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2010 05 18 * Corte di Appello di Genova * Motivazioni della sentenza sui fatti accaduti nella caserma Diaz tra il 21 e il 22 luglio 2001 in occasione del G8

Sentenza n.                          

 

 

 del  18.05.2010

 

R.G.C.A.  2511/09

R.G. Trib 1246/05 + 5045/05 + 1079/08

 Rgnr  14525/01 

 

Annotazioni

 

Avviso – art. 151 C.P.P.

 

il  _____________________

 

                            Il  Cancelliere

 

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Redatt  _______  sched  ____

 

il  ______________________

 

                               Il  Cancelliere

 

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Art.  __________________

         Campione penale

 

il  _____________________

                          Il  Cancelliere

Estratto esecutivo a

 

Procura Generale _________

 

Questura  _______________

 

Comune  _______________

il  _____________________

 

     Il  Cancelliere

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA

 Terza Sezione Penale

 

Composta dagli Ill.mi  Signori:

Dott. Salvatore Sinagra                                         Presidente

Dott. Francesco Mazza Galanti                             Consigliere

Dott. Giuseppe Diomeda                                        Consigliere rel

 

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

Nel procedimento penale

contro

1)            Luperi Giovanni, nato alla Spezia il 03/01/1950, difeso dall’avv. Carlo Di Bugno del Foro di Lucca e dall’avv. prof. Enrico Marzaduri del foro di Lucca,

elettivamente domiciliato presso l’avv. Carlo Di Bugno, studio in via S. Croce 64 Lucca

LIBERO CONTUMACE

2)            Gratteri Francesco, nato a Taurianova il 25/02/1954, difeso dagli avv. Nico D’Ascola del Foro di Reggio Calabria e dall’avv. Marco Valerio Corini del foro della Spezia,

elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco Valerio Corini, studio in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia

LIBERO CONTUMACE

3)            Caldarozzi Gilberto, nato a Roma il 20/03/1957 ed ivi residente in via G. Valmarana 63, difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del foro di La Spezia e dall’avv. Gilberto Lozzi del foro di Torino,

elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco Valerio Corini, studio in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia

LIBERO CONTUMACE

4)            Ferri Filippo nato a Firenze l’11/01/1968, residente in Pontremoli (MS), via Ricci Armani 7, difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del foro della Spezia e dall’avv. Gilberto Lozzi del foro di Torino,

elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco Valerio Corini, studio in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia

LIBERO CONTUMACE

5)            Ciccimarra Fabio, nato a Napoli il 14/12/1970, difeso dell’avv. Marco Valerio Corini del foro della Spezia e dall’avv. Carlo Di Bugno del Foro di Lucca

domicilio dichiarato in Napoli, via Nicolari 52

LIBERO CONTUMACE

6)            Dominici Nando, n. a Napoli il 07/03/1951, residente in Brescia, viale Europa 78, difeso dell’avv. Romano Raimondo del Foro di Genova e dall’avv. Maurizio Mascia del Foro di Chiavari, elettivamente domiciliato presso l’avv. Romano Raimondo, in salita S. Caterina 1/5 Genova

LIBERO CONTUMACE

7)            Mortola Spartaco, nato a Parma il 23/04/1959, difeso dall’avv. Alessandro Gazzolo del foro di Genova e dall’avv. Piergiovanni Junca del Foro di Genova; elettivamente domiciliato presso l’avv. Piergiovanni Junca, in via XII Ottobre 2/131 sc. B Genova

LIBERO PRESENTE

8)     Di Sarro Carlo, nato a Campobasso il 24/07/64, difeso dall’avv. Giuseppe Michele Giacomini del Foro di Genova e dall’avv. Piergiovanni Junca del Foro di Genova,

elettivamente domiciliato presso l’avv. G.M. Giacomini, in viale Padre Santo 5/11 Genova

LIBERO PRESENTE

9)     Mazzoni Massimo, nato a Roma il 28/11/1964, res. Roma Via Chiabrera 57, difeso dall’avv. Sergio Usai del foro di Roma, presso il quale è elettivamente domiciliato in Largo della Gancia 5 Roma

LIBERO CONTUMACE

10)    Cerchi Renzo, nato a La Spezia il 9/2/1961, res. Beverino (SP) Via Lorenzo Costa 28, difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del foro di La Spezia,

elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco Valerio Corini, in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia

LIBERO CONTUMACE

11)     Di Novi Davide, nato a Genova il 17/8/1961, res. a La Spezia Via Bragarina 82, difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del foro di La Spezia e dall’avv. Giovanna Daniele del Foro di La Spezia

elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco Valerio Corini, in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia

LIBERO CONTUMACE

12)   Canterini Vincenzo, nato a Roma il 20/02/1947, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del Foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova,

elettivamente domiciliato presso l’avv. Silvio Romanelli, in Genova, via Galata 36/9

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha eletto nuovo domicilio presso la residenza in Pisa, Via San Francesco 3

LIBERO CONTUMACE

13)    Fournier Michelangelo nato a Roma il 29/7/1963 difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova

domicilio dichiarato in Roma,  via Alfredo Casella 11

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha eletto nuovo domicilio c/o Mario Fournier in Roma, Via Nerola 16 

LIBERO PRESENTE

 

14)     Basili Fabrizio nato a Roma il 9/3/1966, res. in Roma Via Ardea 27, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova elettivamente domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione  dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo difensore l’Avv. Domenico Battista del foro di Roma, eleggendo nuovo domicilio in Nettuno (Roma), Via della Liberazione 163

LIBERO CONTUMACE

15)     Tucci Ciro, nato a Napoli il 28/9/1954, res. in Roma Via Portuense 1680/4 A c/o 1° Reparto Mobile di Roma, Polizia di Stato, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova elettivamente domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione  dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo difensore l’Avv. Domenico Battista del foro di Roma, eleggendo nuovo domicilio in Roma, Via del Risaro 191

LIBERO CONTUMACE

16)   Lucaroni Carlo nato a Ronciglione (VT) il 19/11/1954, res. in Roma Via Portuense 680/4 A c/o 1° Reparto Mobile di Roma, Polizia di Stato, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova elettivamente domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione  dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo difensore l’Avv. Gaetano Pecorella del foro di Milano, eleggendo nuovo domicilio in Capranica (VT), Via degli Anguillara 16

LIBERO PRESENTE

17)   Zaccaria Emiliano, nato a Terracina (LT) il 3/9/1974, res. a Priverno (LT) Via Marittima II nr. 153, difeso dall’avv. Piero  Porciani del Foro di Milano e dall’Avv. Costantino Cardiello del foro di Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34 Milano

LIBERO PRESENTE

18)    Cenni Angelo, nato a Roma il 18/5/1959, res. in Roma Viale Leonardo Da Vinci 280, difeso dall’avv. Piero Porciani del foro di Milano e dall’Avv. Franco Cardiello del foro di Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34 Milano

LIBERO PRESENTE

19)    Ledoti Fabrizio, nato a Tivoli (Roma) il 15/6/1973, res. in Cineto Romano (Roma) Via Adua 40,

difeso dall’avv. Piero  Porciani del Foro di Milano e dall’Avv. Costantino Cardiello del foro di Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34 Milano

 LIBERO PRESENTE

20)   Stranieri Pietro, n. a York (Canada) il 13/7/1972, res. a Roma Via Calmiera 127, difeso dall’avv. Piero Porciani del foro di Milano e dall’Avv. Franco Cardiello del foro di Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34 Milano

LIBERO CONTUMACE

21)   Compagnone Vincenzo, nato a Ceccano (FR) il 12/1/1958, res. in Roma Via Portuense 1680/4 A c/o 1 Reparto Mobile di Roma, Polizia di Stato, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari e dall’Avv. Rinaldo Romanelli del foro di Genova, elettivamente domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione  dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo difensore l’Avv. Gaetano Pecorella del foro di Milano, eleggendo nuovo domicilio in Roma, c/o I° Reparto Mobile di Roma, Via Portunese  1680/4  

LIBERO CONTUMACE

22)    Nucera Massimo, nato a Roma 11/02/73, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari, presso il quale è elettivamente domiciliato in Genova, via Galata 36/9

successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione  dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo difensore l’Avv. Piero Longo del foro di Padova, eleggendo nuovo domicilio in Roma, Via Virginia Agnelli 58

LIBERO CONTUMACE

23)    Panzieri Maurizio, nato a Vicenza il 16/06/54, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di Chiavari, domicilio dichiarato  presso la residenza in Caserta Via Barducci 8; successivamente alla lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina  dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato nuovo difensore l’Avv. Piero Longo del foro di Padova, eleggendo nuovo domicilio in Caserta, Via Barducci – Parco Primavera 8

LIBERO CONTUMACE

 

24)   Troiani Pietro, nato a Roma il 15/12/65, difeso dall’avv. Alfredo Biondi del foro di Genova e dall’avv. Giorgio Zunino del Foro di Genova, elettivamente domiciliato presso il primo, in via Assarotti 7/6  Genova

LIBERO CONTUMACE

25)  Burgio Michele, nato ad Alassio (SV) il 10/3/1968, ivi res. in Via Virgilio 45/2, difeso dall’avv. Alessandro Cibien del foro di Savona, domicilio dichiarato in Via Virgilio 45/2 Alassio (SV); domiciliato presso il difensore ex art. 161, 4° comma c.p.p.

LIBERO CONTUMACE

26)   Gava Salvatore, n. a Roma il 21/7/1970, difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del Foro di La Spezia  e dall’avv. Enrico Marzaduri del foro di Lucca, elettivamente domiciliato presso il primo in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia

LIBERO CONTUMACE

27)   Fazio Luigi, nato a Savelli (CE) il 25/2/1952, difeso dall’avv. Gianfranco Pagano del foro di Genova e dall’avv. Giovanni Destito del foro di Roma, domicilio eletto in Roma, via Vincenzo Diamare 1

LIBERO CONTUMACE

28)   Di Bernardini Massimiliano, nato a Roma il 31/01/1966, difeso dall’avv. Massimo Lauro del Foro di Roma e dall’avv. Massimo Biffa del foro di Roma, elettivamente domiciliato presso il primo, in Via Ludovisi 35 Roma

LIBERO CONTUMACE

 

IMPUTATI

 

1) GRATTERI Francesco

2) LUPERI Giovanni

A) del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. perché, partecipando, con funzioni di controllo e comunque, per la qualità rivestita, di responsabilità di comando, all’organizzazione e alla conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) dell’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova, Via Battisti, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti appartenenti a vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si concludeva con l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, al fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere i reati di cui al capo d’accusa sub b) ed e), nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati in occasione dell’irruzione all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) alla quasi totalità di costoro e, pertanto, per assicurare l’impunità dei reati commessi ai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali condotte, in concorso tra loro e con il Prefetto La Barbera Arnaldo, direttore dell’Ucigos, nonché con gli Ufficiali ed Agenti di P.G., materiali redattori e/o sottoscrittori degli atti trasmessi all’A.G. in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (relazioni di servizio, verbali d’arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato), attestavano fatti e circostanze non corrispondenti al vero.

(Nella fattispecie, costituendo per posizione gerarchica assunta il livello apicale di riferimento per i diversi reparti ed uffici della Polizia di Stato, concretamente presenti ed impiegati nell’operazione predetta ed esercitando, di fatto, i poteri connessi a tale funzione gerarchica superiore:

-                di dirigente superiore e vice direttore dell’Ucigos Luperi, da considerarsi riferimento per gli operatori appartenenti alle Digos,

-                 di dirigente superiore e direttore del S.C.O Gratteri, da considerarsi riferimento per quanti appartenevano alle Squadre Mobili ed al Reparto Prevenzione e Crimine;

essendo presenti sui luoghi mentre si svolgevano le operazioni di irruzione all’interno dell’edificio scolastico oggetto della programmata perquisizione, durante le successive operazioni di raccolta degli oggetti e materiali che venivano appresi per essere sottoposti a sequestro, nonché durante la collocazione, sempre all’interno del medesimo istituto, del reperto costituito da due bottiglie incendiarie c.d. Molotov, avendo quindi constatato:

-                l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante l’operazione, anche per le modalità stesse con le quali la perquisizione era stata condotta;

-                l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento, consegnate in loro presenza mentre si trovavano unitamente ad altri funzionari nel cortile antistante l’edificio;

-                infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro, soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni a pubblico ufficiale, tentato omicidio ed associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio;     

consapevoli pertanto di quanto nella realtà accaduto, determinavano e inducevano gli Agenti ed Ufficiali di PG presenti, alcuni dei quali loro diretti sottoposti, materiali redattori e sottoscrittori degli atti sopra indicati, ad attestare falsamente, e comunque ne rafforzavano e agevolavano il proposito, non opponendosi, avendone l’obbligo ed il potere, a che attestassero falsamente:

di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;

di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli ed armi improprie;

che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato come arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati;

di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio;

In Genova nella notte del 21 e 22 luglio 2001

(così rettificato all’udienza del 23.09.04)

 

B) del delitto di cui agli artt.110,  368, comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere il reato di cui sub e) nonché per assicurare l’impunità del delitto di cui sub h), nelle medesime qualità di cui al precedente capo ed in concorso con i soggetti ivi menzionati, nonché con le persone di cui al capo o), facendo emergere, con le condotte ivi descritte, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri novantadue indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro  ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie),  simulando tracce od elementi materiali di prova a carico delle stesse persone incolpate,  procedendo al sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti (fra cui 16 coltellini multiuso ed a serramanico, attrezzi provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso l’istituto, barre metalliche costituenti supporti di zaini estratte nell’occasione) strumentalmente descritti e qualificati come armi improprie utilizzate dagli indagati o nella loro disponibilità,oltre che di due bottiglie Molotov, provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto, non riconducibili pertanto ai predetti indagati singolarmente o collettivamente considerati,nonché di vari capi di abbigliamento di colore nero o scuro,nella consapevolezza della impossibilità, anche dolosamente preordinata, di poterne parimenti attribuire ad alcun soggetto il possesso ovvero,   determinando,inducendo e comunque consentendo  le false attestazioni indicate nel capo di accusa che precede, circa gli  atti di resistenza armata e di massa o condotte di resistenza attiva e violenta,  tali da giustificare l’uso della forza da parte degli operatori di Polizia che avevano proceduto alla irruzione nell’edificio e il conseguente elevatissimo numero di feriti presenti tra gli arrestati;

in Genova 22.7.2001

 

3) CALDAROZZI Gilberto

4) MORTOLA Spartaco

5) DOMINICI Nando

6) FERRI Filippo

7) CICCIMARRA Fabio

8) DI SARRO Carlo

9) MAZZONI Massimo

10) DI NOVI Davide

11) CERCHI Renzo :

C) Del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. perchè, partecipando all’organizzazione (Caldarozzi, Ferri, Mortola, Dominici, Ciccimarra e Di Bernardini) e alla conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova Via Battisti, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti appartenenti a vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si concludeva con l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, al fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere i reati di cui ai capo d’accusa sub d) ed e), nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati in occasione della irruzione  all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a ottantasette di costoro e, pertanto, per assicurare l’impunità dei reati commessi ai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali condotte, in concorso tra loro, ciascuno come sottoscrittore dei verbali di arresto e/o perquisizione (Mortola e Dominici anche della comunicazione notizia di reato) e con altro ignoto operatore sottoscrittore del verbale di arresto, nonché con gli altri funzionari dirigenti della Polizia di Stato indicati al capo a) e con la persona di cui al capo f), negli atti trasmessi alla A.G. il 22.7.2001, in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (verbali di arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato), attestavano fatti e circostanze non corrispondenti al vero.

(Nella fattispecie, nelle rispettive qualità e ruoli operativi :

Caldarozzi di primo dirigente, vice direttore del Servizio Centrale Operativo

Mortola di primo dirigente, dirigente della Digos della Questura di Genova,

Dominici di primo dirigente, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Genova,

Ferri di vice questore aggiunto, dirigente della Squadra Mobile della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova,

Ciccimarra, di vice questore aggiunto, in servizio presso la Squadra Mobile di Napoli,aggregato alla Questura di Genova,

 Di Bernardini, di vice questore aggiunto in servizio presso la Squadra Mobile di Roma, aggregato alla Questura di Genova;

Di Sarro, di vice Questore aggiunto  in servizio presso la Digos della Questura di Genova

Mazzoni, di ispettore capo in servizio presso il Servizio Centrale Operativo;

 Di Novi, di ispettore superiore della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova          

Cerchi, di sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova essendo presenti sui luoghi mentre si svolgevano le operazioni di irruzione all’interno dell’edificio scolastico oggetto della programmata perquisizione, durante le successive operazioni di raccolta degli oggetti e materiali che venivano appresi per essere sottoposti a sequestro,nonché durante la collocazione, sempre all’interno del medesimo istituto, del reperto costituito da due bottiglie incendiarie c.d. Molotov, avendo quindi constatato:

-                l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante l’operazione, anche per le modalità stesse  con le quali la perquisizione era stata condotta;

-                l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto;

-                infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro, soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni a pubblico ufficiale, associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio;     

attestavano falsamente (Ciccimarra, Ferri e Di Bernardini, anche come materiali estensori del verbale di arresto, Mazzoni del verbale di perquisizione e sequestro ): 

-                di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un fittissimo lancio di pietre e oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;

-                di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli ed armi improprie;

-                che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato come  arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati;

-                di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio;

e comunque, benché consapevoli della non corrispondenza dei fatti descritti nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro e nelle informative di reato a quanto nella realtà accaduto,non si opponevano in tutto o in parte alla falsa rappresentazione in tali atti contenuta;

infine i sottoscrittori del verbale di perquisizione falsamente attestavano la circostanza che durante tale operazione “gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”.

In Genova 22.7.2001

 

D) delitto p. e p. dagli artt.110,  368, comma I e II, 61 n.2 c.p., 81 cpv c.p. perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere il delitto di cui sub e) nonché per assicurare l’impunità del delitto di cui sub h), in concorso con i soggetti menzionati al capo b), nella medesima qualità di cui al precedente capo, facendo emergere, anche con la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), simulando tracce od elementi materiali di prova a carico delle stesse persone incolpate, procedendo al sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti strumentalmente descritti e qualificati come armi improprie utilizzate dagli indagati o nella loro disponibilità (fra cui coltellini multiuso ed a serramanico, attrezzi provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso l’istituto, barre metalliche costituenti supporti di zaini estratte nell’occasione), nonché di due bottiglie molotov, provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto, non riconducibili pertanto ai predetti indagati singolarmente o collettivamente considerati,ovvero ancora sequestrando capi di abbigliamento di colore nero o scuro, nella consapevolezza della impossibilità, anche dolosamente preordinata, di poterne parimenti attribuire ad alcuno un possesso, infine attraverso le false attestazioni indicate nel capo di accusa che precede, circa gli  atti di resistenza armata e di massa o condotte di resistenza attiva e violenta,  tali da giustificare l’uso della forza da parte degli operatori di Polizia, che avevano proceduto alla irruzione nell’edificio e il conseguente elevatissimo numero di feriti presenti tra gli arrestati;

 in Genova 22.7.2001

 

Luperi

Gratteri

Caldarozzi

Ciccimarrra

Ferri

Mazzoni

Cerchi

Di Novi

Di Sarro

Mortola

Dominici

E) Delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p., perché, nelle rispettive qualità e ruoli descritti ai precedenti capi di accusa e nello svolgimento delle loro funzioni, all’esito della operazione di polizia, richiamata nei medesimi capi,  nel corso della quale veniva eseguita una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova, Via Battisti, in dolosa violazione di norme di legge (artt. 13 e 27 Cost., 380, 381, 382, 389 c.p.p.), in concorso tra loro, pervenivano alla decisione e, conseguentemente, eseguivano l’indiscriminato arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso,  per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza di  elementi che giustificassero l’adozione di tale misura nei confronti di ciascuna delle predette persone, pur indicando titoli di reato che astrattamente avrebbero consentito l’arresto ad iniziativa della P.G., così intenzionalmente cagionando alle stesse un danno ingiusto consistito nella privazione della libertà personale. (Nella fattispecie, anche avvalendosi delle condotte descritte nei precedenti capi di accusa, veniva eseguito l’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone, tutte senza distinzione denunciate come responsabili dei delitti loro ascritti in concorso (i.e. associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), senza disporre per ognuno di loro di concreti elementi su cui fondare una responsabilità personale, in particolare:

-  deliberatamente omettendo di attribuire a ciascuno il possesso dei vari reperti che  venivano posti in sequestro e considerati elementi di prova a carico di tutti gli arrestati;

- strumentalmente qualificando reperti come armi improprie in possesso illegale  degli arrestati;

- deliberatamente omettendo di specificare le circostanze concrete dell’arresto di Mark Covell,  fermato e gravemente ferito da operatori di Polizia non identificati  all’esterno dell’edificio, in fase addirittura antecedente alla irruzione e quindi alla commissione dei reati di resistenza aggravata e violenza a pubblico ufficiale, ovvero le circostanze in cui altri soggetti venivano arrestati, alcuni al di fuori dell’edificio, altri colti nel sonno, comunque nella evidente situazione di estraneità quantomeno ad azioni di resistenza;

- dolosamente  omettendo di considerare circostanze in fatto concretamente valutabili e quelle sopra indicate, che  avrebbero comportato comunque l’obbligo di disporre l’immediata liberazione degli  arrestati in particolare l’assoluta non riferibilità a tutti ed a ciascuno della flagrante commissione dei reati contestati  .   

In Genova 22.7.2001

 

12) CANTERINI Vincenzo :

F) Del reato di cui agli artt., 110, 61 n. 2, 479 c.p. per avere, in concorso con le persone menzionate  ai capi a), c), partecipando in veste di comandante del VII Nucleo Sperimentale appartenente al I Reparto Mobile di Roma della Polizia di Stato, all’organizzazione e alla conseguente esecuzione  di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti appartenenti a vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si concludeva con l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso,al fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere il reato di cui al capo d’accusa sub g), nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati durante le fasi d’ingresso all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a ottantasette di costoro, inferte in massima parte da appartenenti al Reparto di cui aveva il diretto comando  e, pertanto, per assicurare a se stesso e ad altri pubblici ufficiali l’impunità dei reati così commessi, attestato fatti o circostanze non corrispondenti al vero nella relazione di servizio diretta al Questore di Genova ed allegata agli atti trasmessi all’A.G. in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altri 92, che venivano denunciati per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (verbali di arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato). 

