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2008 04 28 * La Stampa * Le leggende nere dell'Opus Dei * Giacomo Galeazzi

1 - LE LEGGENDE NERE DELL’OPUS DEI

Dal caso Calvi al «vis-à-vis» ottenuto per Indro Montanelli con Giovanni Paolo II, dal cilicio alla conversione di Leonardo Mondadori, dall’incontro con Berlusconi e Dell’Utri alle accuse di collaborazionismo franchista. Da quarant’anni è il portavoce dell’Opus Dei, l’istituzione della Chiesa più grande e chiacchierata del mondo. Ora Giuseppe Corigliano, numerario che vive il celibato per motivi apostolici, sta scrivendo le sue memorie e anticipa in quest’intervista alla «Stampa» ricordi e retroscena di quattro decenni trascorsi a combattere le leggende nere che hanno ispirato il «Codice Da Vinci» e le voci ricorrenti sulla potenza economica e politica dell’Opera fondata da Sant’Escrivà, sui suoi metodi di reclutamento, sulla sua influenza occulta.

Ha mai usato il cilicio?

«Sì. Se i cristiani normali fossero buoni cristiani non ci sarebbe bisogno dell’Opus Dei. Il desiderio di mortificazione, inconcepibile per la mentalità mondana, è una via per amare meglio. A vent’anni a Napoli ricevetti dal direttore della residenza dell’Opera la catenella da avvolgere attorno alla gamba, mi spiegò che le punte metalliche dovevano andare verso l’interno raccomandandomi di non usarla più di due ore. Mettevo il cilicio quando studiavo ingegneria: stringeva un po’ la gamba e io l’offrivo a Dio come segno d’amore».

L’Opus Dei ha appoggiato in Spagna la dittatura di Franco?

«Franco aveva assegnato i dicasteri economici a professori universitari, alcuni dei quali erano dell’Opus Dei (López Rodó, López Bravo e Ullastres). Ciò bastò a bollare l’Opus Dei come collaborazionista del regime, mentre c’erano nell’Opera molti antifranchisti in esilio e Franco aveva fatto saltare in aria la sede del quotidiano d’opposizione “Madrid”, edito e diretto da membri dell’Opus. Il cardinale Julian Herranz, allora giovane dell’Opera, fu incarcerato ai tempi di Franco e non esiste una sola dichiarazione pro-regime di Escrivá. L’Opus Dei si occupa di anime non di politica».

Com’è nato il feeling tra l’Opus Dei e il «gran laico» Montanelli?

«Nell’estate del ‘75, Indro venne nella nostra residenza universitaria a Milano ed ebbe un incontro divertentissimo con gli studenti. La conoscenza diventò amicizia durante la visita alla nostra università di Pamplona nel ‘77 e scrisse di aver capito lì “che al mondo ci si viene non per passarvi soltanto, ma per farvi qualcosa. Piccola o grande, non importa. Ma qualcosa. No, non sarà un santo, padre Escrivá, ma il miracolo l’ha fatto”. Appena tornato dalla Spagna gli spararono alle gambe. Gli piacevano i racconti delle parabole evangeliche. “Ma voi siete eretici!”, sbottò nell’ateneo. Secondo lui solo i protestanti potevano creare realtà professionalmente ben fatte. Tanto che scrisse al Papa una lettera postulatoria per la causa di canonizzazione di Escrivà. Promisi di portarlo da Giovanni Paolo II».

Ci riuscì?

«L’impresa si rivelò più difficile del previsto. Indro si era trovato in passato su posizioni contrarie a quelle del magistero ecclesiastico. Un certo pregiudizio nei suoi confronti c’era. Andai dal portavoce papale Navarro e gli chiesi di fare da tramite per un colloquio personale con Karol Wojtyla. Avevo raccontato a Navarro della recente scomparsa della devota mamma di Indro. Dopo cena il Papa propose a Indro di passare in cappella dove avrebbe recitato un Padre Nostro per la sua mamma. Indro, con gli occhi lucenti, partecipò a suo modo alla preghiera. La conversazione a cena era stata brillante e Montanelli la descrisse in un articolo che sottopose a Navarro per approvazione. La risposta fu che il Santo Padre autorizzava la pubblicazione ma dopo la propria morte. Indro mise l’articolo in un cassetto e disse: “Va bene, lo pubblicheremo dopo la morte del Papa”. “Ma Indro tu quanto pensi di campare?” gli rispondemmo. In effetti aveva 11 anni più del Papa».

E l’incontro con Berlusconi?

«Un suo collega d’università, Bruno Padula, gli aveva fatto conoscere l’Opera e Silvio era rimasto con l’idea che il nostro era un ambiente serio. Quando si trovò nella necessità di vendere gli ultimi appartamenti di Milano 2 ci chiese di gestire la tv a circuito chiuso che aveva creato per il quartiere. L’Opus Dei non gestisce tv e non se ne fece niente, ma ebbi l’occasione di visitare Milano 2 guidato da lui. Mi resi conto della sua capacità di seguire i più piccoli particolari tecnici e di indovinare i sogni della gente. Milano 2 aveva prati per i bambini senza pericolo di macchine, che passavano in strade sotterranee, nel giardino si alzava un piccolo castelletto in legno per giocare. Nel grande centro sportivo la piscina era visibile dal bar attraverso una vetrata subacquea in stile hollywoodiano. Quel personaggio che amava gli scherzi e le battute sapeva tradurre in opere la sua fervida immaginazione».

