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Discussione della mozione Bondi ed altri n. 1-00005 concernente iniziative volte alla definizione dei requisiti per l'accesso a cariche istituzionali (ore 16,04).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare il deputato Leone, che illustrerà anche la mozione Bondi ed altri n. 1-00005, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, premettendo che in questa legislatura sono stati eletti, naturalmente dal popolo, alcuni colleghi condannati per gravi reati contro la persona e che ricoprono all'interno di questo consesso anche cariche di rilievo, alcuni esponenti della Casa delle libertà hanno inteso presentare una mozione in merito ai modi con cui sono state assegnate talune cariche istituzionali. InPag. 2seguito, in tema di assegnazione parleremo della differenza tra nomina ed elezione all'interno di questa Camera, del significato corrente e tecnico. Come dicevo, alcune cariche di un certo rilievo sono state assegnate nell'ambito di questa Camera, dunque la mozione si fa carico di un problema più morale che politico.
L'elezione dell'onorevole Sergio D'Elia a segretario di Presidenza è indubbio che abbia turbato la coscienza e colpito la sensibilità dei parenti delle vittime del terrorismo. Ricordiamo, per un attimo, che l'onorevole D'Elia è stato esponente di spicco della sanguinaria organizzazione terroristica Prima linea ed è stato condannato per concorso nell'omicidio dell'agente di polizia Fausto Dionisi. Quando si parla di concorso, non necessariamente vi è stata la partecipazione diretta a tale omicidio e sin qui ritengo doverosa la precisazione.
L'onorevole D'Elia, pur avendo scontato la pena che gli è stata inflitta dai giudici e pur considerando il carattere riabilitativo delle sanzioni penali, previsto dall'articolo 27 della Costituzione, riteniamo non possa certo essere eletto a cuor leggero a significative cariche istituzionali senza che tale fatto colpisca non solo i familiari ed i collegi dell'agente di polizia Fausto Dionisi, ma anche tutti i familiari in genere delle vittime degli anni di piombo.
Per la verità, se vogliamo fare un excursus che da un po' di tempo a questa parte ha assunto rilievo in Italia, siamo di fronte ad un singolare fenomeno secondo cui molti esponenti dell'eversione violenta - mi riferisco alle Brigate rosse, che all'epoca i ministri dell'interno definivano (all'inizio, quanto meno) sedicenti Brigate rosse per non urtare la sensibilità dell'allora partito Comunista, a Prima linea et similia discettano tranquillamente sui giornali, nelle trasmissioni televisive e sputano sentenze su ogni materia della vita civile e sociale.
A nostro avviso, si è perso il senso della misura e si è superato il limite non solo dell'opportunità, ma anche della decenza morale.
Per ogni protagonista della lotta armata, che per anni ha insanguinato il nostro paese, facendo morti e feriti tra magistrati, tutori dell'ordine e comuni cittadini, forse sarebbe stato necessario, una volta saldati i conti con la giustizia, adottare una linea di comportamento di basso profilo; ma ognuno agisce come meglio crede.
Evidentemente, tutto ciò che è offensivo nei confronti della sensibilità dei parenti delle vittime della violenza politica, lo è altrettanto nei confronti dei cittadini comuni, democratici e rispettosi della legge. Di fronte a tali considerazioni quasi di elementare buon senso e buon gusto, i diretti interessati - e, per la verità, molte vestali della democrazia collocate a sinistra - si scandalizzano ed affermano che non si può e non si deve marchiare per tutta la vita chi ha sbagliato ed ha pagato il proprio debito con la giustizia. Per la verità, perdonare si deve, dimenticare, forse, non si deve, sarebbe da stupidi farlo.
Non si può dimenticare il recente passato, quando di mezzo ci sono migliaia di morti e feriti, una scia di sangue e di dolore e migliaia di vedove ed orfani giustamente indignati per lo spazio mediatico eccessivo che, con grande leggerezza, viene riservato gli assassini dei loro cari.
Tra questi personaggi c'è anche l'onorevole D'Elia, promotore - non va sottaciuto - dell'associazione Nessuno tocchi Caino (dal collega D'Elia abbiamo ricevuto un ampio dossier sulla sua vicenda). Forse, all'onorevole D'Elia, tanto impegnato a favore di Caino, non è mai venuto in mente di occuparsi, qualche volta, anche dei diritti di Abele. Ma forse non è trendy, come si usa dire, e poco di sinistra pensare di arrivare al riequilibrio totale della propria coscienza e del proprio atteggiamento politico.
Lo spazio eccessivo concesso a questi maestri, la distorsione e mistificazione sistematica della realtà storica hanno raggiunto forse il loro culmine, non tanto con le elezioni in Parlamento, quanto con l'elezione in questo Parlamento ad un ruolo che, sebbene non sia all'interno dellaPag. 3Camera di alta levatura ma di media levatura, assume un valore di natura istituzionale piuttosto alto.
Ci si lamenta del fatto che, fino ad ora, si è sempre parlato di «nomina» dell'onorevole D'Elia a segretario di Presidenza; tecnicamente, invece, si tratta di un'elezione all'interno di questo ramo del Parlamento, perché è stato votato dai colleghi. A chi ritiene opportuno sottolineare che l'onorevole D'Elia è stato democraticamente eletto all'interno di questa Camera, vorrei chiedere quale sia la differenza tra «nomina» ed «elezione», quando l'indicazione avviene con la spartizione, a seconda del manuale Cancelli, delle cariche anche all'interno della Camera: alla maggioranza spetta un tot di segretari di Presidenza, all'opposizione spetta un tot di segretari di Presidenza; vengono indicati dai gruppi, dai partiti. Vengono nominati, quindi, alla fine. Purtroppo, il singolo deputato o i singoli gruppi sono solo dei ratificatori delle indicazioni date.
C'è chi sostiene che si tratti di un passaggio del tutto legittimo che non desta preoccupazione, per il solo fatto che l'eletto ha espiato praticamente la sua pena e si è riabilitato.
Perché, mi domando allora, tanti cittadini, condannati per reati molto più lievi (e, comunque, non di sangue), spesso subiscono la sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici - temporalmente limitata o a tempo indeterminato - e non possono permettersi ciò cui, invece, l'onorevole D'Elia ha avuto accesso? Evidentemente, esiste qualche discrasia, poiché si equipara un cittadino che ha avuto un processo a proprio carico, è stato condannato ed ha espiato la propria pena ad un cittadino «normale». Vorrei evidenziare che si tratta non di una «macchia», ma di eventi legati, purtroppo, a fatti di sangue che suscitano, comunque, sconcerto nell'opinione pubblica.
Vi è da chiedersi, poi, quale sia la sensibilità di chi, evidentemente all'interno della maggioranza, ha inteso eleggere ad una carica istituzionale come quella di segretario di Presidenza del Camera dei deputati (anche se, come dicevo, si tratta di un incarico non di alto, ma di medio livello) una persona sulla quale, ad ogni modo, pesa un passato così ingombrante.
La mozione in esame, peraltro, tocca non soltanto l'onorevole D'Elia, ma anche l'elezione dell'onorevole Daniele Farina alla carica di vicepresidente della Commissione giustizia della stessa Camera. I firmatari della mozione, nonché i gruppi che la sostengono, ritengono infatti che occorra garantire un maggiore rispetto delle istituzioni e della sensibilità dei cittadini; credono, inoltre, che ogni parte politica debba compiere una migliore selezione dei candidati ad incarichi di livello istituzionale, anche se non elevati.
Vorrei segnalare che un gruppo appartenente alla maggioranza, che oggi ha propri rappresentanti ai vertici del Governo, su tali temi non solo ha condotto una battaglia politica per tanti anni, ma ha svolto anche la campagna elettorale dello scorso aprile: mi riferisco all'Italia dei Valori. Ricorderete quante volte è stato puntato il dito sul «Parlamento degli inquisiti» o, quanto meno, sulla questione degli inquisiti presenti nel Parlamento, per chiedere ai cittadini italiani, con forza, il consenso per quella formazione (che oggi è in maggioranza) proprio al fine di realizzare una specie di «sanatoria» di natura morale della politica.
Ritengo una contraddizione non incontrare il consenso di chi, come il gruppo de l'Italia dei Valori, ha sostenuto - scusatemi il bisticcio di parole - certi «valori», ma forse oggi non condividerà il merito della nostra mozione.
Il nostro atto di indirizzo non vuole assolutamente avere il sapore di un'azione ad personam contro un singolo deputato che abbia assunto cariche istituzionali di rilievo, ma vuole rivestire un valore politico di carattere generale. La mozione in esame, infatti, è legata ad un'idea che può essere approvata sia dalla maggioranza, sia dall'opposizione. Ricordo, ad esempio, che essa suggerisce la definizione di un codice di autoregolamentazione, che può essere proposto dalla maggioranza ed essere condiviso dall'opposizione, al fine di evitare che cariche istituzionali di rilievoPag. 4vengano assegnate a persone che, per il loro passato, possano offendere sensibilità diffuse nel nostro paese. Torno a ripetere che ciò dovrebbe valere anche se si tratta di personalità che possano avere rinnegato il loro passato ed abbiano pagato il loro debito con la giustizia.
Vorrei comunque segnalare che, da parte mia, ritengo un po' forzato pensare che si possa cambiare idea, carattere o modo di approcciarsi alla politica, oppure al nostro paese, nel momento in cui non vengano rinnegate del tutto certe posizioni, come ha fatto l'onorevole D'Elia. Infatti, ho esaminato il dossier che egli ha avuto l'amabilità di inviare a tutti colleghi e, sul finire di tale documento, ho letto le dichiarazioni spontanee rese al processo di secondo grado.
Posso condividere tali dichiarazioni da un punto di vista umano, non posso condividerle però da un punto di vista di approccio, torno a ripetere, perché non si rinnega quello che si è fatto (anche solo e soltanto attraverso la mente, non attraverso il braccio); si dice semplicemente che i momenti storici sono cambiati, ritenendo quindi che quel momento storico non possa essere paragonato al momento storico in cui si vive oggi, o si è vissuto qualche anno dopo i fatti trattati nel processo.
Ecco perché ritengo necessario un approfondito momento di riflessione da parte delle istituzioni, sia della maggioranza che dell'opposizione, sulla possibilità di procedere alla stesura di un documento, di un codice di autoregolamentazione, per evitare questo tipo di problemi.
Parlerei così anche se si trattasse di esponente che ha avuto a che fare con episodi legati ad un terrorismo di natura diversa rispetto a quello cui era legato l'onorevole D'Elia, legato a matrici politiche diverse; parlerei allo stesso modo, riterrei di dover dire le stesse cose in quest'aula, nel momento in cui ritengo che vengano coinvolte le sensibilità di una grande parte dei cittadini italiani. È questo che chiediamo attraverso il voto da parte di tutti a favore di questa mozione. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato De Cristofaro. Ne ha facoltà.

