Cari amici del Partito Radicale, nella difficile azione che il Parlamento europeo sta conducendo per ottenere una riforma seria della Comunità europea, Marco Pannella si è impegnato in prima linea con chiarezza. Voglio pensare che il Partito radicale approvi questa azione del suo leader e si proponga di seguire il suo esempio. E' questa la ragione per cui ho accettato l'invito che mi aveva rivolto Negri e sono venuto qui anche se il tema non è nemmeno iscritto all'ordine del giorno del vostro congresso. Non starò qui a ripetervi le ragioni politiche, economiche, militari, culturali che militano a favore dell'Unione europea. Se ne parla tanto e da tanto tempo che suppongo che esse siano note a tutti voi. Permettetemi solo di aggiungere a queste ragioni una che è di gran peso ma normalmente è accuratamente ignorata: si dice spesso che se l'unificazione europea non dovesse riuscire - ed è evidente che ci sono grossi ostacoli e che talvolta si è quasi indotti a credere che non riuscirà - sarebbe inevitabile il ritorno ad un rinnovato nazionalismo; anzi, che questo nazionalismo già riemerge in tutti i paesi.
DUE SOLE ALTERNATIVE
Le tendenze alla boria nazionale, al protezionismo, alla xenofobia, al razzismo, e ad altre simili virtù generate dalla mitologia dello Stato nazionale sovrano si fanno sentire in vari Stati ed anche da noi. Ma questa rinascita nazionalistica non è in realtà che aria fritta, che molti uomini politici agitano nei loro discorsi perché mancano loro idee e criteri per giudicare la realtà nella quale stanno vivendo. Il fatto è che non c'è oggi più alcun grande problema concernente l'economia, la moneta, il collegamento sociale del nostro sviluppo con quello dei paesi poveri del mondo, la difesa, l'ecologia, lo sviluppo scientifico e tecnologico, l'universalità della cultura, non c'è, dico, grande problema che possa essere ancora affrontato seriamente con criteri e con strumenti nazionali. Perciò, malgrado le restaurazioni nazionali che sono state fatte dopo la guerra, al di là dei superficiali rigurgiti di sentimenti nazionalisti a cui assistiamo -e soprattutto di parole nazionaliste a cui assistiamo- noi vediamo che in Europa quasi tutti questi problemi sono già affrontati di fatto sui piani che superano quelli nazionali. Ci sono essenzialmente due metodi che sono contemporaneamente in opera; c'è il tentativo che fa perno intorno alla Comunità e a tutti i suoi successi ed insuccessi, e c'è il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli europei. E c'è contemporaneamente il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli americani. E vorrei che non ci sdegnassimo inutilmente, e in fondo non seriamente, di questa seconda alternativa. L'unità imperiale sotto l'egida americana è certo anche assai umiliante per i nostri popoli ma è superiore al nazionalismo perché contiene una risposta ai problemi delle democrazie europee, mentre il ritorno al culto delle sovranità nazionali non è una risposta. L'unità fatta dagli europei è in realtà la sola, vera alternativa all'unità imperiale. Il resto è schiuma della storia, non è storia. Le due forme stanno procedendo insieme e noi le vediamo sotto i nostri occhi; e guardate, non si può abolire l'una nella misura in cui si sviluppa l'altra. Perché l'una corroderà alla lunga l'altra; ma è attraverso queste due che l'Europa va muovendosi. Sta di fatto che nella misura in cui non si sviluppa o regredisce una di queste forme, si sviluppa l'altra.
EUREKA DICEVATE ?
