"Affluenze quasi raddoppiate", si conteggia da mesi all'ombra di San Pietro. Ora, cominciano ad accorgersene anche le casse vaticane. Non c'è scandalo-pedofili che tenga. Nessuna ingerenza politica che si paghi. Nessuna gaffe nei rapporti con le altre religioni che si sconti. La realtà è che Benedetto XVI guida una chiesa che finanziariamente scoppia di salute. E dove lo stesso obolo di San Pietro è poco più di una goccia in un mare di soldi gestito con oculatezza, riservatezza e prudentissima divisione in compartimenti stagni.
"Noi non rischiamo: in materia economica siamo tradizionalisti", ama dire il cardinale Sergio Sebastiani quando qualcuno, banchiere o giornalista che sia, prova a contestargli un eccessivo amore per i titoli di Stato rispetto alle azioni. Sebastiani, marchigiano di Montemonaco, guida da 10 anni la Prefettura degli affari economici della Santa Sede e risponde direttamente al nuovo segretario di Stato, l'ex arcivescovo di Genova Tarcisio Bertone. La prefettura controlla formalmente i conti della Città del Vaticano e presenta ogni anno una sorta di bilancio consolidato della Santa Sede, ma sbaglierebbe di grosso chi sognasse di trovarvi dentro un quadro complessivo delle finanze petrine. In realtà, i bilanci del Vaticano sono sfalsati su diversi livelli, tra Santa Sede, Ior e Governatorato. La Santa Sede è il vertice organizzativo della Chiesa, con i suoi servizi destinati a tutte le diocesi e agli istituti religiosi, e per le questioni finanziarie si serve dell'Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica). Il Governatorato gestisce invece l'entità territoriale dello Stato della Città del Vaticano, mentre lo Ior è un istituto bancario che ha sede in Vaticano, ma risponde direttamente al papa. Insomma, i bilanci del Governatorato e dello Ior non entrano in quelli della Santa Sede, esattamente come quelli delle varie conferenze episcopali o degli ordini religiosi. Un sistema intricato come pochi, ma che ha l'indubbio vantaggio di consentire alla Chiesa cattolica di scegliere quando avvalersi della sovranità di uno Stato che non deve rispondere alle leggi di altre nazioni (il Vaticano), quando giocare fino in fondo tutto il proprio ruolo religioso e morale (la Santa Sede), quando risolvere problemi organizzativi interni (Apsa) e quando investire sui mercati internazionali nella massima discrezione (Ior).
Il momento di massima 'glasnost' finanziaria del Vaticano cade di solito tra la fine di giugno e i primi di luglio, quando il cardinal Sebastiani illustra alla stampa di tutto il mondo il bilancio consultivo consolidato della Santa Sede. Quello del 2006, svelato il 6 luglio scorso, registra 227,8 milioni di entrate, contro 225,4 di uscite. L'utile finale di 2,4 milioni di euro è in netta contrazione rispetto ai 9,7 del 2005, ma non è questo il dato fondamentale, visto che non è compito della Santa Sede fare il pieno di profitti. Ben più interessante, per capire le dinamiche interne, è andare a vedere le singole voci. Ad esempio, nel 2006 la massa delle contribuzioni arrivate da Conferenze episcopali, diocesi, istituti religiosi, fedeli ed enti vari è salita dell'16,3 per cento a 86 milioni di euro.
Lo si potrebbe definire un discretissimo quanto plebisicito interno per la gestione di Benedetto XVI. Stati Uniti, Germania e Italia sono sempre le tre conferenze episcopali che contribuiscono di più, ma quest'anno la nazione di papa Ratzinger ha scavalcato gli Stati Uniti. Mentre se si va a guardare le offerte libere, i cattolici statunitensi sono sempre i primi della lista e questo fa a dire a Sebastiani che "il calo delle offerte del quale parlavano i giornali americani in relazione allo scandalo dei preti pedofili, per quanto riguarda la Santa Sede non è avvenuto".
Visto dal Vaticano, semmai, il problema degli Stati Uniti è il dollaro debole. Con le fluttuazioni del cambio, si calcola che l'Apsa abbia perso sette milioni di euro sulla divisa americana, dove pure c'è scritto 'In God we trust' (una fiducia evidentemente non ricambiata). E dire che tra i consulenti ufficiali dell'Apsa figurano bei nomi della finanza internazionale come il banchiere americano Robert McCann (Merril Lynch), l'irlandese Peter Sutherland (Goldman Sachs), il francese Antoine Chappuis e l'italiano Carlo Gilardi (ex amministratore delegato di Benetton).
