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2009 08 25 * Libero * Gianluigi Nuzzi

L'ultima curva tra gli abeti e i fari allo xeno della Bmw 540 "protection" tracciano lunghe scie luminose sulla tavola d'acqua smeraldo del lago Ghedina, sopra Cortina d'Ampezzo. «L'ho presa blindata, con i miei risparmi perché devo proteggermi. Lo Stato è senza soldi: tremila euro di leasing al mese».

Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, l'ex sindaco di Palermo, sussurra con l'accento siciliano sporcato dalla paura. Non bastano le due guardie del corpo con la pistola a canna corta nel marsupio, che la prefettura gli ha infilato nell'ombra, per evitare il peggio. «Allora mi sono comprato l'auto blindata, e addio a Porsche e Ferrari». Ride.

Massimo Ciancimino giura di aver abbandonato ben altro. Suo padre era cresciuto a Corleone. In cortile da bambino giocava a palla con Bernardo Provenzano, vicino di pianerottolo per poi diventarne punto di riferimento nella Dc degli anni '80. Dal gennaio del 2008 Massimo coagula nubi nere sui cieli siciliani. Ora scandaglieranno i giudici le verità di questo teste protetto.

Interrogato a Catania sull'agire ambiguo di alcuni magistrati palermitani. A Caltanisetta e a Palermo sulle stragi di via d'Amelio, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone. E poi la trattativa per chiudere la stagione di lingue nere e di sangue, il papello con richieste e controrichieste di Cosa Nostra.

Per finire a Roma dal pubblico ministero Luca Tescaroli con l'omicidio di Roberto Calvi e i sistemi di compensazione via Ior, la banca del Papa, scelti da don Vito per far arrivare a Totò Riina il 20% delle tangenti su monnezza e appalti della città. Massimo apre un pannello invisibile nel cruscotto.

«Ecco, il pulsante rosso è la sirena, quello nero il microfono esterno per sentire e parlare fuori senza aprire le portiere, capisce no?». Certo, l'enzima della paura si chiama Cyclotrimethylene trinitramine, ovvero C4. Plastico, esplosivo.

IL FORZIERE DEI SEGRETI

Ormai Ciancimino non può più tornare indietro. Aprirà i forzieri dei segreti del padre sui dentelli tra mafia e politica. Porterà il papello quando Ingroia scenderà dal caicco che l'accompagna tra le isole mediterranee. Questione di settimane. Ma sarebbe un errore individuarlo come unico protagonista dei nubifragi giudiziari che verranno.

Di ciò che l'autunno porterà su diverse teste, anche istituzionali, del nostro Paese. I nomi sono altri. Sulle stragi, innanzitutto. Le rivelazioni di Gaspare Spatuzza, uomo di punta dei fratelli Graviano, capi del mandamento di Brancaccio. Spatuzza ridisegna la geografia delle responsabilità. Sbriciola sentenze definitive basate sulle parole di pentiti come Vicenzo Scarantino e Salvatore Candura. Rafforza soprattutto le fondamenta per costruire il piano alto dei mandanti occulti.

Poi il ruolo nell'ombra del Pm Ilda Boccassini in indagini top secret sull'asse Palermo-Milano che corrono sempre lì. Alla trattativa tra Cosa Nostra e Stato. Trattativa che vede affiorare elementi inquietanti. Non si è interrotta quando salta il contatto tra don Vito, i corleonesi e, dall'altra carabinieri e, pare, anche alcuni magistrati.

Affiora ora un capitolo inedito, inesplorato di questa ancora dilaniante saga sotterranea. Che fa raddoppiare i tavoli di confronto. Che estende la trattativa ben oltre attori e comparse finora noti, ritagliando a politici ancora sulla scena, in Parlamento, ruoli sconosciuti.

C'è stata un'altra trattativa sviluppata in parallelo a quella di Ciancimino, andata avanti per mesi con un altro mediatore. Un personaggio che si sarebbe mosso per trovare il punto di equilibrio tra Stato e chi voleva porre sul sangue il confronto "politico".

IL VIA ALLA STRATEGIA DELLE STRAGI

Da questo confronto sarebbe arrivato lo "stop" al progetto di uccidere Falcone in un ristorante a Roma per passare alla strategia stragista. Come, almeno in parte, distilla Spatuzza. È su questo che la procura nissena si muove con forze risicate. Liberando energie investigative dall'abbraccio mortale di chi rappresenta collusioni proibite.

Cercando di misurare l'attendibilità di una fioriera di aspiranti collaboratori di giustizia. 

Non abbiamo certo noi le capacità per discernere tra pentiti veri, telecomandati. Tra vero e verosimile nella sottile campagna di disinformazione che Cosa Nostra sapientemente è capace di attuare, insinuandosi tra sospetti e rivalità dei magistrati, degli inquirenti che stanno agendo.

Persino Riina è uscito allo scoperto puntando l'indice contro lo Stato. «Borsellino è cosa vostra». Parole mai in contro-tempo, scelte con cura. Al momento giusto, segnando una tempistica raffinata. Ancora. I legittimi appetiti investigativi non devono scivolare nel cono delle strumentalizzazioni politiche, facendo girare al contrario le lancette della storia. I segnali purtroppo dicono il contrario.

Troppe procure e forze di polizia si intrecciano nelle indagini con solchi profondi tra squadre e gruppi che rischiano di allontanare dagli obiettivi. Ma poi qual è, davvero, l'obiettivo? Ecco il rischio che l'autunno siciliano si faccia incandescente trascinando la politica e parte della magistratura in disorientanti storie di collusioni e tangenti tra manette e accuse fino a ieri l'altro ai piani nobili dei palazzi. Dal tribunale al Parlamento.