un sostanziale vantaggio, al di là, ovviamente, delle intenzioni - ci mancherebbe altro! -, proprio a favore di quelli che volevamo maggiormente combattere.
Eppure, non sono mancati i risultati - brillanti, importanti ed anche recenti -, che hanno fatto esclamare al Procuratore Grasso: «Abbiamo dato una botta decisiva al fenomeno mafioso». Io non sono in condizione di valutare quanto sia stata decisiva la «botta», ma certamente l'insieme dei risultati raggiunti (la cattura di Riina, quella di Provenzano di qualche settimana fa e l'arresto di numerosi esponenti operato a Palermo soltanto qualche giorno fa) dà la sensazione di un cambio di ritmo, di un intensificarsi degli interventi e di un'efficacia maggiore che, indubitabilmente, stanno portando un'enorme quantità di risultati positivi.
A questo punto, però, è necessario porre la seguente domanda: l'impegno che, nell'arco della storia meno recente e recente, ha portato ai predetti risultati, attraverso un impegno continuo, mai sospeso o ritardato, delle nostre Forze dell'ordine e della magistratura, ha sempre trovato nelle istituzioni un'adeguata risposta? Desidero porre questa domanda proprio qui, in quest'aula, a questa Camera dei deputati, per rivolgere un richiamo a tutti noi, ai rappresentanti delle istituzioni, ai rappresentanti politici nelle istituzioni.
Colleghi, sono rimasto molto colpito nell'ascoltare, non più tardi di venerdì scorso, la relazione - come dire? - non ordinaria ed un po' fuori dai riti che il generale Marchetti ha svolto, a Palermo, in occasione della celebrazione della Festa nazionale della Guardia di finanza. Sono rimasto colpito perché il generale Marchetti ha sviluppato alcune valutazioni ed ha offerto una ricostruzione storica che mi è sembrata degna di attenzione e che ha suscitato il mio interesse e quello di tutti i presenti, rimasti colpiti, come me, dalla non ordinarietà della relazione e dalla sua interna efficacia. A un certo punto, il generale ha evocato la figura di un ignoto finanziere che, più di cinquant'anni fa, era perito in un agguato mafioso con la convinzione di avere svolto per intero il suo dovere, di essere rimasto fermo nei suoi principi, saldo, incrollabile, di aver affrontato a viso aperto, da solo, una coppia di malavitosi, dai quali era stato ucciso, appunto, nell'adempimento del suo dovere. Perché mi ha colpito? Perché non è un eroe noto, quelli cui facciamo tutti riferimento con rispetto e riconoscenza, ma un eroe poco noto - o meno noto - come i molti e molti eroi che non ricordiamo a memoria, che non abbiamo l'abitudine di commemorare all'interno delle aule del Parlamento, che non vengono ricordati anno per anno, ma che sono l'essenza più Pag. 101genuina e pura di quella che dovrebbe essere l'azione delle istituzioni nel contrasto alla criminalità organizzata.
Credo che quel richiamo non fosse soltanto rivolto ad una immagine quasi «allegorica», per evocare la coralità di un impegno, ma fosse proprio rivolto a noi. Io l'ho sentito per me e credo che ciascuno di noi abbia il dovere di sentirlo per sé, perché i cittadini che osservano, che restano coinvolti, emotivamente talvolta, e talvolta con l'impegno ragionato di chi dichiara di schierarsi con coraggio contro il fenomeno mafioso ed a favore della presenza dello Stato, sono sempre più numerosi e rischiano, rischiano del proprio, rischiano per la loro vita, per quella della loro famiglia, per i loro beni. Non credo di fare alcuna scoperta, né di dire nulla di nuovo se affermo che in alcune parti del territorio il suo controllo, pur essendo enormemente migliorato nel corso degli ultimi anni, dà ancora spazio alla presenza di fenomeni criminali. Ci vuole coraggio, ma ci vuole anche formazione, ci vuole anche cultura, ci vuole anche incoraggiamento, ci vuole un intervento univoco da parte delle istituzioni. Insisto molto su tale punto: ci vuole un atteggiamento univoco, che sia convinto, che attraversi in maniera trasversale tutte le forze politiche e che induca ciascuna delle forze politiche, - ripeto, ciascuna delle forze politiche - a fare anche una valutazione su scelte compiute in passato, una constatazione e una considerazione su quanto di più e di meglio si sarebbe potuto fare, ma non per un atteggiamento di maniera, bensì per quel senso del dovere, per quel rispetto delle istituzioni e per quella coerenza rispetto ai principi ed ai valori che dovrebbero trovare, proprio qui, nella politica, il massimo dell'espressione, attraverso l'azione di ciascuno di noi. Dunque, è per tale motivo che auspico un cambiamento, che ritengo sostanziale e che ho anche tradotto nella presentazione di un emendamento a questo provvedimento, ossia che il presidente della Commissione venga eletto con una maggioranza qualificata e non con quella semplice, che vi possa essere il riconoscimento della politica di un'unità di intenti. Dunque simbolicamente, ma non soltanto simbolicamente, la circostanza che il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare raccolga il consenso non soltanto della propria maggioranza ma anche dell'opposizione credo faccia fare un salto in avanti enorme rispetto al segnale, rispetto alla compattezza, rispetto al messaggio che dobbiamo dare all'esterno di quest'aula, per essere più vicini, più sintonici rispetto alle istanze che provengono da tutto il paese. Quello mafioso, infatti, non è soltanto un fenomeno siciliano.
Ricordo bene il dibattito che si svolse proprio in quest'aula nel 1982, in occasione della discussione del disegno di legge La Torre-Rognoni, e le difficoltà che allora si presentarono per far comprendere ai siciliani che il fenomeno non poteva essere circoscritto soltanto a quella regione. Infatti, tale fenomeno aveva da molto tempo ben varcato i confini di quella regione divenendo manifestazione nazionale e, purtroppo, anche internazionale. Su questo volevo richiamare ulteriormente la vostra, la nostra attenzione e mi rivolgo a tutte le forze politiche affinché su tale materia si possa fare un ragionamento e assumere un nuovo impegno, un nuovo sforzo che rappresenti realmente un salto di qualità, dal punto di vista culturale, rispetto alla grave situazione che dobbiamo affrontare.
Signor Presidente, mi consenta due ultime osservazioni. Affinché non vi sia dubbio alcuno - mi rivolgo in particolare al presidente Violante - l'articolo 1, lettera f) del provvedimento al nostro esame parla di accertare le modalità di difesa del sistema degli appalti e delle opere pubbliche, eccetera. Desidererei fosse chiaro - è già chiaro, ma è meglio che resti ufficialmente a verbale poiché credo che la cosa possa essere utile anche per una successiva interpretazione - che stiamo parlando di tutte le norme, quindi anche di quelle a carattere regionale e di quelle che vengono originate da leggi di regioni a statuto speciale; ci riferiamo cioè a tutte le Pag. 102norme e non soltanto alla normativa nazionale. Nel provvedimento non si parla specificamente di legge nazionale, quindi la lettera della norma mi suggerisce che anche le normative regionali debbono essere sottoposte a questo accertamento. Se così è, non occorre modificare nulla, se così non è o vi fosse un qualche dubbio forse sarebbe il caso di chiarificarlo, poiché siamo ancora in tempo per farlo.