(Nella fattispecie, nella relazione personalmente sottoscritta ed allegata al verbale di arresto trasmesso alla A.G., attestava falsamente che gli appartenenti al Nucleo e Reparto dal medesimo comandato:

-                incontravano violenta resistenza da parte degli occupanti, consistita in un fittissimo lancio di pietre e bottiglie dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;

-                incontravano resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti, che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli, bastoni ed armi improprie, alcune delle quali rinvenute in tali circostanze;

in Genova 22.7.2001

G) delitto p. e p. dagli artt.110,  368, comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire o far conseguire ad altri l’impunità per i delitti di cui al capo h), in concorso con tutte le persone menzionate al capo sub b) e nella medesima qualità di cui al precedente capo, facendo emergere, anche con la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e. associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), formando le false attestazioni indicate nel capo di accusa che precede circa gli  atti di resistenza armata e di massa o condotte di resistenza attiva e violenta  tali da giustificare l’uso della forza da parte degli operatori di Polizia che avevano proceduto alla irruzione nell’edificio e il conseguente elevatissimo numero di feriti presenti tra gli arrestati;

in Genova 22.7.2001

 

CANTERINI  Vincenzo

13)      FOURNIER Michelangelo

14) BASILI Fabrizio

15) TUCCI Ciro

16) LUCARONI Carlo

17) ZACCARIA Emiliano

18) CENNI Angelo

19) LEDOTI Fabrizio

20) STRANIERI Pietro

21) COMPAGNONE Vincenzo

H) Delitto p. e p. dagli arrt. 110, 40, 81 cpv., 61 n. 9, 582, 585, 583 c.p. perchè, nelle rispettive qualità di comandante,vice comandante e capi squadra del VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma, nel corso di una operazione di perquisizione ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 ( TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova Via Battisti, in concorso con altri Ufficiali ed Agenti appartenenti al medesimo e ad altri reparti ed uffici della Polizia di Stato, parimenti impegnati nella predetta operazione per ordine di servizio (in particolare appartenenti al Servizio Centrale Operativo, alle Squadre Mobili di Genova, Roma, L’Aquila, Napoli, Padova, Parma, La Spezia, Nuoro alle Digos di Genova, Torino, Firenze, Napoli, Padova) nonché con altro personale della Polizia di Stato, non meglio identificato e comunque intervenuto all’interno del predetto edificio scolastico, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, cagionavano lesioni personali varie, anche gravi, alle persone presenti all’interno del predetto edificio, colpite con sfollagente in dotazione o con altri atti di violenza, commettendo il fatto  direttamente o comunque agevolando o non impedendo ad altri tale condotta, dolosamente eccedente, nel contesto operativo,  i limiti del legittimo uso di mezzi di coazione fisica eventualmente occorrenti e che pertanto  avevano, nella qualità e nel ruolo rivestiti, l’obbligo giuridico di impedire,  così abusando della qualifica di pubblico ufficiale (nella fattispecie,  gli operatori di Polizia appartenenti ai vari reparti e, fra questi, in prima posizione  il VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma in cui agivano inquadrati, facevano irruzione in massa all’interno dell’edificio da perquisire, ove al loro  sopraggiungere si trovavano ospitati  gli occupanti e irrompevano, dapprima in gran parte in un ampio locale al piano terra, temporaneamente adibito  a dormitorio, ove erano presenti numerose persone  e, in rapidissima  successione, si portavano ai piani superiori dell’edificio, raggiungendo altre persone ivi  rifugiate, in particolare al piano primo, in ogni occasione colpendo con violenza le persone predette,tutte  in palese atteggiamento di non offensività e di resa, in talune occasioni infierendo più volte sulle stesse già colpite, a terra, sanguinanti e ferite, utilizzando i manganelli rispettivamente in dotazione o sferrando calci ed in particolare cagionando  lesioni a :

Albrecht Thomas Daniel, colpito con manganellate alla testa e in tutto il corpo e con calci al petto e alle gambe (trauma cranico epidurale, ferite lacero contuse multiple, in regione parietale sinistra, occipitale sinistra e coronarica destra, contusione emitoracica sinistra, ricoverato dal 22/7 al 01/08/01, con operazione di craniotomia frontale sinistra);

Aleinikovas Tomas, colpito con manganellate (contusione spalla destra e sinistra, contusione alla piramide nasale);

Allueva Fortea Rosana, colpita con manganellate e con mobilia scagliata dagli agenti (contusione piramidale nasale, contusione alla spalla sinistra, ginocchio e gomito destri, ematoma alla coscia  sinistra) ;

Bachmann Britta Agnes, colpita mentre si trovava a terra con manganellate (contusione al gomito e avambraccio destro, vasto ematoma alla coscia e al gluteo destro);

Balbas Ruiz Aitor, colpito con manganello, con calci e pugni e attinto da una sedia scagliatagli addosso (contusione ecchimotica alla caviglia sinistra, alla coscia sinistra e all’avambraccio sinistro, contusione in regione dorsale e spalla sinistra, escoriazione sottoascellare sinistra) 

Baro Wolfgang Karl, colpito con calci e manganellate (frattura cranica in  sede parietale superiore, ematoma del vertice, emorragia intratoracica, vertigini postraumatiche, contusioni multiple con suggellazione parzialmente estesa ed ematomi su tutte le quattro estremità, costole, fianchi, viso e schiena, sospetta infrazione dell’esterno superiore del femore sinistro);

Barringhaus Georg, colpito con numerosi colpi di manganello e con un calcio al volto (trauma cranico facciale con ferita lacero contusa al naso, trauma tibiale anteriore destro con ferita lacero contusa);

Bartesaghi Gallo Sara, colpita con manganello alla testa, alle gambe alla spalla e al braccio sinistri (trauma cranico, con ferita lacero contusa, contusione alla coscia destra);

Bertola Matteo, colpito con manganello alla testa al dorso e alla fronte (trauma cranico, ferita sopracciglio destro e cuoio capelluto, dorsalgia);

Blair Jonathan Norman, colpito con manganellate mentre era a terra coperto dal corpo di altra persona (ematomi vari, contusione escoriata al ginocchio sinistro)

Bodmer Fabienne Nadia, colpita con manganellate e calci alla schiena, alle mani, alle braccia e alle costole (frattura del dito indice della mano sinistra, frattura IX vertebra destra, contusioni varie alla schiena, contusione dito medio e anulare mano destra);

Baumann Barbara, colpita con manganellate e un calcio al fianco   (trauma cranico, con ferita lacero contusa, contusioni multiple, contusioni ecchimotiche in regione dorsale ed emitorace sinistro, ematoma in regione lombare destra, contusione ed ematoma alla mano sinistra, flc in regione parietale sinistra)  

Bruschi Valeria, percossa con manganellate (ecchimosi varie, ematoma all’avambraccio sinistro, gluteo sinistro e polpaccio destro)

Buchanan Samuel, colpito con manganellate alle braccia, alla testa e alle gambe (contusione in sede sovratemporale sinistra escoriata con ematoma, contusione escoriata al vertice, contusione con ecchimosi al braccio, spalla e avambraccio sinistro)

Cederstrom Ingrid Thea, colpita con manganello (contusione ecchimotica in regione dorsale);

Cestaro Arnaldo, colpito con manganellate alla testa, al braccio e alla gamba (frattura scomposta con distacco osseo del III distale dell’ulna destra, distacco del processo stiloideo, frattura lievemente scomposta del II distale del perone destro, fratture costali multiple a destra, ricoverato dal 23 al 27/7/01, lesioni gravi con conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, nonché indebolimento permanente dell’organo della prensione e della deambulazione); 

Chmielewski Michael, colpito con manganellate (trauma cranico, ferita da taglio al   padiglione auricolare sinistro, escoriazioni multiple);

Coelle Benjamin, colpito con manganellate prima in testa e poi, caduto a terra, all’anca, sulle gambe, al volto (frattura doppia di mandibola e condilo sinistri, frattura zigomatica  destra, ricoverato dal 22 al 30/7/01, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, indebolimento permanente dell’organo della masticazione);

Cunningham David John, colpito ripetutamente con manganellate e calci (trauma cranico in politraumatizzato);

Digenti Simona, colpita con manganello alla testa e alla schiena (contusioni ecchimotiche alla base posteriore del collo, alla spalla destra e sinistra, regione scapolare, regione dorsale, escoriazione all’arcata sopraccigliare sinistra, ematoma dorso mano destra) ;

Doherty Nicola Anne, colpita con manganello in più parti del corpo (trauma cranico, frattura distale  radio destra, ematoma gluteo sinistro, contusioni viso e braccio destro, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Dreyer Jeannette Sibille, colpita con manganello alla mano destra e al braccio sinistro (frattura composta III metacarpo mano destra, contusione avambraccio sinistro);

Duman Mesut,  colpito con calci e manganellate alle spalle, alle braccia, alla schiena e alle gambe (contusione ecchimotica coscia destra, frattura dell’ulna sinistra,  lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Felix Marcuello Pablo, colpito con manganello, con calci e pugni, alla testa, alla schiena e alla gamba destra (trauma cranico con ferita lacero contusa in regione occipitale;)

Galloway Ian Farrel, colpito ripetutamente con manganello (trauma cranico non commotivo, contusioni multiple, contusione emitorace sinistro e regione retroauricolare sinistra, contusione ecchimotiche multiple al dorso e regione lombare,escoriazione ginocchio sinistro);

Gieser Michael Roland, colpito con calci e manganellate (policontusioni in sede occipitale zigomo sinistro, labbro superiore, braccio e dorso mano sinistra, fianco sinistro, glutei, caviglia sinistra e gamba sinistri

Giovannetti Ivan Michele, colpito ripetutamente con manganellate e calci (trauma cranico, ferita lacero contusa al cuoio capelluto, contusioni alla schiena e arti superiori, ematomi plurimi ai glutei, coscia destra e faccia);

Gol Suna, colpita con manganellate e calci alla testa, alla schiena e alla gamba (trauma cranico, contusione spalla destra, contusioni toraciche, glutei e polpaccio destri);

Guadagnucci Pancioli Lorenzo, colpito con manganellate (frattura dello scafoide, contusioni addominali e toraciche, ferita lacero contusa all’avambraccio destro e ginocchio sinistri);

Hager Morgan Catherine, colpita con un calcio al volto e successivamente con manganellate  (trauma cranico, trauma colonna cervicale, nonché spalle, emitorace sinistro, mani e polsi, ginocchio destro, frattura metacarpo destro, I falange V dito destro, frattura costale X costa sinistra, contusione ecchimotica in sede lombare, glutei, coscia, gamba e piede sinistro);

Haldimann Fabian,  colpito con manganelli e calci (trauma cranico con ferita lacero contusa, contusione ecchimotica emitorace destro e lombare sin., ritenzione acuta di urina, infrazione ulnare sinistra, contusione lombare, stato di stress postraumatico, lesioni gravi con conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg) ; 

Heglund Cecilia, colpita con manganello (ematoma al braccio destro);

Herrero Villamor Dolores, colpita con manganellate al braccio destro e occipite sinistro (trauma cranico, frattura scomposta distale ulna destra);

Hermann Jochen,  colpito con manganellate alla testa al volto e al braccio (trauma cranico commotivo, frattura ossa nasali, trauma contusivo mascellare superiore, ferita lacero contusa al capo, contusione ecchimotica diffusa emitoracica sinistra);

Hermann Jens,  colpito con manganellate e numerosi calci alle mani, alla testa, al torace (trauma cranico, ferita lacero contusa in regione frontale, danno all’apparato uditivo destro reversibile, contusioni multiple al torace, vasto ematoma alla spalla destra e braccio destro, al braccio sinistro, alla coscia sinistra, al ginocchio destro, al gluteo laterale destro); 

Hinrichmeyer Thorsten, percosso con manganello al petto, alla schiena, al bacino, alle gambe e alle mani (contusioni spalle, fianco sinistro, coscia sinistra, fianco destro);

Jonasch Melanie, colpita con manganellate alla testa e in varie parti del corpo, presa a calci nel petto, nella pancia già ferita alla testa e sanguinante, nuovamente colpita, a terra immobilizzata, con calci alla testa (trauma cranico cerebrale, con frattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, policontusioni al dorso, spalla e arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena e alle natiche, ricoverata in prognosi riservata dal 22/7 al 1/8 del 2001); 

Kerkmann Dirk, colpito ripetutamente con manganello  al volto, alla schiena e ai reni (ferita sanguinante alla guancia e in regione occipitale, contusioni alla schiena ed ai reni);

Kress Holger, percosso con manganellate e calci (trauma cranico, ferita lacero contusa alla fronte e filtro nasale, trauma facciale,contusione alla spalla sinistra, ferita lacero contusa al labbro superiore e contusione escoriata alla regione tibiale);

Kutschkau Anna Julia, colpita con manganellate e ripetutamente con calci   (frattura margine anteriore del mascellare, trauma cranico facciale, perdita traumatica dentale 13 e 21, sublussazione 12, 11, lesioni gravi per il conseguente indebolimento permanente dell’organo della masticazione, con postumi da valutare ulteriormente);

Lanaspa Claver Antonio, percosso con manganellate  (contusione spalla sinistra, avambraccio e polso sinistri con piccolo distacco processo stiloideo ulnare);

Lelek Stella, colpita con manganellate e un calcio (contusioni in regione dorsale e addominale);

Luthi Nathan Raphael, colpito ripetutamente sulla testa, spalle e alle costole (contusione regione scapolare destra diagnosticata);

Martensen Niels colpito con manganellate, colpito ripetutamente a calci già a terra e ferito e investito dal getto di polvere di estintore sulle ferite sanguinanti (ferita lacero contusa al mento, contusione cranio facciale, contusione spalla e gamba destra, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Martinez Ferrer Ana, colpita con manganellate e attinta da una sedia scagliatale addosso (frattura IV metacarpo mano sinistra, policontusioni,  ricoverata dal 22 al 26/7/01, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Massò Guillelmo, colpito con manganellate e calci alla testa, al collo, alle spalle e alle mani (trauma cranico commotivo, contusione cervicale, ricoverato dal 22 al 23/7/01)

Mc Quillian Daniel, colpito ripetutamente con manganellate (trauma cranico, ferita lacero contusa al cuoio capelluto, frattura processo stiloideo ulna sinistra, contusioni multiple)

Mirra Christian, colpito con manganello e con calci alle braccia, alle gambe e alla testa (trauma cranico, ferita lacero contusa al cuoio capelluto e sopracciglio destro, ricoverato dal 22 al 24.7.01),

Moret Fernandez David, colpito ripetutamente con manganello (frattura del III dito della mano sinistra,  frattura del condilo del gomito destro, trauma cranico, ematoma al fianco destro, gluteo e coscia destri, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Moth Richard Robert, colpito con manganellate e calci (trauma cranico, ferite al cuoio capelluto e gamba destra) 

Nathrat Achim, colpito con manganello (contusione  al braccio e fianco destro)

Nogueras Corral Francho, colpito con manganellate e con mobilia scagliata addosso (trauma cranico, infrazione perone destro, contusioni multiple al braccio e avambraccio sinistri, spalla, fianco e caviglia  sinistri, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Olsson Hedda Patarina, colpita con manganello (contusione regione dorsale);

Ottovay Katarin Daniela, colpita con manganello, al collo, gola, alle braccia e alla schiena (contusione escoriata regione mentoniera, frattura scomposta al IV distale ulna sinistra, escoriazione al mento, mialgia cervicale, ricoverata dal 24 al 29.7.01 );

Patzke Jan, colpito con manganello alla schiena e alla nuca e al fianco destro (contusione escoriata cavo ascellare destro, spalla destra, dorso e spalla sinistra, base del collo posteriormente);

Patzke Julia, colpita con manganello (trauma cranico, contusione mano sinistra, contusione coscia e dorso destro);

Perrone Vito, colpito con manganello alle braccia, spalle e testa (trauma cranico, traumi contusivi alla spala sinistra, emitorace, arto superiore sinistro e mano destra);

Petrone Angela, colpita con manganello ad una gamba (contusione coscia sinistra);

Pollok Rafael Johann, percosso con manganello, calci e pugni su tutto il corpo (trauma cranico, frattura III distale ulna destra, contusione toracica, contusioni multiple, ferita lacero contusa al cuoio capelluto, alla gamba destra, ricoverato dal 22 al 23.7.01);

Primosig Federico, colpito con manganellate e calci in particolare alle gambe e alla testa (trauma cranico, ferite lacero contuse multiple al cuoio capelluto, escoriazioni multiple agli arti e al tronco e al gluteo sinistro, frattura della falange prossimale del V dito, distorsione polso sinistro, ricoverato dal 22.7 al 1.8.01);

Provenzano Manfredi, ripetutamente percosso con manganello alla testa e alla schiena (trauma cranico, sospetta infrazione del processo stiloideo ulnare, trauma facciale, ferita lacero contusa alla fronte e filtro nasale, padiglione auricolare destro, trauma contusivi multipli al dorso, ricoverato dal 22 al 25.7.01);

Reichel Ulrich, colpito con manganello e calci alla testa, alle mani, braccia, spalla, fianco e gamba destra (trauma cranico, ferita lacero contusa cuoio capelluto, dorso naso, infrazione distale del radio-frattura del II e IV dito della mano destra, frattura ossa proprie del naso, multiple contusioni alla scapola destra, arcata costale e coscia destra);

Resche Kai Manfred, colpito con manganello alla schiena e con un pugno allo stomaco (diagnosticato trauma contusivo in regione posteriore del torace, contusioni in regione scapolare, spalla destra e dorso);

Samperiz Francisco Javier, colpito con manganello  (contusione spalla e omero destro, ferita lacero contusa al ginocchio sinistro, contusione toracica);

Sanz Mandrazo Francisco Javier, colpito con manganello (contusioni escoriate agli arti inferiori, contusione ecchimotica in regione occipitale, ematoma braccio e costato destro, ferita lacero contusa alla gamba e cresta tibiale sinistra);

Scala Roberta, colpita con manganello e con una sedia scagliata al braccio destro (contusione alla gamba destra, in regione dorsale e avambraccio destro);

Schleiting Mirco, colpito con manganellate e calci alla testa, alla schiena e alle gambe  (diagnosticati trauma cranico, ferita lacero contusa in regione frontale, contusioni alle braccia );

Schmiderer Simon, colpito con manganellate alla testa e agli arti superiori (trauma cranico con ferita lacero contusa, contusioni multiple);

Sibler Steffen colpito con manganellate (trauma cranico con ferita lacero contusa,  ferita sanguinante alla tibia destra ed ematomi sparsi su tutta la parte destra del corpo);

Sicilia Heras Jose Luis, colpito con manganellate alla testa e benché sanguinante ancora colpito allo stesso modo e con calci  (trauma cranico, trauma contusivo emitorace sinistro con vasto ematoma sottocutaneo parete posteriore, contusioni multiple, frattura di archi costali VIII e IX destri, ferita lacero contusa al cuoio capelluto, ricoverato dal 22 al 26.7.01, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Sievewright Kara, colpita con calci e manganellate (trauma cranico, contusione alla gamba sinistra, ematomi multipli alla coscia, anca e braccio sinistri);

Sparks Sherman David, colpito con manganellate e calci  (trauma cranico con ferita lacerocontusa al cuoio capelluto, contusione all’emitorace sinistro, contusioni multiple, trauma testicolare destro);

Tomelleri Enrico, colpito con manganello e con una sedia scagliata allo zigomo sinistro (trauma facciale e gamba destra);

Von Unger Moritz, colpito con manganellate alla nuca, alla spalla e al gomito sinistro e con calci alle gambe (contusioni gomito sinistro e gamba);

Wiegers Daphne, colpita con manganellate e con calci  (ferita lacero contusa al sopracciglio superiore sinistro, trauma cranio facciale, frattura stiloideo ulnare sinistra, frattura scomposta ossa nasali proprie, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);

Zapatero Garcia Guillermina, colpita con manganellate (contusione alla spalla destra ed ematoma spalla destra);

Zehatschek Sebastian, colpito con manganellate (trauma cranico orbita destra,spalla destra e torace);

Zeuner Anna Katharina, colpita con manganello (escoriazione labbro superiore e contusione al braccio destro);

Zuhlke Lena, percossa ripetutamente con manganellate alla testa e alle spalle, caduta a terra percossa con calci alla schiena e al petto, presa per i capelli e sollevata, calciata in mezzo alle gambe, sbattuta contro un muro, manganellata ancora e presa a calci al petto e al ventre, successivamente trascinata per i capelli lungo alcune rampe di scale, colpita ancora da tutti i lati con manganelli (trauma toraco-addominale, fratture costali con pneumotorace a destra e contusione polmonare – trauma cranico – contusioni multiple, ricoverata dal 22 al 31/7/01, lesioni gravi per il  conseguente indebolimento del 30% della funzione respiratoria e della locomozione del braccio e collo, con postumi da valutare ulteriormente); 

in Genova nella notte del 21 e 22 luglio 2001

 

22) NUCERA Massimo

I) Del delitto di cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2  c.p. perché,   in qualità di agente in servizio presso il VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma  della Polizia di Stato, in concorso con l’ispettore capo Panzieri Maurizio, aggregato al  medesimo Nucleo e con il comandante Canterini Vincenzo, nonchè con gli Agenti e Ufficiali di PG sottoscrittori e redattori degli atti trasmessi alla A.G. relativi all’arresto di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati (verbale di arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato) e con le persone di cui al capo sub a),  redigendo annotazione di servizio in cui descriveva il proprio operato durante l’intervento di irruzione all’interno dell’edificio  scolastico Diaz Pertini sito in Genova Via Battisti, oggetto di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS),  falsamente attestava di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata vibrata all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della divisa indossata e al corpetto protettivo interno, cosi avvalorando quanto descritto negli atti di arresto e di perquisizione e sequestro circa il comportamento di resistenza armata posta in essere dagli arrestati  e le altre false attestazioni menzionate nel capo sub f), essendo altresì formale sottoscrittore dei predetti verbali; fatto aggravato perché commesso al  fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere il reato di cui al capo d’accusa sub l), nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati durante le fasi d’ingresso all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a ottantasette di costoro, inferte in massima parte da appartenenti al proprio Reparto  e, pertanto, per assicurare a se stesso o  ad altri pubblici ufficiali l’impunità dei reati così commessi.