Vi dò solo due esempi. Gli europei hanno tentato, ad un certo momento, di darsi un esercito comune. Non ci sono riusciti; ebbene, noi abbiamo una serie di eserciti apparentemente nazionali inquadrati sotto il comando americano e nel sistema imperiale americano. E la responsabilità fondamentale della difesa dell'Europa ce l'hanno oggi gli americani. Noi formiamo truppe di ausiliari. In questi giorni si discute dappertutto che l'Europa deve fare un grande sforzo per le tecnologie avanzate: è stata trovata subito una bella parola greca “eureka”, ma non hanno trovato niente. Perché quello che ci hanno proposto è semplicemente che vari Stati si mettano d'accordo per vedere quali di questi Stati è d'accordo con qualche altro per questo o quel programma e, appena hanno stabilito il programma, ciascuno inizia a tirarsi indietro, a voler mettere il meno possibile. E' un'esperienza che abbiamo fatto per una trentina d'anni e non è stato possibile sviluppare la politica della ricerca e dello sviluppo scientifico europeo. Oggi la si ripropone come l'aver trovato qualcosa di nuovo che ci metterà alla pari con gli americani e con i giapponesi. Contemporaneamente gli americani che sviluppano la loro politica di ricerca e sviluppo fanno una cosa molto semplice. Offrono a tutte le società, le ditte e i centri di ricerca la possibilità di fare dei contratti con loro per ricerche. Quale sarà il centro di ricerca, quale sarà l'impresa che dirà di no, quando ci sono proposte di questo genere? Cioè, il fatto di non avere affrontato in modo serio il che cosa bisogna fare per avere veramente una politica di ricerca e sviluppo scientifico fa sì che noi diveniamo sempre di più satelliti americani. Ora, ad entrambe queste forme di superamento della nazione noi vediamo che c'è una resistenza nazionale. Contro tutte e due. Ma in un certo senso essa è più loquace quando deve fare polemica con gli americani; in realtà essa è assai più forte quando agisce contro la prospettiva europea che quando agisce contro la prospettiva imperiale. In questo secondo caso, dopo le irritate esclamazioni, si accetta molto più facilmente quello che il fratello maggiore vuole. E perché è più forte contro la prospettiva europea? Perché la prospettiva imperiale ha il suo centro di potere che già esiste, che è forte, che può più facilmente dare soddisfazione alle vanità nazionali dei vassalli complimentandoli, facendo omaggio alla loro bandiera, ai loro capi, offrendo piccoli privilegi, tollerando anche modesti sgarbi. Il centro del potere europeo, invece, deve essere costituito, ed è inizialmente ancora debole, e può essere sviluppato solo a patto che i paesi si uniscano, s'impegnino formalmente, chiaramente, a trasferire questo o quel pezzo di sovranità nazionale al centro europeo.
IL VERO OSTACOLO
Noi vediamo come è forte la tentazione, nei nostri governi, a riprendere con una mano quello che hanno dovuto ridare con l'altra. Chi abbia occhi per vedere, ed orecchie per sentire, si accorge che noi oggi stiamo assistendo, come vi ho detto, e partecipando allo sforzo parallelo di rafforzare l'Unione europea fatta dagli europei e l'Unione europea fatta dagli americani. Direi che in questo sta il nostro grande vantaggio rispetto al sistema imperiale stabilito nell'Europa orientale: il nostro impero è, almeno in Europa, un impero liberale, che perciò permette che lo si critichi, che si cerchino alternative. Non sappiamo per quanto tempo potrà rimanere con queste caratteristiche. Ed è sicuro perciò che bisogna battersi seriamente per una costruzione europea. Suppongo che voi siate senz'altro per un'Europa fatta per gli europei e dagli europei; e vorrei che ci chiedessimo dove sta l'ostacolo maggiore. Facciamo attenzione, perché è un ostacolo un po' diverso da quelli che si incontrano di solito nella vita politica. Praticamente non è nel mondo economico; il mondo economico è aperto, in momenti più difficili è un po' più timoroso, in momenti di sviluppo più coraggioso; ma il mondo economico, in genere, è aperto. Non è nel mondo culturale. Non è nel mondo politico. Non c'è nella coscienza media dei cittadini una grossa resistenza ed infatti tutti i sondaggi che periodicamente si fanno in Europa -ad eccezione della Danimarca che si chiude in sé stessa- dimostrano che in tutti i Paesi, anche in quelli che si dice siano i più reticenti, la maggioranza è favorevole alla costruzione europea. L'ostacolo, il vero ostacolo sono le grandi amministrazioni nazionali, che gestiscono buona parte del potere anche politico, che sono fatte per gestire politiche nazionali, ed in particolare le diplomazie che sono fatte per determinare se e in che misura occorre cooperare con altri Stati, mantenendo però la gestione delle politiche in mano ad esse stesse. Le amministrazioni riescono ad essere dominate dalla direzione politica se questa ha grandi e forti visioni di quel che si deve fare, delle riforme da introdurre e via dicendo. Ma se le ideologie si riducono a come sono ridotte oggi, a poco più che slogan per i piccoli militanti così necessari ai grandi partiti per le grandi occasioni elettorali, se prevale il desiderio di andare al potere per gestirlo così come è -sia pure dichiarando che si vogliono fare altre cose fino al momento in cui si arriva al governo- quando si arriva al governo si gestisce quel potere. Allora il peso culturale e pratico delle amministrazioni pubbliche è enorme ed è quasi insormontabile ed ha per sua natura un'influenza immobilizzante e conservatrice. E vi dò l'esempio della crisi istituzionale europea; della Comunità nel suo momento attuale. Il Parlamento europeo rendendosi conto come tutti che non è possibile sviluppare l'Europa con queste fragili e deboli istituzioni che sono state fatte trent'anni fa per un'Europa di sei paesi -adesso sono dodici-, per problemi economici abbastanza semplici -ed oggi sono molto più complessi-, ha presentato un suo progetto che ha elaborato ed ha dimostrato che europei, che corrispondono in fondo alla coscienza media dei nostri paesi nelle più varie famiglie politiche, sono capaci di pensare insieme un progetto che è un progetto valido. Fatto questo i governi, cominciando da Mitterrand, hanno dichiarato che la cosa gli interessava. Ed hanno immediatamente messo la cosa in mano ad un comitato di loro esperti, i quali hanno fatto un rapporto un po' riduttivo, dopodiché sono arrivati al Consiglio di Milano e lì hanno deciso di fare una conferenza. In questa conferenza diplomatica il Parlamento ha chiesto di voler esaminare, poiché esso ha fatto il progetto, che cosa la conferenza fa e di non arrivare a firmare il progetto fino a quando ci sia un accordo fra la conferenza ed il Parlamento. La conferenza in questi quasi sei mesi non riesce a fare un passo avanti in niente. In un solo punto si sono trovati d'accordo; nel rispondere al Parlamento no. “Noi vi informeremo ma voi non avete più niente da dire in questa faccenda”. Cioè l'organo che rappresenta i cittadini europei, che ha mostrato di essere capace di dare la formula costruttiva, non deve aver nulla da dire. Tutti questi funzionari (poiché sono i funzionari: i ministri non vanno o assistono alla prima mezz'ora della riunione e poi se ne vanno via) sono stati fatti non per fare l'Europa ma per mantenere il più possibile le loro strutture nazionali. Sono l'elemento della continuità con il passato, non della costruzione del futuro.