Tratterò infine di un ultimo argomento, che so essere anche particolarmente spinoso - ne ho già parlato in Commissione -, affinché ne resti traccia. So bene quali sono i limiti che caratterizzano i rapporti tra il Parlamento - incluse le Commissioni d'inchiesta, tra cui quella di cui stiamo trattando - e l'autorità giudiziaria e so bene che, se vi è un decreto motivato per ragioni inerenti l'ufficio svolto e le indagini in corso da parte della magistratura, ci può essere anche l'esigenza, ne sono ben consapevole, di non dare un documento o di ritardare la sua trasmissione.
Ebbene, credo - anche di questo avevo parlato in Commissione - che comunque dovremmo trovare un sistema di revisione dell'eventuale diniego o ritardo. Mi riferisco cioé a qualcosa che ci possa mettere nelle condizioni di non restare inerti rispetto al diniego, ma ci dia la possibilità di un riesame rispetto al diniego stesso. Infatti, un'opinione legittimamente espressa dal magistrato può essere anche superata da una valutazione più completa e diversa rispetto alla richiesta, motivata anche quella, che arriva da parte della Commissione antimafia.
Credo che anche in questo potremmo dare un ulteriore segnale di una diversa cultura nell'affrontare un fenomeno devastante come quello della criminalità organizzata che, signor Presidente, meriterebbe un'ulteriore attenzione.
Non so se sia mai stata fatta l'analisi del costo in termini monetari, rispetto al mancato sviluppo, alle aspettative evase, alle esigenze non soddisfatte - non parlo solo per il popolo siciliano ma, ovviamente, per tutto il paese -, causato dalla presenza devastante del fenomeno mafioso. Sto parlando sia del lucro cessante sia del danno emergente, cioè il mancato sviluppo e i mancati investimenti rispetto allo sviluppo di quelle zone.
Credo, ma so bene che non è compito della Commissione antimafia se non in maniera molto generica, che un'analisi e un'indagine di questo genere possa e debba essere fatta a parte. Ciò renderebbe, a mio avviso, ancora più chiare ai cittadini italiani e in specie ai cittadini che si trovano nelle regioni dove è maggiormente presente il fenomeno criminoso, le ragioni che stanno alla base della nostra convinzione di non dare tregua al fenomeno in questione fino a quando lo stesso non sarà definitivamente sconfitto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la lotta alla mafia e alle altre organizzazioni criminali radicate sul nostro territorio è e deve essere un obiettivo dello Stato. Va evitato, però, che la Commissione antimafia si occupi soltanto di alcuni fenomeni e ne tralasci altri e che l'utilizzo di tale strumento sia, in maniera parziale, foriero di strumentalizzazioni politiche piuttosto che di un'azione adeguata, dal punto di vista dell'indagine e dell'inchiesta e, quindi, del contrasto ai fenomeni criminali. A questo proposito occorre agire, ed in parte è stato fatto durante il lavoro di Commissione, sotto due aspetti. Un primo aspetto è collegato al meccanismo di formazione e ai poteri della Commissione, sebbene sappiamo che ci muoviamo in larga parte su un binario già prefissato, anche nel corso della passata legislatura, dalla legislazione e dalla prassi. A questo riguardo, condivido le argomentazioni addotte dal collega La Loggia in merito al fatto che sia necessario dare un carattere di permanenza a questo tipo di Commissione superando le attuali difficoltà legislative collegate ai poteri della stessa. D'altronde, se in tutte le legislature la sua istituzione è tra i primi atti compiuti dal Parlamento, ciò significa che la sua costituzione è ritenuta assolutamente necessaria. Conseguentemente, Pag. 103non possiamo nasconderci dietro al dito del regolamento e non affrontare il problema.
Quanto poi al meccanismo di composizione e ai poteri della Commissione, affinché la stessa non possa e non sia utilizzata in maniera strumentale, desidero richiamare alcune argomentazioni. Una di queste fa riferimento alla maggioranza qualificata necessaria per eleggere il presidente della Commissione. L'ideale sarebbe avere in una Commissione come questa, che presenta determinate caratteristiche, un presidente dell'opposizione. Come si suole dire, in subordine è auspicabile una maggioranza particolarmente qualificata che consenta l'individuazione di una figura di presidente che possa considerarsi assolutamente super partes. Ciò proprio perché la Commissione in esame ha una serie di poteri, anche di indirizzo, che indubbiamente hanno un'attinenza non solo con fenomeni particolarmente delicati, ma anche con diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini. In questo senso è corretta l'impostazione data di richiedere una procedura particolarmente attenta quando l'operato della Commissione tocca diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini - mi pare non sia mai successo, salvo in un'occasione in ordine ad una testimonianza per la quale vi era l'obbligo di accompagnamento - prevedendo cautele e maggioranze particolari.
L'altro aspetto, invece, attiene all'ambito di operatività di questa Commissione. Svolgiamo, allora, alcune considerazioni. Innanzitutto, le organizzazioni criminali che debbono essere oggetto di indagine e, quindi, oggetto di attenzione da parte del Parlamento, alla quale corrisponda una azione di prevenzione, repressione e sradicamento dal territorio, non possono essere soltanto quelle ubicate in una parte del territorio. In tal modo si realizzerebbe quel binomio tra inchieste sulla mafia e inchieste su organizzazioni che sono ubicate soltanto al sud o in Sicilia. Invece, noi dobbiamo assolutamente fare in modo che non ci siano, per così dire, spazi di impunità in altre parti del territorio che, magari, siano forieri di fenomeni di cosiddetta emigrazione criminale, con la creazione di colonie di organizzazioni criminali mafiose, ad esempio, al nord e in altre zone produttive. Deve essere assolutamente evitata questa focalizzazione su una zona territoriale ed anche l'analisi della presenza di organizzazioni criminali, soprattutto nelle aree produttive, deve essere assolutamente effettuata. Questo noi lo abbiamo rimarcato in sede di Commissione, al fine di non lasciare gli imprenditori del nord da soli e privi dell'attenzione politica e, forse, anche dell'attenzione da parte degli altri organi competenti.
Come ulteriore considerazione, sottolineo l'esistenza di organizzazioni criminali straniere che, ormai, hanno preso piede sul nostro territorio. A queste organizzazioni deve essere indirizzata l'attenzione e devono essere oggetto di indagine. Si tratta di organizzazioni criminali straniere di matrice slava, di matrice cinese o provenienti da paesi musulmani che sono border-line e, spesso, presentano strutture di carattere terroristico. Non possiamo chiudere gli occhi e far finta che questo tipo di presenze malavitose non esista sul nostro territorio, in nome di un generalizzato buonismo o in nome della cosiddetta integrazione a tutti i costi. Anche su questo, in sede di Commissione, noi abbiamo chiesto l'inserimento di un punto specifico, che è stato inserito.