PEPPE DE CRISTOFARO. Signor Presidente, signori deputati, la mozione presentata dalle destre sulla presunta inopportunità politica di due deputati di questa Repubblica, Sergio D'Elia e Daniele Farina, ad assumere gli incarichi, rispettivamente, di segretario di Presidenza e di vicepresidente della Commissione giustizia della Camera è, a nostro avviso, un fatto politico di assoluta gravità, non solo per il suo carattere profondamente illiberale, ma anche per la costruzione di un teorema politico e storico che quest'Assemblea deve rigettare senza nessuna ambiguità.
Il fatto poi che questa mozione si levi dagli stessi banchi di coloro che hanno reclamato in questi anni più garantismo e maggiore tutela dei diritti delle persone dimostra, noi crediamo, il carattere totalmente strumentale di quelle rivendicazioni le quali, evidentemente, venivano fatte non nel nome di un principio generale, ma per gli interessi specifici e privati di qualche deputato, o di qualche esponente di Governo coinvolto in qualche procedimento giudiziario.
Se oggi quel garantismo opportunista si è trasformato nel peggiore e più insopportabile giustizialismo, fino alla messa in discussione dei diritti costituzionali, noi crediamo di dover difendere l'idea dello Stato di diritto da quelle tentazioni vendicative che dovrebbero essere bandite per sempre dal nostro sistema politico.
Avete già provato, deputati dell'opposizione, a stravolgere la Costituzione repubblicana con un referendum, che per fortuna ha visto la stragrande maggioranza degli italiani darvi torto. Evidentemente, la Carta costituzionale deve piacervi davvero poco, se siete subito disposti ad archiviarne i suoi articoli più rilevanti, come quello che lega la pena per un condannato (come nel caso del collega Sergio D'Elia), alla rieducazione e non alla vendetta,Pag. 5introducendo un principio che rende democratico e non autoritario un sistema giuridico.
Se questa è l'ennesima dimostrazione che il vostro garantismo di questi anni è stato a senso unico, ed è stato probabilmente un garantismo interessato, vorremmo ricordare che questa di cui ci occupiamo oggi non è una vicenda di tangenti, di malaffare, di corruzione, o di associazione mafiosa. Avete riunito nella vostra mozione due storie molto diverse, accadute in anni molto diversi. Tentare di presentarle come se ci fosse fra le due un filo conduttore, come se la parte più dolorosa della stagione degli anni Settanta, e le lotte e i movimenti contro la globalizzazione avessero una continuità storica o, peggio ancora, una continuità politica, è operazione strumentale e infondata. Una di quelle storie non ci appartiene, l'altra sì. I movimenti e le lotte sociali sono parte del nostro DNA e rappresentano una speranza di futuro per milioni di uomini e di donne.
Ci avete provato spesso, in questi anni, a connettere queste lotte, fatte di piazza e di consenso, con gli anni peggiori della storia del terrorismo italiano. Ci avete provato anche perché questo movimento vi ha spaventato e mentre i vostri vertici vi assediavano, con le mani alzate e con la forza dei soli corpi, voi avete capito che non sareste riusciti a sconfiggerlo. Avete allora costruito un'operazione di propaganda maldestra, che nega il tentativo, invece riuscito, per fortuna, del movimento del nostro tempo di non farsi ingabbiare nella stessa spirale perversa di trent'anni fa, nonostante la repressione delle giornate di Genova, nonostante le inaudite violenze su manifestanti inermi, nonostante la scuola Diaz, nonostante Bolzaneto, nonostante piazza Alimonda.
Nonostante tutto questo, il movimento contro la globalizzazione ha rifiutato in tutte le sue componenti la spirale repressione-violenza-repressione. Lo ha fatto, signori deputati, già a partire da quel 20 luglio del 2001, di cui ricorre tra pochi giorni l'anniversario, in una grande assemblea allo stadio Carlini, a Genova, poche ore dopo la morte di Carlo Giuliani. Lo ha fatto anche attraverso le scelte inequivocabili di tutte le componenti che lo hanno animato e dei suoi protagonisti più attivi e visibili, proprio come il collega Daniele Farina. Ma pur dentro queste differenze storiche, che non sono di poco conto e che non vanno né rimosse né occultate, che ci aiutano, come è evidente, a comprendere i differenti contesti sociali e politici, vorremmo aggiungere un'altra considerazione.
Siamo oggi assai distanti, non solo per il tempo trascorso, ma proprio per la pratica politica che ho provato a descrivere, da quella stagione che in Italia si ricorda con il nome un po' sinistro di anni di piombo. Siamo distanti e rivendichiamo questa distanza, ma pure non possiamo consentire operazioni menzognere che tendono a rappresentare una storia diversa da quella che è. Gli anni Settanta non furono in Italia solamente lotta e stragismo, ma anche e soprattutto il tentativo straordinario di una intera generazione politica di costruire un sogno di trasformazione, di non delegare, di riprendersi il diritto all'esistenza.
Ma dobbiamo essere capaci di guardare pure alla parte più tragica di quella storia, quella più violenta e più drammatica, quella che spezzò molte vite, soprattutto di giovani e giovanissimi, tra omicidi politici ed ergastoli, senza dimenticarne i tragici errori ed i lutti, ma nemmeno i percorsi di riabilitazione autentica di molti dei protagonisti di quegli anni.
Chi può negare oggi che il collega Sergio D'Elia, che pure non ha commesso reati di sangue, abbia pagato fino in fondo il proprio debito con la giustizia? Chi può negare che lo abbia pagato duramente quel debito, anche per gli effetti di quella legislazione speciale fatta di decreti emergenziali di cui, evidentemente, qualcuno sente ancora il bisogno? Come si vede, la storia di quegli anni è anche la storia di una definitiva ammissione di errore e di colpa, che solo un ordinamento giuridico autoritario e vendicativo può non riconoscere. Nel caso del collega D'Elia, è anche la storia di una riabilitazione così autenticaPag. 6da trasformarsi in un impegno ventennale contro la barbarie della pena di morte.
Come è stato ricordato in questi giorni, anche da autorevoli esponenti delle istituzioni democratiche, la cosiddetta stagione della dissociazione, di cui il collega D'Elia fu parte, non fu una scorciatoia per diminuire le pene ed evitare ulteriori anni di galera. La legge che riconobbe, anche processualmente, il fenomeno della dissociazione dal terrorismo, fu successiva di molti anni alla nascita del fenomeno stesso. Probabilmente, uno dei motivi per cui nel nostro paese il terrorismo fu sconfitto è da ricercarsi proprio nel fatto che molti di quelli che lo avevano fatto nascere sentirono l'esigenza autentica di una revisione del loro passato, ammettendo la responsabilità penale e morale, sciogliendo le organizzazioni armate, rifiutando pubblicamente la violenza come forma di lotta, riconoscendo, in una parola, non solo la sconfitta, ma soprattutto l'erroneità della lotta armata. Chi fece quella scelta si impegnò duramente, negli anni successivi, nella lotta contro il terrorismo e, non a caso furono proprio i terroristi irriducibili a considerare i cosiddetti dissociati, come d'Elia, come i principali avversari.
In questo quadro, continuare oggi a negare ai protagonisti di quegli anni anche il diritto all'esistenza appare segnato da un'ansia di vendetta che non solo è intollerabile, ma che mina i presupposti dello Stato di diritto, soprattutto quando, come nel caso di cui stiamo discutendo, proprio le vittime sono effettivamente diventate il centro della loro azione politica.
Sempre guardando alle vittime, consentitemi, signori deputati, un'ultima considerazione. Per ciò che riguarda il gruppo parlamentare cui appartengo, voi tirate in ballo, per l'appunto, il collega Farina, ma forse avreste dovuto guardare meglio e scoprire che in questo caso le vittime di reati che voi definite gravi e violenti contro la persona siedono fisicamente su questi banchi, a fianco e a poche file dietro di me, e, in qualche caso, colleghi del mio stesso partito, a testimoniare concretamente di essere stata la dialettica sociale prevalente su quella penale. Chiedetelo dunque a loro cosa ne pensano della vostra mozione. Così come siedono qui, simbolicamente, le vittime di tante stragi impunite, che ci onoriamo di rappresentare, a partire proprio degli amici e dai familiari di Fausto Tinelli e di Lorenzo Iannucci, uccisi da mano fascista a pochi metri dal centro sociale Leoncavallo, che da trent'anni aspettano giustizia.
Perché di questo si parla, signori deputati: se riusciamo a diradare la cortina di fango che si è alzata attraverso un giornale, Libero, che proprio in questi giorni vede la propria immagine ulteriormente appannata da una vicenda giudiziaria che coinvolge la sua redazione e che suscita fondati interrogativi. Tutti motivi più che sufficienti, noi crediamo, per votare contro la vostra mozione (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Socialista Europea e de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Capezzone. Ne ha facoltà.

DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, colleghe, colleghi, è stato oggi depositato in ciascuna delle vostre caselle un accurato dossier sulla storia di una persona. Parla, certo, della storia personale e politica di Sergio d'Elia, ma parla anche, pur attraverso la lente di una singola vicenda, di un pezzo della storia del nostro paese.
Con l'onestà intellettuale che deve contraddistinguere il dialogo tra noi in questo tempio democratico, io mi permetto di chiedere a ciascuno, prima di esprimersi, di confrontare quella storia, quelle informazioni, quella traiettoria umana, civile e politica, con la valanga di cose, più spesso di fango, che si è voluto in quest'ultimo mese gettare addosso a Sergio e a noi, suoi compagni.
La «mostrificazione», la trasformazione di una persona in mostro, in icona del male, in rappresentazione quasi fisica della negatività, in qualcosa o qualcuno con cui non si può parlare, che non si puòPag. 7ascoltare, ma che va colpito, e quasi esorcizzato, è un modo di privarci tutti, da qualunque parte ciò avvenga e chiunque sia soggetto od oggetto, di una possibilità di conoscenza e di una intelligenza delle cose.
Mi permetto di dirlo proprio in queste ore - la mia non è polemica, e, se lo fosse, vorrebbe essere quella che Pasolini chiamava « polemica fraterna » - ad alcuni esponenti di AN che, come essi stessi denunciano, sono linciati sulla stampa da qualche settimana (così dicono); ad alcuni esponenti di Forza Italia che, dicono loro, sono inquisiti e magari già condannati sui giornali, spesso senza possibilità di replica - così denunciano! -; ad autorevoli firme del giornalismo che hanno intinto, rispetto a Sergio, il loro pennino nel nero inchiostro dell'insulto e che oggi si ritrovano nella polvere. Non è nostro costume infierire.
In primo luogo, i nostri avversari sanno che per Marco Pannella, i radicali, i socialisti, i garantisti, è un onore e un atto di amore civile, non solo un dovere, tendere una mano in questi casi e che la prima regola, quando qualcuno è accerchiato, è rompere l'accerchiamento.
Lo dico a tutti, anche dopo l'esperienza di questa settimana: la belva giustizialista può essere cavalcata, ma non guidata o controllata. Puoi essere tu che la cavalchi, ma è senz'altro lei che guida, controlla e comanda. E, come è fin troppo evidente, nessuno guadagna, né nel breve, né nel medio, né nel lungo termine, quando queste tossine vengono diffuse nella società e quando si creano o si alimentano le condizioni per il diffondersi delle metastasi criminalizzanti.
Per questo dico con molta chiarezza, onorevole Antonio Leone, che se è sacro il dolore delle vittime, di ogni vittima di ogni atto di violenza, non è sacro ma è il contrario di sacro, cioè civilmente blasfemo, il tentativo da parte di altri di fare uso politico di quel dolore per colpire un avversario e per negare la sua storia e il suo percorso.
Conoscete Sergio d'Elia, lo conoscete per i suoi quindici anni di guida dell'associazione Nessuno tocchi Caino, per cui tante persone autorevoli - ne cito due, il presidente Casini e il presidente Fini - hanno avuto occasione di esprimere pubblici elogi, di partecipare o addirittura fare proprie le campagne per i diritti umani e civili che Sergio anima e guida. Voglio anche citare il presidente dei deputati di Forza Italia, onorevole Elio Vito, firmatario di questa mozione che, probabilmente, partecipò in prima persona a quella giornata di commozione e di festa civile nel 1987, in cui Sergio D'Elia annunciò, in un congresso del partito radicale, le sue scelte ormai avvenute ed irreversibili; voglio ricordare che il gruppo di Forza Italia al Senato aderì come tale a Nessuno tocchi Caino, e che il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Berlusconi ricevette D'Elia a Palazzo Chigi sulle campagne di Nessuno tocchi Caino. E quanti sono stati, non mi riferisco agli onorevoli Fini, Casini, Elio Vito, Berlusconi o ai senatori di Forza Italia, quelli che hanno persino inseguito l'attività di Nessuno tocchi Caino magari per mettersi un distintivo che potesse apparire buono o buonista: ora partecipano anch'essi alla lapidazione. Non posso credere che questa lapidazione continui. Leggiamo, leggete, non solo la storia di questi 15 anni, ma la storia degli anni in carcere in cui d'Elia e i suoi compagni di allora, con rischio certo e gravissimo, sceglievano la strada della dissociazione misurandosi contro gli irriducibili delle Brigate rosse e contribuendo davvero, lo ripeto, a loro rischio e pericolo, alla chiusura della pagina del terrorismo politico.
Oggi, la presenza di D'Elia in Parlamento dovrebbe essere vissuta come una vittoria della democrazia, dello Stato, della non violenza, del principio costituzionale della pena come strumento di rieducazione e di ripartenza, umana e civile, per ciascuno. Mi auguro, ne sono certo, che questa Camera non vorrà né colpire d'Elia né, attraverso di lui, le speranze di tanti, e penso naturalmente anche al collega di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, onorevole Daniele Farina, la cui partecipazione alla vita civile e politica del paesePag. 8non è solo il loro ma il nostro e vostro onore, non è solo la loro ma la nostra e vostra speranza.
Spero, anzi sono certo, che nessuno vorrà trasformare questo luogo, contro ogni principio di diritto e contro la volontà popolare, in una sorta di tribunale delle coscienze che stabilisca, in base ai criteri dell'onorevole Antonio Leone o dell'onorevole Elio Vito o dell'onorevole Giovanardi, chi possa entrare in questa Camera e chi no, chi gli elettori possano scegliere e chi no, o chi questa Camera possa destinare ad alcuni incarichi elettivi e chi no, con una mozione che, a mio avviso, è perfino irricevibile. Sarebbe un'altra pagina scura, una pagina gravissima, un precedente che peserebbe non sul collega D'Elia, non sul collega Daniele Farina, ma su questo Parlamento e su noi tutti (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, l'onorevole De Cristofaro ha poc'anzi parlato di coloro a cui si vuole negare il diritto all'esistenza perché macchiatisi di gravi delitti di sangue; io, invece, proprio in questa Camera dei deputati, in un'aula che rappresenta la democrazia, voglio ricordare i nomi di coloro a cui è stato tolto, oltre al diritto all'esistenza, anche la vita e ai loro familiari, che ancora oggi pagano duramente le conseguenze di quei fatti di sangue, è stata negata la possibilità di avere una vita normale.
Per ognuno dei nomi che citerò dovrei indicare la data del loro assassinio, tuttavia, mi limiterò ad indicare soltanto i nomi e la qualifica: Carlo Ala (dirigente industriale); Luigi Allegretti (cuoco); Mauro Amati (studente); Pino Amato (esponente DC); Gaetano Amoroso (studente); Sergio Argada (operaio); Francesco Arillo; Vittorio Bachelet (docente universitario); Ugo Benazzi; Marco Biagi (docente universitario, ucciso nel 2002); Franco Bigonzetti (studente); Gabriella Bortolon (direttrice boutique); Alberto Brasili (studente); Renato Briano (dirigente Magneti Marelli); Pietro Bruno (studente); Vittorio Brusa (venditore ambulante); Giampiero Caciani; Angelo Campanello (operaio); Alberto Campanile (universitario); Vincenzo Caporale (studente); Gianfranco Carminati (operaio); Fabrizio Caruso (studente); Carlo Casalegno (giornalista); Roberto Cavallaro (studente); Stefano Cecchetti (studente); Francesco Cecchin (studente); Domenico Centola (bracciante); Francesco Ciavatta (studente); Carmine Civitate (ristoratore); Pietro Coggiola (capo officina Lancia); Domenico Congedi (studente universitario); Lando Conti (ex sindaco); Gennaro Costantino (pensionato); Roberto Crescenzio (studente); Fulvio Croce (avvocato); Massimo D'Antona (docente universitario); Fanny Dallari (pensionata); Bianca Daller (insegnante); Carmine De Rosa (dirigente Fiat); Luigi De Rosa (studente); Maurizio Di Leo (tipografo); Enrico Donato (commerciante); Attilio Duto (industriale); Gabriella Fava (domestica); Roberto Franceschi (studente); Fausto A. Genoino; Carlo Ghiglieno (dipendente Fiat); Umberto Giaquinto (studente); Graziano Girolucci (rappresentante); Silvio Gori (dirigente petrolchimico); Lorenzo Iannucci (studente); Biagio Iaquinto; Vittorio Ingria (pensionato); Emanuele Iurilli (studente); Carmelo Jaconi (barista); Antonio Leandri (studente); Francesco Lorusso (studente); Mario Lupo (operaio); Giuseppe Malacaria (muratore); Angelo Mancia (fattorino); Mandakasmikis (universitario); Francesco Mangianelli; Luigi Marangoni (direttore sanitario); Alberto Marotta; Mario Marotta (ingegnere); Luigi Mascagni (studente); Stefano Mattei (scolaro); Virgilio Mattei (studente); Manfredo Mazzanti (dirigente Falk); Giuseppe Mazzola (impiegato); Fiore Mete (contadino); Tonino Miccichè (operaio); Claudio Miccoli (studente); Aldo Moro (dirigete Dc); Joberta Palladino (studentessa); Alfredo Paolella (docente universitario); Paolo Paoletti (dirigente Icmesa); Cesare Pardini (studente); Claudio Pazzone; Enrico Pedenovi; Giovanni Persoglio (universitario); Benedetto PetronePag. 9(studente); Walter Pezzoli; Angelo Pistolesi (impiegato); Domenico Poriello (barbiere); Ciro Principessa (studente); Stefano Recchioni (studente); Eros Robbiani (impiegato); Guido Rossa (operaio); Luciano Rossi (autista); Walter Rossi (studente); Jolanda Rozzi (casalinga); Roberto Ruffilli (senatore); Lino Sabbadini (esercente); Saverio Saltarelli (studente); Mario Salvi (studente); Adriano Salvini (grossista); Giuseppe Santostefano (venditore ambulante); Carlo Saronio (ingegnere); Italo Schettini (imprenditore); Roberto Serafini; Franco Serantini (studente); Gianfranco Spighi (notaio); Giuseppe Taliercio (dirigente industriale); Giuseppe Tavecchia (impiegato); Fausto Tinelli (studente); Walter Tobagi (giornalista); Carlo Tognini (impiegato); Pierluigi Torreggiani (orefice); Martino Traversa (studente); Maurizio Tucci; Claudio Varalli (studente); Saauti Vaturi (commerciante); Dante Vema (docente); Ugo Venturini; Valerio Verbano (studente); Pasquale Viale; Giacomino Zibecchi (insegnante); Mario Zicchieri (studente); Ivo Zini (universitario).
Ritengo che le qualifiche delle persone citate dimostrino bene come questi vigliacchi assassini uccidessero persone inermi, che non avevano possibilità neppure di difendersi.
L'elenco prosegue poi con i caduti tra le Forze dell'ordine, i carabinieri, i magistrati, gli agenti di pubblica sicurezza ed i finanzieri: Alfredo Albanese; Filippo Alberghina; Emilio Alessandrini; Mario Amato; Antonio Ammaturo; Antonio Annarumma; Filadelfo Aparo; Vittorio Ariù; Maurizio Arnesano; Benito Atzei; Antonio Bandiera; Vittorio Battaglini; Sergio Bazzega; Antonio Bellotti; Rosario Berardi; Felice Bertolazzi; Bruno Bolognesi; Carlo Bonantuono; Salvatore Cabitta; Luigi Calabresi; Andrea Campagna; Ciro Capobianco; Luigi Carbone; Luigi Carluccio; Giuseppe Carretta; Antonio Casu; Giovanni Ceravolo; Antonio Cestari; Angelo Chionna; Raffaele Cinotti; Giuseppe Ciotta; Francesco Coco; Enea Codotto; Ottavio Conte; Ippolito Cortellessa; Martino Cosso; Vincenzo Curigliano; Francesco Cusano; Lorenzo Cutugno; Pietro Cuzzoli; Giovanni D'Alfonso; Sebastiano D'Allea; Luigi D'Antra; Giuseppe D'Ignoti; Luigi De Gennaro; Mario De Marco; Antioco Dejana; Francesco Di Cataldo; Giovanni Di Leonardo; Ciriaco Di Roma; Fausto Dionisi. Riguardo a quest'ultimo, mi è parso assolutamente ridicolo incolparci di aver avvertito la vedova Dionisi, dal momento che la stessa, piangendo, mi ha telefonato dopo avere saputo che colui il quale era stato condannato per l'omicidio del marito era diventato deputato e, poi, anche segretario di quest'Assemblea. Così sono andate le cose.
Proseguo con l'elenco: Franco Dongiovanni; Antonio Esposito; Francesco Evangelista; Leonardo Falco; Antonio Ferraro; Giuseppe Filippo; Filippo Foti; Giuseppe Furci; Guido Galli; Antonio Galluzzo; Enrico Galvanigi; Francesco Gentile; Lino Ghedini; Nicola Giacumbi; Licio Giorgieri; Michele Granato; Claudio Graziosi; Raffaele Iozzino; Rolando Lanari; Salvatore Lanza; Sante Lanzafame; Oreste Leonardi; Andrea Lombardini; Giuseppe Lorusso; Ezio Lucarelli; Lenin Mancuso; Antonio Marino; Felice Maritano; Luigi Maronese; Bartolomeo Marra; Edoardo Martini; Federico Massarin; Giuseppe Mazzola; Antonio Mea; Gerolamo Minervini; Antonio Niedda; Vittorio Occorsio; Pierino Ollanu; Vittorio Padovani; Riccardo Palma; Prisco Palumbo; Pasquale Paola; Antonio Pedio; Emanuele Petri, (assassinato il 2 marzo 2003); Panzino; Francesco Pietrucci; Giuseppe Pisciuneri; Salvatore Porceddu; Donato Poveromo; Romano Radici; Giuseppe Rapesta; Valerio Renzi; Domenico Ricci; Francesco Ricci; Giulio Rivera; Mariano Romiti; Francesco Rucci; Franco Sammarco; Rocco Santoro; Giovanni Saponara; Giuseppe Savastano; Giuseppe Scravaglieri; Germana Stefanini; Francesco Straullu; Giovanni Tartaglione; Michele Tatulli; Domenico Taverna; Euro Tersilli; Vittorio Tiralongo; Mario Tosa; Vincenzo Tumminello; Emanuele Tuttobene; Antonio Varisco; Sebastiano Vinci; Eleno Viscardi; Eriberto Volgger; Francesco Zizzi; ed aggiungo i morti per le stragi di Cima Valona, Malga di Sasso, piazza Fontana, Gioia Tauro, Peteano, della questura diPag. 10Milano, di piazza della Loggia, dell'Italicus, della stazione di Bologna, del treno 904, dei Georgofili, di via Palestro.
Direi le stesse cose se fosse presente qualcuno di coloro che sono stati condannati come responsabili di quelle stragi.
Ho voluto ricordare, signor Presidente, questi nomi perché nessuno parla di loro. Forse è la prima volta che, in Parlamento, sono elencati i nomi di coloro cui, come ha detto il collega, è stato negato il diritto all'esistenza. A questi è stato negato il diritto all'esistenza, per sempre! Alle loro famiglie è stato negato, per sempre, il diritto ad un'esistenza serena, famiglie che, oggi, mentre sto parlando, stanno pagando duramente le conseguenze degli atti di terrorismo.
Come dirò domani, durante le dichiarazioni di voto, un po' di sobrietà non guasterebbe. Nessuno vuole toccare i principi costituzionali, almeno non io, che prendono in considerazione la rieducazione. Ma un conto è la rieducazione di chi è stato condannato per gravissimi reati di sangue, altro è elevare costui al vertice delle istituzioni! Abbiamo fatto un sondaggio ed il 94 per cento degli italiani è contrario - il 94 per cento - e si indigna quando accadono questi fatti.
Il Parlamento deve rappresentare anche il sentimento popolare, un sentimento profondo di giustizia che anima le persone comuni. Per questo abbiamo sollevato il problema e presentato la mozione. Il consiglio comunale di Firenze e la regione Toscana, nei quali non mi risulta abbia la maggioranza la Casa delle libertà, quando hanno votato nei giorni scorsi due mozioni sulla linea di quanto abbiamo proposto al Parlamento, hanno fatto una cosa giusta. Non mi adombra il fatto che siano governati dal centrosinistra; hanno votato due mozioni giuste perché si sono fatti interpreti dell'emozione dell'intera opinione pubblica del paese (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Vacca, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Moffa. Ne ha facoltà.