In Genova il 21 ed il 22.7.01

 

L) Del delitto di cui  agli artt. 368, comma I e II, 110,  81 c.p.v , 61 n. 2 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire o far conseguire ad altri l’impunita per i delitti di cui al capo h), in concorso con le persone di cui al capo sub b) e nella qualità di cui al precedente capo , facendo emergere, anche con la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie) ed in particolare nella annotazione di servizio a sua firma, trasmessa in allegato alla predetta comunicazione di notizia di reato, incolpava, sapendola innocente, persona non identificata ma compresa tra i predetti indagati, del delitto di tentato omicidio in suo danno, commesso con le modalità in tale atto descritte, nonché simulava tracce ed elementi materiali di prova a carico della stessa persona incolpata, provocando lacerazioni da taglio agli indumenti nell’occasione indossati (corpetto protettivo e giacca della divisa di ordinanza) o facendo da altri compiere la predetta operazione, con un coltello che veniva poi sequestrato in quanto corpo del reato ed il cui possesso era attribuito al presunto aggressore. 

In Genova il 21 ed il 22.7.01

 

23) PANZIERI Maurizio :

M) Del delitto di cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2 c.p. perché,   in qualità di ispettore capo, aggregato al  VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma  della Polizia di Stato, in concorso con l’agente Nucera, in forza al medesimo Nucleo e con il comandante Canterini Vincenzo, nonchè con gli Agenti e Ufficiali di PG sottoscrittori e redattori degli atti trasmessi alla A.G. relativi all’arresto di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati (verbale di arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato) e con le persone di cui al capo sub a), redigendo annotazione di servizio in cui descriveva  il proprio operato durante l’intervento di irruzione all’interno dell’edificio  scolastico Diaz Pertini sito in Genova Via Battisti, oggetto di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773  (TULPSS),  falsamente attestava di aver  assistito ad un episodio in cui l’agente Nucera, entrato assieme a lui e ad altro personale in una stanza posta al secondo piano dell’edificio in questione, “avanzava e  fronteggiava una persona munita di un oggetto, con il quale ingaggiava una colluttazione”, ed inoltre che “a seguito dell’intervento dell’altro personale componente la squadra” tale soggetto “veniva accompagnato nel punto di raccolta”, essendo successivamente venuto a conoscenza che “il summenzionato giovane era munito di arma da taglio” con la quale aveva posto in essere l’aggressione ai danni dell’agente, cosi avvalorando quanto descritto nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro circa il comportamento di resistenza armata posta in essere dagli arrestati  e le altre false attestazioni menzionate nel capo sub f), essendo altresì formale sottoscrittore dei predetti verbali; fatto aggravato perché commesso al  fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere il reato di cui al capo d’accusa sub n), nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati durante le fasi d’ingresso all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a ottantasette di costoro, inferte in massima parte da appartenenti al proprio Reparto  e, pertanto, per assicurare a se stesso o  ad altri pubblici ufficiali l’impunità dei reati così commessi.

In Genova il 21 ed il 22.7.01

 

N) Del delitto di cui  agli artt. 368, comma I e II, 110,  81 cpv, 61 n. 2 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire o far conseguire ad altri l’impunita per i delitti di cui al capo h), nella qualità di cui al precedente capo ed in concorso con le persone ivi menzionate, facendo emergere, anche con la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie) ed in particolare nella annotazione di servizio a sua firma, trasmessa in allegato alla predetta comunicazione di notizia di reato, incolpava, sapendola innocente, persona non identificata ma compresa tra i predetti indagati, del delitto di tentato omicidio in danno dell’agente Nucera, commesso con le modalità in tale atto descritte, nonché, simulava tracce ed elementi materiali di prova a carico della stessa persona incolpata, provocando lacerazioni da taglio agli indumenti nell’occasione indossati (corpetto protettivo e giacca della divisa di ordinanza) o facendo da altri compiere la predetta operazione, con un coltello che veniva poi da lui sequestrato in quanto corpo del reato ed il cui possesso era attribuito al presunto aggressore

In Genova 22.7.2001

 

24) TROIANI Pietro

O) Del delitto di  cui agli artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. perché, in concorso con le persone indicate nel capo di cui sub b)  e con l’assistente  Burgio Michele, suo diretto sottoposto, facendo emergere alcuni degli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 coindagati in stato di arresto, per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di armi da guerra ed  esplosivi,   diretta all'A.G. in data 22.7.01, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati, simulando tracce materiali costituenti elementi di prova a carico di costoro. (Nella fattispecie, nella qualità di vice Questore aggiunto, al comando di operatori appartenenti al Reparto Mobile della Polizia di Stato non meglio identificati, fra cui l’Assistente Burgio, del I° Reparto Mobile di Roma, essendo intervenuto con funzioni di supporto e comunque per assicurare le condizioni di sicurezza esterne nei luoghi  ove era in corso una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 ( TULPSS) presso l’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, consegnava, per il tramite dell’assistente Burgio da lui all’uopo diretto, due bottiglie incendiarie del tipo c.d. Molotov a colleghi e funzionari  di polizia superiori per grado, intenti alle operazioni di perquisizione ed in particolare alla ricerca di armi che riconducessero agli occupanti dell’edificio la responsabilità degli scontri avvenuti con le forze dell’ordine nei giorni precedenti e l’appartenenza al gruppo definito “Black Bloc”, così fornendo la prova sotto la specie del rinvenimento del corpo di reato a carico  degli occupanti l’edificio in cui era in atto la perquisizione, o comunque consentendo  che ne fosse  evidenziata, nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro,  la disponibilità in capo ai soggetti perquisiti, nella consapevolezza della innocenza di costoro,  avendo infatti egli stesso constatato o esattamente appreso il rinvenimento delle medesime bottiglie da parte di altro personale di polizia in luogo e contesto anche temporale  assolutamente diversi).

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22.7.01

 

P) delitto p. e p. dagli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre 1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e  9 c.p. per avere, al fine di commettere il delitto di cui al capo che precede e nella qualità ivi menzionata, in concorso con l’assistente Burgio Michele, detenuto e portato illegalmente in luogo pubblico due bottiglie incendiarie tipo “molotov”, da considerarsi arma da guerra (nella fattispecie, operando senza alcun legittimo titolo, portava le predette armi, rinvenute nel pomeriggio del 21.7.2001 in Genova, nelle adiacenze di Corso Italia e mai sottoposte formalmente a sequestro quale corpo di reato per essere messo a disposizione della A.G., a bordo di un automezzo  di servizio, trasportandole dalla Questura di Genova a Piazza Merani e da lì all’istituto  scolastico Armando Diaz- Pertini, ove poi le consegnava ad altri colleghi e funzionari); fatto commesso abusando delle qualità di pubblico ufficiale ed in violazione dei doveri inerenti alla funzione esercitata.    

 In Genova il 21 e 22 .7. 2001

 

25) BURGIO Michele

Q) Del delitto di  cui agli artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. perché, in qualità di assistente della Polizia di Stato  in servizio presso il I°  Reparto Mobile di Roma ed  in concorso con Troiani Pietro, suo diretto superiore gerarchico e con le persone indicate nel capo di cui sub b), facendo emergere alcuni degli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 coindagati in stato di arresto, per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di armi da guerra ed  esplosivi,   diretta all'A.G. in data 22.7.01, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati, simulando tracce materiali costituenti elementi di prova a carico di costoro.  (Nella fattispecie, agendo al comando del superiore Troiani, essendo intervenuto con altro personale appartenente al I Reparto Mobile di Roma, non meglio identificato, con funzioni di supporto e comunque per assicurare le condizioni di sicurezza esterne nei luoghi  ove era in corso una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, consegnava due bottiglie incendiarie del tipo c.d. Molotov a colleghi e funzionari  di polizia superiori per grado, intenti alle operazioni di perquisizione, in particolare alla ricerca di armi che riconducessero agli occupanti dell’edificio la responsabilità degli scontri avvenuti con le forze dell’ordine nei giorni precedenti e l’appartenenza al gruppo definito “Black Bloc”, così fornendo la prova sotto la specie del rinvenimento del corpo di reato a carico  degli occupanti l’edificio in cui era in atto la perquisizione, o comunque consentendo  che ne fosse  evidenziata, nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro,  la disponibilità in capo ai soggetti perquisiti, nella consapevolezza della innocenza di costoro,  avendo infatti egli stesso previamente ricevuto a bordo di un automezzo da lui condotto le medesime bottiglie da parte di altro personale di polizia in luogo e contesto anche temporale  assolutamente diversi).

In Genova, il 21 e 22. 7.01

 

R) del delitto di cui agli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre 1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e 9 c.p. perché, in concorso con Troiani Pietro, al fine di commettere il delitto di cui al capo che precede, deteneva e portava illegalmente in luogo pubblico due bottiglie incendiarie tipo “molotov”, da considerarsi arma da guerra (nella fattispecie, operando senza alcun legittimo titolo, portava le predette armi a bordo del proprio mezzo di servizio, quale agente della Polizia di Stato, dalla Questura di Genova a Piazza Merani e da lì le portava per un ulteriore tragitto fino a consegnarle a funzionari che si trovavano nei pressi del complesso scolastico Armando Diaz); fatto commesso abusando delle qualità di pubblico ufficiale ed in violazione dei doveri inerenti alla funzione esercitata.    

 In Genova il 21 e 22.7. 2001

 

26) GAVA Salvatore:

S) del reato di cui agli artt. 609, 615 c.p. , 61 n. 2 c.p. perché, al fine di commettere i delitti di cui sub u) e  v), – in qualità di Commissario Capo della Polizia di Stato aggregato alla Questura di Genova al comando di più reparti composti complessivamente da oltre cinquanta appartenenti alla Polizia di Stato - eseguiva, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni ed al di fuori dei presupposti di legge, la perquisizione  locale del complesso scolastico denominato “Diaz – Pascoli“ sito in Via Cesare Battisti 6 in uso temporaneo al gruppo denominato “Genoa Social Forum“ e la conseguente perquisizione personale di gran parte degli occupanti l’edificio con contestuale arbitraria e violenta apprensione delle cose mobile rinvenute (tra l’altro, apparecchi telefonici portatili, macchine fotografiche, videocamere, rullini, videocassette, parti interne di personal computers).

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001

 

T) del reato di cui agli artt. 110, 40, 610, 61 n. 9 cp perché – durante le operazioni di perquisizione e nella qualità di cui al capo A, in concorso con non identificati esecutori materiali appartenenti ai reparti di cui al capo che precede   o comunque non impedendo un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire – costringeva con minaccia  - consistita nell’urlare ordini in tal senso, brandendo i manganelli in dotazione – gran parte degli occupanti  l’edificio a sedersi,  inginocchiarsi o anche sdraiarsi a terra e a mantenere tale posizione per almeno mezz’ora.

Con l’aggravante di avere commesso il fatto con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001

 

U) del reato di cui agli artt. 110, 40, 635 c. 1 e c. 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7, 61 n. 9 c.p. perché – durante le operazioni di perquisizione e nella qualità di cui al capo S, in concorso con non identificati esecutori materiali appartenenti ai reparti di cui al capo che precede   o comunque non impedendo un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire – distruggeva e rendeva inservibili (spaccandoli a colpi di manganello e scaraventandoli a terra) alcuni personal computers ed alcuni apparecchi telefonici di proprietà del Comune di Genova  ed in uso temporaneo all’interno del complesso scolastico “Diaz – Pascoli “ ai gruppi denominati “Genoa Social Forum “ ed “ Associazione Giuristi Democratici “.

Con l’aggravante di avere commesso il fatto su cose esistenti in edifici pubblici ed abusando dei poteri  inerenti alle sue funzioni.

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001

(così rettificato all’udienza del 23.09.2004)

 

V)  del reato di cui agli artt. 110, 40, 314 c.p. perché – all’esito delle operazioni di perquisizione e nella qualità di cui al capo S, in concorso con non identificati appartenenti ai reparti di cui al capo che precede   o comunque non impedendo un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire – si appropriava  di parti interne (hard disk) di alcuni  personal computers di proprietà del Comune di Genova  ed in uso temporaneo all’interno del complesso scolastico “Diaz – Pascoli “ al gruppo denominato “Associazione Giuristi Democratici“, apprese nel corso della perquisizione e delle quali quindi  aveva il possesso o comunque la disponibilità per ragioni del suo ufficio.

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001

(così rettificato all’udienza del 23.09.2004)

 

28) FAZIO Luigi:

Z1) del reato di cui agli artt. 581, 61. n. 9 cp perché – strattonandolo, piegandogli un braccio dietro la schiena e colpendolo con delle manate al volto – percuoteva Huth Andreas.

Con l’aggravante di avere commesso il fatto in qualità di Sovrintendente Capo della Polizia di Stato e nel corso delle operazioni di perquisizione eseguite nella scuola “Diaz-Pascoli“ di Genova e quindi con abuso dei poteri inerenti ad una pubblica funzione.

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001

 

PROC. Riunito N. 5045/05 R.G. TRIB, N. 8341/04 GIP, n. 14525/01 NR

 

29) DI BERNARDINI

In concorso con Caldarozzi Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide e Cerchi Renzo

1)            (già capo C) della Richiesta di rinvio a Giudizio – da qui in avanti R.r.g.)

Del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. perchè, partecipando all’organizzazione (Caldarozzi, Ferri, Mortola, Dominici, Ciccimarra e Di Bernardini) e alla conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova Via Battisti, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti appartenenti a vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si concludeva con l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, al fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere i reati di cui ai capo d’accusa sub d) ed e) R.r.g., nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati in occasione della irruzione  all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a ottantasette di costoro e, pertanto, per assicurare l’impunità dei reati commessi ai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali condotte, in concorso tra loro, ciascuno come sottoscrittore dei verbali di arresto e/o perquisizione (Mortola e Dominici anche della comunicazione notizia di reato) e con altro ignoto operatore sottoscrittore del verbale di arresto, nonché con gli altri funzionari dirigenti della Polizia di Stato indicati al capo a) R.r.g. e con la persona di cui al capo f) R.r.g., negli atti trasmessi alla A.G. il 22.7.2001, in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (verbali di arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato), attestavano fatti e circostanze non corrispondenti al vero.

(Nella fattispecie, nelle rispettive qualità e ruoli operativi :

Caldarozzi di primo dirigente, vice direttore del Servizio Centrale Operativo

Mortola di primo dirigente, dirigente della Digos della Questura di Genova,

Dominici di primo dirigente, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Genova,

Ferri di vice questore aggiunto, dirigente della Squadra Mobile della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova,

Ciccimarra, di vice questore aggiunto, in servizio presso la Squadra Mobile di Napoli,aggregato alla Questura di Genova,

 Di Bernardini, di vice questore aggiunto in servizio presso la Squadra Mobile di Roma, aggregato alla Questura di Genova;

Di Sarro, di vice Questore aggiunto  in servizio presso la Digos della Questura di Genova

Mazzoni, di ispettore capo in servizio presso il Servizio Centrale Operativo;

 Di Novi, di ispettore superiore della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova          

Cerchi, di sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova essendo presenti sui luoghi mentre si svolgevano le operazioni di irruzione all’interno dell’edificio scolastico oggetto della programmata perquisizione, durante le successive operazioni di raccolta degli oggetti e materiali che venivano appresi per essere sottoposti a sequestro,nonché durante la collocazione, sempre all’interno del medesimo istituto, del reperto costituito da due bottiglie incendiarie c.d. Molotov, avendo quindi constatato:

-                l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante l’operazione, anche per le modalità stesse  con le quali la perquisizione era stata condotta;

-                l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto;

-                infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro, soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni a pubblico ufficiale, associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio;     

attestavano falsamente (Ciccimarra, Ferri e Di Bernardini, anche come materiali estensori del verbale di arresto, Mazzoni del verbale di perquisizione e sequestro ): 

-                di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un fittissimo lancio di pietre e oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;

-                di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli ed armi improprie;

-                che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato come  arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati;

-                di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio;

e comunque, benché consapevoli della non corrispondenza dei fatti descritti nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro e nelle informative di reato a quanto nella realtà accaduto,non si opponevano in tutto o in parte alla falsa rappresentazione in tali atti contenuta;

infine i sottoscrittori del verbale di perquisizione falsamente attestavano la circostanza che durante tale operazione “gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”.

In Genova 22.7.2001

 

2) (già capo D) della R.r.g.)

Delitto p. e p. dagli artt.110,  368, comma I e II, 61 n.2 c.p., 81 cpv c.p. perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere il delitto di cui sub e) R.r.g. nonché per assicurare l’impunità del delitto di cui sub h) R.r.g, in concorso con i soggetti menzionati al capo b) R.r.g., nella medesima qualità di cui al precedente capo, facendo emergere, anche con la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), simulando tracce od elementi materiali di prova a carico delle stesse persone incolpate, procedendo al sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti strumentalmente descritti e qualificati come armi improprie utilizzate dagli indagati o nella loro disponibilità (fra cui coltellini multiuso ed a serramanico, attrezzi provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso l’istituto, barre metalliche costituenti supporti di zaini estratte nell’occasione), nonché di due bottiglie molotov, provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto, non riconducibili pertanto ai predetti indagati singolarmente o collettivamente considerati,ovvero ancora sequestrando capi di abbigliamento di colore nero o scuro, nella consapevolezza della impossibilità, anche dolosamente preordinata, di poterne parimenti attribuire ad alcuno un possesso, infine attraverso le false attestazioni indicate nel capo di accusa che precede, circa gli  atti di resistenza armata e di massa o condotte di resistenza attiva e violenta,  tali da giustificare l’uso della forza da parte degli operatori di Polizia, che avevano proceduto alla irruzione nell’edificio e il conseguente elevatissimo numero di feriti presenti tra gli arrestati;

in Genova 22.7.2001

In concorso con Luperi Giovanni, Gratteri Francesco, Caldarozzi Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide, Cerchi Renzo

 

3) (già capo E) della R.r.g.)

Delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p., perché, nelle rispettive qualità e ruoli descritti ai precedenti capi di accusa e nello svolgimento delle loro funzioni, all’esito della operazione di polizia, richiamata nei medesimi capi,  nel corso della quale veniva eseguita una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova, Via Battisti, in dolosa violazione di norme di legge (artt. 13 e 27 Cost., 380, 381, 382, 389 c.p.p.), in concorso tra loro, pervenivano alla decisione e, conseguentemente, eseguivano l’indiscriminato arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso,  per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza di  elementi che giustificassero l’adozione di tale misura nei confronti di ciascuna delle predette persone, pur indicando titoli di reato che astrattamente avrebbero consentito l’arresto ad iniziativa della P.G., così intenzionalmente cagionando alle stesse un danno ingiusto consistito nella privazione della libertà personale. (Nella fattispecie, anche avvalendosi delle condotte descritte nei precedenti capi di accusa, veniva eseguito l’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone, tutte senza distinzione denunciate come responsabili dei delitti loro ascritti in concorso (i.e. associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), senza disporre per ognuno di loro di concreti elementi su cui fondare una responsabilità personale, in particolare:

-  deliberatamente omettendo di attribuire a ciascuno il possesso dei vari reperti che  venivano posti in sequestro e considerati elementi di prova a carico di tutti gli arrestati;

- strumentalmente qualificando reperti come armi improprie in possesso illegale  degli arrestati;

- deliberatamente omettendo di specificare le circostanze concrete dell’arresto di Mark Covell,  fermato e gravemente ferito da operatori di Polizia non identificati  all’esterno dell’edificio, in fase addirittura antecedente alla irruzione e quindi alla commissione dei reati di resistenza aggravata e violenza a pubblico ufficiale, ovvero le circostanze in cui altri soggetti venivano arrestati, alcuni al di fuori dell’edificio, altri colti nel sonno, comunque nella evidente situazione di estraneità quantomeno ad azioni di resistenza;

- dolosamente omettendo di considerare circostanze in fatto concretamente valutabili e quelle sopra indicate, che  avrebbero comportato comunque l’obbligo di disporre l’immediata liberazione degli  arrestati in particolare l’assoluta non riferibilità a tutti ed a ciascuno della flagrante commissione dei reati contestati  .   

In Genova 22.7.2001

 

PROC. riunito N. 1079/08 DIB, n. 6115/05 GIP, 2774/04 NR

 

TROIANI PIETRO

del delitto di cui agli artt. 110, 479 c.p. perché, in concorso con le persone indicate nel capo di cui sub b) nel procedimento connesso 14525/01 per cui si procede separatamente, nella qualità di vice Questore aggiunto, al comando di operatori appartenenti al Reparto Mobile della Polizia di Stato non meglio identificati, fra cui l’Assistente Burgio, del 1° Reparto Mobile di Roma, essendo intervenuto con funzioni di supporto e comunque per assicurare le condizioni di sicurezza esterne nei luoghi ove era in corso una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18.06.1931 n. 773 (TULPSS) presso l’edificio scolastico A. Diaz-Pertini, con la condotta di cui al capo o) del procedimento sopra richiamato, avendo consegnato, per il tramite dell’assistente Burgio da lui all’uopo diretto, due bottiglie incendiarie del tipo c.d. Molotov a colleghi e funzionari di polizia superiori per grado, intenti alle operazioni di perquisizione ed in particolare alla ricerca di armi che riconducessero agli occupanti dell’edificio la responsabilità degli scontri avvenuti con le forze dell’ordine nei giorni precedenti e l’appartenenza al gruppo definito “Black Bloc”, consentiva che ne fosse evidenziata, da parte degli estensori e sottoscrittori dei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro, la disponibilità in capo agli occupanti l’edificio in cui era in atto la perquisizione, con la falsa attestazione nei predetti atti del rinvenimento delle bottiglie incendiarie nel contesto descritto, all’interno della scuola perquisita o nelle pertinenze della stessa, avendo invece egli stesso constatato o esattamente appreso il rinvenimento delle medesime bottiglie da parte di altro personale di polizia in luogo e contesto anche temporale assolutamente diversi.