Inoltre, dev'essere detto che esistono molte organizzazioni criminali sul nostro territorio che agiscono nell'ambito dello sfruttamento dei flussi migratori. Il gruppo della Lega Nord Padania ha presentato un emendamento a questo proposito, chiedendo che l'oggetto di indagine si estenda a questo tipo di fenomeni con particolare attenzione. Noi riteniamo che questa impostazione debba trovare anche un riconoscimento nella stessa denominazione della Commissione parlamentare di inchiesta, per fare in modo che tale fenomeno, il quale, ormai, ha assunto un radicamento criminoso intollerabile, abbia un riscontro tra le finalità principali che questa Commissione deve avere. A questo Pag. 104proposito, devo anche affermare che bisognerebbe richiamare un'impostazione diversa sulla questione dell'immigrazione rispetto a quella data dal Governo Prodi, nei primi giorni della sua attività. L'immigrazione, cioè, non può essere considerata come qualcosa di ineluttabile, da guardare con un buonismo che, nei fatti, la favorisce - con particolare riferimento, ovviamente, all'immigrazione clandestina - ma deve essere regolamentata e gestita, essendo un diritto-dovere dello Stato la regolamentazione e la gestione dei flussi migratori.
È ovvio che certe dichiarazioni che sono ispirate a questo tipo di filosofia non sono certamente utili, ma oltremodo dannose, sia dal punto di vista delle potenzialità che portano anche ad alimentare e a dare fiato a questo tipo di organizzazioni, sia poi anche dal punto di vista delle conseguenze pratiche: se esistono delle leggi, i primi che debbono chiedere il rispetto di esse dovrebbero essere proprio i componenti del Governo, soprattutto in una materia così delicata come quella della lotta e del contrasto alla immigrazione clandestina. È chiaro che, laddove esiste immigrazione clandestina, esistono organizzazioni criminali che commettono dei reati ed esistono anche dei reati commessi sul territorio: la presenza di immigrati clandestini sul nostro territorio, cioè di persone che non hanno un lavoro e una casa, ovviamente è foriera di attività criminose. Non possiamo pensare che questa gente alla fine della giornata non mangi: debbono mangiare e quindi si procurano il sostentamento, ovviamente non attraverso i canali della legalità.
Un altro punto che noi abbiamo evidenziato in sede di lavori della Commissione con la presentazione di un emendamento che è stato accolto, è quello legato alla presenza, sul nostro territorio, di una criminalità, molto spesso straniera, collegata alle attività di contraffazione dei prodotti e di violazione dei diritti della proprietà intellettuale. Questi ultimi non rappresentano fenomeni marginali, ma possono essere stimati intorno ai 7 miliardi di euro: cifre pari a quelle di una finanziaria di un piccolo Stato o, quantomeno, di una regione di medio-grandi dimensioni.
Di fronte a questi fenomeni occorre reagire con fermezza. La contraffazione e la violazione dei diritti di proprietà intellettuale rappresentano una piaga che sta colpendo i nostri imprenditori, soprattutto quelli del nord. Questo tipo di violazioni spesso fa capo ad organizzazioni criminose che si sviluppano all'estero, ma che hanno anche impiantato una presenza radicata sul nostro territorio, magari anche in sinergia con organizzazioni criminali locali. Tale tipo di attività, lungi dall'essere marginale, è diventata centrale per queste organizzazioni ed è una vera e propria industria del crimine, con un giro d'affari vertiginoso e con conseguenze sulla vita di tutti i giorni. Certamente quando un prodotto viene contraffatto segue un mercato parallelo, illegale, che danneggia, da un lato, gli altri imprenditori che invece si muovono nel rispetto delle regole, ma anche i consumatori perché la vendita di questo tipo di prodotti coincide spesso con la vendita di prodotti pericolosi e non sicuri, che fanno danni soprattutto allorché sono beni di largo consumo e non più soltanto beni di lusso.
Anche per questo motivo, abbiamo presentato un emendamento - che peraltro è stato accolto - perchè non possiamo permetterci di lasciare soli i nostri imprenditori di fronte a queste difficoltà ed a queste aggressioni.
C'è qualcuno che pensa di trasformare il nostro territorio in una sorta di base per l'ingresso indiscriminato non soltanto di prodotti cinesi, ma anche di catene di distribuzione made in China. Ebbene, non possiamo e non dobbiamo consentirlo: dobbiamo difendere i nostri imprenditori e le nostre industrie!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, avrei voglia di leggere integralmente un documento che è Pag. 105praticamente scomparso, poiché si trova solo nelle emeroteche. Si tratta dell'ultima intervista del giudice Falcone, apparsa, pochi giorni dopo l'attentato nel quale perse la vita assieme alla sua scorta ed alla moglie, su Panorama il 7 giugno 1992.
Vi risparmierò tale lettura. C'è di fatto che, a sentire oggi questi discorsi e queste impostazioni, penso si sia perso molto di quelle che erano le analisi di Giovanni Falcone e di quella che è stata, soprattutto negli ultimi tempi, la strada che egli ha tentato di tracciare nella lotta alla mafia. Da una parte, vi era il tentativo di comprendere cosa significassero tali organizzazioni nel tessuto vivo della società civile; dall'altra, si voleva denunciare anche un certo modo di fare giustizia, nonché un certo tipo di organizzazione della magistratura. Si tratta di qualcosa che, nonostante il trascorrere degli anni, è tuttora vivo, concreto e reale.
Ho seguito, attraverso i verbali, il lavoro svolto dalla Commissione antimafia nella scorsa legislatura, e vi dico di aver letto pagine davvero incredibili, che non fanno onore allo Stato di diritto, alla democrazia ed a quelle che sono le regole che, come Stato, ci siamo dati, e rispetto alle quali, talvolta, rischiamo di derogare, diventando simili a coloro che, proprio in nome delle istituzioni che vogliamo rappresentare, vorremmo combattere.
Penso che la stabilizzazione dell'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sia stata una pagina nera. Si tratta di una decisione che è stata appresa attraverso le agenzia di stampa, con pentiti che facevano dichiarazioni incredibili, rispetto alle quali la Commissione antimafia non si è mai peritata di attendere le decisioni della magistratura. Sull'articolo 41-bis questo Parlamento, e la Commissione antimafia in particolare, non ha mai voluto leggere e comprendere le sentenze emanate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Non ha neanche fatto in tempo a leggere, perché è uscito da poche settimane, il rapporto sulla situazione delle carceri nel nostro paese redatto dal comitato europeo per la prevenzione della tortura istituito nell'ambito del Consiglio d'Europa, con particolare riferimento al regime di cui al citato articolo 41-bis.
Credo che la nuova Commissione antimafia, così come è peraltro previsto, debba valutare ed approfondire ulteriormente gli effetti reali, ai fini della lotta alla mafia, di questo regime di detenzione particolare.
