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2009 12 03 * La Stampa * Riccardo Arena

"Le ultime volte, come mi hanno detto, lei, Vito Ciancimino, ha dormito in albergo: non è che per caso l'ascoltano e la guardano?». Era sempre bene informato, Bernardo Provenzano. Considerava gli uomini delle forze dell'ordine nemici ma tra di loro, o nei Servizi, aveva informatori fidati. E soprattutto, quando era necessario, trattava con loro.

Per la prima volta, nei pizzini consegnati da Massimo Ciancimino ai magistrati di Palermo e Caltanissetta tra il 20 novembre e lunedì sera, c'è, o ci sarebbe, la prova dei «discorsi», delle presunte intese tra mafia e Stato, nel periodo delle stragi del '92.

Ora c'è una data precisa, il 12 luglio '92: il capo di Cosa Nostra, uno dei latitanti più ricercati del mondo, avrebbe incontrato Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, condannato per mafia e corruzione. C'era una «ricetta» da ritirare, con ogni probabilità il papello contenente le richieste dei boss corleonesi allo Stato, per far cessare l'attacco a colpi di autobomba.

Don Vito, chiamato «L'Ingegnere» nei pizzini, era l'intermediario della trattativa. «Visto che lei ha la buona abitudine di andare a trovare suo padre al cimitero nel giorno del compleanno - gli scriveva Provenzano - potremmo insieme rivolgere una preghiera al Signore...».

I magistrati di Palermo e Caltanissetta sono andati a controllare la data di nascita del padre di don Vito, nonno di Massimo Ciancimino, e hanno trovato la risposta: 12 luglio, una settimana prima della strage di via D'Amelio. Se si trattava già allora, ipotizzano i pm, il giudice Paolo Borsellino poteva costituire un ostacolo per inciuci inconfessabili.

Il dialogo sarebbe stato avviato con interlocutori - secondo l'accusa, il generale dei carabinieri del Ros Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno - su cui Provenzano, da buon mafioso, non riponeva una fiducia eccessiva: «Se lei pensa di potersi fidare di questa gente e che può portare qualcosa di buono, non manca a lèi...».

Ieri mattina (dopo le 4 ore trascorse lunedì dai pm nisseni e palermitani a interrogare Ciancimino jr) c'è stato un nuovo summit operativo tra le due procure, a Palermo: è stato fatto il puntò della situazione, anche sui presunti incontri tra Provenzano e un senatore che secondo un teste sarebbe Dell'Utri.

Ombre si allungano pure su Silvio Berlusconi, tirato in ballo dal pentito Spatuzza come presunto referente della mafia nel periodo delle stragi del '93, e da Massimo Ciancimino per i presunti affari condotti con gli imprenditori (in odor di mafia) Franco Bonura e Antonino Buscemi. I pm nisseni e palermitani ora s'interrogano sugli informatori di Provenzano.

Oltre a sapere che don Vito, dopo le stragi del '92, aveva dormito qualche volta in albergo, il boss chiedeva: «Non è che per caso nell'appartamento di fronte al suo ascoltano e guardano?». Effettivamente sull'abitazione di don Vito c'era l'occhio dei servizi segreti. Provenzano lo sapeva. «So che Massimo quando viaggia non è solo, ma che lui si sa cautelare».

Pure questo sapeva Binu, che dei carabinieri non si fidava. E voleva capire chi ci fosse dietro, se avessero «i cani attaccati» in alto loco. Domanda cui avrebbe risposto un altro intermediario, il misterioso uomo dei Servizi di nome Franco o Cario: dietro la trattativa, sostiene Ciancimino jr, quell'interlocutore disse che c'erano Mancino e Rognoni. Ma su questo, pizzini non ce ne sono. Finora.