SILVANO MOFFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione Bondi ed altri n. 1-00005 mira a sollevare una questione centrale, cioè comprendere, alla luce delle considerazioni che alcuni colleghi del centrodestra hanno svolto prima di me, se sia giusto, in questo momento storico, porre il problema di un diverso comportamento, anche di natura legislativa, eventualmente attraverso una pena aggiuntiva, per evitare che chi si è macchiato di colpe orrende, di omicidio, in un periodo particolare della storia del paese, caratterizzata dalla fuga di intere generazioni verso la deriva del «partito armato», possa tornare tremendamente di attualità e trovare - per così dire - sfogo e concreta applicazione nel Parlamento.
Ho ascoltato con grande attenzione gli interventi dei colleghi De Cristofaro e Capezzone ed ho quasi avuto l'impressione che si cercasse in qualche misura di cambiare il senso del nostro confronto di oggi, cercando di addebitare ad un'esclusiva azione giustizialista del centrodestra il tentativo subdolo di voler in qualche modo porre all'attenzione dell'opinione pubblica l'episodio di D'Elia e Farina, quasi per giustificare quello che è accaduto nel corso degli ultimi anni. Voglio ricordare ai colleghi della maggioranza che, all'indomani della notizia data da Giovanardi - va anche detto con chiarezza che il sistema elettorale ha in qualche modo consentito che la selezione avvenisse attraverso una scelta fatta dai partiti e non affidata al corpo elettorale, mentre la mancanza di una preferenza non ha consentito neppure di poter esprimere la fiducia nei confronti di chi oggi si trova in questa Camera a rappresentare il corpo elettorale -, la sua denuncia ha evidenziato un problema che ha scosso fortemente anche il mondo culturale e politico della sinistra. Infatti, a chi cercava, come ha fatto De Cristofaro, di accusare addirittura questa mozione diPag. 11senso illiberale, voglio ricordare che proprio nei giorni scorsi, anche all'indomani della lettera scritta da D'Elia, illustri giornalisti della carta stampata di sinistra hanno fortemente condannato la scelta operata dai partiti politici nell'indicare al corpo elettorale questi due personaggi.
L'ha fatto Giampaolo Pansa, il quale ha ricordato a D'Elia - che nella sua lettera in qualche misura cercava di equiparare il suo atteggiamento e la sua scelta rivoluzionaria negli anni di piombo a quello di un anarchico del tardo Ottocento -, in un suo scritto proprio su L'Espresso che un particolare davvero agghiacciante caratterizza questa fase della politica. Partendo da un episodio vissuto personalmente nell'aprile del 1982 come cronista di la Repubblica nell'aula bunker del processo per il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, quando vide i terroristi rossi ridere e sbeffeggiare i parenti dello statista democristiano e quelli degli agenti della sua scorta, Pansa arriva a dire con grande amarezza:« Ventiquattro anni dopo, devo ammettere di aver sbagliato tutto. Avevano ragione i killer del gabbione, i terroristi sghignazzanti e torto le vedove e le madri degli agenti di via Fani (...). L'Italia è il paese del perdonismo (...). I terroristi nostrani escono di galera quasi sempre ben prima del previsto e trovano dei padrini pronti ad accoglierli e a rimetterli all'onor del mondo (...). Scrivono libri, danno interviste a giornali e, poi, comparsate in tv, convegni, seminari (...). Dappertutto vengono accolti con pacche sulle spalle».
Io credo che, come è stato anche sottolineato dal collega Leone, non spetti a noi giudicare la persona D'Elia e certamente non lo farà il sottoscritto. Comunque, mi ha colpito molto una pacata osservazione di Piero Ostellino su Il Corriere della sera, quando, legando alcuni episodi che hanno interessato la vita politica del nostro paese negli ultimi tempi, ha avanzato un ragionamento sul quale credo che tutte le forze politiche dovrebbero riflettere.
Scrive Ostellino: «Non vi sarà pietas nella grazia a Bompressi ed a Sofri, sarà solo la messa cantata con la quale un'intera generazione celebrerà la propria autoassoluzione; tantomeno vi è redenzione nella nomina di D'Elia a segretario della Camera, è solo la metafora attraverso la quale quella stessa generazione legittima il proprio potere. Per me lo scandalo non sta, dunque, né nella grazia a Bompressi ed a Sofri né nella nomina di D'Elia, dopo un certo numero di anni è giusto che la pena perda l'originaria funzione di punizione e chi l'ha scontata, anche se per buona condotta solo parzialmente, possa rifarsi una vita; lo scandalo sta nella dimostrazione che in Italia, anche per varcare la zona grigia fra giustizia ed umanità, occorra essere protetti da una qualche lobby, magari costituita dagli stessi sodali di un tempo; ma degli altri reclusi, che non sono più gli stessi di quando commisero i loro reati, che ne facciamo? Li lasciamo in galera solo perché non hanno santi in paradiso nella politica? Così a presidio del Parlamento vi è ora un ex terrorista che lo voleva abbattere ed a capo del Governo vi è chi, facendo ballare un tavolino durante una seduta spiritica, aveva indicato in via Gradoli il luogo dove i terroristi tenevano Moro. Da noi la storia trasloca volentieri dalla tragedia alla farsa».
Ho letto questi due brani per sottolineare che la questione non ha agitato soltanto la coscienza del centrodestra. Essa ha messo terribilmente di fronte alla realtà i familiari delle vittime. Non si tratta qui di speculare, onorevole De Cristofaro, sul lutto dei familiari e sul dolore profondo che nutrono queste famiglie anche a distanza di anni; qui si tratta di capire perché mai in questo paese non si ha allora il coraggio di aprire un grande dibattito sugli anni di piombo, di cercare la verità, di capire cosa ha portato quelle intere generazioni a tracciare di sangue un percorso e a distruggere le speranze rivoluzionarie di un'epoca. Questo dimostra come ancora vi sia tanta ipocrisia nel vostro atteggiamento, caro De Cristofaro.
Quando si richiamano alcuni delitti dell'epoca, vorrei che venisse letto un libro che ha fatto discutere molto, anche aPag. 12sinistra: Cuori neri, scritto da Telese. In questo libro vi è un lungo elenco di martiri di quel periodo e la cronaca dell'epoca si coniuga con quella terribile fase in cui si attraversava il paese gridando slogan del tipo «uccidere un fascista non è reato», oppure si fronteggiavano le forze dell'ordine con slogan del tipo «basco nero il tuo posto è al cimitero».
Quegli anni sono certamente lontani, ma le forze politiche del nostro paese non hanno mai avuto il coraggio di aprire un dibattito vero su quel periodo. Ecco perché il giudizio non è nei confronti della persona D'Elia né, tantomeno, della persona Farina; il giudizio è su come mai oggi, in mancanza di un dibattito di questo livello, si abbia la voglia di forzare i termini della questione senza comprendere che vi è un limite tra il recupero della persona, il rispetto della sua dignità nel momento stesso in cui la pena è stata scontata ed il passo oltre il quale non bisogna andare nel momento stesso in cui si rientra nel consesso civile.
Ecco perché io credo che questa mozione abbia avuto il coraggio di porre oggettivamente un problema specifico. Si tratta di capire che, forse, prima del recupero della titolarità dei diritti, vi dovrebbero essere anche il senso del pudore, della discrezione, la capacità di fermarsi un passo prima di entrare a far parte e diventare membro di un'istituzione parlamentare. Probabilmente, un grande dibattito aperto sugli anni di piombo avrebbe consentito di trovare il senso del superamento anche di questo aspetto.
Oggi non è così: assistiamo ad un forte squilibrio tra le famiglie del cui dolore dobbiamo essere enormemente rispettosi e chi, con tutto il rispetto, ottiene la possibilità di entrare in Parlamento e di sedere ad alti livelli istituzionali senza che prima sia stata svolta una seria analisi della questione di fondo che ha contrassegnato quegli stessi anni di piombo. A me ha molto colpito la dichiarazione fatta dai familiari delle vittime ed in particolare quanto affermato da un fratello di un poliziotto ucciso dalle Brigate rosse che, tra l'altro, è esponente di Rifondazione Comunista: anch'egli si è sentito ferito nel suo orgoglio politico e personale, nel momento stesso in cui ha dovuto prendere atto di questa drammatica scelta che non fa giustizia delle vittime e che crea delle corsie preferenziali per gli ex terroristi.
Allora, se la mozione in esame ha lo scopo di promuovere un dibattito serio su questo argomento, chiedendo direttamente al Governo di farsi carico di tale questione e a tutte le forze politiche di avere il coraggio di affrontare il problema che ho cercato di esporre nel mio intervento, ebbene io credo che solo per questo la presente mozione debba essere sostenuta ed apprezzata. Dietro l'episodio, infatti, non c'è nessun tentativo di strumentalizzazione, ma vi è la capacità di rappresentare l'opinione pubblica del nostro paese nella sua interezza, dignità e sensibilità. Non dobbiamo perdere di vista il pensiero dell'opinione pubblica rispetto a qualunque atto venga posto in essere nel Parlamento, ma soprattutto rispetto a qualunque scelta venga operata dalle forze politiche. Se oggi debbo sollevare un j'accuse in silenzio, io lo rivolgo proprio a quelle forze politiche che non hanno avuto il coraggio di meditare a sufficienza prima di offrire una candidatura a D'Elia e a Farina. Si chiedeva forse un maggior senso di responsabilità; si chiedeva sicuramente la capacità di rappresentare organicamente e concretamente una scelta che doveva trovare poi, qui in Parlamento, un suo giusto sbocco in termini di confronto.