Dovremmo andare a vedere quanto di quello che è stato scritto - a mio avviso, per fare pressione su questo Parlamento per stabilizzare il 41-bis - ha avuto un riscontro in termini di sentenze nelle aule di tribunale. Anche tutto questo cercare di evocare una situazione ed un rapportarsi ad una realtà che è sicuramente importante e rappresenta qualcosa con la quale lo Stato ha il dovere di confrontarsi, poi, si disperde nel provincialismo, quasi fosse questione semplicemente siciliana, calabrese, pugliese, campana, forse italiana; si evocano le mafie di altri paesi, però ci si ferma di fronte a quelle che sono le strutture attraverso le quali è possibile fare le transazioni finanziarie a livello internazionale. Noi abbiamo appreso in questi giorni solo grazie ad uno scandalo che c'è una cooperativa belga che raccoglie praticamente 7 mila tra banche ed istituzioni finanziarie e che ha collaborato con il Governo americano per controllare buona parte di queste transazioni in nome della lotta al terrorismo: la società Swift.
Non so quante delle indagini in nome della lotta alla mafia hanno avuto l'apporto da parte di questa società o quante volte a questa società è stato chiesto un aiuto. Non so quante volte, di sicuro negli atti parlamentari non ho mai letto la parola Clearstream o Euroclear, le camere di compensazione internazionali attraverso le quali è possibile fare transazioni finanziarie senza aver necessità di conoscere chi è il soggetto che compie queste transazioni. Quindi, se c'è un compito, più che nuovo direi antico, che la nuova Commissione antimafia dovrebbe affrontare è davvero quello del controllo e dell'indagine rispetto a queste strutture.
Così come credo dovremmo, attraverso questa Commissione di inchiesta, tentare di comprendere che cosa è successo, magari Pag. 106per dare una data indicativa, dal giorno della morte del giudice Falcone nella politica delle prescrizioni. Penso che sarebbe utile a tutti avere un quadro di coloro i quali - rappresentanti istituzionali nei comuni, nelle province, nelle regioni, a livello nazionale - hanno visto i loro processi prescritti e per quali reati. Penso che sarebbe utile per comprendere non quel terzo livello, ma come la giustizia in questo paese non è uguale per tutti; per comprendere se l'obbligatorietà dell'azione penale è uno strumento di giustizia o se, invece, è uno strumento che consente discrezione e, quindi, privilegi.
Penso che sia questo il lavoro che una Commissione antimafia dovrebbe fare. Lo dico convinto anche del fatto che proprio Giovanni Falcone, secondo me, aveva tracciato con chiarezza quella che secondo lui era la linea di demarcazione tra lo Stato e la mafia: la mafiosità è il pretendere come privilegio ciò che spetta per diritto. Penso che è rispetto a tutto questo che dovremmo riflettere e calibrare i compiti di questa Commissione, per esempio a cominciare dal bilancio di fatto delle organizzazioni mafiose.
È stata citata la contraffazione o l'immigrazione illegale, ma dobbiamo ricordare anche che i due grossi cespiti di queste organizzazioni sono la vendita illegale delle armi e della droga. Non c'è stato mai un momento per riflettere sul fatto che attraverso la proibizione di talune sostanze stupefacenti si sarebbero arricchite le varie mafie. Non voglio qui mettere in discussione quelle scelte. Penso però che quelle scelte e quelle leggi siano nei fatti criminogene e che abbiano rafforzato le mafie, rispetto alle quali poi non abbiamo (o non vogliamo avere) gli strumenti per agire.
Faccio un'ultima considerazione su quanto è stato detto da diversi oratori, rispetto a coloro che in quest'aula hanno diritto o meno, in termini di opportunità e in alcuni casi di opportunismo, di partecipare ai lavori di questa Commissione. Si è parlato di essere all'altezza dei compiti e comunque di avere la giusta trasparenza. Al riguardo, credo che questo elemento non possa essere esibito in questa sede, trattandosi di argomenti che vanno esibiti altrove. Penso che la capacità di ciascun deputato di riuscire a distinguere o meno le opportunità sia un qualcosa che attiene alla responsabilità individuale. Tuttavia, se si sospetta che ci sia qualcuno che, anziché qui dentro, dovrebbe essere altrove, è bene che ce lo si dica chiaramente.
Non è attraverso le mezze parole che è possibile tagliare quel filo che lega mafia e politica. Penso che sia acquisito da tutti che il terzo livello non esiste. Ci sono sicuramente diversi rapporti con la politica e possono esistere anche delle trame trasversali, ma di sicuro non c'è una regia occulta. Allora, il nostro dovere è quello di fare chiarezza nelle sedi opportune, dove credo debba farsi sentire forte anche il senso di quello Stato di diritto, che oggi vede utilizzare l'articolo 41-bis e la carcerazione, nonostante tutte le denunce a livello internazionale contro l'Italia e nonostante tutte le previsioni degli strumenti giuridici internazionali; quello Stato di diritto che oggi vede utilizzare l'articolo 41-bis come un sistema finalizzato al pentimento del detenuto, cosa che è esclusa e condannata da tutti gli strumenti giuridici internazionali. Penso che dovremmo fare una riflessione su questo aspetto.
Credo inoltre che la Commissione antimafia possa lavorare molto diversamente da come ha lavorato negli scorsi anni e che possa andare oltre il provincialismo che l'ha caratterizzata, colpendo così frontalmente e direttamente i veri centri di potere, che consentono a queste organizzazioni di misurarsi con lo Stato.
Se vogliamo davvero batterci contro queste organizzazioni, dobbiamo sicuramente continuare a cercare nelle stalle e nelle baracche di lamiera, ma vi sono anche altri luoghi in cui la maturazione della forza di questa organizzazione trova la linfa necessaria per insinuarsi nei luoghi del potere (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tranfaglia. Ne ha facoltà.

Pag. 107

NICOLA TRANFAGLIA. Ritengo già significativo che la discussione in corso per l'istituzione della Commissione antimafia, dopo le sette che già vi sono state nell'Italia repubblicana, abbia un così scarso interesse nella maggioranza dei deputati della Camera. Non intendo essere pessimista, ma certamente non è una rappresentazione particolarmente incoraggiante.
Mi sembra, inoltre, che negli ultimi dieci anni, in Italia, non sia stata condotta una grande lotta alla mafia, se per ciò si intende, accanto alla repressione giudiziaria, una lotta culturale e di educazione delle nuove generazioni. D'altra parte, io che ho conosciuto i giudici che hanno perduto la vita nella lotta contro la mafia so che loro stessi erano pienamente consapevoli dell'importanza e centralità della lotta politica e culturale contro le associazioni mafiose. Dicevano sempre che la repressione giudiziaria interveniva dopo e che non era in grado di cambiare la mentalità collettiva ed i rapporti di potere alla base della forza delle associazioni mafiose.
Questa legislatura, iniziata con la vittoria dell'Unione, dovrà impegnarsi particolarmente in questo lavoro, che dovrà essere di accompagnamento ed insieme di autonomo lavoro rispetto alle organizzazioni giudiziarie, ma che dovrà diventare anche un grande sforzo di educazione dei giovani e delle masse, perché emergano i legami sotterranei che danno così tanta forza sia alle associazioni mafiose, che possiamo definire italiane, sia alle associazioni che da altri paesi sono venute in Italia e che negli ultimi anni hanno assunto, in determinate regioni, un ruolo importante anche dal punto di vista economico.