In Genova, nella notte tra il 21 ed il 22.07.01.

 

GAVA Salvatore:

del reato di cui all’art. 479 c.p. per avere in qualità di Commissario Capo della Polizia di Stato aggregato alla Questura di Genova, attestato, in maniera non conforme al vero, sottoscrivendo il relativo verbale di perquisizione e sequestro, trasmesso alla A.G. il 22.07.2001, in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, di aver “proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi, strumenti di offesa ed altro materiale”;

In Genova, 21-22.07.01

 

CON LE PARTI CIVILI:

 

1. ALBERTI MASSIMO, nato a Brescia il 07/04/1978

C.F. = LBR MSM 78D 157R

Residente a Brescia, Via Cerca 12

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Manlio VICINI del Foro di Brescia, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

2. ALBRECHT  DANIEL THOMAS, nato a DRESDEN (RFT) il 9/11/1979 

C.F. = LBR DLT 79S 09Z 112Z

Residente a Berlino, Koepenickerstrasse n. 93

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

3. ALEINIKOVAS TOMAS, nato a SIAULIAI (Lituania) il 3/2/1981

C.F. = LNK TMS 81B 03Z 146P

Residente a Siauliai in Lituania, Darbininku g. 37

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza dibattimentale del 19/05/2005 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 nel procedimento nr.  5045/05 DIB poi riunito al presente

4. ALLUEVA FORTEA ROSANA, nata a TERUEL (E) il 16/09/1980

C.F. = LLV RSN 80P 56Z 131H

Residente in Monreal del Campo, Calle Saragoza n. 1 (Spagna)

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Emanuele TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

5. ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI DI GENOVA

C.F. = 95105040109

In persona del legale rappresentante pro tempore,

con sede in Genova, Salita Salvatore Viale 5/8 s

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Emilio ROBOTTI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

6. BACHMANN BRITTA AGNES, nata a RHEINFELDEN (Germania) il 15/07/1977

C.F. = BCH BTT 77L 55Z 112A

Residente a Berlino (Germania) Weserstrasse 56

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

7. BACZAK GRZEGORZ, nato a NOWY TOMYSL (Polonia) il 3/3/1982

C.F. = BCZ GZG 82C 03Z 127H

Residente in Szczelin (Polonia) Vl Jasna 95/7

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gianluca VITALE del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

8. BALBAS RUIZ AITOR, nato a PAMPLONA (ES) IL 9/10/1970

C.F. = BLB TRA 70R 09Z 131I

Residente in Pamplona, Travercia de Acella 6

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Ezio MENZIONE del Foro di Pisa, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr.  8341/04 GIP poi riunito al presente

9. BARO WOLFGANG KARL, nato a GIENGEN AN DER BRENZ (RFT) il 27/11/1970

C.F. = BRA WFG 70S 27Z 112I

Residente a Berlino (RFT) Liegnitzerstrasse 10

Domiciliato presso lo studio dell’Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza dibattimentale del 06/04/2005

10. BARRINGHAUS GEORG, nato a Recklinghausen  (GERMANIA) il 26/11/1981

C.F. = BRR GRG 81S 26Z 112V

Residente a Colonia (Germania) Nussbaumer Strass 252

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Raffaella MULTEDO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

11. BARTESAGHI ENRICA (madre di Bartesaghi Gallo Sara) nata a Mandello del Lario (Lc) il 15/11/1954

C.F. = BRT NRC 54S 55E 879W

Residente ad Abbadia Lariana, Via Parrocchiale 22

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

12. BARTESAGHI GALLO SARA, nata a Lecco 7/5/1980

C.F. = BRT SRA 80E 47E 507K

Residente ad Abbadia Lariana, Via Parrocchiale 22

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente, all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente

13. BERTOLA MATTEO, nato a Lecco il 4/7/1971

C.F. = BRT MTT 77L 04E 507R

Residente in Lecco, Via dell’Eremo 28d

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Mirko MAZZALI del Foro di Milano, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

14. BIANCO PAOLA nata a Torino il 12/04/1963

C.F. = BNC PLA 63D 52L 219G

Residente in Torino, Lungodora Savona 16

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Maria D’ADDABBO del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

15. BLAIR JONATHAN NORMAN, nato a NEW PORT (GB) il 31/3/1963

C.F. = BLR JTH 63C 31Z 114G

Residente a Londra (Gb) 37 Honover Road

Procuratore  speciale avv. Richard Parry di Londra

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Maria D’ADDABBO del Foro di Roma

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza dibattimentale  del 29/06/05 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

16. BODMER FABIENNE NADIA,  nata a ZURIGO (Svizzera) il 26/10/1979

C.F. = BDM FNN 79R 66Z 133T

Residente a Zurigo (Svizzera), Trichtenhausenstrasse  144

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Lorenzo TRUCCO del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

17. BRAUER STEFAN, nato a  Berlino (Germania) il 24/07/1971

C.F. = BRR SFN 71L 24Z 112D

Residente a Berlino (Germania) Fehrbelliner Strasse 6

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Fausto GIANELLI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza dibattimentale del 06/04/2005

18. BRIA FRANCESCA nata a Roma l’11/11/1977

C.F. = BRI FNC 77S 51H 501U

Residente a Roma in Via Cortina d’Ampezzo 60

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

19. BROERMANN GROSSE MIRIAM, nata a FRANKFURT AM MAIN (Germania) l’8/11/1979

C.F. = BRR MRM 79S 48Z 112T

Residente a Berlino, Lichtenrader Strasse 11

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Laura TARTARINI  del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

20. BRUSCHI VALERIA, nata a FERRARA il 26/2/1975

C.F. = BRS VLR 75B 66D 548X

Residente a Berlino (Germania) Mulacksrasse 18

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Emanuele TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

21. BRUSETTI RONNY nato a Milano il 10/03/1976

C.F. = BRS RNY 76C 10F 205N

Residente a Seregno (Mi), Via B. Brecht 18

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

22. BUCHANAN SAMUEL, nato a PARAPARAUMU (Nuova Zelanda) il 2/06/1965

C.F. = BCH SML 65H 02Z 719Q

Residente in Peakakariki (Nuova Zelanda) 34 Ocean Road

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

23. CEDERSTROM INGRID THEA HELENA, nata a JONKOPING (Svezia) il 29/11/1976

C.F. = CDR NRD 76S 69Z 132F

Residente in Malmo (Svezia) in Amiralsgatan 1

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Sandro CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale 

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

24. CESTARO ARNALDO, nato ad AGUGLIARO (Vi) l’11/5/1939 

C.F. = CST RLD 39E 11A 093A

Residente in Agugliaro (Vi) Via Roma 1

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Aurelio DI RELLA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 03/07/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

25. CHMIELEWSKI MICHAL, nato a OSTROW WIELKOPOLSKI  (POLONIA)  il 25/10/1979

C.F. = CHM MHL 79R 25Z 127H

Residente a Lewkow (Polonia) ul. Kwiatkowska 4/10

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

26. CIRIO DANIELE nato a Firenze l’01/11/1978

C.F. = CRI DNL 78S 01D 612G

Residente in Firenze, Via Vittorio Emanuele 126

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Federico MICALI del Foro di Firenze, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

27. COBAS (CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE)

Nella persona del legale rappresentante e Presidente Domenico Teramo nato a Roma il 16/01/1962

C.F. = TRM DNC 62A 16H 501Y

Corrente in Via Sannio 61 - Roma

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Simonetta CRISCI del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza dibattimentale del 06/04/2005 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

28. COELLE BENJAMIN, nato a FILDERSTADT (Germania) il 3/2/1980

C.F. = CLL BJM 80B 03Z 112H

Residente a Berlino (Germania) Auguststrasse 91

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP  poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente

29. CORDANO ENRICO nato a Genova il 25/06/1948

C.F. = CRD NRC 48H 25D 969W

Residente in Genova, Salita Superiore San Gerolamo 55 A/1

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

30. COSTANTINI MASSIMO nato a Savona il 29/06/1956

C.F. = CST MSM 56H 29I 480C

Residente in Genova Piazza Boccanegra 1/6

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

31. COVELL MARK WILLIAM, nato a Londra (GB) il 17/8/1967

C.F. = CVL MKW 67M 17Z 114D

Residente a Londra (Gb) 98 Queen’s Park Court

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Massimo PASTORE del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

32. CUNNINGAM DAVID JOHN, nato a Stratford-Ontario (CANADA)  il 4/7/1978

C.F. = CNN DDJ 78L 04Z 401Z

Residente in 406-251 Union Street, Vancouver (Canada)

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fausto GIANELLI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza dibattimentale del 19/05/2005

33. DIGENTI  SIMONA, nata a DIELSDORF (Svizzera) il 9/3/1980

C.F. = DGN SMN 80C 49Z 133W

Residente in Rumlang (Svizzera) Obermattenstrasse 25

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Emanuele TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB  poi riunito al presente

34. DI PIETRO ADA ROSA, nata a Brescia il 21/10/1976

C.F. = DPT DRS 76R 61B 157V

Residente in Darfo Boario Terme (Bs) Vicolo S. Gaudenzio 10

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Patrizia MALTAGLIATI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 14/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

35. DOHERTY NICOLA ANNE, nata a ELGIN (Scozia) il 24/7/1974

C.F. = DHR NLN 74L 64Z 114Z

Residente a Londra (Gb) Mercers Road 97B

Procuratore speciale avv. Matthew Isaac Foot di Londra

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza dibattimentale 6/4/05 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

36. DREYER JEANNETTE SYBILLE, nata a WEINHEIM (Germania) il 19/01/1970

C.F. = DRY JNT 70A 59Z 112P

Residente a Weinheim (Germania) Stettinerstrasse 18

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

37. DUMAN MESUT, nato a KIEL (Germania) il 19/11/1975

C.F. = DMN MST 75S 19Z 112N

Residente in Schopfheim (Germania) Haupstrasse n. 120/d

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gianluca VITALE del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

38.ENGEL  JAROSLAW JACEK, nato a WROCLAW (Polonia) il 5/7/1972

C.F. = NGL JCK 72L 05Z 127E

Residente in Wroclaw (Polonia), via Pilawska 8/7

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

39. FASSA LILIANA  (madre di Di Pietro Adarosa) nata a Brescia il  15/02/1949

C.F. = FSS LLN 49B 55B 157A

Residente in Darfo Boario Terme (Bs) Vicolo S. Gaudenzio 10

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Alessio CONTI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza dibattimentale del 06/04/2005 e all’udienza dibattimentale 14/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

40. FLETZER ENRICO nato a Treviso il 22/10/1956

C.F. = FLT NRC 56R 22L 407C

Residente in Venezia, San Marco 1776

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

 Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

41. FNSI (FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA ITALIANA)

C.F. 01407030582

Nella persona del legale rappresentante pro tempore

Corrente in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 349

Difesa da avv. Bruno DEL VECCHIO del Foro di Roma, procuratore speciale

Domiciliata presso lo studio dell’avv. Laura Tartarini del Foro di Genova

Costituitasi all’udienza dibattimentale del 19/05/2005

42. FORTE MAURO nato a Portici (Na) il 03/09/1966

C.F. = FRT MRA 66P 03G 902X

Residente a Napoli in Via Monteoliveto 86

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Luca MOSER del Foro di Modena

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

43. GALANTE STEFANIA, nata a Padova il  09/01/1972

C.F. = GLN SFN 72A 49G 224B

Residente a Padova in Via Germiniani 7

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Aurora D’AGOSTINO del Foro di Padova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

44. GALEAZZI LORENZO nato a Milano il 25/11/1977

C.F. = GLZ LNZ 77S 25F 205X

Residente a Bologna, Via della Salita 21

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Francesco ROMEO del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

45.GALLOWAY IAN FARREL, nato a BALTIMORA (USA) il 21/3/1975

C.F. = GLL NRR 75C 21Z 404K

Residente in 1/2  W. Marchall Street Richmond VA (USA) 7PN

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 23/09/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

46. GANDINI ETTORINA nata ad Albenga (Sv) il 22/11/1945

C.F. =  GND TRN 45S 62A 145Z

Residente in Cornaredo (Mi) Via Colombo 90

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano

Costituitasi il 10/03/2005 con deposito in cancelleria e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB  poi riunito al presente

47. GATERMANN CHRISTIAN, nato ad AMBURGO il 13/10/1971

C.F. = GTR CRS 71R 13Z 112F

Residente in Amburgo (Germania) Borselstrasse 11

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

48. GENOA SOCIAL FORUM

Nella persona del suo portavoce e presidente pro-tempore Vittorio Agnoletto, nato a Milano il 06/03/1958

C.F. = GNL VTR 58C 06F 205S

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costitutitosi all’udienza dibattimentale del 06/04/2005 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

49. GIESER MICHEL ROLAND nato a Solentuna (Svezia) il 12/11/1965

C.F. = GSR MHL 65S 12Z 132W

Residente a Brugge in Belgio, Diksmuidse Heerweg 328

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Massimo PASTORE del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

50. GIOVANNETTI IVAN, nato a Milano l’1/12/1977

C.F. = GVN VMC 77T 01F 205C

Residente in Cornaredo (Mi) in via C. Colombo 90

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gianluca SACCO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

51. GÖL SUNA, nata a ICEL (Turchia) il 16/5/1965

C.F. = GLO SNU 65E 56Z 243D

Residente ad Allshwill, Basilea (Svizzera) Bettenstrasse 10

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Massimo PASTORE del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

52. HAGER MORGAN KATHERINE, nata a Portland in Oregon  (USA) 12/5/1981

C.F. = HGR KHR 81E 52Z 404B

Residente a Portland in Oregon (USA) 9211 S.W. 36th

Procuratore speciale Susan Hager (madre)

Domiciliata presso lo studio del difensore avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

53. HALDIMANN FABIAN, nato a Basilea (CH) il 20/04/1979

C.F. = HLS FBN 79D 20Z 133U

Residente ad Arisdorf (Ch) Hauptstrasse 38

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Piero AGUSTONI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

54. HEGLUND CECILIA, nata a STOCCOLMA il 29/01/1975

C.F. = HGL CCL 75A 69Z 132Y

Residente a Bandhagen - Stockholm (Svezia), Läggestavägen 23 - C.A.P. 12431.

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Nicola CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/04 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

55. HEIGL MIRIAM, nata a MONACO di BAVIERA  (Germania) il 17/11/1975

C.F. = HGL MRM 75S 57Z 112Q

Residente  Monaco di Baviera (Germania) Semmeringstrasse 7

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

56. HERRERO VILLAMOR DOLORES, nata a MADRID (E) il 31/1/1937

C.F. = HRR DRS 37A 71Z 131R

Residente a Brema (Germania) Berlinerstrasse 4

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/08  GIP poi riunito al presente

57. HERRMANN JENS, nato a WEHRDA (RFT) il 13/10/1972

C.F. = HRR JNS 72R 13Z 112Z

Residente a Berlino (RFT) Brunnenstrasse 183

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

58. HERRMANN JOCHEN, nato a RUSSELHEIM (Germania) il 8/09/1981

C.F. = HRR JHN 81P 08Z 112Y

Residente a Bensheim (RFT) Darmstaedterstrasse 245

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

59. HINRICHSMEYER THORSTEN, nato ad AMBURGO (Germania) il 4/6/1973

 C.F. = HNR TRS 73H 04Z 112E

Residente ad Amburgo (Germania) Ludwigstrasse 8

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Marco CAFIERO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr.  8341/04 GIP poi riunito al presente

60. HUBNER TOBIAS, nato a MONACO (Germania) il 12/1/1976

C.F. = HBN TBS 76A 12Z 112G

Residente a Monaco (Germania)  Georgenstrasse 102

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Liana NESTA del Foro di Napoli, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

61. HUTH ANDREAS nato a Magdeburgo (Germania) il 28/03/1973

C.F. = HNT NRS 73C 28Z 112E

Residente in Berlino (germania) Schwedter Strasse 262

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Francesca COSTA del Foro di Genova

Costituitosi all’udienza dibattimentale del 06/04/2005

62. JAEGER  LAURA, nata a LAUTERBACH (Germania) il 15/02/1981

C.F. = JGR LRA 81B 55Z 112T

Residente in Calle Marina 132, Barcellona (Spagna)

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Claudio NOVARO del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/04, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr.  6115/05 GIP poi riunito al presente

63. JONASCH MELANIE, nata a KEMPTEN ALLGAU (RFT) il 12/01/1973

C.F. = JHS MLN 73A 52Z 112B

Residente a Berlino (RFT)  Brunnenstrasse 7

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

64. KRESS HOLGER, nato a PUERTO ORDAZ (Venezuela) il 25/7/1979

C.F. = KRS HGR 79L 25Z 614J

Residente ad Amburgo (Germania) Hebebrandstrassen 2a

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

65. KUTSCHKAU ANNA JULIA, nata a BERLINO (Germania) il 23/6/1980

C.F. = KTS NJL 80H 63Z 112C

Residente a Berlino (Germania) Reichenbergerstrasse 125

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Riccardo PASSEGGI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr.  6115/05  GIP poi riunito al presente

66. LELEK STELLA nata a Herne in Germania il 28/09/1981

C.F. = LLK SLL 81P 68Z 112Z

Residente a Oer Erkenschwick 45739 (Germania), Johannesstrasse 30

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

67. LUPPICHINI MANOLO nato a Roma il 25/10/1963

C.F. = LPP MNL 63R 25H501W

Residente a Roma in Lungo Tevere dei Mellini 30

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

68. LUTHI NATHAN RAPHAEL, nato a WOHLEN (Svizzera) il 25/8/1978

C.F. = LHT NHN 78M 25Z 133U

Residente a Zurigo in Svizzera, Brauedstrasse 9

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Lorenzo TRUCCO del Foro di Torino, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

69. MARCUELLO FELIX PABLO, nato a SARAGOZZA (E) il 5/11/1965

C.F. =MRQFXP65S05Z131D

Residente in Saragozza, Calle Josè De Ancheta 1

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Alessandro GAMBERINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

70. MARTENSEN NIELS, nato a KAPPELN (Germania) l’8/1/1977

C.F. = MRT NLS 77A 08Z 112D

Residente ad Amburgo (Germania) Ebertalle 30

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Francesca COSTA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr.  8341/04 GIP poi riunito al presente

71 .MARTINEZ FERRER ANA, nata a  BARCELLONA (E) il 20/10/1975

C.F. = MRT NAA 75R 60Z 131Y

Residente in Tarazona, Fueros De Aragon 54, 2/a (Spagna)

Procuratore speciale avv. Laia Serra Perellò di Barcellona

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Emanuele TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza dibattimentale del 6/4/05 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr.  5045/05 DIB poi riunito al presente

72. MASSO’ PAZ GUILLERMO, nato a FERROL (ES) il 28/9/1976

C.F. = MSS GLR 76P 28Z 131U

Residente in Saragozza, Via Ateca 38/3°

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Emanuele TAMBUSCIO, Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento  nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr.  6115/05 GIP poi riunito al presente

73. MASU ANDREA nato a Cremona il 02/08/1970

C.F. = MSA NDR 70M 02D 150T

Residente a Bologna in Via Alessandrini 13

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Luca MOSER del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

74. MC QUILLAN DANIEL MARC THOMAS nato a  NORTHAMPTON (GB) il 23/9/1963

C.F. = MCQ DLM 63P 23Z 114I

Residente a Londra (Gb) 69 Tower Garden Road N17 7PN

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano , procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento  nr.  5045/05 DIB poi riunito al presente

75. MESSUTI RAFFAELE nato a Maratea (Pz)  il 18/06/1979

C.F. = MSS RFL 79H 18E 919R

Residente a Nemoli (Pz) in Via Lago Sirino 101

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

76. MIRRA CHRISTIAN, nato a BENEVENTO il 14/6/1977

C.F. = MRR CRS 77H 14A 783Y

Residente a Benevento, Via Manfredi di Svevia 15

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

77. MORET FERNANDEZ DAVID, nato a LLEIDA (E) il 7/11/1971

C.F. = MRT FNN 71S 07Z 131G

Residente in Lleida (Spagna)  C/Rambla de Ferran 52, 5°-3^

Procuratore speciale avv. David Burgos Marco di Saragozza

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Ermanno DALLORTO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza dibattimentale 6/4/05 e all’udienza dibattimentale 14/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

78. MOTH RICHARD ROBERT, nato a PORTSMOUTH (GB) il 9/11/1968

C.F. = MTH RHR 68S 09Z 114O

Residente in 97b Mercers Road, Londra

Procuratore speciale avv. Matthew Isaac Foot di Londra

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simonetta CRISCI del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

79. NANNI MATTEO nato a Genova il 28/12/1970

C.F. = NNN MTT 70R 28D 969N

Residente a Freiburg Germania, Neubergweg 2

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

80. NATHRATH ACHIM, nato a MONACO DI BAVIERA (Germania) il 31/12/1969

C.F. = NTH CHM 69T 31Z 112D

Residente a Monaco di Baviera (Germania) in Waldhornstrasse 101

Difeso da avv. Michael Hofmann del Foro di Monaco di Baviera (D), procuratore speciale,  di concerto con l’avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, ex art. 6 lett. B legge 31/1982

Domiciliato presso lo studio dell’Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

81. NOGUERAS CHABIER FRANCHO CORRAL, nato a SARAGOZZA (E) il 14/02/1965

C.F. = NGR FNC 65B 14Z 131P

Residente in Saragoza (Spagna) Anselmo Gascon de Gotor 9/3 izda

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Antonio LERICI del foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr.  8341/04 GIP poi riunito al presente

82. OLSSON  HEDDA KATARINA, nata a  AKKHLGONA  (SVEZIA) il 1/5/1981

C.F. = LSS HDK 81E 41Z 132U

Residente a Malmo (Svezia) in Amiralsgatan 1

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Nicola CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

