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2009 07 22 * Il Corriere della Sera * Giovanni Bianconi

Il secondo «tesoro» di Vito Ciancimino - quello di maggior interesse investigativo, fatto di documenti, registrazioni, agende e altro materiale - è custodito all'estero, bloccato da problemi burocratici che il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo, non è riuscito a risolvere.

Per questo non ha ancora consegnato ai magistrati l'ormai famoso papello con le richieste dei boss, che costituirebbe la prova della trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato nella stagione delle stragi, e le altre carte segrete del padre.

Su quel periodo, sui misteri ancora irrisolti, e sui cosiddetti «mandanti occulti», la commissione parlamentare antimafia ha deciso ieri di aprire un'inchiesta, di cui sarà relatore il presidente Beppe Pisanu.

Ai procuratori di Palermo Massimo Ciancimino (condannato in primo grado a cinque anni e mezzo di galera per il riciclaggio del primo «tesoro» avuto in eredità, quello milionario che secondo l'accusa proviene da affari e interessi mafiosi) ha però fornito indicazioni precise sul luogo in cui è conservato l'archivio di «don Vito». Lì dentro ci sarebbero, secondo Ciancimino jr, non solo il papello ma anche alcuni nastri registrati.

Stando a quanto gli riferì suo padre, conterrebbero le conversazioni tra l'ex sindaco e gli ufficiali dei carabinieri che lo incontrarono nell'estate del '92. E ancora, la copia integrale della lettera - trovata «mutilata» in una perquisizione del 2005 - dove si parla di richieste all'«onorevole Berlusconi»;

forse le altre lettere provenienti da Bernardo Provenzano, di cui ha pure testimoniato il figlio dell'ex sindaco, e il misterioso assegno da 35 milioni firmato in anni lontani da Silvio Berlusconi in favore di Ciancimino sr, di cui Massimo discuteva con la sorella Luciana in una telefonata intercettata nel marzo 2004.

«Digli che abbiamo un assegno suo, se lo vuole indietro... », diceva Massimo a Luciana che stava andando a una manifestazione di Forza Italia alla quale avrebbe partecipato il premier. «Chi, il Berlusconi?», chiedeva lei ridendo. «Sì, ce l'abbiamo ancora nella vecchia carpetta di papà», rispondeva Massimo.

Luciana era incredula: «Ma che dici... Del Berlusca? ». E il fratello: «Sì, di 35 milioni, se si può glielo diamo...». Se il giovane Ciancimino dice la verità la riconsegna non avvenne, e quell'assegno è custodito all'estero insieme al papello e alle altre carte che sarebbero il riscontro ai suoi racconti sui contatti tra mafia e istituzioni avvenuti attraverso l'ex sindaco morto a fine 2002.

Nell'interrogatorio della scorsa settimana Massimo ha assicurato che avrebbe fatto un ultimo tentativo per risolvere gli intoppi burocratici che, a suo dire, gli hanno finora impedito di rispettare la promessa di consegnare il «tesoro» investigativo.

Altrimenti toccherà ai magistrati avviare le procedure per una rogatoria internazionale. In un modo o nell'altro, la fine di questo «tira e molla» che dura da mesi intorno al misterioso papello, se e quando arriverà dovrebbe almeno chiarire se Ciancimino jr sta bluffando oppure no.

Poi, eventualmente, si potrà valutare l'effettiva importanza delle carte rimaste segrete per tutti questi anni. E interpretare meglio le ultime uscite intorno alle novità vere e presunte nelle inchieste sulle stragi di mafia. A cominciare da quelle di Totò Riina.

Il «capo dei capi» di Cosa Nostra sarà probabilmente interrogato nei prossimi giorni dai magistrati di Caltanissetta (titolari delle indagini sulle morti di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta trucidati con loro), che ritengono indirizzato a loro il «messaggio » mandato da Riina attraverso le dichiarazioni affidate al suo avvocato.

Ma secondo le interpretazioni che circolano nel palazzo di giustizia di Palermo, le frasi del capomafia avrebbero (anche) altri destinatari: gli «uomini d'onore», per ribadire che non ci sono vuoti di potere ma a comandare la mafia è ancora lui; e i nuovi, presunti, referenti politici di Cosa Nostra, subentrati ai vecchi dopo le stragi del 1992 e 1993.

Le dichiarazioni di Riina sono arrivate all'indomani della diffusione del frammento di lettera che secondo Ciancimino jr proveniva da Provenzano ed era diretta al premier tramite Marcello Dell'Utri (sul quale pesa una condanna di primo grado per concorso in associazione mafiosa; il processo d'appello è arrivate alle battute finali).