Dovrà essere un lavoro che impegni le energie migliori dei due rami del Parlamento. Da questo punto di vista, non vi è dubbio che è opportuno che chi si trovi in una situazione di indagini giudiziarie a suo carico per questioni che riguardano reati di corruzione contro la pubblica amministrazione o addirittura di collusione con le associazioni mafiose non sia presentato da nessuno dei gruppi, e tantomeno sia scelto dai Presidenti delle Camere, perché ciò introdurrebbe un elemento assai poco opportuno ed adeguato alla delicatezza dei compiti della Commissione antimafia.
Chi guarda all'opera finora svolta dalle Commissioni antimafia può dire chiaramente che, in alcuni casi, le Commissioni antimafia hanno preceduto la consapevolezza da parte del paese di determinati problemi e, in altri casi, hanno seguito o addirittura non sono state significative rispetto al dibattito politico del paese.
Quindi, la Commissione che si intende istituire - io sono pienamente d'accordo su tale istituzione - ha di fronte questa scelta e questa difficoltà di lavoro, cercando di rendere consapevole l'opinione pubblica italiana dei problemi esistenti.
Da questo punto di vista, anch'io sono convinto della necessità di una battaglia diversa sul fronte della lotta agli stupefacenti. Infatti, a mio avviso, quanto realizzato negli ultimi anni non ha favorito la lotta alle organizzazioni che prosperano sul traffico degli stupefacenti. O si cambia questo tipo di lotta o corriamo il rischio di non vedere un elemento fondamentale di tale lotta.
Inoltre, occorre tener conto del fatto che l'attività della Commissione antimafia non può essere limitata ad un'analisi di ciò che accade sul territorio italiano. In una situazione come questa, tale Commissione deve porsi i problemi che riguardano l'Europa e il mondo.
Dunque, mi auguro che vi possa essere una composizione adeguata sul piano politico e sul piano culturale in ordine alle competenze specifiche di questa Commissione (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Pignataro. Ne ha facoltà.

ROCCO PIGNATARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il recente arresto di Bernardo Provenzano dopo quarant'anni di latitanza, oltre a confermare l'alta professionalità delle nostre Forze dell'ordine, ha ribadito che lo Stato non Pag. 108intende abbassare la guardia davanti al fenomeno delle associazioni criminose di stampo mafioso, contro il quale ha anzi intensificato la propria azione e il proprio sforzo di comprensione, anche a partire dall'istituzione della prima Commissione parlamentare di inchiesta, nel lontano 1962.
Allora si sapeva ben poco della mafia, della sua struttura interna, dei suoi rapporti con le altre organizzazioni malavitose internazionali e, soprattutto, dei suoi legami con i gangli vitali della società italiana. Oggi sappiamo molto di più, grazie alle analisi di giudici come Giovanni Falcone, alle confessioni di molti affiliati finiti nelle mani della giustizia e ai risultati conseguiti dalla stessa Commissione antimafia. Sappiamo soprattutto che la criminalità organizzata ha una grande capacità, vale a dire quella di cambiare pelle e di sapersi adeguare, come i camaleonti, al mutare delle stagioni.
La mafia del dopoguerra era un'organizzazione legata al territorio, un'organizzazione per lo più di tipo contadino che faceva affari nell'edilizia e nello sfruttamento delle risorse idriche. Il salto di qualità è avvenuto, prima, con il riciclaggio dei rifiuti e, poi, con il traffico di droga ed ha avuto quale effetto rovinoso e a catena l'imbarbarimento delle azioni contro uomini e cose, fino agli anni della grande sfida diretta allo Stato, gli anni dell'assassinio del giudice Chinnici, del prefetto di Palermo Dalla Chiesa e dei giudici Falcone e Borsellino.
La forza acquisita dalla mafia è stata tale che il termine «mafia» ha ormai una valenza internazionale. Oggi, infatti, è di uso corrente parlare di mafia americana, mafia cinese, mafia russa, mafia canadese. Resta da capire quanto intensi e capillari siano gli intrecci tra la criminalità organizzata italiana e quella di altri paesi, ma è certo che le nostre organizzazioni hanno dimostrato inaspettate capacità di trasformazione e di aggiornamento, che hanno loro consentito di adattarsi ai mutamenti socio-economici e politici della società.
Proprio tale attitudine rende ancora oggi necessario proseguire quell'opera di studio e di approfondimento delle dinamiche di tali associazioni che si è dimostrata così efficace nelle scorse legislature, al fine di approntare una risposta del Parlamento a sostegno dell'azione sul campo svolta dagli inquirenti.
Pur colpita gravemente, la mafia in tutti questi anni ha sempre trovato il modo di rialzare la testa ed oggi resta sospesa come una minaccia sulla vita dei cittadini nelle sue quattro articolazioni territoriali: Cosa nostra, la camorra, la 'ndrangheta e la Sacra corona unita. Nata in un periodo piuttosto recente, intorno all'inizio degli anni Ottanta, all'interno degli istituti penitenziari pugliesi dove erano reclusi soggetti appartenenti a sodalizi criminosi della 'ndrangheta e della camorra, la Sacra corona unita risulta essere organizzata orizzontalmente con una serie di clan autonomi nella propria area di influenza, ma tenuti a rispettare regole comuni. Far parte di questa associazione criminosa significa essere membro di una vera e propria holding improntata a meccanismi ben precisi, valori e interessi condivisi e con una struttura fortemente gerarchica. La peculiarità di tale organizzazione è di aver saputo rendersi autonoma rispetto alle altre mafie, soprattutto grazie ai rapporti che via via ha instaurato con le organizzazioni dell'Europa dell'est. Si è rivelata, infatti, il primo vero esempio di integrazione criminale interetnica, specialmente con l'arrivo delle organizzazioni criminali albanesi coinvolte nella tratta degli esseri umani e nel traffico di stupefacenti.
Le organizzazioni criminali pugliesi, infatti, manifestano e hanno manifestato un crescente dinamismo nel commercio della droga, confermando la funzione delle coste pugliesi quale principale luogo di smistamento per i traffici clandestini provenienti dai paesi di oltre Adriatico. La Sacra corona unita opera, inoltre, nei settori del contrabbando di sigarette e della frode ai danni dell'Unione europea (coltivazione di pomodori, produzione di oli e vino), dell'usura, della contraffazione di banconote e dei reati tipici della mafia tradizionale, quali l'estorsione e l'intimidazione. Pag. 109Come se non bastasse, la Sacra corona unita manifesta anche una grande capacità di infiltrazione nelle istituzioni, muovendosi in particolare nel settore degli appalti e dei subappalti. Non è certo un caso se numerosi enti comunali sono stati sciolti per inserimenti mafiosi, tesi a favorire determinate ditte per l'effettuazione di opere pubbliche.
