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1985 03 27 * La Repubblica * I rischi del Concordato * Stefano Rodotà

QUALI potranno essere gli effetti nella società italiana della nuova disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa? Questo è stato il vero tema della discussione alla Camera dei deputati su Concordato e annessi: una discussione che non si è limitata a riproporre i temi classici del laicismo e delle convenienze concordatarie, ma ha chiarito i mille risvolti, per qualcuno addirittura imprevisti, di una serie di norme che riguardano distribuzione di poteri, diritti individuali, benefici e impegni finanziari. Tanto per cominciare, è stata definitivamente cancellata la trovata propagandistica dell' autofinanziamento della Chiesa da parte dei cattolici, sbandierata come una delle novità più significative. Lo stesso governo ha dovuto riconoscere che la Chiesa si troverà a "distribuire risorse che vengono non da autofinanziamento, ma dall' erario dello Stato" (parole del sottosegretario Amato). Nulla, dunque, sembrerebbe mutato rispetto a ieri: una novità, invece, esiste, e non è di poco conto. Da molte parti è stato dimostrato, e le repliche del governo sono state assai deboli, che il nuovo meccanismo di finanziamento farà crescere in modo consistente l' ammontare delle erogazioni dello Stato alla Chiesa. Oggi tali erogazioni sono di circa 300-310 miliardi: secondo le stime più prudenti saliranno a circa 400 miliardi, secondo altre arriveranno addirittura a 700. Inoltre, la gestione di risorse così consistenti sarà affidata ad istituzioni ecclesiastiche di vertice, con effetti che vanno ben al di là della materia finanziaria. In questo modo, infatti, viene favorita una riorganizzazione centralistica degli apparati ecclesiastici, secondo linee che sono ben diverse da quelle segnate dal Concilio Vaticano Secondo. Si comprende, allora, la protesta e l' opposizione di quei cattolici, tanti, che vedono nel nuovo Concordato uno strumento offerto dallo Stato alla Chiesa perchè questa possa procedere verso un rinnovato centralismo ed autoritarismo. E, sempre sul terreno economico-finanziario, non si può certo considerare secondario il fatto che non sia stata risolta la questione dello Ior, a suo tempo posta con nettezza pure da un democristiano, l' onorevole Andreatta. Dopo dieci anni di trattative, e dopo scandali clamorosi, lo Stato italiano si accontenta di quello che sta scritto in una lettera del cardinal Casaroli, in cui ci si limita a manifestare la "disponibilità" della Santa Sede "ad esaminare con il governo italiano questioni riguardanti l' attività in Italia dell' Istituto per le opere di religione". Ho insistito su questi temi finanziari memore di un insegnamento di Ernesto Rossi che, quando si aveva a che fare con rapporti tra lo Stato e la Chiesa, invitava sempre a stare molto attenti al modo in cui ci si metteva d' accordo sulla "roba". Ma, abbandonato questo terreno, le preoccupazioni non sono certo destinate a diminuire. L' ALTRO grande argomento propagandistico, che aveva accompagnato la presentazione del nuovo Concordato, riguardava l' avvio del superamento del regime messo a punto nel 1929 e confermato dalla Costituzione del 1948. Si è detto che si cominciava ad uscire dalla gabbia concordataria, per entrare nel più libero regime delle "intese". Formalmente le cose stanno proprio così. Da oggi in poi, molte materie saranno regolate da accordi tra la nostra amministrazione e la Conferenza episcopale italiana (Cei). Si va dall' istruzione religiosa alla tutela del patrimonio storico ed artistico, a tutte quelle altre materie "per le quali si manifesti l' esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato". Poichè non ci si può sottrarre al fascino delle parole di moda, più d' uno ha parlato di Nderegulation. Ma, ammesso che di ciò veramente si tratti, sarebbe comunque una Nderegulation assai singolare, visto che potrebbe bastare un accordo tra burocrazie italiane e vaticane per sottrarre materie delicatissime alla competenza del Parlamento. Con questo meccanismo, inoltre, viene avviata una cogestione ecclesial-statalistica di aree fondamentali della società. Perfino tra coloro che hanno votato i nuovi testi, questo meccanismo ha fatto nascere qualche (tardiva) preoccupazione. E' stato, quindi, chiesto al governo di "sottoporre preventivamente al Parlamento ogni proposta o ipotesi di intesa concernente nuove materie o l' attuazione di principi sanciti dall' accordo concordatario, al fine di consentire alle Camere di esercitare in tempo utile i propri poteri di indirizzo". A questa richiesta, che assomiglia già ad una rassegnata dichiarazione di resa, il governo ha risposto in modo così sbrigativo che tutte le preoccupazioni finiscono con l' essere confermate. Viene alterata la distribuzione del potere di disciplinare materie importanti, e rimane affidata esclusivamente al governo la scelta sui casi e sui modi delle nuove intese (un altro slittamento di potere normativo verso il vertice, in forme sostanzialmente ben poco controllabili). IL rischio è grande, perchè l' area delle intese tra le burocrazie delle due parti è rimasta indeterminata, affidandosi alla loro discrezionalità la scelta delle "ulteriori materie" su cui intervenire. Quali possono essere queste nuove materie, non indicate dagli accordi? Facciamo parlare i documenti. Nella dichiarazione con cui la Cei recepiva il nuovo Concordato, si richiamavano "la promozione della vita e della famiglia, l' educazione sanitaria e i servizi socio-sanitari e assistenziali, la lotta contro le nuove forme di emarginazione, le iniziative per la gioventù, la qualificazione dei mezzi della comunicazione sociale, la promozione del volontariato interno ed internazionale, l' impegno per il Terzo mondo e per la pace, la valorizzazione del territorio e della sua cultura". Se queste sono le materie a cui la Cei guarda come il terreno per future intese, ben può dirsi che l' obiettivo è una regolamentazione "comune" che via via si estenda a tutte le manifestazioni e le forme della vita sociale. So bene che, quando si parla di intese, non basta la volontà di una parte sola. Ma il principio è stato stabilito, ed è questo che autorizza una delle parti ad avanzare le sue pretese a cogestire o co-governare l' intera società. In questa prospettiva, l' impegno "alla reciproca collaborazione per la promozione dell' uomo e il bene del Paese", contenuto nell' art. 1 del nuovo Concordato e già per sè discutibile, acquista un significato preoccupante. Si fa un passo fuori del vecchio schema concordatario, ma per avviare più insidiosi processi di controllo. Rischia così d' essere messa in pericolo proprio la laicizzazione conquistata dalla società in questi anni, che consiste nella libertà da imposizioni proprio nelle materie minuziosamente elencate dalla Cei. Aveva forse visto giusto Arturo Carlo Jemolo, quando invitava a limitarsi a lasciar cadere le "foglie secche" del vecchio Concordato, senza pretendere di regolare con nuovi patti il libero sviluppo dello Stato e della Chiesa, in un sistema in cui la garanzia di tutti è ormai affidata alle istituzioni della democrazia.