Allora, concludo con la raccomandazione, rivolta soprattutto ai colleghi della maggioranza che hanno voluto interpretare lo spirito di questa mozione in modo davvero conflittuale, per la difesa della persona di D'Elia - e questo può anche far loro onore -, di riflettere ancora sul fatto che qui non si tratta di aprire un nuovo processo allo stesso D'Elia, ma di capire che nella virtù della giustizia non devono valere soltanto l'alteritas, vale a dire il riferimento all'altro, ma anche la proporzionalità di ciò che è dovuto da parte di chi ha il dovere di darlo: ciò che San Tommaso definiva l'equalitas, vale a dire un dovere che appartiene appunto alloPag. 13Stato di diritto [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, gli interventi precedenti hanno richiamato esigenze e valori sui quali indubbiamente l'attenzione, la riflessione e la considerazione devono essere alte.
Quando si è espressa l'opportunità di aprire un ampio dibattito sui cosiddetti anni di piombo affinché il Parlamento valuti con animo distaccato e sereno quella vicenda storica e se ne traggano, anche sul piano istituzionale, le debite conseguenze, non si è fatto altro, a mio avviso, che richiamare una discussione che negli anni passati più volte ha visto impegnate autorevoli persone all'interno e al di fuori di questa Assemblea. Quando si evoca il legittimo dolore delle vittime del terrorismo e dei loro familiari a seguito delle vicende che li hanno colpiti - un dolore che deve essere profondamente rispettato, al di là delle decisioni degli organi giurisdizionali (che applicano le leggi secondo regole e principi che esprimono una dimensione diversa) -, si pone un argomento degno di importante considerazione.
Quanto trovo, invece, profondamente inappropriato è il modo attraverso il quale tali questioni giungono alla nostra attenzione: ma avete considerato la struttura del discorso con cui, tecnicamente, si porta in questa Assemblea parlamentare un problema di tale portata? Mi rivolgo non solo a quanti sono presenti in questa sede ma anche a quanti potrebbero ascoltarci più da lontano. Non voglio neanche parlare dei riferimenti a singole persone - che, di per sé, quando vengono fatti, sono sempre molto delicati -; mi riferisco, piuttosto, alle conclusioni di un atto di indirizzo che è rivolto al Governo.
L'atto in discussione, del quale tralascio le premesse, impegna il Governo «(...), nel doveroso e assoluto rispetto delle prerogative del Parlamento (...)»; quindi, ci si rende conto che il Governo ha pochi titoli per intervenire sulla materia sollecitato da uno strumento di questo tipo. Si deve subito aggiungere «nel doveroso ed assoluto rispetto delle prerogative del Parlamento», in quanto ci si rende conto che questo tipo di atto non chiama in causa correttamente le prerogative del Parlamento. Il Governo viene, infatti, impegnato ad assumere iniziative - circa le quali si dice, quasi incidenter tantum: «anche normative» - «compresa la definizione di un codice di autoregolamentazione che potrebbe essere proposto dalle forze politiche (...)».
Ebbene, immagino che gli estensori si rendano conto della materia che stanno affrontando. Facendo riferimento a persone che, giudicate, sono state condannate ed hanno poi espiato la loro pena in base alle leggi vigenti, si propone un codice di autoregolamentazione. Ma sappiamo che si tratta di una materia coperta da riserva assoluta di legge? La riserva assoluta di legge ha poco a che fare con un codice di autoregolamentazione.
Sommessamente, vorrei dire che quando ho letto per la prima volta questo atto di indirizzo al Governo mi sono posto il problema della sua ammissibilità - che sollevo, ripeto, sommessamente -, ma naturalmente, se esso è giunto alla nostra attenzione, vuol dire che tale problema è stato superato. È tuttavia certo che questa materia, in cui sono in gioco diritti assoluti dei cittadini e principi costituzionali scritti che tutti ricordiamo molto bene, quali quelli contenuti negli articoli 3, 48 e 51 della Costituzione, con riferimento all'accesso alle cariche elettive, all'elettorato attivo e a quello passivo, non rientra nel campo dell'autoregolamentazione, ma appartiene alla Costituzione o alle leggi dello Stato.
Dunque, vorrei chiedere anche a coloro che hanno proposto questa mozione - ed entrerò meglio nel merito del problema a breve -: perché non provate a scrivere proposte di legge che possano disciplinare in maniera molto accurata le diverse fattispeciePag. 14che in questo atto di sindacato ispettivo sono tratteggiate quasi emotivamente?
Onorevoli colleghi, in quest'aula, pochi giorni fa, abbiamo discusso, in relazione all'istituzione della Commissione di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, proprio dei requisiti che avrebbero dovuto accompagnare coloro che avessero aspirato a far parte di tale Commissione. Alcuni hanno iniziato ad elencare una serie di requisiti soggettivi, quali le persone che possono essere indagate, per quali tipi di reato, ed hanno aperto una casistica assai complessa. Signor Presidente, mentre leggevamo tale casistica, ci rendevamo progressivamente conto che essa, anziché essere più garantista, avrebbe finito per provocare addirittura una serie di iniquità progressive e taluno - mi sembra proprio dai banchi di Alleanza Nazionale - ha sostenuto che vi sarebbe potuto essere il rischio, in tal caso, di introdurre un requisito tale da escludere non solo l'indagato, ma anche eventualmente il professionista che ne avesse assunto la difesa, aprendo problemi assai delicati.
Credo davvero che simili argomenti, proprio per ciò che afferma la nostra Costituzione, debbano essere affrontati con le leggi che riguardano l'ineleggibilità. Gli articoli 48 e 51 della stessa Costituzione sono chiarissimi, da tale punto di vista: non vi è una «scorciatoia», non vi è un'altra strada; non vi è perché non c'è dubbio che, quando ci si riferisce, anche con gli esempi che ho ascoltato in quest'aula, a reati molto gravi, ci si riferisce a reati rispetto ai quali le leggi dello Stato hanno previsto processi, di primo e secondo o terzo grado, condanne ed espiazione delle condanne. Dopodiché, il legislatore può certamente stabilire limiti al diritto di voto e all'elettorato passivo, ma è appunto il legislatore, con riserva assoluta di legge, che lo può fare. Non voglio mancare di rispetto alle persone che siedono dalla parte opposta dell'aula, ma vi confesso che sono i requisiti per entrare in quest'aula ad essere decisivi. La circostanza che uno venga investito di particolari ruoli in quest'aula fino ad un punto non è elemento di maggiore o particolare valore ai fini della rappresentanza del popolo italiano; non è che uno conti un punto qui ed un punto e un quarto o un punto e mezzo o, ancora, due punti là! Il popolo italiano è rappresentato da chi siede in Parlamento e non si possono stabilire determinati ulteriori requisiti con un codice di autoregolamentazione o con una mozione parlamentare.
Lo ripeto, la mozione è, a mio avviso, strumento parlamentare di dubbia proponibilità; infatti, non è lontanamente pensabile che in questo campo il Governo possa fare qualcosa di più di ciò che può o deve fare lo stesso Parlamento. L'iniziativa e il dibattito parlamentari possono, quindi, condurre all'adozione di limitazioni in ordine alle diverse forme di elettorato disegnate dalla Costituzione. Voglio fare un'ulteriore affermazione: forse nemmeno il regolamento della Camera potrebbe facilmente porre limiti della natura suddetta. Infatti, non è vero che il regolamento della Camera non è sottoposto al controllo della Corte costituzionale ove intervenga su temi di questa natura. Forse, è necessaria una legge che definisca una regola generale e che sappia graduare i vari tipi di reati e le relative conseguenze, stabilendo se un soggetto che è stato condannato e che ha espiato la pena possa essere ineleggibile ancora per un certo numero di anni. Questo, però, lo può stabilire il legislatore, rispettando i principi costituzionali. Dopodiché, interviene il controllo della Corte costituzionale.
Vi chiedo di rispettare questi principi perché - vedete - sono posti a tutela non delle persone che voi menzionate in questa mozione, ma delle 630 persone che siedono in questa Assemblea: sono a tutela di questi soggetti, e forse a tutela di milioni di cittadini. La riserva contenuta nella Costituzione è finalizzata a questo, al diritto di rappresentare porzioni di popolo italiano. Voi avete voluto una legge elettorale proporzionale, la quale è ispirata a questo principio, all'esigenza, cioè, che anche piccole realtà possano avere rappresentanza. Vi ripeto che non cambia laPag. 15prospettiva giuridico-costituzionale se un deputato siede su questo o quell'altro seggio: è esattamente la stessa cosa! Gli incarichi in questo Parlamento sono un dettaglio rispetto alle garanzie dei diritti dell'uomo.
Invito a riflettere su queste considerazioni e invito a riflettere anche sul percorso parlamentare. Non nego l'esigenza di partenza, discutiamo degli anni piombo, discutiamo del dolore legittimo delle famiglie delle vittime! Ma il Parlamento deve dare risposte che siano coerenti con i suoi compiti, con le sue prerogative e con il rispetto di una Costituzione che tutti abbiamo voluto e che gli italiani, anche recentemente, hanno chiesto sia mantenuta.
Perciò, signor Presidente, in base a questo punto di vista e per queste considerazioni, dichiaro di essere decisamente contrario allo spirito e alla forma di questa mozione (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carlucci. Ne ha facoltà.

GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo chiamati oggi a discutere di un problema che va al di là dell'evento in sé. Noi oggi dobbiamo chiederci se sia lecito che chi si è reso responsabile di atti di terrorismo, di atti di eversione nei confronti dello Stato democratico, con tutto il carico di morte e di sangue che ne è conseguito, e per questo è stato condannato, se una persona che abbia subito un processo e riportato una condanna per tali atti possa ricoprire cariche di rilievo tra i rappresentanti del popolo.
Oggi dobbiamo chiederci se tutto questo sia morale o meno. La domanda che dobbiamo porci è se ci troviamo di fronte ad una nuova stagione dell'etica, un'etica costituita di negazioni, di opportunismo, un'etica, cioè, che si basa sulla negazione, sul rifiuto delle regole. Se così è, oggi dobbiamo dare una risposta chiara e inequivocabile a tutti gli italiani, la dobbiamo dare ai nostri figli e la dobbiamo dare alle vittime del terrorismo, la cui unica colpa è stata quella di essere stati servitori dello Stato, la cui unica colpa è stata, forse, quella di pensarla in maniera diversa dagli altri.
Penso che una società senza regole sia una società destinata a morire, a finire, a scomparire. Molti dei colleghi della mia parte politica - ed anch'io, personalmente - annichiliscono quando ascoltano proposte che riguardano l'istituzione della «stanza del buco» per i tossicodipendenti. Resto molto sconcertata quando ascolto proposte che tendono a liberalizzare la marijuana a scopo terapeutico o proposte che tendono a scardinare la nostra società costruita sulla famiglia, che noi tutti conosciamo e che abbiamo condiviso. Vogliamo forse trasformarla in una società come quella olandese, in cui esiste il genitore «a» ed il genitore «b»? Questo è il punto.
Dobbiamo chiederci se la società che ci ha fatto diventare le persone civili che siamo sia ancora valida o se dobbiamo costruirne un'altra, cercando di inventarci cose che sono lontane dal comune sentire dei nostri concittadini. Ritengo che, oggi, ci dobbiamo assumere le responsabilità di uomini, di donne, di mogli, di mariti, di padri e di madri. Naturalmente, tutto nel rispetto della tolleranza e delle esigenze degli altri.
Tuttavia, nel contesto del rispetto e della tolleranza per le esigenze degli altri, non può essere ricondotta la pillola ormonale offerta dalla regione Toscana ai transessuali (è a carico del servizio sanitario locale), perché ciò va oltre.
Condivido appieno la mozione presentata dal mio gruppo, anche se penso che sarebbe stato più opportuno, come affermato giustamente dall'onorevole Zaccaria, presentare una proposta di legge per impedire che i colpevoli di reati di terrorismo e di violenza siedano sugli scranni più alti della rappresentanza popolare. In particolare, condivido quanto affermato dall'onorevole Olga D'Antona che, in un'intervista, peraltro annuncia il proposito diPag. 16presentare una proposta di legge per mettere un freno all'uso indiscriminato degli sconti di pena (è uno dei punti dolenti della questione di oggi). Tutti dovreste leggere quell'intervista!
Vorrei citare una frase dell'onorevole D'Antona: loro - dice la collega, riferendosi ai brigatisti rossi - negli esseri umani vedono solo simboli da abbattere. Le persone non le vedono e non vedono i loro sogni, le loro vite, gli affetti ed il dolore. Sono solo simboli da spazzare!
È una lucida analisi del terrorismo e del suo carico di dolore e sofferenza.
Non è più il tempo della pacatezza - dice ancora l'onorevole D'Antona -, ed ha ragione! Di lei non condivido tante posizioni, ma sono d'accordo quando afferma che vi deve essere un limite: mi riferisco al fatto che non si può ignorare la memoria delle vittime e, quindi, il fatto che il nostro è un paese fondato sulla democrazia e che vede nelle libere elezioni, negli elettori e nei loro rappresentanti la massima rappresentazione di questa democrazia. Pertanto, non possiamo accettare che il luogo della massima rappresentanza democratica del nostro paese possa essere offeso con l'attribuzione di cariche di estrema responsabilità e rilevanza a chi si è coperto di orrendi delitti.
Non sono una giustizialista forcaiola: non lo sono stata mai, né lo sono diventata oggi, perché credo nella forza della giustizia, nella certezza della pena, nel perdono e nella redenzione! Sono estremamente convinta che chi ha pagato il suo debito con la giustizia non deve essere marchiato a vita (non deve avere il marchio di Caino a vita, perché non sarebbe giusto), ma ciò non c'entra nulla con la carica di segretario di presidenza o di vicepresidente di Commissione.
Mi rivolgo, allora, ai colleghi dell'altra parte: vergognatevi - e non lo dico con tono polemico - di avere candidato a quelle cariche istituzionali, all'interno di questo Parlamento, queste persone! Si vergogni chi ha infarcito le proprie liste elettorali - tra l'altro sulla base di questa legge, sapendo che sarebbero stati automaticamente eletti - di rappresentanti dell'antagonismo militante.
In conclusione, vorrei lanciare un appello proprio a D'Elia e a Farina: credo che questa società e, con essa, la giustizia che la rappresenta (l'hanno così combattuta e sfidata, ma ne sono stati sconfitti), abbiano fatto, se così si può dire, il proprio dovere.
Allora, vorrei prendere in prestito le parole di un'altra vittima dei brigatisti, Sabina Rossa, oggi senatrice dei Democratici di sinistra, figlia di Guido Rossa, che fu assassinato dai brigatisti a Genova.
Sabina dice: D'Elia è un successo della democrazia, perché è la dimostrazione che, attraverso la pena, una persona può riabilitarsi. L'importante è che assuma un atteggiamento rispettoso, senza salire in cattedra.
Quindi, non salite in cattedra, per favore, e non assumete ruoli di massima rappresentanza nell'assemblea elettiva del popolo! Mostrate rispetto per una legge che ha dimostrato di averlo nei vostri confronti e fate un passo indietro.
Pertanto, al di là del fatto di condividere appieno la mozione presentata dal mio gruppo o di pensare che sarebbe giusto emanare una legge a tale riguardo, vi chiedo di avere almeno il buon gusto di fare un passo indietro!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nardi. Ne ha facoltà.

