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2008 03 01 * la Repubblica * Spalloni, derivati e traslochi fantasma così dall'Italia sono spariti 500 miliardi * Ettore Livini

I conti tricolori nei paradisi fiscali sono pari al 40% del debito pubblico.
I trucchi delle banche per esportare capitali

Le grandi banche si organizzano con un discreto "porta a porta" per cercare clienti

"Nessuna spy story nei nostri salotti devono solo darci i liquidi, al resto pensiamo noi"

MILANO - Il tesoretto italiano nei forzieri dei paradisi fiscali ammonta secondo le stime più attendibili a circa 500 miliardi di euro. Una cifra pari al 40% del debito pubblico nazionale, più del doppio del Pil svizzero, il quadruplo di quello di Hong Kong. Ma come ha fatto questo fiume di denaro a fuggire dal Belpaese? Il silenzio, in questo mondo, è più che mai d'oro. Ma grazie a tre diversi incontri con altrettanti banchieri attivi nel campo – coperti da un rigoroso anonimato – abbiamo provato a ricostruire le mille strade e i tanti rivoli di questo immenso (e ininterrotto) esodo di capitali.

Contatto ed espatrio. Chi si muove per primo importa poco. Spesso è il cliente. Ma ormai le grandi banche internazionali fanno anche da sé, con un porta a porta discreto mirato sulle categorie più "sensibili": imprenditori, commercianti e liberi professionisti in prima fila. La legge, in teoria, è chiara. Chi porta all'estero più di 12.500 euro deve segnalare nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi tutti i suoi beni oltrefrontiera. Ma è tutt'altro che un ostacolo insormontabile. «Quando un cliente arriva nei nostri salotti – spiega una delle tre fonti – è convinto di imbarcarsi in una sorta di spy-story ad alto tasso di rischio e di brividi». L'iter al contrario è asettico, quasi banale. «Lui deve solo metterci a disposizione la liquidità da trasferire – racconta il banchiere – al resto pensiamo noi».

L'organizzazione è oliata a puntino da una pratica lunga quattro decenni. E viaggia su tanti percorsi paralleli. Se il denaro è "pulito" e deve solo espatriare senza dare nell'occhio il lavoro è semplice. Basta spostarlo sotto mentite spoglie. Chi dispone di società all'estero, ad esempio, realizza un acquisto fittizio oltrefrontiera, oppure ne sovradimensiona uno reale. A chi è meno organizzato pensa la banca: «Si aprono operazioni finanziarie, derivati o equity swap, che generano una forte perdita in Italia e un guadagno offshore». Il segno più e quello meno però fanno capo alla stessa persona. Che sposta così i suoi sudati risparmi fuori dal radar dell'erario.

Se il denaro è frutto di "nero" (e quindi non depositabile in un conto italiano per non squadernarlo sotto il naso del fisco) c'è un problema più serio: va trasportato oltrefrontiera. Come? Come si faceva una volta. Con gli spalloni. «L'unica differenza è che i soldi non passano più il confine sui sentieri di montagna, nelle bricolle dei contrabbandieri, ma in classiche valigette a bordo di macchine o camion». Guidati da "padroncini" «che nel giro conosciamo tutti».

Il prezzo di queste operazioni è sempre più abbordabile. «Una volta si pagava una commissione, la tariffa dell'intermediario o dello spallone, quello che rischia di più curando il passaggio del confine». Ma oggi siamo in clima di saldi. «Il trasporto, fisico o meno, lo offriamo noi – spiegano gli esperti –. Paghiamo volentieri pur di conquistare la gestione di questi soldi...».

Destinazioni e vantaggi. La Svizzera resta il paese più appetito dagli esportatori di capitali tricolori. Nel caso dello scudo fiscale – quello che ha rimpatriato quasi 80 miliardi dai paradisi fiscali nel 2001-2003 – più del 40% di questo gruzzolo è arrivato dalla Confederazione mentre solo l'1%, per dare un'idea, è riapparso dal Liechtenstein. «I motivi sono chiari – concordano i banchieri –. Il primo è geografico. La Svizzera è dietro l'angolo. Poi c'è l'appeal del segreto bancario». Nel senso che a Berna e dintorni i soldi perdono l'identità. «La banca conosce il nome del titolare dei conti – spiegano –. Chiediamo i dati anagrafici perchè aderiamo alle normative Gafi antiriciclaggio. Ma poi li teniamo rigorosamente per noi». Certo, esistono le rogatorie internazionali per alcuni reati, come si è visto da Tangentopoli ai furbetti. Ma per problemi di evasione fiscale (in Svizzera come in tutti i paradisi) le autorità non "dialogano" con stati esteri. «Capirà, è uno dei segreti del nostro successo...».

E chi vuole proprio sparire del tutto? «Allora consigliamo Singapore o Panama, dove i conti sono cifrati al 100%». In queste oasi offshore si può arrivare direttamente. Ma molti transitano prima a Berna con una triangolazione che cancella il fastidioso cruccio dell'euroritenuta, quella tassazione al 15% degli interessi obbligazionari (ma solo quelli...) accettata da Berna, Montecarlo, Lussemburgo e Liechtenstein in cambio dell'ok Ue al segreto bancario. «Nei paradisi più esotici l'unica traccia è il recapito dell'interlocutore, spesso un anonimo indirizzo "civetta" sul taccuino dell'intermediario».

Il cambio di residenza. Se non si vuole esportare il capitale, l'altra soluzione per schermare patrimoni è quella di esportare il contribuente. Cambiando residenza. L'hanno fatto, senza troppa fortuna, Valentino Rossi, Ornella Muti e Giancarlo Fisichella. Colti dal fisco con le mani nel sacco. Ma oltre a loro, con risultati per ora migliori, l'hanno fatto migliaia di altri italiani. Trasferendosi soprattutto in Svizzera (dove i Paperoni forfettizzano ad personam le tasse con i Cantoni) o a Montecarlo, dove i redditi di persone fisiche sono esentasse. La pratica, spiega un nostro interlocutore, è semplice. «Si va in Comune e ci si cancella dall'anagrafe della popolazione residente per trasferirsi quella degli italiani residenti all'estero». Poi si va al nuovo domicilio (spesso è richiesto in loco l'acquisto di un'abitazione) e si comunica in ambasciata con il nuovo contratto.

I rischi? Se si risiede davvero in loco, non c'è problema. Se, come accade spesso, si vive in realtà in Italia, le cose si complicano. L'agenzia delle Entrate, in questo campo, ha più margini di manovra. Con i paesi più aperti allo scambio di informazioni – come la Gran Bretagna nel caso di Rossi – parte l'accertamento con l'onere a carico del fisco di dimostrare la residenza reale del contribuente. Per Svizzera, Montecarlo e le nazioni nella "black list" fiscale (tutti i paesi offshore) l'onere si ribalta. Le Finanze avviano l'accertamento e poi tocca all'espatriato provare di risiedere davvero oltrefrontiera. Un indirizzo non basta. Bisogna dimostrare che lì vivono i familiari, vanno a scuola i figli, lì si va dal barbiere e si butta ogni giorno la pattumiera. Altrimenti, com'è successo a tanti – da Tomba alla Loren fino a Pavarotti – il braccio di ferro (ogni tanto accade persino questo) lo vince il fisco.