Quindi, la Sacra corona unita si è inserita nello smaltimento dei rifiuti urbani, collaborando, quando necessario, con Cosa nostra, la camorra e la 'ndrangheta. Il fenomeno, onorevoli colleghi, come è evidente, desta una crescente preoccupazione per il livello di sviluppo che questa organizzazione ha dimostrato di poter raggiungere, tanto da suscitare un vero e proprio allarme sociale anche per i rapporti internazionali che le associazioni criminali pugliesi sono riuscite ad acquisire.
Noi del gruppo dei Popolari-Udeur riteniamo, quindi, che il Parlamento italiano abbia il dovere e la responsabilità di non disperdere quel patrimonio di conoscenza acquisito fin qui mediante la Commissione parlamentare di inchiesta, proseguendo la sua attività di vigilanza sull'evoluzione del fenomeno mafioso nel paese, sia rispetto ai suoi radicamenti sul territorio, sia per quel che riguarda i processi di internazionalizzazione e cooperazione con le altre organizzazioni criminali che in questo momento sono la sua principale caratteristica (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà. Ricordo all'onorevole Santelli che ha undici minuti di tempo a disposizione.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei ringraziare i relatori ed il presidente della Commissione per il lavoro svolto in tale sede e per la disponibilità manifestata nel dibattito. Credo sia importante che, dopo tante legislature in cui si è prorogata la Commissione antimafia, il dibattito relativo al disegno di legge istitutivo di tale Commissione rimanga vigile, per cercare di recuperare le idee e le innovazioni da apportare sul lavoro.
Per ovvi problemi di tempo, nel mio intervento mi limiterò a svolgere solo alcuni brevi cenni. Vorrei soltanto segnalare un'innovazione che mi sembra molto importante, relativa all'ascolto degli enti locali e ad una vicinanza rispetto agli stessi, raccogliendo le proteste degli amministratori di frontiera, che spesso si sentono abbandonati dal livello romano. Credo che un segnale di questo tipo da parte del Parlamento abbia un importante valore simbolico.
Un'altra delle innovazioni che introduciamo, e che mi auguro nel corso dei lavori della Commissione possa essere realmente seguita con cura, è quella di approfondire non solo il concetto di criminalità, ma anche la connessione fra criminalità e sviluppo nelle regioni meridionali. Parliamo sempre di due binari che corrono paralleli, ma spesso arriviamo tardi, quando già i soldi, forse, sono fuggiti e quando il male già è stato fatto e poco si può fare per recuperare.
Mi auguro, in questo senso, che la Commissione voglia impostare il suo lavoro più che inseguendo i fenomeni già accaduti, facendo spesso, in qualche modo, da spalla e da ausilio ad una attività che, forse, non le è propria (come quella di autorità giudiziaria), veramente come un organo di prevenzione politica, con la capacità di captare i fenomeni che si infiltrano, portando in Parlamento in anticipo provvedimenti che possano contrastare con nuove formule di interventi i nuovi campi in cui le organizzazioni criminali vanno ad innestarsi.
Credo che, nell'ambito dell'esame degli emendamenti, potremo affrontare alcuni aspetti che sono rimasti insoluti in Commissione. Per il momento, posso esprimere un giudizio positivo sul lavoro svolto. Credo che si tratti di un impianto generale che può realmente soddisfare le attuali emergenze in questa materia, con una sola annotazione.
Abbiamo parlato più volte, nel corso dei lavori della Commissione, delle connessioni Pag. 110tra terrorismo e criminalità e delle possibili estensioni della sfera di azione della Commissione antimafia. La preoccupazione fortissima è che un allargamento eccessivo dei temi porti ancora di più la Commissione antimafia ad essere meno vigile su ciò su cui realmente deve vigilare. I fenomeni mafiosi, purtroppo, sono ancora forti e spesso la Commissione antimafia, da una parte, ma, forse, anche l'autorità giudiziaria, dall'altra, non sono state in grado di captare in tempo le nuove frontiere da combattere (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Incostante. Ne ha facoltà.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è discusso, non solo oggi e non solo tra gli addetti ai lavori, sui compiti e sull'efficacia delle azioni messe in campo dalla Commissione parlamentare antimafia.
Si tratta di una Commissione di inchiesta in relazione all'articolo 416-bis del codice penale e sulle altre associazioni criminali similari, la cui funzione e attività, a mio avviso, vanno ulteriormente rilanciate e rafforzate, concentrando le iniziative e raffinando le analisi e, soprattutto, mettendosi in relazione dinamica con i mutamenti in atto per quanto attiene sia i fenomeni mafiosi, sia la trasformazione delle organizzazioni criminali. Essa dovrà fornire - credo che questo sia un punto decisivo - non solo elementi di indagine e conoscenza, ma anche altrettanti indispensabili strumenti e proposte volti a rafforzare l'azione legislativa del Parlamento in questo campo.
Questo è ciò che si propone il testo portato all'esame dell'Assemblea, arricchito di alcuni emendamenti, come si evince dall'introduzione dei relatori e dal testo, che presenta alcune innovazioni necessarie per estendere il campo delle indagini rispetto ai mutamenti dei fenomeni e delle organizzazioni.
Assistiamo, infatti, a mutamenti della struttura organizzativa che variano da una organizzazione criminale all'altra: da Cosa nostra, organizzata più come una commissione decidente centralizzata, ad alcune organizzazioni camorristiche, caratterizzate, invece, da livelli intermedi con maggiori gradi di autonomia.
Si legge, nella sentenza del 2003 della corte di assise di Napoli, sezione III, che «si sono determinati elementi di rottura rispetto alle organizzazioni criminali tradizionali, con forti forme di decentramento, con squadre suddivise su vaste zone territoriali, che entrano in azione anche senza autorizzazione preventiva, per evitare perdite di tempo per colpire gli obiettivi avversari».
Appare evidente che i clan, anche se possono apparire talora frammentati, si strutturano in maniera duttile ed efficace, preservano talvolta i capi da iniziative giudiziarie e creano catene lunghe, di cui è difficile ricostruire tutte le intermediazioni e, a volte, il comando.
Sul versante dell'espansione della caratterizzazione dei fenomeni mafiosi, possiamo dire che anche questi presentano due facce. Una faccia è legata agli affari illeciti - come è stato detto molto ampiamente nel dibattito - relativi ai proventi della droga, delle armi, racket, usura, prostituzione e tante altre attività criminali. L'altra faccia, non meno inquietante ed allarmante, che permette sempre di più l'estendersi ed il rafforzarsi di tali fenomeni, sia dal punto di vista economico, sia per quanto riguarda la pervasività, è quella legata alle attività legali, alle attività lecite.