MASSIMO NARDI. Signor Presidente, il dibattito di oggi, ad avviso dei Democratici cristiani, tocca le nostre coscienze.
Siamo Democristiani, quindi, in qualche modo toccati nel passato dal terrorismo, pagato sulla nostra pelle, con uomini e donne che ne sono stati vittime. Nel contempo, siamo democristiani e, quindi, siamo soggetti che credono nell'ispirazione cristiana, di cui il primo caposaldo è il perdono.
Oggi, il problema non è stabilire se l'onorevole D'Elia sia stato o meno responsabile di atti di una barbarie incredibile, perché, semmai vi fossero stati dei dubbi,Pag. 17la documentazione fornitaci dall'onorevole Giovanardi li ha indubbiamente fugati.
Il problema è capire se un uomo che ha scontato la sua pena, seppure in minima parte, abbia il dovere-diritto di ritenersi al di sopra di tutti problemi che conseguono da quella pena.
Credo che, per quanto ci riguarda e per la logica con cui immaginiamo di dover fare politica, la risposta da un punto di vista giuridico non può che essere una: sicuramente è al di sopra delle logiche di denuncia di quella pena. Attenzione, però: essere al di sopra di queste denunce, aver espiato la pena, quindi aver diritto ad essere, in qualche modo, rispettato per quello che si è attualmente, non significa non vedersi imposti altri doveri come parlamentare. Sì, parlamentare della Repubblica, persona che in qualche modo rappresenta i suoi elettori, gli italiani, le istituzioni. Non sono d'accordo con quanto detto dall'onorevole Zaccaria prima di me: è diverso essere parlamentare eletto perché si è rappresentanti del proprio partito ed essere membro dell'Ufficio di presidenza, che significa, viceversa, essere rappresentanti di tutto il Parlamento. Ciò significa che il Parlamento, in qualche modo, ha deciso di legittimare, di dimenticare un fatto che nella memoria, nella storia di questo paese, ha creato e crea ancora oggi molte, molte difficoltà.
Quindi, qual è la logica che vorrei prospettare all'onorevole D'Elia? Egli, nella sua lettera, peraltro molto apprezzabile sia nella forma sia nel contenuto, rivendicava il ruolo ricoperto all'interno dell'associazione Nessuno tocchi Caino. È questa un'associazione degna della massima stima, a cui va riconosciuto un ruolo importante non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale. Quale era, qual è il principio di quell'associazione? Il rispetto della vita, il rispetto degli altri.
A questo punto, voglio richiamare un aspetto all'onorevole D'Elia; indubbiamente, egli sa che questa sua elezione ha scatenato nell'opinione pubblica, nelle emozioni della gente, una sorta di disappunto, una sorta di volontà di rimuovere questo fatto. La gente, per quanto capisca che una volte espiata la pena non vi è continuità del reato, reputa che ricoprire un incarico così importante nel Parlamento significa non ricordare che vi è stato qualcosa di drammatico in questo paese che molti non hanno dimenticato, tra cui i familiari delle vittime.
Quindi, se il rispetto della vita, il rispetto degli altri, è uno dei capisaldi ai quali si riferisce l'onorevole D'Elia, egli si renderà certo conto che questo fatto - con le emozioni che sta generando in Italia (nei bar, un po' dappertutto), anche nei confronti dei giovani facinorosi di cui, in qualche modo, purtroppo, abbiamo sempre e comunque una testimonianza - può diventare un elemento che mette in evidenza o riporta alla luce vecchi e nuovi rancori.
Egli si rende conto che questo ragionamento potrebbe essere il preludio di un dramma, di una reazione emotiva non giustificata e non giustificabile? Noi stessi non la giustificheremo, ma in ogni caso è certo che, parlando con gente di area ed estrazione diversa - non sicuramente con democratici cristiani -, ho potuto riflettere sul loro commento: «Com'è possibile che il Parlamento, l'organo principe della rappresentanza italiana, arrivi a far sì che una persona, la quale ha dichiarato all'interno del suo processo che non è diventata un assassino soltanto perché non se ne è presentata la casualità, diventi uno dei più alti responsabili del nostro Parlamento»? Capisco che per l'onorevole D'Elia tutto questo, forse, non viene letto nella logica che sto esplicitando, però credo egli sappia che al di fuori di quest'aula molta gente può vederla in questa maniera. Egli sa quanto può essere importante il nostro agire da parlamentari e i nostri comportamenti; bisogna fare in modo che il terrorismo, gli anni di piombo, siano dimenticati, che non vi sia più niente che in qualche modo solleciti le emozioni di questo o di quel soggetto a riproporli, che vi sia una volontà unanime per dire: «È passato, l'abbiamo dimenticato».
E, allora, non facciamo gesti che possano portare a conclusioni sbagliate!Pag. 18
Vorrei associarmi a quanto ha dichiarato l'onorevole Carlucci. Con il cuore in mano, onorevole D'Elia, le chiedo: perché non fare un passo indietro, al di là della mozione, al di là di una ipotetica legge in questo senso? Perché lei, che ha così rispetto della dignità e della vita umana, pensa di poter mantenere un comportamento che, in qualche modo, può rappresentare un rischio? Ne è consapevole? Credo ne sia consapevole.
Allora, onorevole D'Elia, a mio giudizio, nella sua lettera ha dimostrato una forte capacità di capire le cose, un forte desiderio di andare oltre i problemi del passato. La preghiera che le rivolgo è la seguente: si dimetta! Sarà il più bel gesto che potrà fare, per andare oltre la storia e per raccontarcene una nuova, una storia che insieme potremo vivere con il piacere di sapere che siamo tutti insieme un popolo, il popolo italiano, un popolo che sa, sì, perdonare, ma anche espiare le proprie responsabilità [Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, Beltrandi, al quale ricordo che ha due minuti il deputato a sua disposizione. Ne ha facoltà.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mozione, con parole dolci, intende far sì che nel nostro ordinamento siano introdotti alcuni limiti al godimento dei diritti civili e politici di coloro che sono stati condannati e che hanno scontato la loro pena, facendo venir meno il carattere rieducativo che, nel nostro ordinamento, si affianca al carattere afflittivo della pena.
Credo sia urgentissimo riflettere nel nostro paese sul senso della pena. E noi lo faremo anche con atti legislativi, ma credo che la risposta che dà questa mozione sia profondamente sbagliata e pericolosa non tanto, e non solo, per i D'Elia o per i Farina, ma per le prerogative di tutti i deputati e soprattutto per il detenuto ignoto, perché colpisce i diritti del detenuto ignoto e quindi, attraverso essi, i diritti e anche la sicurezza di tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, il deputato Turco, al quale ricordo che ha due minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, trovo le parole pronunciate in quest'aula dai colleghi Capezzone e Zaccaria nel merito di questa mozione molto pertinenti.
Ritengo non sia questo lo strumento. Gli strumenti delle prerogative parlamentari possono certamente essere modificati. E credo che, proprio nel nome dell'autonomia di questo Parlamento, non si possa chiedere al Governo di sostituirsi ai nostri doveri.
Ma il motivo per il quale ho chiesto la parola (e cercherò di contenere la mia indignazione) è il seguente: trovo davvero vergognoso e, a tratti, anche ripugnante l'uso abusivo del dolore altrui, soprattutto quello vero...