83. OTTOVAY KATHRIN, nata a MUNCHEN (GERMANIA) il 9/11/1978

C.F. = TTV KHR 78S 49Z 112Y

Residente a Berlino in Urbanstrasse 67 - Germania

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Andrea VERNAZZA del Foro di Chiavari, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

84. PANCIOLI GUADAGNUCCI LORENZO, nato a PESCIA  (PT) il 3/12/1963

C.F. = PNC LNZ 63T 03G 491K

Residente in Firenze via Ugo Foscolo 11

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Alfredo GALASSO del Foro di Palermo, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

85. PATZKE JULIA, nata a  DANNENBERG ELBE (RFT)  il  5/7/1980

C.F. = PTZ JLU 80L 45Z 112T

Residente a Langendorf, Elbuferst 5 29484

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr.  5045/05 DIB poi riunito al presente

86. PAVARINI FEDERICO nato a Parma il 18/02/1977

C.F. = PVR FRC 77B 18G 337U

Residente a Guidonia Montecello (Roma) Via del Cigno 11

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Francesco ROMEO del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

87. PERRONE VITO, nato a FOGGIA il 20/12/1977

C.F. = PRR VTI 77T 20D 643L

Residente in Foggia, Via Papa Leone XIII n. 79

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Felicia (detta Licia) D’AMICO del Foro di Roma, procuratore specale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

88. PETRONE ANGELA, nata a FOGGIA il 19/6/1980

C.F. = PTR NGL 80H 59D 643E

Residente a a Foggia in Via Borrelli 47

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Mino CAVALLO del Foro di Taranto, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

89. PODOBNICH GABRIELLA nata a Trieste il 18/06/1959

C.F. = PDB GRL 59H 58L 424V

Residente in San Pietro in Casale (Bo) Via Massumatico 4121B

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

90. POLLOK  RAFAEL, nato a Klausberg/Beuthen (Polonia) il 3/1/1976

C.F. = PLL RFL 76A 03Z 127

Residente a Berlino (Germania) Boxhagenerstrasse 22

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente e all’udienza preliminare del 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente

91. PRIMOSIG FEDERICO, nato a ROMA il 28/12/1978

C.F. = PRM FRC 78T 28H 501D

Residente a Roma, Via A. D. Gabbiani 60

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Giuseppe Maria NADALINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

92. PROVENZANO MANFREDI, nato a PALERMO il 28/3/1982

C.F. = PRV MFR 82C 28G 273O

Residente in Roma,Via Monte delle Gioie n. 24

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Paolo Angelo SODANI del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB  poi riunito al presente

93. RADIO ONDA D’URTO ASSOCIAZIONE CULTURALE

C.F. = 02084620174

Con sede in Brescia, Via Luzzago 2/b, nella persona del Presidente pro tempore

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Manlio Vicini del Foro di Brescia, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

94. RESCHKE  KAI MANFRED, nato a DETTELBACH (GERMANIA) il 26/2/1982

C.F. = RSC KNF 82B 26Z 112F

Residente a Mannheim in Germania,  Werftstrasse n. 19

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

95. SAMPERIZ BENITO FRANCISCO JAVIER, nato a SARAGOZZA il 14/5/1976

C.F. = SMP FNC 76E 14Z 131U

Residente a Saragozza (E) Calle Maria Zambrano 10/3b

Procuratore speciale avv. Riccardo Passeggi del Foro di Genova

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Ermanno DALLORTO del  Foro di Genova

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

96. SANZ MADRAZO FRANCISCO JAVIER, nato a PINEL DE ABAJO (ES) il 3/12/1963

C.F. = SNZFNC63T03Z131M

Residente in Saragozza (Spagna) Calle Fueros de Aragò 54

Procuratore speciale avv. Ramon Campos Garcia di Saragozza

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Andrea VERNAZZA del Foro di Chiavari, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 6/4/05

97. SCALA ROBERTA, nata a CAPRINO VERONESE (VE) il 19/11/1974

C.F. = SCL RRT 74S 59B 709E

Residente a CAPRINO VERONESE Via Gamberon 1/a, domicilio dichiarato

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Andrea SANDRA del Foro di Udine, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

98. SCHIAVI GLORIA nata a Clusone (BG) il 03/06/1955

C.F. = SCH GLR 55H 43C 800W

Residente a Torino Via S. Ottavio 56

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Maria D’ADDABBO del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

99. SCHLEITING MIRCO, nato a DUISBURG (GERMANIA) il 25/5/1976 

C.F. = SCH MRC 76E 25Z 112B

Residente in Kettelerstrasse 26 – Oberhausen - Germania

Domiciliato presso lo studio dell’Avv. Andrea SANDRA del Foro di Udine, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

100. SCHMIEDERER SIMON, nato a OBERKIRCH (GERMANIA) il 28/06/1978

C.F. = SCH SMN 78H 28Z 112S

Residente a Berlino in Germania, in Rigaerstrasse 83

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Stefano BIGLIAZZI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

101. SCRIBANI GIUSEPPE, nato a Genova il 16/10/1972

C.F. = SCR GPP 72R 16D 969K

Residente a Genova, Vico San Luca 2/4

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

102. SIBLER STEFFEN, nato a BERLINO (GERMANIA)  il 31/01/1978

C.F. = SBL SFF 78A 31Z 112J

Residente a Berlino in Germania, Gorlitser Strasse 37

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv.  Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

103. SICILIA JOSE’ LUIS, nato a BUENOS AJRES (ARGENTINA) il 17/11/1959

C.F. = SCL JLS 59S 17Z 600M

Residente in Saragozza, Cores De Aragon 24/6c

Procuratore speciale avv. Michela Miraglia del Foro di Genova

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Alessia VASSALLO del Foro di Genova

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

104. SIEVEWRIGHT KARA nata a Vancouver-British Columbia in CANADA il 10/8/1977

C.F. = SVW KRA 77M 50Z 401Z

Residente a Vancouver in 657 East 12th Street (Canada)

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fausto GIANELLI del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitasi parte civile all’udienza dibattimentale del 19/05/2005

105. SOC. COOP LABORATORIO 2001

Nella persona del procuratore speciale sig.ra MORANDO Daniela

C.F. = MRN DNL 69D 69H 501L

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Simonetta CRISCI del Foro di Roma, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

106. SVENSSON JONAS TOMMJ, nato a Tofteryd (SVEZIA) il 12/10/1971 

C.F. = SVN JNS 71R 12Z 32J

Residente a Malmo (Svezia) in Amiralsgatan 1

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Nicola CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente

107. SZABO JONAS, nato a NURNBERG (GERMANIA) il 24/2/1980

C.F. =  SZB JNS 80B 24Z 112P

Residente a Nurnberg (Germania) in Knauerstrasse 3

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza dibattimentale 06/04/05

108. TOMELLERI ENRICO, nato a ISOLA DELLA SCALA (VR) il 16/1/1979

C.F. =TML NRC 79A 16E 349C

Residente a Buttapietra, ViaCarducci 1

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Andrea SANDRA del Foro di Udine, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

109. TREIBER THERESA, nata a MONACO di BAVIERA (GERMANIA) il 9/8/1967

C.F. = TRB TRS 67M 49Z 112Q

Residente in Kirchenstraβe 26, 81675 Monaco di Baviera (Germania)

Procuratore speciale  avv. Michael Hofman del Foro di Monaco di Baviera

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Giorgio BONAMASSA del Foro di Milano

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

110. URGEGHE MARTA nata a Genova il 21/5/1981

C.F. = RGG MRT 81E 61D 969Y

Residente a Roma in Via G. Solino 13/4

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Ezio MENZIONE del Foro di Pisa, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

111. VALENTI MATTEO MASSIMO nato a Erice (Tp) il 10/05/1976

C.F. = VLN MTM 76E 10D 423E

Residente a Bologna in Via Procaccino 13

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Alessandro GAMBERINI del Foro di Bologna, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

112. VON UNGER MORITZ KASPAR KARL, nato ad HANNOVER (GERMANIA) il 9/5/1974

C.F. = VNN MTZ 74E 09Z 112U

Residente a Berlino, Sredzkistrasse 44

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Raffaele CARUSO del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

113. WAGENSCHEIN KIRSTEN nata a HILDESHEIM (GERMANIA) il 12/5/1968

C.F. = WGN KRS 68E 52Z 112B

Residente a Berlino in Germania in Graefestrasse 16

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Elena FIORINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

114. WEISSE TANJA, nata ad AMBURGO il 23/9/1978

C.F. = WSS TNJ 78P 63Z 112Q

Residente ad Amburgo (Germania) Emil Jansen Strasse 17

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Luca MOSER del Foro di Modena, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr.  8341/04 GIP poi riunito al presente

115. WIEGERS DAPHNE nata ad ASSEN (OLANDA) il 15/12/1973

C.F. = WGR DHN 73T 55Z 126H

Residente a Berlino in Germania in Cuvrystrasse 32

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004

116. ZAPATERO GARCIA GUILLERMINA nata a MADRID (E) il 9/3/1974

C.F. = ZPT GLR 74C 49Z 131C

Residente a Berlino in Germania, Ackerstrasse 149

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004, all’udienza dibattimentale 6/4/05 e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente

117. ZEHATSCHEK  SEBASTIAN nato a NEU-ULM (GERMANIA) il 23/1/1981

C.F. = ZHT SST 81A 23Z 112Y

Residente a Berlino (Germania) Hermannstrasse 226

Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente

118. ZEUNER ANNA KATHARINA nata a BERLINO il 4/9/1978

C.F. = ZNR NKT 78P 44Z 112U

Residente a Berlino (Germania) Habelschwerdter Allee 10

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004

 

119. ZÜHLKE LENA nata ad Amburgo (GERMANIA) il 14/2/1977

C.F. = ZNL LNE 77B 54Z 112I

Residente ad Amburgo in Germania, Ebertalle 30

Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale

Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr.  8341/04 GIP poi riunito al presente

.-.-.-.

APPELLANTI

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova e il Procuratore Generale;

gli imputati TROIANI Pietro, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, ZACCARIA Emiliano, CANTERINI Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, COMPAGNONE Vincenzo, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, FAZIO Luigi e BURGIO Michele;

il responsabile civile MINISTERO DELL’INTERNO

le parti civili:

HINRICHSMEYER Thorsten, MARTENSEN Niels, HUTH Andreas, GALANTE Stefania, WAGENSCHEIN Kirsten, BACHMANN BRITTA Agnes, GATERMANN Christian, KRESS Holger, VILLAMOR HERRERO Dolores, ZEHATSCHEK Sebastian, ZUHLKE Lena, BERTOLA Matteo, BARRINGHAUS Georg, GALEAZZI Lorenzo, PAVARINI Federico,  ALEINIKOVAS Tomas, CHMIELEWSKI Michal, CÖELLE Benjamin, MIRRA Christian, POLLOK Rafael Johann, SIBLER Steffen, ALLUEVA FORTEA Rosana, BRUSCHI Valeria,  DIGENTI Simona, MARTINEZ FERRER Ana, MASSO’ PAZ Guillermo, BROERMANN Miriam Grosse, ENGEL Jaroslaw Jacek, HAGER MORGAN Katherine, HEIGL Miriam, SZABO Jonas,  WIEGERS Daphne,  ZAPATERO GARCIA Guillermina, ZEUNER Anna Katharina, SCRIBANI Giuseppe, CORDANO Enrico, COSTANTINI Massimo, NANNI Matteo, KUTSCHKAU Anna Julia, SCHMIEDERER Simon, GALLOWAY Jan Farrel, NATHRATH Achim, PETRONE Angela, TREIBER Teresa HUBNER Tobias, CESTARO Arnaldo, MORITZ VON UNGER Karl Kaspar, WEISSE Tanya, COVELL William Mark, GOL Suna, BACZAK Grzegorz, DUMAN Mesut, BALBAS Aitor Ruiz,

ALBRECHT Thomas Daniel, BARO Karl Wolfgang, DREYER Sybil Jeannette, HERRMANN Jens, HERRMANN Jochen, JONASCH Melanie, RESCHKE Manfred Kai, LUTHI Nathan Raphael, BODMER Fabienne Nadia, SVENSSON Jonas Tommy, OLSSON Katarina Hedda, HEGLUND Cecilia, CEDERSTRÖM Ingrid Thea Helena, OTTOVAY Kathrin, JAEGER Laura, VALENTI Matteo Massimo, FORTE Mauro,  MASU Andrea, BRIA Francesca, FLETZER Enrico, PODOBNICH Gabriella, LUPPICHINI Manolo, MESSUTI Raffaele, MARCUELLO Felix, PATZKE Julia, BARTESAGHI GALLO Sara, BARTESAGHI Enrica, BRUSETTI Ronny, BUCHANAN Samuel, DOHERTY Nicola Anne, GANDINI Ettorina, MC QUILLAN Daniel, GENOA SOCIAL FORUM, URGEGHE Marta, ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI DI GENOVA, Moret Fernandez David, SAMPERIZ Benito Francisco Javier, GIOVANNETTI Ivan Michele, PROVENZANO Manfredi, NOGUERAS CHABIER Francho Corral;

in via incidentale dalla parte civile FASSA Liliana

avverso la sentenza  del Tribunale di Genova 13 novembre 2008 che così decideva:

“Visti gli artt 533 e 535 c.p.p.,

dichiara

CANTERINI Vincenzo, responsabile dei reati sub F) e G), limitatamente a quanto attestato in ordine alla resistenza all’interno dell’edificio, nonché del reato di cui al capo H), esclusa l’imputazione in danno di Heglund Cecilia, tutti unificati sotto il vincolo della continuazione e ritenuto più grave il primo;

FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e COMPAGNONE Vincenzo responsabili del reato continuato di cui al capo H), esclusa l’imputazione in danno di Heglund Cecilia e ritenuto più grave il fatto nei confronti di Lena ZHULKE;

 

TROIANI Pietro e BURGIO Michele responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti, riuniti sotto il vincolo della continuazione e  ritenuto più grave il reato di porto d’armi;

FAZIO Luigi responsabile del reato ascrittogli;

concesse a tutti le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate per FOURNIER, TROIANI e BURGIO ed equivalenti per gli altri, li condanna alle seguenti pene:

- CANTERINI Vincenzo, anni quattro di reclusione; 

- BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e COMPAGNONE Vincenzo, anni tre di reclusione, ciascuno;

- FOURNIER Michelangelo:  anni due di reclusione;

- TROIANI Pietro: anni tre di reclusione ed € 650,00 di multa

- BURGIO Michele: anni due e mesi sei di reclusione ed € 650,00 di multa;

- FAZIO Luigi: mesi uno di reclusione;

condanna i suddetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali comuni nonché delle altre in solido tra i concorrenti nel reato cui la condanna si riferisce.

Visti gli artt. 28 e 31 c.p.,

dichiara

FAZIO  temporaneamente interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni uno e tutti gli altri  per la durata delle rispettive pene.

Visti gli artt. 163 e 175 c.p.,

concede

i benefici della non menzione della condanna e della sospensione condizionale della pena a FAZIO Luigi e a FOURNIER Michelangelo, sotto le comminatorie di legge.

Visto l’art. 1 della  Legge 31.7.2006, n. 241

dichiara

condonate interamente le pene inflitte a BASILI, TUCCI, LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI, COMPAGNONE, TROIANI e BURGIO e nella misura  di anni tre di reclusione la pena inflitta a  CANTERINI.

Visti gli art. 538 e segg. c.p.p.,

condanna

in solido fra loro e con il responsabile civile, Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, gli imputati CANTERINI, FOURNIER, BASILI, TUCCI, LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI e COMPAGNONE al risarcimento di tutti i danni patiti dalle seguenti parti civili, costituite in relazione al capo d’imputazione sub H):

Albrecht Thomas Daniel, Aleinikovas Tomas, Allueva Fortea Rosana, Bachmann Britta Agnes, Balbas Ruiz Aitor, Baro Wolfgang Karl, Barringhaus Georg, Bartesaghi Gallo Sara, Bertola Matteo, Blair Jonathan Norman, Bodmer Fabienne Nadia, Bruschi Valeria, Buchanan Samuel, Cederstrom Ingrid Thea, Cestaro Arnaldo, Chmielewski Michal, Coelle Benjamin, Cunningam David John, Digenti Simona, Doherty Nicola Anne, Dreyer Jeannette Sibille, Duman Mesut, Felix Marcuello Pablo,  Galloway Jan Farrel, Gieser Michael Roland, Giovannetti Ivan, Gol Suna, Guadagnucci Lorenzo, Hager Morgan Katherine, Haldimann Fabian, Herrmann Jens, Herrmann Jochen, Hinrichs Meyer Thorsten, Jonasch Melanie, Kress Holger, Kutschkau Anna Julia, Lelek Stella, Luthi Nathan Raphael, Martensen Niels, Martinez Ferrer Ana, Massò Guillermo Paz, Mc Quillan Daniel, Mirra Christian,  Moret Fernandez David, Moth Richard Robert, Nathrath Achim, Nogueras Chabier Francho Corral, Olsson Hedda Katarina, Ottovay Kathrin, Patzke Julia, Perrone Vito, Petrone Angela, Pollok Rafael, Primosig Federico, Provenzano Manfredi, Reschke Kai Manfred, Samperiz Francisco Javier, Sanz Madrazo Francisco Javier, Scala Roberta, Schleiting Mirco, Schmiederer Simon, Sibler Steffen, Sicilia Heras Josè Luis, Sievewright Kara, Tomelleri Enrico, Villamor Herrero Dolores, Von Unger Moritz Kaspar Karl, Wiegers Daphne, Zapatero Garcia Guillermina, Zehatschek Sebastian, Zeuner Anna Katharina e Zhulke Lena;

danni da liquidarsi in separato giudizio, concedendo loro le seguenti provvisionali:

- € 50.000,00 a Albrecht, Coelle, Jonasch e Zulke;

- € 30.000,00 a Baro, Cestaro, Doherty, Dreyer, Duman, Hager, Hermann Jochen, Kutschkau, Martinez, Mc Quillan, Moret, Nogueras, Ottovay, Pollok, Provenzano, Villamor Herrero e Wiegers;

-         € 15.000,00 a Chmielewski, Guadagnucci, Haldimann, Mirra e Sicilia;

- € 5.000 ad Aleinikovas, Allueva, Bachman, Balbas, Barringhaus, Bartesaghi Gallo, Bertola, Blair, Bodmer, Bruschi, Buchanan, Cederstrom, Cunningham, Digenti,   Felix Marcuello, Galloway, Gieser, Giovannetti, Gol, Hermann Jens, Hinrichs Meyer, Kress,  Luthi, Martensen, Massò, Moth, Nathrath, Olsson, Patzke Julia, Perrone, Petrone, Primosig, Rescke, Samperiz, Sanz Madrazo, Scala, Schleiting, Shmiederer, Sibler, Sievewright, Tomelleri, Von Unger, Zapatero, Zehatschek e Zeuner;

condanna

CANTERINI in solido con il responsabile civile a risarcire tutti i danni patiti dalle parti civili costituite in relazione al reato di cui al capo G), ad eccezione di  Fassa Liliana, e pertanto a tutte quelle sopra indicate, con esclusione di Gieser e Lelek, nonché a Baczak Grzegorz, Brauer Stefan, Broermann Miriam Grosse, Covell Mark William, Di Pietro Ada Rosa,  Engel Jaroslaw Jacek, Galante Stefania, Gatermann Christian, Heglund Cecilia, Heigl Miriam, Hubner Tobias, Jaeger Laura, Svensson Jonas,  Szabo Jonas, Treiber Teresa, Wagenschein Kirsten e Weisse Tanja;

danni da liquidarsi in separato giudizio, concedendo a ciascuna di loro una provvisionale di € 2.500,00;

condanna

altresì BURGIO e TROIANI in solido tra loro e con il responsabile civile a risarcire tutti i danni, da liquidarsi in separato giudizio, patiti in relazione ai reati di cui ai capi O) e Q) dalle parti civili già indicate in riferimento al capo G), concedendo a ciascuna di loro una provvisionale di € 2.500,00;

condanna

FAZIO Luigi, in solido con il responsabile civile, al risarcimento di tutti i danni patiti da Huth Andreas, che liquida in € 1.000,00.