Le ultime azioni portate avanti dalla procura di Napoli con le indagini condotte dai ROS hanno ricostruito intorno alla camorra una rete di società e di prestanomi che controlla un impero economico, per il momento valutato in oltre 50 milioni di euro e che tenta di intervenire sugli appalti della TAV, della Alifana, del centro radar della NATO: un fiume di denaro che vede, però, investimenti in piazze sicure come l'Emilia e la Lombardia ed in città tranquille come Parma, con teste di ponte nell'economia legale del luogo. Dalle indagini - come ha sottolineato il procuratore - sono emersi rapporti collusivi con ambienti dell'imprenditoria e della pubblica Pag. 111amministrazione, una camorra che fa impresa, che reinveste il fiume di denaro, che punta decisamente al nord del paese ed all'estero (si parla di investimenti in Scozia, in Inghilterra, negli Stati Uniti). Dichiara Roberti, capo del pool della DDA, che da molti anni la criminalità colloca i propri business nella ristorazione, nella ricezione alberghiera, nel commercio al minuto ed all'ingrosso, nelle proprietà immobiliari attraverso transazioni economiche e finanziarie.
Se tutto ciò avviene, non può sfuggire a nessuno che avviene attraverso la complicità e le azioni di uomini che definirei di cerniera, di snodo: professionisti, imprenditori, finanzieri, uomini politici e delle istituzioni. Senza queste cerniere, questi snodi, i passaggi tra illegale e legale non sarebbero così fluidi e non sarebbero, così come oggi avviene, sicuri. Allora, mi domando: questo Parlamento, il mondo politico, le istituzioni, gli apparati dello Stato, le nostre stesse leggi forniscono mezzi, uomini, strumenti adeguati all'evoluzione, alla dinamicità, alla complessità di tali fenomeni? Può, allora, la Commissione antimafia, anche interloquendo con soggetti istituzionali, sociali, associativi, del mondo economico, dell'impresa, della finanza, approfondire la sua analisi proprio sugli snodi che mettono in comunicazione circuiti legali ed illegali? Credo di sì, credo che si debba rafforzare l'analisi e, soprattutto, sforzarsi di mettere in campo strumenti per un'azione legislativa adeguata alle novità, alla velocità di trasformazione dei fenomeni mafiosi. Perciò, nel testo si parla di internazionalizzazione, di cooperazione delle organizzazioni mafiose, di investimenti dell'Unione europea, del mondo dell'impresa e di tant'altro.
Oggi, quindi, c'è una nuova frontiera di azione ed è nella contiguità fra mercati leciti ed illeciti, tra società civile e società mafiosa: è su questo terreno che si gioca una partita nuova tra Stato democratico e potere mafioso. Le tre parole chiave sono globalizzazione, mimetizzazione e contiguità. Su questo terreno appare indispensabile dispiegare ogni energia ed il Parlamento, munendosi di un proprio strumento, la Commissione d'inchiesta che si vuole istituire, può fare un buon lavoro.
Mentre la magistratura accerta le responsabilità penali e personali, la politica, attraverso la Commissione, si deve riappropriare del suo ruolo: non essere preda di iniziative estemporanee né di parte. La politica non ha necessità di accertare responsabilità penali, il cui accertamento soggiace a rigide regole processuali, però ha maggiori possibilità di comprendere il fenomeno in tutta la sua complessità, le sue strutture, i suoi riflessi sulla libertà dei cittadini e sull'economia. La capacità di penetrazione mafiosa nelle istituzioni, nell'economia è una materia che solo una Commissione antimafia ben organizzata e motivata nell'impegno può affrontare con dovuti strumenti e necessaria serietà.
Con una Commissione ad hoc il Parlamento potrà acquisire una conoscenza più ampia del fenomeno mafioso, ma anche e soprattutto interrogarsi, e questo è previsto nel testo, come anche nei testi precedenti, investigare sull'adeguatezza della legislazione, sulla sua efficacia, sulla capacità di contrasto espressa dagli organi statuali a ciò deputati - Forze dell'ordine, magistratura, società civile e politica -, a mezzo di iniziative messe in campo anche dai comuni, dalle regioni, dalle province, dall'associazionismo.
Con la ricostituzione della Commissione antimafia, il Parlamento dà e deve dare un segnale chiaro di massima attenzione al fenomeno mafioso; tale atteggiamento, infatti, può trasmettere ai cittadini una maggiore fiducia, innescando un circolo virtuoso e sviluppando iniziative della società civile che possono, in qualche modo, mettere in campo valore aggiunto. Dunque, solo in sede di Commissione si potrà attribuire maggiore funzionalità al sistema di contrasto della criminalità organizzata in modo da assicurare tempestive risposte anche alle richieste di giustizia che provengono dai cittadini. È infatti ovvio come, talvolta, i tempi intollerabili e lunghi della giustizia penale e civile contribuiscano non poco al rafforzamento Pag. 112di istanze alternative nella composizione delle controversie, tipiche del sistema mafioso.
Solo attraverso questo strumento il Parlamento potrà valutare se l'attuale legislazione antimafia sia ancora adeguata a contrastare le nuove forme della criminalità mafiosa, le sue contiguità e complicità; potrà, altresì, valutare se non sia giunto il momento di recuperare un approccio sistemico - già adottato da una commissione ministeriale - nella prospettiva di un coordinamento della legislazione antimafia addivenendo, in ipotesi, alla predisposizione di un testo unico o rafforzando comunque altre legislazioni (quali quelle sul sequestro e sulla confisca dei patrimoni) in modo da adeguarle alle nuove strutture imprenditoriali e dinamiche della mafia; potrà, inoltre, considerare se gli apparati repressivi siano adeguati per quantità e qualità a contrastare il fenomeno.
Ecco, tutto ciò potrà essere possibile attraverso l'istituzione di questa Commissione. Con l'approvazione di questa legge, il Parlamento dimostrerà, infatti, che non vuole deludere la speranza di chi opera sul terreno accidentato dell'antimafia.
Vorrei concludere il mio intervento con un'ultima citazione, quella di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, il quale, a proposito di un campo di grano incendiato a Mesagne - un campo che era stato sottratto alla criminalità organizzata - ha dichiarato in questi giorni: «Le fiamme non fermino il riscatto della legalità» perché «non si deve cedere alle intimidazioni (...). A Mesagne (...) è stata seminata la speranza» e «il raccolto anche se poco sarà comunque fruttuoso». Insomma, «ciò che conta è che il processo di ripristino della legge e di partecipazione civile che è stato avviato possa proseguire».
Ritengo che il Parlamento, attraverso l'istituzione di questa Commissione, possa contribuire a questo cammino di speranza e di riscatto (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morrone, al quale ricordo che ha a disposizione tredici minuti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE MORRONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono alla mia prima legislatura parlamentare; però, ho una lunga esperienza nell'amministrazione regionale calabrese, fatta a fianco di Francesco Fortugno, amico carissimo, uomo leale e coraggioso con il quale ho combattuto molte battaglie per la legalità e la trasparenza nella commissione antimafia regionale. Posso perciò, con cognizione di causa, affermare che la sconfitta delle organizzazioni mafiose imperanti nella mia regione e nel Mezzogiorno d'Italia è assolutamente decisiva per la crescita economica, sociale e culturale della nazione.