Gli affari sono andati molto meglio nel settore immobiliare, dove l'Apsa ha un saldo netto di 32,3 milioni su 59,3 milioni di ricavi complessivi. C'è stata qualche vendita, ma si tratta in grandissima parte di affitti riscossi da un patrimonio immobiliare su cui circola ogni genere di leggenda. Una delle poche stime affidabili (totalmente ufficiosa), parla di immobili per un valore di almeno 450 milioni di euro, ma deve fare i conti con valori a volte meramente catastali e quindi ben al di sotto di quelli del mercato vero.
All'interno dell'Apsa, gioca un ruolo di notevole rilievo economico anche la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli (in pratica, le missioni), dotata a sua volta di un patrimonio immobiliare sterminato e affidata da un anno al cardinale indiano Ivan Dias. In definitiva, si può dire che i proventi dell'attività immobiliare sono andati sostanzialmente a coprire le perdite di Radio Vaticana (23,8 milioni nel 2006) e dell''Osservatore Romano' (4,4 milioni): due mezzi di comunicazione strutturalmente in rosso, ma sulla cui necessità nessuno, in Vaticano, osa dubitare.
Se questa è la fotografia istantanea che emerge dal bilancio dell'Apsa, bisogna però ricordarsi che questa documento non consolida né il bilancio del Governatorato, né quello dello Ior. Del primo, affidato al novarese monsignor Giovanni Lajolo, si sa che ha chiuso il 2006 con un utile di quasi 22 milioni di euro realizzati grazie a qualche risparmio sul personale (circa 1.500 dipendenti) e soprattutto grazie al boom dei Musei Vaticani. Dello Ior, invece, si sa sempre di meno. Dopo il suo coinvolgimento nello scandalo del Banco Ambrosiano, (il Vaticano non riconobbe alcuna colpa, ma fece una donazione 'spontanea' di 241 milioni di dollari ai creditori), la banca guidata da Angelo Caloia si è ulteriormente inabissata. Opera sostanzialmente come un fondo d'investimento chiuso.
Si sa che paga buoni rendimenti. Pare che abbia un patrimonio che sfiora i 6 miliardi di dollari e che anche quest'anno abbia staccato un assegno di qualche decina di milioni di euro, consegnato direttamente al papa dallo stesso Caloia. Che cosa fa il papa di tutti questi soldi? È ragionevole pensare che si uniscano a quelli dell'Obolo di San Pietro. Ovvero, che vadano a finanziare non solo la sua missione apostolica in giro per il mondo, ma soprattutto il sostegno personale che il pontefice dà alle diocesi più povere del pianeta.
Anche capire chi ha davvero in mano i cordoni della 'borsa di Pietro' non è impresa facile per i comuni mortali. Dato per scontato il ruolo istituzionale del cardinal Bertone, che come segretario di Stato ha la massima responsabilità di governo della macchina vaticana, appare in calo il peso della Prefettura per gli affari economici. Nonostante il cardinal Sebastiani si sia circondato di consulenti anche prestigiosi, come il riservatissimo banchiere romano Giampietro Nattino o l'ex manager Iri Maurizio Prato, la prefettura ha un ruolo sempre più notarile e in futuro potrebbe anche scomparire.
In netta ascesa, invece, il ruolo del cardinal Nicora, che oltre a guidare l'Apsa è l'uomo forte della commissione cardinalizia incaricata di vigilare sullo Ior. Nei giorni scorsi, Nicora è stato raggiunto all'Apsa con funzioni di segretario generale da un suo ex compagno di seminario: il ligure Domenico Calcagno, vescovo di Savona e storico economo della Cei. Così con Bertone, Calcagno e il genovese Bagnasco (presidente della Cei), si può dire che il papa tedesco abbia affidato ruoli strategici a un trio di prelati liguri. Mentre sembra passato un secolo dai tempi in cui don Stanislao, segretario personale di papa Wojtyla, e il cardinal Crescenzio Sepe, ex prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione, venivano considerati i corsari della finanza vaticana.