CARLO GIOVANARDI. Peggio chi l'ha provocato!

GABRIELLA CARLUCCI. Bravo!

MAURIZIO TURCO. ...quello irrimediabile ed impagabile dei parenti delle vittime...

CARLO GIOVANARDI. Ripugnante è chi l'ha provocato!

MAURIZIO TURCO. ...l'uso abusivo che in quest'aula ne fanno alcuni professionisti dell'ordine e della moralità pubblica...

GABRIELLA CARLUCCI. Leggi il sondaggio!

MAURIZIO TURCO. ...quelli che, in questi giorni, si sono autoproclamati rappresentanti esclusivi, difensori unici e pubbliciPag. 19del dolore privato. A ben vedere, sono diventati i soliti mercanti nel tempio, il tempio sacro, questa volta, del dolore, delle sofferenze inenarrabili e delle legittime istanze delle vittime.
Queste sono le ragioni per le quali non voteremo a favore della mozione in esame. Ciò anche perché penso, soprattutto, che vi sia stato un tentativo di strumentalizzare un dibattito che non si vuole svolgere. Mi riferisco al dibattito sulla strage di diritto e di legalità: quasi che tale strage di diritto e di legalità non fosse, poi, il preludio alla strage di vite umane; quasi che le vittime delle leggi incostituzionali...

PRESIDENTE. La prego di concludere...

MAURIZIO TURCO. ...dell'emergenza fossero vittime di un altro paese e di un altro dolore (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione presentata.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la giustizia Luigi Li Gotti.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Sta bene.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,35, è ripresa alle 18,15.



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