Visto l’art. 541 c.p.p.,

condanna

in solido fra loro e con il responsabile civile, gli imputati CANTERINI, FOURNIER, BASILI, TUCCI, LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI, COMPAGNONE, TROIANI e BURGIO  a rifondere alle parti civili le spese di costituzione rappresentanza e difesa, che liquida nelle somme sotto specificate, comprensive delle spese forfettarie, oltre a C.P.A., I.V.A. ed a quelle oggetto di liquidazione a carico dello Stato da parte del GUP:

Albrecht,     1.639,50

Aleinikovas,            € 15.334,76

Allueva Fortea, € 16.872,29

Bachmann,            € 10.883,62

Balbas Ruiz,               4.428,22

Baro,               3.808,39

Barringhaus, € 24.421,50

Bartesaghi Gallo, € 2.757,45

Bertola, € 7.682,33

Blair,            € 2.504,90

Bodmer, € 5.288,62

Bruschi, € 11.565,90

Buchanan,    1.943,56

Cederstrom,               3.501,00

Cestaro, € 12.672,00

Chmielewski, € 10.817,25

Coelle, € 11.431,76

Cunningam,              2.344,12

Digenti, € 16.872,29

Doherty,    1.943,56

Dreyer,    3.808,39

Duman,    4.399,31

Felix Marcuello, € 14.849,30

Galloway,    7.305,74

Giovannetti,               6.844,21

Gol,            € 7  .347,38

Guadagnucci,    6.716,25

Hager, € 12.286,50

Haldimann,    9.902,81

Herrmann Jens,    1.639,50

Herrmann Jochen,    3.808,39

Hinrichsmeyer,    7.017,75

Jonasch,    3.808,39

Kress, € 13.963,39

Kutschkau,            € 29.629,12

Luthi,               5.288,62

Martensen,             € 27.165,93

Martinez, € 16.872,29

Masso, € 11.565,90

Mc Quillan,               2.757,45

Mirra,  € 15.546,93

Moret, € 22.027,82

Moth,               1.851,01

Nathrath,    9.692,64

Nogueras Chabier, € 18.167,62

Olsson,    3.885,65

Ottovay, € 13.366,35

Patzke,    7.537,35

Perrone,    6.259,21

Petrone,    4.789,68

Pollok,   € 11.431,76

Primosig,    5.644,68

Provenzano,     6.728,90

Reschke,    3.808,39

Samperiz, € 15.851,02

Sanz Madrazo, € 18.515,80

Scala,    2.140,95

Schleiting,    1.213,27

Schmiederer, € 23.980,50

Sibler, € 15.546,93

Sicilia Heras,               9.469,68

Sievewright,               2.344,12

Tomelleri,    2.140,95

Villamor Herrero, € 10.883,62

Von Unger,            € 22.325,62

Wiegers, € 12.286,50

Zapatero, € 12.286,50

Zehatschek,  € 10.883,62

Zeuner, € 12.286,50

Zhulke, € 13.963,39

condanna

CANTERINI, TROIANI e BURGIO, in solido fra loro e con il responsabile civile, a rifondere alle parti civili nei loro confronti costituite, le spese di costituzione rappresentanza e difesa, che liquida, nelle somme sotto specificate, comprensive di spese forfettarie, oltre a C.P.A., I.V.A. ed a quelle oggetto di liquidazione a carico dello Stato da parte del GUP:

Baczak,    4.399,31

Brauer,    1.875,30

Broermann,            € 12.286,50

Covell,    4.541,77

Di Pietro, € 15.016,50

Engel, € 12.286,50

Galante,    3.467,81

Gatermann,            € 13.963,39

Heglund,    3.885,65

Heigl,            € 12.286,50

Hubner,    5.677,02

Jaeger,    6.023,25

Svensson,    3.885,65

Szabo, € 12.286,50

Treiber,    4.851,56

Wagenschein,    4.181,62

Weisse,    2.169,30

 

condanna

FAZIO Luigi, in solido con il responsabile civile, a rifondere a Huth Andreas, le spese di costituzione rappresentanza e difesa, che liquida, nella somma di € 19.454,17, comprensiva di spese forfettarie, oltre a C.P.A., I.V.A. ed a quelle oggetto di liquidazione a carico dello Stato da parte del GUP;

condanna

in solido fra loro e con il responsabile civile, CANTERINI, FOURNIER, BASILI, TUCCI, LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI e COMPAGNONE, a rifondere alle parti civili  Gieser e Lelek le spese di costituzione rappresentanza e difesa, che liquida, rispettivamente in € 7.347,38 ed in € 9.692,64, comprensive di spese forfettarie, oltre a C.P.A. ed I.V.A.

Visto l’art. 110, comma 3, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115,

dispone

il pagamento in favore dello Stato delle somme liquidate a titolo di rimborso per le parti civili ammesse al patrocinio a carico dello Stato.

Visto l’art. 93 c.p.c.,

distrae

le spese, come sopra liquidate, in favore dei patroni di parte civile, che ne hanno fatto richiesta dichiarandosi antistatari.

Visto l’art. 530, comma 1 e 2,  c.p.p.,

assolve

CANTERINI Vincenzo dai reati di cui ai capi F) e G), limitatamente alle contestazioni per le quali non è intervenuta condanna, perché il fatto non sussiste;

CANTERINI Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e COMPAGNONE Vincenzo dal reato di cui al capo H), limitatamente alle lesioni in danno di Heglund Cecilia;

LUPERI Giovanni, GRATTERI Francesco, NUCERA Massimo e PANZIERI Maurizio dai reati loro ascritti, perché il fatto non sussiste;

CALDAROZZI Gilberto, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DOMINICI Nando, MORTOLA Spartaco, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, CERCHI Renzo, DI NOVI Davide dal reato di cui al capo C) perché il fatto non costituisce reato e da quelli di cui ai capi D) ed E),  perché il fatto non sussiste;

DI BERNARDINI Massimiliano dal reato di cui al capo 1), già capo C), perché il fatto non costituisce reato e da quelli di cui ai capi 2), già capo D) e 3), già capo E),  perché il fatto non sussiste;

GAVA Salvatore dai reati di cui al capo S) e da quello di falso perché il fatto non costituisce reato nonché da quelli di cui ai capi T), U) e V) per non aver commesso il fatto;

FABBROCINI Alfredo dal reato di cui al capo X) perché il fatto non sussiste e da quelli di cui ai capi Y), W) e Z) per non aver commesso il fatto.

Visto l’art. 240 c.p.,

ordina

salvi i provvedimenti concorrenti, la restituzione degli oggetti in sequestro a coloro già identificati come aventi diritto e la confisca degli altri, nonché la vendita di quelli commerciabili e la distruzione dei rimanenti.

Visto l’art. 544 c.p.p,

riserva il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.”

.-.-.-.-.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In occasione del vertice dei Capi di Stato denominato G8 tenutosi a Genova nel luglio del 2001 si verificarono numerosi episodi di sconvolgimento dell’ordine pubblico e fatti delittuosi di diversa natura ed origine, che diedero vita a molteplici procedimenti penali.

Quello che ci occupa si riferisce alla irruzione eseguita dalla Polizia di Stato nel plesso scolastico di Genova denominato “Diaz”, consistente in due edifici che si fronteggiano su Via Cesare Battisti, uno adibito a sede della scuola Pertini, l’altro a sede della scuola Pascoli.

La sentenza di primo grado oggi appellata è strutturata nel seguente modo:

dapprima il Tribunale ha riportato il contenuto delle deposizioni testimoniali utilizzate per la decisione raggruppandole per temi secondo l’evoluzione temporale dei principali avvenimenti;

poi ha riferito l’esito delle indagini condotte da periti e consulenti di parte;

quindi ha riportato il contenuto degli esami e delle dichiarazioni spontanee degli imputati.

Sulla base di tali premesse istruttorie ha poi sviluppato la sezione dedicata alla ricostruzione dei fatti e quella dedicata alla valutazione delle responsabilità. A seguire sono state decise le questioni civili.

La parte argomentativa in fatto e diritto della sentenza, collocabile fra le pagine 241 e 339, si può sintetizzare nei seguenti termini.

Il Tribunale esordisce inquadrando i fatti oggetto del presente processo - avvenuti nella notte tra il 21 ed il 22 luglio, quando ormai tutte le manifestazioni di protesta contro il vertice G8 erano praticamente terminate ed i manifestanti si accingevano a ritornare nelle loro città - nel contesto dei numerosi gravi episodi precedentemente verificatisi in città, quali:

1) la morte di Carlo Giuliani, attinto da un colpo di pistola, il fatto più tragico verificatosi nel pomeriggio del venerdì 20;

2) i gravi disordini avvenuti nei giorni precedenti e nello stesso sabato 21, in parte oggetto di un altro procedimento penale per i reati di devastazione e saccheggio.

Il giorno 20, secondo diverse testimonianze apprezzate dal Tribunale, un gruppo di giovani individuabili dall’abbigliamento e dal comportamento quali appartenenti al c.d. black - bloc si era avvicinato al complesso scolastico Diaz cercando di entrare negli edifici; la presenza nella zona prossima al complesso scolastico Diaz di giovani riferibili al c.d. black bloc o comunque non pacifici nelle giornate di venerdì e sabato risultava altresì, secondo il primo giudice, dalle numerose telefonate giunte al 113 della Questura di Genova da parte di diversi cittadini ivi residenti.

Per quanto attiene agli avvenimenti del sabato 21, il Tribunale esordisce richiamando la deposizione del teste Prefetto Ansoino Andreassi, vice capo vicario della Polizia, che aveva riferito: “La giornata del sabato si annunciava difficile in particolare per quanto accaduto il giorno prima. I problemi iniziarono già al mattino quando un elicottero vide un furgone che distribuiva mazze e bastoni ai manifestanti. Mi arrivò poi una telefonata dal capo della polizia che mi disse di affidare al dr. Gratteri (del Servizio Centrale Operativo) l’incarico di dirigere la perquisizione alla scuola Paul Klee, nel corso della quale vennero rinvenuti anche pezzi di autoradio della polizia e vennero arrestate circa una ventina di persone”. “La direttiva di affidare l’incarico al dr. Gratteri preludeva a mio parere a voler passare ad una linea più incisiva con arresti, per cancellare l’immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e devastazione. In questa linea, a mio parere, si pone anche l’invio del Pref. La Barbera per dirigere le operazioni. La manifestazione era ormai terminata quando arrivò La Barbera verso le ore 16. Ufficialmente il suo incarico era quello di contattare gli ufficiali di collegamento stranieri per identificare gli arrestati stranieri, ma per questo era già presente Luperi. Io pensai quindi che fosse stato inviato nell’ambito della direttiva di cui ho detto. Il capo della polizia voleva che venissero fatti dei pattuglioni, affidati non alla polizia locale, ma a funzionari della squadra mobile e dello SCO.  I pattuglioni erano diretti a trovare ed arrestare i black - bloc. Io avevo molte perplessità anche perché ritenevo che ormai le manifestazioni erano terminate e che la popolazione era stufa di disordini, mentre i pattuglioni potevano soltanto portare ad ulteriori disordini. Non manifestai peraltro le mie perplessità, ma disposi in conformità”.

Ricorda il Tribunale che anche il teste Antonio Manganelli, allora Direttore centrale della Polizia Criminale, ha riferito le medesime circostanze.

Nel tardo pomeriggio vennero quindi disposti i c.d. “pattuglioni”.

Enucleando un primo tema oggetto di indagine istruttoria definito

Aggressione alla pattuglia in via Battisti

il Tribunale prosegue riferendosi ancora alla deposizione del teste Andreassi:

I pattuglioni vennero subito organizzati; quello affidato al dr. Di Bernardini passò davanti alla Diaz e venne fatto oggetto di un fitto lancio di bottiglie ed altri oggetti da parte di un numero consistente di black – bloc, di persone cioè vestite di nero che gridavano: “Sono pochi, diamogli addosso". Secondo quanto riferito dal dr. Di Bernadini e dal dr. Caldarozzi, tale aggressione era stata talmente violenta che gli operatori dovettero allontanarsi velocemente per non essere sopraffatti. Ricordo che un mezzo era stato danneggiato; se a suo tempo esclusi di aver sentito qualcosa in proposito, probabilmente il ricordo di oggi dipende da qualche evento successivo”.

Argomenta al riguardo il Tribunale che tale episodio, posto poi a fondamento della decisione di procedere alla perquisizione della scuola Diaz (secondo quanto affermato dagli imputati e dai testi presenti alle successive riunioni che si svolsero in Questura), viene descritto da numerosi testi, ma in modo poco preciso e spesso discordante.

Ed infatti, a dire del Tribunale, tanto le dichiarazioni rese dai manifestanti, quanto quelle degli agenti che si trovavano sui mezzi della polizia e di coloro che, trovandosi sul posto, vi assistettero sono piuttosto confuse e in parte contraddittorie in ordine sia all’ora in cui sarebbe avvenuto il passaggio della pattuglia, sia alla sua composizione, sia al numero e alle reazioni dei presenti. Peraltro ritiene il Tribunale che “dal complesso delle dichiarazioni rese dai testi, nonostante le già accennate divergenze e imprecisioni, può ritenersi accertato che in effetti al passaggio della pattuglia della polizia, composta da quattro veicoli di cui i primi due privi di insegne d’istituto, avvenuto nella prima serata, vi fu una reazione piuttosto accesa da parte dei giovani che si trovavano su via Battisti davanti alla Diaz, non solo verbale, con grida, minacce  e insulti, ma anche con il lancio di almeno una bottiglia e qualche spinta e colpo al Magnum”. Conclude al riguardo il primo giudice che tali fatti possono aver indotto i dirigenti delle forze dell’ordine a ritenere che all’interno della scuola non si trovassero soltanto manifestanti pacifisti, no global, vicini al Genoa Social Forum, ma anche facinorosi e appartenenti al c.d. black bloc.

Il successivo tema di indagine è identificato dal Tribunale come

Decisione di intervenire presso la scuola Diaz

A tale proposito il Tribunale richiama le deposizioni del teste Colucci, all’epoca Questore di Genova, del Pref. Andreassi e del Dott. Costantino, incaricato del supporto al Pref. Andreassi: in una prima riunione alla presenza di Colucci, Andreassi, La Barbera, Gratteri, Murgolo e forse Luperi, il dr. Caldarozzi ed il dr. Di Bernardini dissero di essere stati aggrediti con un lancio di sassi durante il passaggio della pattuglia davanti al complesso scolastico Diaz. I suddetti dirigenti si interrogarono sul da farsi, e incaricarono il dr. Mortola, Capo della DIGOS genovese, di recarsi sul posto per verificare la situazione al fine di decidere se intervenire. Il dr. Mortola si recò sul posto in motocicletta, passando davanti all’edificio e al suo ritorno disse che sul posto vi era una situazione pesante: persone vestite di nero e con aspetto poco raccomandabile ed aggressivo. Il dr. Mortola su indicazione di Colucci telefonò anche a Kovac, che era il referente del GSF a cui il Comune aveva affidato la struttura scolastica; Kovac disse telefonicamente che avevano abbandonato quella sede perché era iniziato il deflusso e che non sapeva chi vi fosse entrato. Ciò Kovac disse telefonicamente al dr. Mortola, che mentre parlava al telefono alla presenza del Colucci ripeteva a voce alta il contenuto delle frasi pronunciate dall’interlocutore.

Secondo il teste Colucci proprio in base a tale risposta i partecipanti alla riunione decisero l’intervento; se Kovac avesse detto che la scuola era ancora a loro disposizione non sarebbero intervenuti, perché sarebbe stato un atto politicamente controproducente. Nessuno espresse perplessità se non il dr. Mortola che temeva le conseguenze dell’operazione, anche tenuto presente che ormai la manifestazione era terminata. Nella riunione si decise quindi in pieno accordo di intervenire per identificare gli aggressori e l’eventuale presenza di armi e quindi di effettuare una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS). Certamente Colucci era piuttosto condizionato dalla presenza dei vertici della polizia; capì che l’intervento era ben gradito, ma ritenendosi da parte di tutti che in effetti sussistessero i presupposti per disporlo, così venne deciso.

Il Tribunale esamina, quindi, la deposizione del teste Kovac coordinatore del GSF, il quale ha confermato di aver ricevuto verso le 21,30 - 22 una telefonata dal dr. Mortola, ma ha negato di aver detto che la situazione all’interno della scuola Pertini (quella adibita ad accoglienza dei manifestanti per trascorrere la notte) non fosse più sotto controllo. In particolare il teste affermava:  Coordinavo l’organizzazione del GSF. Nella serata di sabato, mentre ero in piazzale Kennedy, ricevetti verso le 21,30 - 22 una telefonata dal dr. Mortola, che mi chiese come erano utilizzate le due scuole e chi vi si trovasse; dopo la mia risposta, alla mia domanda di che cosa stesse succedendo, mi disse che un paio di volanti erano state oggetto di un lancio di bottiglie vuote; insospettito, gli dissi: “Non fate cazzate!” ed egli mi rispose: “Stai tranquillo”. Non ho mai detto che la situazione all’interno della scuola Pertini non era più sotto controllo; sul posto vi erano praticamente quasi tutti i rappresentanti e portavoce del GSF, tra questi Massimo Morettini. Riferii anche che diverse persone che si trovavano nei posti più colpiti dalla piogge, stadio Carlini, via Albaro, Sciorba, si erano trasferite nella scuola Pertini. Cercai a lungo di capire se nella prima telefonata con il dr. Mortola potessi aver detto qualcosa che avesse potuto influire su quanto accaduto; mi sentivo responsabile per la mia inazione dopo la telefonata, per non aver avvisato che poteva arrivare una perquisizione; potevamo far venire giornalisti e parlamentari; mi rimproverai di essermi fidato della parola del dott. Mortola”.

Valorizzando la risposta “non posso…” data da Kovac alla domanda del P.M. se poteva escludere di aver dichiarato a Mortola che la situazione alla scuola Pertini non fosse più sotto il controllo del GSF, il Tribunale argomenta sostanzialmente sulla inattendibilità del teste sostenendo che ben difficilmente, dopo quanto accaduto, avrebbe ammesso in udienza di aver manifestato a Mortola riserve sulla identificazione delle persone presenti nella scuola; inoltre per il Tribunale il rincrescimento manifestato dal Kovac per il dubbio di avere in qualche modo contributo involontariamente a giustificare l’irruzione confermerebbe che qualche sua frase poteva essere stata legittimamente interpretata dal Mortola come conferma che il GSF aveva perso il controllo della scuola, come del resto desumibile anche dalla circostanza che nell’edificio erano confluiti altri manifestanti provenienti da diverse zone della città divenute inagibili per le piogge.

Ma per il Tribunale rileva principalmente il fatto che la telefonata sia avvenuta, atteso che la stessa non avrebbe potuto avere altro scopo logico e plausibile se non quello di accertare se all’interno della Pertini si trovassero persone estranee al GSF e da questo non controllate, verifica che, a detta del primo giudice, doveva condurre a risposta positiva.

Nella riunione in Questura viene dunque deciso l’intervento presso la Diaz, fortemente voluto dal Pref. La Barbera e nonostante, assai probabilmente, le perplessità del Questore Colucci e del dr. Mortola. Si telefonò a Donnini che disse che era disponibile la squadra speciale del reparto mobile di Roma.

Intervenne, quindi, una seconda riunione con gli operativi; erano presenti Canterini, comandante del I° Reparto Mobile di Roma in seno al quale era stato costituito il VII° Nucleo Sperimentale Antisommossa, ed i Carabinieri, oltre ai partecipanti alla prima riunione, ad eccezione del Pref. Andreassi. Secondo la strategia elaborata in tale riunione, dovevano formarsi due colonne che sarebbero giunte davanti alla scuola da opposte direzioni (una da nord e l’altra da sud, con manovra “a tenaglia”); prima sarebbe intervenuto il VII Nucleo del dr. Canterini per “mettere in sicurezza” l’edificio e quindi la Digos avrebbe eseguito la perquisizione. I Carabinieri avevano il compito di controllare la zona con idonea cinturazione. Il dr. Murgolo aveva il compito di coordinare i diversi reparti.

Sempre secondo quanto riferito dal teste Colucci, Canterini avrebbe voluto usare i lacrimogeni per fare uscire tutti dalla scuola, ma il pref. La Barbera e lo stesso Colucci esclusero tale opzione, indicando l’opportunità di un intervento più “tranquillo”.

Segue la descrizione da parte del Tribunale della fase definita

Arrivo delle forze dell’ordine presso il complesso scolastico Diaz

che viene ricostruita nei seguenti termini:

Vengono formate le due colonne che dovevano raggiungere la scuola. Secondo quanto riferito dall’imputato Mortola (v. verbale s.i.t. 10/8/2001), le due colonne giunsero insieme fino in via Saluzzo, da dove presero direzioni diverse: la prima si diresse in via Trento e piazza Merani e la seconda in via Nizza, raggiungendo quindi via Battisti rispettivamente da monte e da mare.

Le due colonne si ricompattano davanti alla scuola: le persone che erano in cortile si rifugiano all’interno, viene chiuso il cancello che invano la polizia cerca di sfondare a spinta.

Nella fase di avvicinamento al cancello del cortile della scuola Diaz - Pertini avvengono i primi fatti violenti in danno di Francesco Frieri, consigliere comunale di Modena, ed in particolare del giornalista inglese Mark Covell. Il Tribunale riporta passi della deposizione di Covell “Abbiamo cercato di rientrare nella Pascoli e così siamo usciti di corsa dalla Pertini: venni circondato; io urlavo “stampa”, ma un poliziotto, sventolandomi davanti il manganello, mi disse in inglese “tu non sei un giornalista, ma un black bloc e noi ammazzeremo i black bloc…. Venni colpito ripetutamente da quattro poliziotti con gli scudi, che mi spinsero indietro verso il muro di cinta della Pertini. Cercai di correre verso il lato sud della strada ma non c’era modo di fuggire. Venni colpito con i manganelli sulle ginocchia e caddi a terra. Un poliziotto mi colpì alla spina dorsale e mi diede alcuni calci; quindi altri poliziotti si unirono a picchiarmi provocandomi la frattura di otto costole e della mano. I poliziotti ridevano e mi sembrava di essere un pallone da football a cui a turno i poliziotti dovessero dare dei calci. Vidi un poliziotto che arrivava da sud e mi colpì nuovamente, questa volta in faccia: persi diversi denti; subii poi un colpo sulla testa e svenni.”

Osserva il primo giudice che tale violenta aggressione oltre ad essere stata filmata dal teste Hamish Campbell viene descritta anche da altri testi, per cui non sussistono dubbi sull’accaduto e sulle gravi lesioni riportate da Covell. Osserva peraltro il Tribunale che dalle deposizioni dello stesso Covell e dei testi che hanno assistito al fatto non è dato comprendere se l’aggressione sia stata compiuta dalla Polizia, ed in tal caso da quale reparto, o dai Carabinieri.

L’arrivo delle forze dell’ordine in via Battisti, le violenze nei confronti di Frieri e di Covell, lo sfondamento del cancello, del portone centrale e poi di quello laterale sinistro dell’edificio e l’ingresso dei primi agenti all’interno della scuola risultano documentati nei filmati Rep. 234 e 239 p. 3, rispettivamente ripresi dai testi Vincenzo Mancuso e Hamish Campbell.

Ma secondo il Tribunale tali reperti non sono utili a verificare uno dei profili di accusa di falso, quello incentrato sulla affermazione compiuta dai verbalizzanti secondo la quale sarebbe intercorso un fittissimo lancio di oggetti.