Marcello Dell’Utri fa parte dell’Opus Dei?

«Negli anni ‘90 riallacciai con Marcello un’amicizia di antica data. Quando avevamo vent’anni ci eravamo trovati in un corso di formazione per giovani dell’Opera. Lui si era avvicinato all’Opus Dei non da molto e si impegnò poi nella creazione del gruppo sportivo del Centro Elis. Dopo alcuni mesi si allontanò dall’Opera, non so per quali motivi, ma mantenne sempre un rapporto di cordialità e stima. Ultimamente l’ho invitato a tornare al Centro Elis che lo aveva visto in pantaloncini corti. L’occasione è stata la lettura di lettere di Tomasi di Lampedusa. Marcello lesse di persona ad alta voce le lettere ai ragazzi della residenza dell’Elis con un impegno sorprendente.

Quanto ha inciso il caso Calvi?

«Dopo l’omicidio del banchiere, spuntò il nome dell’Opus Dei. Qualcuno dei loschi personaggi che circondavano Calvi negli ultimi tempi avrà millantato credito nei confronti dell’Opera. Facemmo tutte le indagini possibili e non venne fuori nessun contatto di Calvi con l’Opera, strumentalizzata per depistare e coprire i colpevoli».

Com’è nata la clamorosa conversione di Leonardo Mondadori?

«Accompagnammo insieme Cossiga a ricevere la laurea dell’università di Navarra. Poi Leonardo organizzò dei ritiri spirituali a casa sua. Il primo fu a Cortina e venne anche Navarro. Lo zelo di Leonardo per la fede scoperta mi sorprendeva in continuazione».

2 - UN INGEGNERE AL SERVIZIO DI DIO

L’ingegner Giuseppe Corigliano nasce a Napoli nel ‘42 dove si laurea in ingegneria elettrotecnica. Conosce l’Opus Dei e il suo Fondatore, San Josemaría Escrivá, e aderisce all'Opera nel ‘60. Dirige il centro dell’Opus Dei a Napoli fino al ‘70, quando si trasferisce a Milano per entrare a far parte della Commissione Regionale dell’Opus Dei in Italia, l'organo di governo delle attività dell’Opera nel nostro Paese. Nell’80 viene a Roma a dirigere il nuovo Ufficio Informazioni dell’Opus Dei e segue avvenimenti significativi dell’Istituzione, tra cui la beatificazione di Escrivà.

3 – WOODY ALLEN FINISCE IN UN CONVENTO DI DODICI «OPUSDEINE»: «MA FATE LE STESSE COSE DEL CODICE DA VINCI?»

Woody Allen scopre l’Opus Dei. In uno degli angoli più esclusivi di Manhattan, il regista ebreo ha appena acquistato una splendido appartamento panoramico. Ma si è trovato in un inatteso rapporto di vicinato con le figlie spirituali di Sant’Escrivà. Sue vicine di casa, infatti, sono dodici numerarie dell’Opera che condividono una residenza femminile della Prelatura a New York.

L’altro giorno una delle «opusdeine» compie quarant’anni. Invia un biglietto di invito per la festa a tutti i condomini, e anche a Soon-Yi, moglie di Allen, specificando che saranno presenti al party alcuni bambini della scuola accanto. I dueAllen suonano alla porta, senza sapere che si tratta di un «convento metropolitano». Li accoglie la festeggiata, mentre i due figli della coppia corrono a giocare nel grande salone della casa. Primi convenevoli, poi la numeraria intrattiene gli ospiti spiegando che sono in arrivo le altre undici donne con le quali vive. Il regista, imbarazzato, chiede come mai abitino tutte nello stesso appartamento. Intanto dall’ingresso passano nel salone, dove accanto ad una grande crocifisso, campeggiano un ritratto di Sant’Escrivà de Balaguer e un’icona mariana.

Woody comincia a capire che c’è qualcosa di insolito, non resiste dal domandare il motivo di tutti quei simboli religiosi. Quando scopre la verità, esplode in uno dei suoi irresistibili monologhi, trasformando la sede newyorkese della Prelatura in un set cinematografico. «Tutto quello che so di voi, l‘ho appreso dal “Codice Da Vinci“. Non è vero che fate sparire le persone, vero? Sono finzioni o devo mettere un portone blindato?».

In una spassosa escalation di battute e surreali richieste di informazioni, per tre ore, Woody Alleninterroga le vicine su Dio, il Papa, il Vaticano. E da quella bizzarra festa sboccia un'amicizia che da un paio di giorni ha trasformato il regista agnostico per antonomasia in un curiosissimo frequentatore della Prelatura. Ieri ha bussato per chiedere una biografia del fondatore dell’Opera.