Di fronte ad un'organizzazione, poi, come quella calabrese - che ha ormai il monopolio europeo del traffico della cocaina, produce una ricchezza pari al prodotto interno lordo di uno Stato medio europeo, ricicla, alterando il libero mercato, somme immense di denaro ed è fortemente inserita nel tessuto istituzionale regionale -, lo Stato mette in gioco la propria credibilità ed è chiamato a decidere quale sarà il futuro di un'intera popolazione.
Dal 1962 ad oggi, si sono susseguiti i lavori di sette Commissione di inchiesta; il fenomeno maggiormente analizzato è stato quello della associazione siciliana Cosa nostra, l'organizzazione ritenuta, fino a qualche anno fa, la più ramificata e la più pericolosa per la sua forte penetrazione nel tessuto economico ed istituzionale. Solo la settima Commissione antimafia, quella che ha concluso i suoi lavori all'inizio di quest'anno, ha preso atto del rilievo assunto dalla 'ndrangheta. Negli ultimi vent'anni, è passata dalle tradizionali attività parassitarie - estorsioni, imposizione della guardiania, accaparramento della proprietà fondiaria e, quindi, riconversione del settore turistico - al più redditizio traffico di sostanze stupefacenti, grazie anche ai collegamenti con le filiali d'oltreoceano - Stati Uniti, Canada e Australia - costituite da immigrati calabresi residenti da molto tempo in quei paesi.Pag. 113
Il passaggio a questo nuovo settore illecito, che ha comportato un pesante pedaggio di omicidi, ha consentito alla 'ndrangheta di porsi ai vertici delle associazioni delinquenziali internazionali. E la 'ndrangheta è dispotica, signor Presidente, in tutte le sue forme: non cerca il consenso; impone la paura ed il terrore; è feroce e brutale (l'ultimo omicidio, l'omicidio Fortugno, ne è una dimostrazione diretta).
Rispetto alla mafia siciliana, la 'ndrangheta ha un'arma in più: l'impermeabilità. Le cosche, con un esercito di migliaia di affiliati, sono in gran parte costituite da parenti. Quindi, è difficile che vi siano pentiti: dissociarsi significa tradire il padre, il fratello, il cognato, lo zio, i parenti stretti. Si tratta di una sorta di ordinamento giuridico alternativo e concorrente a quello statale, che comprende i poteri di determinare ed imporre regole di comportamento, di assumere decisioni immediatamente operative e di applicare anche violente sanzioni a seguito di giudizi inappellabili. Ove, poi, si aggiunga a tutto questo il potere di dichiarare e condurre guerre che si svolgono su ampi territori e che hanno durata pluriennale, allora si avrà un quadro completo della gravità del fenomeno mafioso e della sostanziale impunità raggiunta da tale organizzazione.
È vero che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a grandi successi delle Forze dell'ordine e della magistratura, che hanno portato all'arresto ed all'inquisizione dei capi delle cosche più importanti. Ciò dimostra che lo Stato è in grado di rispondere con efficacia al potere della mafia e che può vincere la guerra. Sarebbe, comunque, un errore imperdonabile ritenere che, con i capi in carcere, l'organizzazione sia allo sbando. Se la manovalanza delle cosche viene reclutata in quello che, un tempo, era definito il proletariato, i figli dei capi e dei loro consiglieri vengono mandati a studiare nelle migliori scuole ed università, non tanto per voglia di riscatto, quanto per preparare un volto pulito alle famiglie: quello che rappresenterà la 'ndrangheta del domani.
Lo Stato deve allora intervenire in maniera forte. Di fronte ad una criminalità che ha un elevato livello di scontro, l'istituzione deve intervenire sul piano repressivo, ma anche e soprattutto sui piani preventivo ed economico.
Sul piano preventivo, la politica deve intervenire per tendere al superamento dello stato di bisogno e di disagio sociale. La sicurezza delle città e dei quartieri, il sostegno alle persone ricattate ed estorte, la cultura della legalità e la creazione di infrastrutture indispensabili per lo sviluppo del mercato e dell'economia sono attività certamente antimafia. La Commissione deve farsi garante e promotrice di un progetto: il progetto della cittadinanza attiva e partecipe che non ha bisogno più degli atti di eroismo e del sacrificio delle persone.
Sul piano economico, va ribadito che le associazioni criminali di tipo mafioso tendono ormai sempre più verso il guadagno, verso la ricchezza. L'obiettivo deve essere, allora, quello di infliggere un colpo mortale alle ricchezze operando su due livelli: il primo è quello di concentrare uomini e mezzi alla ricerca dei patrimoni mafiosi, ai fini della confisca; il secondo, simbolicamente importantissimo, è quello di assicurare che i patrimoni e gli immobili sequestrati vengano destinati a servizi sociali (scuole, presidi delle Forze dell'ordine, strutture di svago per i minori).
Non si deve sottacere, tuttavia, e non può certo farlo, alla luce degli ultimi gravi fatti criminali, un parlamentare calabrese, che la mafia è ancora fortemente inserita nel tessuto amministrativo ed istituzionale: ne è la prova l'elevato numero di consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa. La mafia tradizionale non si considera una mera organizzazione criminale, ma un vero e proprio ordinamento giuridico, che si sostituisce in tutto e per tutto allo Stato, di cui sfrutta gli amministratori ed i funzionari soltanto quando le fa comodo, e per rafforzare il proprio potere.
L'azione di contrasto deve rivolgersi, quindi, anche ai gruppi criminali di origine straniera che sono insediati in numerose regioni. Tale insediamento determina Pag. 114una interazione tra i gruppi stranieri e gli autoctoni, con diverse caratteristiche ed esiti dipendenti dalle singole realtà criminali. Si assiste, così, al potenziamento delle attività illecite attraverso la costituzione di nuovi mercati criminali, alcuni dei quali del tutto negletti, in precedenza, sia da Cosa nostra sia dalle mafia storiche (si pensi all'immigrazione clandestina ed allo sfruttamento della prostituzione, solo per citare i fenomeni più visibili).
In questo quadro, appare pertanto necessaria l'istituzione della Commissione di inchiesta sulla mafia e sulle associazioni similari, con funzioni di analisi, propulsive e di controllo, a favore della quale voterà il nostro gruppo parlamentare.
Sarà necessario approfondire le conoscenze, tenuto conto che i fenomeni criminali di tipo mafioso si sono modificati profondamente in estensione e forme d'azione, anche per effetto del processo di globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche. Sarà necessario comprendere se gli strumenti predisposti dall'ordinamento siano adeguati al nemico da sconfiggere, sia sul piano legislativo, sia su quello amministrativo. Sarà necessaria un'attività continua di stimolo e di controllo, tendente non a porre sotto controllo l'azione di altri pubblici poteri, ma a collaborare con loro costantemente per la risoluzione dei problemi che concretamente si porranno.
La lotta alla mafia - ed ho concluso - nelle regioni meridionali e soprattutto nella mia regione, è uno snodo vitale. Senza una reale incidenza dello Stato, non vi è futuro. Abbiamo l'obbligo di dare il nostro contributo (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.



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