Analizza il Tribunale la deposizione del teste Aldo Mattei, consulente del P.M., il quale ha affermato in proposito:

Sono in servizio presso il RIS di Parma e comando la sezione impronte e fotografie. … Abbiamo analizzato anche le scene delle fasi dell’ingresso nella scuola, per verificare se vi sia stato lancio di oggetti nei confronti del personale operante … Abbiamo focalizzato l’attenzione sul personale nel cortile e su eventuali soggetti che potessero lanciare oggetti dalle finestre. Vi sono dei limiti derivanti dalla distanza della ripresa, oggetti di piccole dimensioni come monete e sassi non avremmo potuto vederli. Dalle immagini non si vede lancio di oggetti di dimensioni maggiori. Non abbiamo potuto vedere persone che lanciavano oggetti dalle finestre. Dall’analisi del materiale a disposizione non è stato possibile vedere persone che lanciavano oggetti, oggetti lanciati e soggetti colpiti da tali oggetti, né se vi siano stati lanci. Abbiamo analizzato anche tutti i comportamenti di soggetti evidenziabili presenti all’interno della scuola, non solo nel cortile, ma sulla facciata, sulle varie finestre illuminate o meno per cercare di evidenziare comportamenti che potessero essere testimonianza visiva di comportamenti lesivi. Nella fase finale dell’ingresso si vedono gli scudi levati in alto dagli operanti; in tale scena abbiamo evidenziato ogni comportamento delle forze di polizia che potesse essere sintomo di lesioni ricevute. Non abbiamo avuto esito, con le nostre tecniche non abbiamo apprezzato oggetti che arrivassero su tale personale”.

Secondo il Tribunale “Certo è che dalle immagini riprodotte nei filmati e nelle foto appare evidente che soltanto dopo un certo periodo di tempo gli agenti che si trovavano nel cortile in attesa di entrare attraverso il portone principale, alzarono gli scudi e che gli operatori, che da detto portone si portavano verso quello di sinistra, alzavano gli scudi sopra la testa abbassandosi, come se la necessità di ripararsi si fosse in effetti determinata nel corso dell’operazione. Tali immagini dunque, valutate unitamente alle dichiarazioni di coloro che hanno affermato di aver visto il lancio di oggetti, confermano che, anche se assai probabilmente non si trattò di un lancio “fittissimo”, qualche oggetto dovette in effetti essere stato lanciato contro le forze dell’ordine”. Il Tribunale valorizza anche la deposizione del teste Galanti, infermiere intervenuto alla guida della prima ambulanza giunta sul posto, il quale ha riconosciuto la propria voce nella chiamata al 118 nella quale avverte: “Stanno buttando giù tutto”. E’ certo, dunque, per il Tribunale che tale affermazione, pronunciata spontaneamente proprio mentre il fatto stava avvenendo e prima del sorgere di ogni polemica e discussione in proposito, debba ritenersi del tutto attendibile, anche se forse in parte ampliata dall’agitazione e dalla preoccupazione del momento.

Prosegue il primo giudice nella ricostruzione dei fatti osservando che le forze dell’ordine, entrate nel cortile della scuola Diaz, si dirigono quindi verso i due portoni, centrale e di sinistra, della scuola, entrambi chiusi, e di fronte a quello centrale, barricato all’interno, si ammassano principalmente gli agenti del VII Nucleo.

La descrizione di questa fase è rimessa alle dichiarazioni rese dall’imputato Fournier, comandante del VII nucleo, il quale ha riferito: “Quando arrivammo stavano forzando il cancello del cortile della Diaz con un automezzo. Vi era un gran numero di poliziotti; la situazione fu per me una sorpresa anche perché io ritenevo si trattasse di irrompere in un magazzino o simile e non in una scuola. La catena di comando si interruppe proprio per la confusione ed il numero delle forze di polizia. Venne dato un ordine collettivo di procedere all’apertura dei portoni. Venne quindi forzata un’anta del portone e i poliziotti dei diversi reparti si accalcarono per entrare.

Vi erano numerosi dirigenti della Digos e di altri reparti. Quale comandante della forza ritenni di entrare per verificare che tutto procedesse regolarmente anche se formalmente la forza dipendeva dal funzionario. Fu piuttosto difficile entrare per il numero delle persone che si accalcavano all’ingresso. Penso che trascorse qualche minuto. Comunque entrai tra i primi, ma probabilmente non come dissi settimo od ottavo. Mi pare che venne aperto prima il portone centrale. Non so dire chi avesse il comando delle operazioni: vi erano diversi funzionari che dirigevano: il pref. La Barbera, il dr. Luperi, il dr. Gratteri, il dr. Murgolo.

Il nostro compito era praticamente di conquistare l’edificio ed in particolare i piani alti, come avviene di regola in ogni irruzione in immobili; non dovevamo partecipare all’operazione di cui non conoscevamo gli scopi”.

Fatta questa premessa, il Tribunale affronta il tema della sincronizzazione dei numerosi materiali video ed audio raccolti la notte in questione, e della loro corretta collocazione nel tempo; delle tre elaborazioni tecniche effettuate una dai RIS per conto della Procura della Repubblica, una dal Dott. Roberto Ciabattoni per conto delle parti civili, e la terza presentata dal difensore Avv. Corini, il Tribunale privilegia le prime due, (sostanzialmente coincidenti) rispetto alla terza, che sposta in avanti di 7 minuti tutti gli eventi ripresi. In base alle prime due relazioni tecniche, il Collegio colloca l’arrivo delle forze di polizia in Via Cesare Battisti alle ore 23.57.00, lo sfondamento del cancello del cortile alle ore 23.59.10, e l’apertura del portone principale di ingresso alla scuola Diaz-Pertini alle ore 00.00.19.

Segue la fase denominata

Irruzione nella scuola Diaz Pertini

Dopo aver richiamato le deposizioni dei presenti all’interno della scuola (già precedentemente esposte) il Tribunale deduce che:Tali dichiarazioni, sostanzialmente conformi, rese da soggetti di diverse nazionalità e lingue, in situazioni che escludono la possibilità di un preventivo accordo e riscontrate altresì dai certificati medici emessi da strutture pubbliche circa le lesioni dai medesimi riportate, devono ritenersi del tutto attendibili, almeno in ordine al complessivo comportamento delle forze dell’ordine, come del resto già affermato dal GIP nel decreto di archiviazione emesso nei loro confronti. Le divergenze riscontrabili in tali dichiarazioni, peraltro relative a particolari secondari, sono sicuramente giustificabili con ricordi imprecisi dovuti principalmente all’agitazione e alla tensione del momento. Deve in proposito ricordarsi che si tratta pur sempre di persone o direttamente vittime delle violenze o comunque a queste vicine e che una simile situazione, con numerosi feriti che si lamentavano e macchie di sangue sparse su pareti e pavimenti, non poteva non incidere sulla lucidità dei presenti e quindi sulla precisione dei loro ricordi.”

Prosegue però il Tribunale “Non può d’altra parte neppure escludersi con assoluta certezza che qualche episodio di resistenza attiva sia in effetti avvenuto. A parte invero le dichiarazioni rese in proposito dagli imputati capi squadra e l’episodio narrato dall’Agente Nucera, di cui si dirà in seguito, resta il fatto che diversi operatori delle forze dell’ordine riportarono in effetti lesioni, seppure non gravi, come risulta dai certificati del Pronto Soccorso.”

Aggressione all’Agente Nucera

L’episodio di resistenza più grave e più discusso riguarda l’aggressione con un coltello che avrebbe subito l’agente Nucera, secondo quanto dal medesimo riferito.

In base alla prima versione contenuta nella relazione di servizio in data 22/7/2001 il Nucera riferiva:

“… Dopo aver sfondato la porta al grido di “fermi polizia”, unitamente all’ispettore capo Panzieri, entravo per primo di slancio nella stanza buia e mi trovavo improvvisamente di fronte ad un giovane dell’altezza di circa m.1.70, del quale posso riferire solo che indossava una maglia scura, il quale con urla indistinte mi affrontava impugnando un coltello con la mano destra puntandomelo con il braccio teso verso la gola. Servendomi dello sfollagente in dotazione, riuscivo ad allontanare l’aggressore colpendolo al torace con la punta dello stesso ed a farlo indietreggiare. Quest’ultimo tuttavia, con una mossa fulminea, mi colpiva vigorosamente al torace facendo nel contempo un rapido salto all’indietro. I colleghi che mi seguivano dappresso, tra cui lo stesso ispettore Panzieri, intervenivano in mio ausilio e bloccavano lo sconosciuto dopo averlo atterrato. Il medesimo veniva quindi immediatamente preso dagli altri colleghi e portato al piano terra al punto di raccolta. Immediatamente dopo che la persona era stata accompagnata fuori, grazie al riflesso della luce proveniente dal corridoio, mi avvedevo, prima di uscire dalla stanza, che sul pavimento in corrispondenza del punto dove si sono svolti i fatti sopra narrati, era presente il coltello impugnato dalla persona che mi aveva affrontato e pertanto lo raccoglievo.”

Nella seconda versione dei fatti, resa nell’interrogatorio in data 7.10.2002, Nucera riferiva: “… mi sono diretto al II° piano dell’edifico, seguito da circa 4 o 5 colleghi che erano alla mie spalle. Percorso il corridoio rapidamente ed osservate tutte le aule mi sono trovato di fonte all’ultima aula, dopo una rientranza sulla destra, vicino ai bagni. La porta era chiusa, si trattava di una porta di legno a due battenti. L’ho sfondata io con un calcio e sono entrato per primo seguito a breve distanza dai colleghi. Mi sono trovato in un’aula completamente buia. Nel corridoio invece c’era abbastanza luce, nel senso che erano accese alcune lampadine, ma la gran parte penetrava dall’esterno. All’interno dell’aula, a distanza di circa 2 metri, mi sono trovato di fonte una persona alta circa 1,70 m, di cui non sono riuscito a distinguere bene il viso, sia perché era buio, sia perché indossavo il casco protettivo che limita molto la visuale. Questa persona cominciò ad urlare ma non sono riuscito ad intendere cosa perché forse parlava una lingua straniera che non ho riconosciuto, nello stesso tempo tendeva il braccio destro verso di me. A quel punto io l’ho affrontato colpendolo al torace con il corpo proteso in avanti e impugnando il tonfa all’impugnatura con la mano destra e nella parte lunga con il braccio sinistro. Ho avuto la sensazione però di essere stato colpito anche io, forse proprio perché mi ero proteso troppo con il corpo in avanti. La persona indietreggiando sempre con il braccio teso in avanti stava per perdere l’equilibrio ed ha cercato a questo punto di aggrapparsi a me, al mio braccio, senza riuscirvi, nel frattempo riuscendo però a sferrare un altro colpo che mi raggiungeva sempre nella parte frontale. Cadeva infine a terra e io nell’impeto l’ho scavalcato, dopodiché i miei colleghi lo hanno immobilizzato, trascinandolo via e lo allontanavano del tutto. Avanzavo ancora per qualche metro, esplorando la stanza che però si rivelava vuota, e ritornavo indietro. Uscendo proprio nei pressi della porta, riuscivo ad individuare nel luogo illuminato un coltello che era a terra; a questo punto ho pensato che fosse l’oggetto con cui ero stato colpito

L’Ispettore Panzieri nel corso dell’interrogatorio reso in data 24/07/2003 non ha confermato le sue precedenti dichiarazioni rese il 12/12/01, quale persona informata dei fatti, ed ha dichiarato:

“ … Dopo aver controllato che su quel piano tutto fosse in sicurezza, mi sono  diretto ai piani superiori, giungendo, ma non posso neppure questa volta essere sicuro, al secondo piano, ovvero ad un piano superiore. Ricordo che con me c’era Nucera ed un altro collega del reparto mobile che mi camminava a fianco, ma non era del VII nucleo perché ricordo bene il suo cinturone bianco. A questo piano è successo l’episodio che riguarda l’aggressione riferito da Nucera. In sostanza, giunti a quel piano abbiamo percorso un lungo corridoio e in fondo a questo … ci siamo trovati di fonte ad una porta a due battenti chiusa.  In contemporanea, io e il Nucera abbiamo dato un calcio alla porta aprendola e, appena entrati nella stanza lui e il collega, ricordo di aver visto che si è fatta avanti  puntando un braccio, ricordo una specie di pugno, un’ombra che non saprei descrivere.  Oltre a ciò non so riferire direttamente, perché sono rimasto sulla soglia della porta, proprio sullo stipite, e mi sono allontanato lasciando i colleghi, non ritenendo necessaria la mia presenza e presumendo evidentemente che avessero avuto ragione dell’aggressore. Io mi sono recato immediatamente ad un piano ancora superiore perché avevo sentito grida e  rumori metallici ... Mi sono quindi recato fuori dall’edificio ove il reparto era inquadrato sulla destra. Nei pressi dell’ingresso, vicino alle scale, ho incontrato l’agente Nucera che stava raccontando quanto gli era accaduto ad un caposquadra che non so identificare. Mi sono avvicinato ed ho notato che aveva un vistoso taglio alla giubba della divisa. Gli ho detto ‘ma guarda come ti sei combinato’ e lui mi raccontò della aggressione subita e mostrò anche il coltello che aveva rinvenuto. Non ricordo di aver visto il Nucera senza divisa in quella circostanza né so se se la sia levata subito dopo”.

Al fine di accertare la compatibilità tra i tagli rinvenuti sul giubbotto e la descrizione del fatto resa dall’Agente Nucera, si era proceduto con incidente probatorio ad effettuare una perizia, affidata al Prof. Torre, che aveva concluso affermando la compatibilità dei tagli con la seconda versione dei fatti resa dal Nucera. Sentito in dibattimento in contraddittorio con i consulenti del P.M. e delle parti civili, il Prof. Torre confermava la sua valutazione.

Il Tribunale argomentava che “Le conclusioni del perito, ampiamente e logicamente motivate, appaiono fondate e non si ha dunque alcun motivo per dubitare della loro fondatezza. Il Prof. Torre ha inoltre risposto a tutte le contestazioni rivolte al suo operato sempre con logicità e chiarezza ed ha altresì spiegato la mancata uniformità delle tracce sul corpetto e sul giaccone, posta a fondamento delle contestazioni dei consulenti di parte, con il fatto che i due indumenti non erano tra loro solidali, con la conseguente possibilità che dette tracce non risultassero tra loro precisamente corrispondenti”. A spiegazione della divergenza fra le due versioni, il Tribunale opina che la prima versione resa dal Nucera venne da lui redatta assai sommariamente nell’immediatezza del fatto, quando ancora poteva essere confuso per quanto accadutogli e non del tutto consapevole della necessità di essere particolarmente preciso nella descrizione dei fatti, data anche la sua inesperienza in attività di polizia giudiziaria e di redazione di atti; e se il mancato arresto e identificazione dell’aggressore potrebbero far ritenere inveritiero l’episodio, tuttavia l’invenzione di una falsa aggressione, per di più eseguita con un coltello e creandone anche le tracce, è apparsa al Tribunale scarsamente logica e razionale: i due avevano scarso interesse personale a creare false prove di una resistenza violenta, si sarebbe dovuto ritenere che il Nucera fosse già in possesso del coltello poi sequestrato e che nel breve tempo dell’irruzione, mentre numerosi suoi colleghi procedevano nell’operazione, con la partecipazione del Panzieri o comunque alla sua presenza, abbia avuto il tempo di colpirsi o farsi colpire, con i rischi anche fisici che ciò poteva comportare, ovvero di togliersi la giacca ed il corpetto, risistemarli insieme sul pavimento o su un tavolo, in posizione tale da simulare che gli stessi fossero regolarmente indossati, e quindi di colpirli con il coltello. In tale situazione secondo il Tribunale “non appare dunque possibile ritenere provata con la dovuta certezza né la falsità dell’aggressione in esame né il suo reale accadimento, mentre le conclusioni della perizia valgono soltanto ad affermare che detta versione dei fatti non risulta smentita da elementi obiettivi.

La fase successiva è denominata dal Tribunale

La perquisizione

ed è ricostruita nei seguenti termini:

Terminata la “messa in sicurezza” dell’edificio ad opera degli appartenenti al VII nucleo, iniziavano le operazioni di perquisizione da parte degli agenti con funzioni di polizia giudiziaria. Tali operazioni sono descritte da coloro che si trovavano all’interno della scuola come assai confuse, principalmente dirette a cercare indumenti di colore nero ed eseguite senza in alcun modo avvertire i presenti di quanto stava avvenendo nonché dei loro diritti e comunque con modalità tali da non consentire il collegamento di quanto rinvenuto ai singoli proprietari; la conformità delle dichiarazioni rese da tutti i testi induce a ritenerle sostanzialmente attendibili, come già ritenuto dal Tribunale circa le violenze subite.

All’esito della perquisizione vennero comunque sottoposti a sequestro numerosi reperti tra cui, a parte le due bottiglie molotov di cui si dirà in seguito, diversi coltelli, sia di tipo svizzero (dieci), sia a serramanico (sette), sia da cucina (quattro), sia multiuso (due), due mazze da carpentiere, tre mazze di ferro, un piccone, un tubo Innocenti ricurvo, maschere antigas (quattro complete di protezione per gli occhi ed undici prive di tale protezione), otto maschere da sub, tredici occhialetti da piscina, tre caschi da motociclista e due da cantiere, cinque passamontagna ed un cappello di lana neri, sei parastinchi, quattro ginocchiere, undici protezioni fisiche artigianali di plastica resistenti, uno striscione nero con scritte inneggianti alla resistenza globale seguite da una stella a cinque punte, sessanta magliette nere di cui diverse con scritte inneggianti alla resistenza e alla violenza contro lo Stato, quindici pantaloni, sedici giacche, diciassette giubbotti, cinque sciarpe, quattro cappelli tipo zuccotto, tutti di colore nero. Per quanto attiene agli attrezzi di tipo edile, il Tribunale dava atto che l’edificio scolastico era in ristrutturazione e che in un locale chiuso a chiave erano in effetti custoditi diversi attrezzi, come riferito dai testi Del Papa e Gaburri i quali peraltro non avevano riconosciuto come a loro appartenenti tutti gli attrezzi sequestrati.

Quindi viene introdotto il capitolo

Le bottiglie Molotov

che riveste fondamentale importanza nel processo.

I reperti di maggior rilievo menzionati nei verbali di sequestro e di arresto sono costituiti da due bottiglie molotov, rinvenute per il primo verbale “nella sala d’ingresso ubicata al piano terreno” e per il secondo verbale “al piano terra in prossimità dell’entrata”, ma in realtà trovate dal Vice Questore Pasquale Guaglione nei pressi di corso Italia, durante la manifestazione e gli scontri avvenuti nel pomeriggio del 21. Viene riportata la deposizione del Dott. Guaglione “I due ordigni li trovai quasi alla fine del servizio in corso Italia, mi pare all’altezza di via Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione… Riconosco in quelle visibili nella foto (All. 2 Rogatoria Firenze) quelle che io ritrovai… il collo era incappucciato da una pellicola trasparente che lo copriva; odorandole emettevano un forte odore di benzina. La prima persona a cui feci vedere le molotov fu il mio autista, Vito Giandomenico, a cui dissi, non so perché: ‘Queste mi faranno perdere la promozione!’; poi per quanto ricordo le feci vedere al dr. Piccolotti e quindi al dr. Donnini a cui le consegnai e che le pose sul suo fuoristrada”.

Rileva il primo giudice che le dichiarazioni del dr. Guaglione hanno trovato conferma in quelle rese dai testi Vito, Piccolotti e Donnini.

Le due bottiglie molotov, consegnate al dr. Donnini, vengono dunque riposte sul sedile posteriore all’interno del Magnum, il cui autista, secondo quanto da quest’ultimo riferito, era  Burgio: su tale identificazione dell’autista il Tribunale è certo sia per il riconoscimento operato dal Donnini al dibattimento, sia per il fatto che il Magnum in questione risultò in quel giorno affidato al Burgio. Il Magnum ed il suo autista Burgio vengono filmati in piazza Merani praticamente dall’inizio dell’operazione presso la scuola Diaz sino circa a mezzanotte e trenta; i fotogrammi estrapolati dal filmato ad opera del RIS eliminano ogni possibile dubbio circa l’identificazione del Burgio nell’agente con il casco visibile nei pressi del portone centrale sulla sinistra. Per il Tribunale, dunque, se si tiene presente che le bottiglie molotov erano state riposte sul Magnum condotto dal Burgio, che detto veicolo era affidato al Burgio e non poteva quindi essere utilizzato da altri, appare evidente che il Burgio era l’unica persona che avrebbe potuto trasportare le predette bottiglie dal Magnum al cortile della Diaz. Osserva ancora in proposito il Tribunale che il Burgio non avrebbe avuto altri motivi, e comunque non ne ha indicato alcuno, per recarsi nel cortile della Diaz, abbandonando il veicolo di cui aveva la responsabilità e dal quale dunque non avrebbe dovuto in alcun caso allontanarsi.

Successivamente il Tribunale passa in rassegna le dichiarazioni rese dall’imputato dott. Troiani:

1)    dichiarazioni rese il 1/7/2002, quale persona informata dei fatti, e integralmente richiamate e confermate nel successivo interrogatorio del 9/7/2002: l’autista Michele Burgio, mi si avvicina e mi dice che in macchina o nelle immediate vicinanze o per terra vicino alle macchine sono state trovate, non si sa da chi, due bottiglie molotov; io ho portato queste bottiglie subito a Di Bernardini che si trovava nel cortile e me ne sono subito andato via … io a Di Bernardini ho detto che i miei le avevano trovate nel cortile della scuola o sulle scale d’ingresso del portone. Mi rendo conto della mia leggerezza; ma il mio problema in quel momento era solo quello di “liberarmi” di quelle bottiglie e riferire a chi avrebbe dovuto redigere atti di PG;

2)    Nell’interrogatorio del 9/7/2002 precisava: ritengo invece che sia stato Burgio a portarmele. Io ricordo di essere stato nel cortile, dove c’erano anche alcuni funzionari … Prendo altresì atto che Burgio avrebbe dichiarato alla AG di aver ricevuto una mia telefonata con la quale gli avrei richiesto testualmente di “portare quelle cose”. Nego di aver rivolto questo invito; ammetto di averlo chiamato per telefono … confermo di aver detto a Burgio di portarmi le bottiglie … quello che ora posso ricordare meglio è che io dissi a Di Bernardini che sul mezzo c’erano queste bottiglie, cioè che mi avevano riferito dell’esistenza di queste bottiglie e Di Bernardini mi disse allora di portargliele, credo ci fosse anche Caldarozzi davanti. Quando le ho portate e mi ha chiesto dove fossero state trovate ho detto che erano state trovate nel cortile o nell’immediatezza delle scale d’ingresso. Questa è stata la mia leggerezza, e me ne rendo conto, per volermene sbarazzare e non fare un verbale di sequestro

3)    Il 30/7/2002 il Troiani si avvaleva della facoltà di non rispondere ed infine il 31/5/2003 dichiarava:“… Le bottiglie le porta Burgio, arrivando a piedi, con il sacchetto in mano … Dissi al dott. Di Bernardini che mi era stato riferito dai miei uomini che tra la strada ed il cortile e comunque in quei pressi, più o meno nel cortile, erano state rinvenute delle bottiglie. Mai ho fatto riferimento alla possibilità che fossero state rinvenute all’interno della scuola

Secondo il Tribunale le dichiarazioni, in verità piuttosto confuse ed in parte contraddittorie, rese da Troiani provano comunque la sua partecipazione al trasporto e all’arrivo delle bottiglie molotov alla scuola Diaz; tali dichiarazioni, così come quelle rese dagli altri prevenuti, secondo quanto disposto dall’art. 513, comma 1, c.p.p., non sono peraltro utilizzabili nei confronti né del Burgio né degli altri imputati, che non hanno prestato il loro consenso all’utilizzo nei loro confronti dei verbali precedenti acquisiti a seguito del rifiuto del Troiani di sottoporsi ad esame dibattimentale.