IL PARLAMENTO EUROPEO
Il Parlamento può dare la censura alla commissione, può farla dimettere, può o respingere il bilancio o dare un bilancio diverso da quello che dà il Consiglio. Soprattutto il Parlamento europeo, e la Corte europea l'ha confermato chiaramente in una sua sentenza, deve dare degli avvisi di cui, stranamente, il Consiglio non è obbligato a tener conto. Il Parlamento europeo dovrebbe avere il coraggio di fare lo sciopero dei suoi pareri e creare una situazione di crisi per scoprire la cattiva coscienza nei vari partiti, nei vari governi, perché, infine, tutti quanti hanno paura se l'Europa dovesse veramente morire. Io ho detto varie volte che questo potere del Parlamento corrisponde un po' al potere dei tribuni della plebe a Roma, i quali non avevano veramente alcun potere di governo, nessun potere di fare leggi né di governare, però avevano quella “potestas tribunica” con cui potevano paralizzare tutto, fermare tutto. In questa maniera sono riusciti a trasformare la “cosa nostra” dei patrizi in cosa pubblica del popolo romano. Il Parlamento europeo può fare questa battaglia. Però il Parlamento europeo è composto da gente che ha insieme la fierezza di sentirsi rappresentanti dei cittadini e la paura del sentirsi isolati perché i partiti che li hanno fatti eleggere magari si occupano di altre cose; perché non sanno cosa ci sta dietro. Occorre che questi deputati sentano sul collo il fiato dei cittadini, i quali vogliono che si comportino in una certa maniera.
ALMENO TRE PAESI
Perciò c'è, in questo momento, la possibilità di un'azione che può avere un effetto. In fondo voi avete già fatto l'esperienza al tempo del divorzio dove c'era nel Parlamento una maggioranza divorzista. Ma se non ci foste stati voi con la vostra azione quella maggioranza non si sarebbe mai costituita perché avrebbe trovato altre dieci priorità prima di occuparsi del problema del divorzio. Ora la stessa cosa esiste oggi. In fondo voi dovete sapere mantenere su scala europea un'azione simile a quella che ha messo insieme paura e coraggio ai deputati europei e perciò indirettamente anche paura e coraggio in questa materia ai partiti europeisti, ma tutti più o meno addormentati. Questa azione non si deve fare solo in Italia; direi che in Italia è relativamente facile e nel seno del Parlamento europeo c'è la maggioranza o la quasi totalità che è d'accordo. Bisogna che la sappiate impiantare. Vi dovete fare missionari, nel senso di andare a fare quest'azione negli altri paesi e soprattutto io direi dando una priorità a tre paesi oggi: la Francia, la Germania, e la Spagna. Bene, io credo che troverete anche altri, altre forze, che so il Movimento federalista; con cui farete delle alleanze, ma è un'iniziativa per fare congiuntamente questa pressione con petizioni, con firme, con agitazioni. Trovatele tutte le maniere, con minacce che farete pesare alle prossime elezioni, e via dicendo. Io penso che se voi mettete un po' dello sforzo che avete saputo mettere in varie battaglie nazionali in questa battaglia europea, potete avere un risultato perché la situazione è oggi aperta in questo senso. Vorrei concludere dicendo che l'azione per la federazione europea è un'azione cui partecipano forze di tutte le famiglie politiche europee, ma è radicata culturalmente, è impiantata culturalmente, nel modo di pensare radicale. E non è un caso che quello che forse è il più importante dei vostri maestri, cioè Ernesto Rossi, sia stato anche uno dei fondatori del Movimento federalista europeo. Sappiate dunque assumere questa azione portando in essa il vostro fervore ad anche il vostro grano di follia.