Quindi per il Tribunale la ricostruzione del percorso compiuto dalle bottiglie molotov e di quanto compiuto in proposito da coloro che vennero in contatto con le stesse risulta assai difficoltoso e non accertabile con la dovuta sicurezza. In base alle dichiarazioni rese da Di Bernardini, Caldarozzi, Mortola e Gratteri, in parte imprecise e contraddittorie, può soltanto ritenersi provato che dette bottiglie giunsero infine a Luperi, il quale venne infatti filmato, in gruppo con Caldarozzi, Canterini, Mortola, Murgolo e Gratteri, mentre teneva in mano un sacchetto di colore azzurro, evidentemente contenente le bottiglie in questione. Il Luperi a sua volta ha riferito di aver avuto le bottiglie da Caldarozzi e di essere stato informato da Mortola che il ritrovamento era avvenuto all’interno della scuola; quindi avrebbe affidato le molotov alla dott.ssa Mengoni della Digos di Firenze perché provvedesse a custodirle data la loro pericolosità; smentisce il dott. Fiorentino secondo il quale egli avrebbe riferito di averle consegnate ad un agente della polizia scientifica. La Mengoni conferma la consegna da parte del Luperi, dice che non sapeva come custodire le molotov, di aver perso i contatti con i propri colleghi e di aver il cellulare scarico; incontra un collega della DIGOS di Napoli del quale non ricorda il nome e, poggiato il sacchetto con le molotov a terra subito dopo l’ingresso a sinistra, chiede al collega di rimanere a presidiare il sacchetto mentre lei si allontanava a cercare i suoi collaboratori. Tornata non trovava più né il collega né le molotov, e rivede poi le bottiglie posizionate sullo striscione nero allestito con tutti i reperti sequestrati; in prossimità dello striscione c’era il dr. Pifferi che fece quindi raccogliere tutti i reperti, dicendo a tutti di allontanarsi, perché la situazione all’esterno stava diventando insostenibile.

Il Tribunale giudica tali dichiarazioni imprecise e forse anche in parte illogiche, considerato che la Mengoni aveva avuto l’incarico di custodire reperti pericolosi e che il Dott. Pifferi ha riferito che la posa dello striscione ove collocare i reperti era avvenuta con l’aiuto della Mengoni stessa, ma conclude osservando che “Non sussistono peraltro elementi concreti che possano provare l’assoluta inattendibilità di quanto riferito dalla teste, anche tenuto presente lo scarso interesse da parte sua ad elaborare una versione dei fatti non veritiera e le incerte motivazioni che potrebbero averla indotta a farlo. Non può del resto neppure escludersi, in assenza di prove contrarie concrete, che il contrasto con quanto riferito dal dr. Pifferi sia attribuibile ad un erroneo ricordo, dell’uno o dell’altra, e che l’eccezionalità della situazione in cui si trovava e l’agitazione del momento abbia potuto in effetti indurre la dr.ssa Mengoni ad affidare le bottiglie molotov ad un funzionario da lei conosciuto soltanto di vista”; e ancora “Non è comunque chiaro come tali bottiglie siano giunte e siano state  infine disposte, peraltro prive del sacchetto di plastica azzurrino, sullo striscione.” Infine il Tribunale richiama la successiva vicenda della sparizione e distruzione delle molotov, oggetto di valutazione in altro procedimento, sostenendo che non può assumere alcun rilievo nel presente giudizio, atteso che detti reperti erano stati ampiamente fotografati ed esaminati cosicché la loro materiale disponibilità non appariva in alcun modo necessaria ai fini della loro individuazione e riconoscimento.

Il Tribunale passa quindi a descrivere la fase della

Redazione atti di perquisizione e di arresto

Dopo il trasferimento dei reperti presso i locali della Questura, ne inizia la catalogazione e nello stesso tempo inizia altresì la redazione dei verbali di perquisizione e sequestro e di arresto nonché della notizia di reato da trasmettere alla Procura.

L’imputato Dominici ha riferito in proposito: “… Mortola mi riferì che il dr. Caldarozzi per redigere il verbale di arresto aveva mandato a Bolzaneto Ciccimarra, Gava e Ferri, i quali avevano bisogno di notizie sulle persone portate agli ospedali. Gli agenti della Digos e dello SCO nel frattempo stavano redigendo i verbali di perquisizione negli uffici della Digos e vi era anche il problema di redigere la notizia di reato da trasmettere al magistrato; telefonai quindi al dr. Schettini dicendogli di preparare insieme al dr. Gallo la notizia di reato, rivolgendosi per redigerla alle persone che materialmente avevano partecipato all’operazione”.

Tali operazioni sono descritte dai testi Gallo ,Schettini ,Conte e Riccitelli.

Il teste Salvemini ha dichiarato:

Abbiamo identificato i nove firmatari del verbale di perquisizione e sequestro: Panzieri, Nucera, Gava, Ferri, Aniceto, Cerchi, Di Novi, Mazzoni e Di Bernardini. Gli stessi hanno sottoscritto anche il verbale di arresto: sono state identificate altre cinque firme, Mortola, Dominici, Di Sarro, Caldarozzi e Ciccimarra, mentre resta non identificata la quindicesima”.

Il compito di redigere materialmente la notizia di reato venne dunque affidato dal dr. Dominici a Gallo e Schettini; gli imputati Ferri, Gava e Ciccimarra compilarono a  Bolzaneto il verbale di arresto mentre presso la Questura l’imputato Mazzoni redigeva almeno in parte il verbale di perquisizione e sequestro.

Un capitolo ulteriore del processo è rappresentato dalla

Irruzione nella scuola Pascoli

essendo pacifico che forze di polizia fecero ingresso anche nell’edificio adibito alla scuola Pascoli, che fronteggia la scuola Pertini.

Tale edificio, concesso dal Comune al Genoa Social Forum, era strutturato nel modo seguente:

Al piano seminterrato aveva sede, nella palestra, la sala stampa;

Al primo piano erano situati l’infermeria, e le aule ove erano sistemati  il Mediacenter, sede della redazione dei giornali e della carta stampata, nonché la sala avvocati;

Al secondo piano erano collocati gli uffici di Radio Gap e la redazione de “Il Manifesto”, “Carta”, “Liberazione”.

Al terzo piano aveva sede Indymedia.

Nella notte tra il 21 ed il 22 luglio 2001 l’ingresso delle forze dell’ordine all’interno della Scuola Pascoli ebbe luogo poco dopo l’irruzione nella Scuola Pertini.

Il teste dr. Salvemini, che svolse indagini successive, accertò che alcuni uomini che fecero ingresso nell’edificio appartenevano a diverse Squadre Mobili: otto di Genova al comando del dr. Dominici, venti di Roma al comando del dr. Di Bernardini, quattro di La Spezia al comando del dr. Ferri, sette di Nuoro al comando del dr. Gava. Il gruppo di Nuoro entrò per ultimo e non incontrò ostacoli perché i colleghi già entrati in precedenza avevano fatto sistemare i presenti lungo le pareti; quando la parlamentare Mascia intervenne per far sospendere l’operazione parlò con il responsabile che era il Dott. Gava.

La tesi sostenuta dalle difese è che l’ingresso nella scuola Pascoli sia avvenuto per sbaglio, in quanto tale edificio non era interessato all’operazione di perquisizione: il personale intervenuto non conosceva il luoghi, seguiva i colleghi di Genova, non sapeva neppure che ci fossero due scuole, poteva essere stato tratto in inganno dalla targa sulla scuola Pascoli con scritto “Scuola elementare Armando Diaz”. Secondo testi presenti gli agenti battevano i manganelli sui tavoli per spaventare, rifiutavano di dare spiegazioni della condotta o dicevano di non aver bisogno di mandati: fecero preparare i documenti di identità che però poi non esaminarono.

Secondo i testi a difesa non avvenne alcuna perquisizione, i residenti furono lasciati tranquilli e liberi di usare i cellulari, alcuni continuarono a cenare anche offrendo il pranzo ai poliziotti, in un clima di serenità che il Tribunale sostiene confermato da un filmato agli atti. Venne invitato il giornalista di TG 3 Chartroux: notò gran confusione, “evidenti segni di una attività che aveva provocato rovesciamento, caduta, rottura di varie cose”, computer a terra, computer e dischi “fracassati”, ma non assistette ad atti di coercizione ad opera delle Forze dell’Ordine. A nessuno fu vietato, al suo cospetto, di muoversi; i presenti erano seduti lungo il corridoio, non sembravano soddisfatti di trovarsi in quella posizione, ma non veniva loro intimato di non muoversi. Fu permesso di parlare con la troupe della RAI.

Fra le persone che si trovavano al secondo piano, soltanto il teste Fletzer, giornalista pubblicista, in quei giorni collaboratore de “Il Manifesto”, ha dichiarato di essere stato vittima della violenza della Polizia. Si era portato in una stanza all’inizio delle scale, erano quindi arrivati i poliziotti, che, rimasti indifferenti dinanzi al cartellino ed alla casacca gialla, in dotazione ai giornalisti, gli lanciarono una panca sul capo e lo colpirono con i manganelli, gettandolo a terra. Il cellulare cadde e si aprì, ma Fletzer riuscì a ricomporlo ed a proseguire le concitate conversazioni con i vari interlocutori, fra cui il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Genova, Lugli, ed altre persone cui raccontava quanto stava accadendo. Il giornalista venne nuovamente colpito dagli stessi uomini in divisa blu scuro.

In ordine a tali violenze non è stata formulata alcuna imputazione, perché gli autori non furono identificati.

Dopo circa 30 - 40 minuti intervenne l’on. Mascia quindi Gratteri, accortosi dell’erronea presenza nella scuola, tramite Ferri disse a Gava di abbandonare l’edificio.

Diversa fu invece la condotta tenuta da appartenenti alla Polizia di Stato nei locali in uso al Mediacenter ed agli avvocati, sempre al primo piano della Pascoli.

Bria Francesca racconta che, mentre assisteva dalla finestra all’avanzata della Polizia verso la Pertini, sentì rumori provenire dal basso, poi irruppero alcuni poliziotti, taluni in uniforme, altri in borghese con pettorine. Urlavano: “Giù per terra! faccia a terra!”. La teste li vide rompere un computer e colpirne altri. Fu percossa con un  manganello. I presenti vennero poi condotti nel corridoio ed obbligati a rivolgersi verso il muro. Dopo una decina di minuti fu ordinato di sedersi per terra. Arrivarono infine gli On. Mascia e Morgantini che protestarono, chiedendo se la Polizia fosse autorizzata ad entrare nella scuola.

Stesso racconto ha reso Galvan Fabrizio, il quale fu colpito da una cassa acustica, mentre i poliziotti sfasciavano i computer, e Lenzi Stefano, il quale non trovò più il suo telefono, quando rientrò nell’aula. Più drammatica è la ricostruzione dei fatti di Minisci Alessandro, perché, oltre a descrivere con maggiori dettagli i gesti di devastazione che attribuisce ad un numero da cinque a otto poliziotti, dichiara che  essi chiedevano urlando dove fossero armi e droga. Riferisce inoltre di un colpo inferto da uno di loro ad un giovane. Minisci stesso venne schiaffeggiato da un poliziotto.

All’On. Morgantini, che si trovava sempre al primo piano, fu consentito di telefonare. Quando uscì nel corridoio vide giovani in ginocchio rivolti verso il muro. Si recò nella stanza dei legali ove notò che tutti i computer sulla sinistra erano rotti.

Appartenenti alla Polizia di Stato salirono anche al terzo piano, ove aveva sede Indymedia; secondo il teste Trotta Marco i poliziotti battevano con i manganelli; quando entrarono, intimarono ai presenti di disporsi nel corridoio con le parole: “Tutti a terra!”; zittivano chi, qualificandosi giornalista, ne chiedeva la ragione. In particolare uno di loro puntò il manganello contro un giovane, di cui successivamente il teste apprese il nome: Huth Andreas. Alle sue proteste, lo portò via. Perquisirono le aule, raccogliendo materiale in scatoloni che lasciarono nel corridoio. Ha raccontato Hayton che, colto dal panico, scese forse al primo piano, ove vide la Polizia trattare bruscamente alcune persone e colpire con un manganello una che protestava; il collega Neslen protestò, fu picchiato con un manganello e portato via; Neslen cercò di confortare una giovane colta da crisi d’asma, ma fu redarguito dall’urlo di un poliziotto che lo prese per il collo e lo trascinò lungo le scale. Lo colpì al fianco col manganello. Alla domanda del perché, Neslen fu nuovamente colpito.

Luppichini  e Valenti erano nella sala video del terzo piano con Raffaele Vizzuti, Andrea Masu e Sara Menafra, giornalista del Manifesto, quando videro la Polizia arrivare in via Battisti, sfondare il cancello della Pertini, colpire le persone. Effettuarono riprese filmate, che dovettero interrompere quando arrivò la Polizia nella Pascoli. La Polizia raggiunse il terzo piano, intimò loro di uscire nel corridoio e sedersi per terra. Quando si allontanò, Valenti rientrò nella stanza, ritrovò la sua telecamera priva della videocassetta contenente le riprese filmate. Non ebbe notizia del sequestro. Riconobbe la videocassetta come propria durante le indagini preliminari.

Forte e Messuti videro poliziotti che portavano alcune videocassette; la teste Halbroth ebbe l’impressione che la Polizia portasse via videocamere o macchine fotografiche. Gli agenti Bassani, Pantanella e Garbati della Digos di Genova, che avevano visto qualcuno effettuare riprese, non riuscirono ad identificare il soggetto ma presero i filmati, che portarono in Questura e consegnarono a loro colleghi insieme ad altro materiale.

Plumecke e Huth erano insieme in una stanza al terzo piano e stavano seguendo alla finestra quanto accadeva in via Battisti: un poliziotto, armato di manganello, ordinò di andare in corridoio con atteggiamento minaccioso; Huth reagì, osservando che erano giornalisti. L’altro lo minacciò col manganello, pronunciando parole in lingua italiana. Sopraggiunse un altro poliziotto, afferrò Huth, lo colpì tre volte al viso, pronunciò parole di minaccia, lo spinse verso le scale, gli torse un braccio provocandogli dolore, lo costrinse in un angolo appartato dove nessuno poteva vedere, lo scosse e gli strappò la pettorina gialla. Infine lo condusse nel seminterrato, ove lo obbligò ad inginocchiarsi e si allontanò. Le indagini volte all’identificazione dell’appartenente alla Polizia di Stato, autore delle percosse nei confronti di Huth, portarono alla sua identificazione: Huth indicò con certezza Fazio Luigi. La ricognizione di persona, eseguita con le forme dell’incidente probatorio, ha dato altresì esito assolutamente positivo, poiché il riconoscimento da parte della persona offesa è stato del tutto certo.

Atti di turbolenza avvennero altresì nella stanza avvocati del primo piano ed isolatamente altrove ebbero luogo anche condotte violente nei confronti delle persone presenti nell’edificio scolastico.

Le immagini catturate con fotografie e video costituiscono ulteriore conferma dei danneggiamenti alle apparecchiature informatiche. La dr.ssa Spagnolli, dirigente del Comune di Genova, ha dichiarato che tali apparecchiature furono acquistate dall’ente pubblico al prezzo complessivo di circa 500 milioni ed erano state messe a disposizione del GSF all’interno della scuola elementare. La domenica successiva a mezzogiorno il funzionario comunale suddetto si recò nella scuola Pascoli per prenderne visione e riscontrò che i computer in funzione al primo piano erano stati gravemente danneggiati: sembrava fossero stati colpiti “a randellate” Non sono state identificate le persone fisiche autrici degli atti vandalici sul materiale informatico, compiuti soltanto nella sala avvocati del primo piano della scuola Pascoli.

Ritiene il Tribunale: “Benché alcuni testimoni abbiano riferito di avere sentito o anche visto appartenenti alla Polizia di Stato accanirsi su tali apparecchiature e quindi possa ritenersi che almeno qualche gesto sia loro attribuibile, si può dubitare che una programmata attività di distruzione e soprattutto di asportazione di pezzi possa essere ricondotta soltanto alla brutale e dissennata azione dei poliziotti. La rimozione degli hard - disk è infatti un’operazione che richiede competenza, attrezzi idonei e tempo sufficienti e non può avvenire semplicemente distruggendo il “case”. Non si comprende inoltre perché la violenza distruttiva si sia accanita proprio e solo sui computer in uso agli avvocati, nella cui memoria è presumibile fossero immagazzinati dati delicati, che le Forze dell’Ordine, impegnate nella ricerca di pericolosi sovversivi, non avrebbero invece avuto interesse a sopprimere….Resta dunque il dubbio che semplici agenti o sottufficiali di Polizia abbiano  potuto repentinamente e precipitosamente procurare tutti i danni riscontrati al materiale informatico ovvero impossessarsi degli hard – disk, anche tenuto presente che ben difficilmente avrebbero potuto sapere quali fossero i computer in uso ai legali…”

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In relazione ai fatti come sopra riassunti dal Tribunale, le imputazioni formulate dalla pubblica accusa, e compiutamente formalizzate nei capi di cui all’intestazione, possono essere sintetizzati per semplificazione nel seguente modo:

GRATTERI Francesco e LUPERI Giovanni

CAPO A): falso aggravato perché partecipando con funzioni di controllo e di comando in concorso tra loro e con il Prefetto La Barbera Arnaldo, direttore dell’Ucigos, nonché con gli Ufficiali ed Agenti di P.G., materiali redattori e/o sottoscrittori degli atti trasmessi all’A.G. (relazioni di servizio, verbali d’arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato) in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, attestavano fatti e circostanze non corrispondenti al vero: in concreto determinavano e inducevano gli Agenti ed Ufficiali di PG presenti, alcuni dei quali loro diretti sottoposti, materiali redattori e sottoscrittori degli atti sopra indicati, ad attestare falsamente:

di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;

di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli ed armi improprie;

che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto - e costituito da mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere - era stato utilizzato come arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti, e comunque che era nella disponibilità e possesso degli arrestati;

di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio;

CAPO B) artt.110, 368, comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p. perché incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie),  simulando tracce od elementi materiali di prova a carico delle stesse persone incolpate,  procedendo al sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti (fra cui 16 coltellini multiuso ed a serramanico, attrezzi provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso l’istituto, barre metalliche costituenti supporti di zaini estratte nell’occasione) strumentalmente descritti e qualificati come armi improprie utilizzate dagli indagati o nella loro disponibilità, oltre che di due bottiglie Molotov provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto.

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CALDAROZZI Gilberto MORTOLA Spartaco DOMINICI Nando FERRI Filippo CICCIMARRA Fabio DI SARRO Carlo MAZZONI Massimo DI NOVI Davide CERCHI Renzo:

CAPO C) Del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. falso aggravato in relazione alle attestazioni così come descritte al capo A), e comunque, benché consapevoli della non corrispondenza dei fatti descritti nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro e nelle informative di reato a quanto nella realtà accaduto, non si opponevano in tutto o in parte alla falsa rappresentazione in tali atti contenuta;

infine i sottoscrittori del verbale di perquisizione falsamente attestavano la circostanza che durante tale operazione “gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”.

CAPO D) delitto p. e p. dagli artt.110,  368, comma I e II, 61 n.2 c.p., 81 cpv c.p. così come formulato al capo B).

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Luperi, Gratteri, Caldarozzi, Ciccimarrra, Ferri, Mazzoni, Cerchi, Di Novi, Di Sarro, Mortola, Dominici

CAPO E) Delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p., perché pervenivano alla decisione e, conseguentemente, eseguivano l’indiscriminato arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza di  elementi che giustificassero l’adozione di tale misura nei confronti di ciascuna delle predette persone, pur indicando titoli di reato che astrattamente avrebbero consentito l’arresto ad iniziativa della P.G., così intenzionalmente cagionando alle stesse un danno ingiusto consistito nella privazione della libertà personale:

- deliberatamente omettendo di attribuire a ciascuno il possesso dei vari reperti che  venivano posti in sequestro e considerati elementi di prova a carico di tutti gli arrestati,

- strumentalmente qualificando reperti come armi improprie in possesso illegale  degli arrestati;

- deliberatamente omettendo di specificare le circostanze concrete dell’arresto di Mark Covell, fermato e gravemente ferito da operatori di Polizia non identificati  all’esterno dell’edificio, in fase addirittura antecedente alla irruzione e quindi alla ipotizzata commissione dei reati di resistenza aggravata e violenza a pubblico ufficiale, ovvero le circostanze in cui altri soggetti venivano arrestati, alcuni al di fuori dell’edificio, altri colti nel sonno, comunque nella evidente situazione di estraneità quantomeno ad azioni di resistenza;

- dolosamente omettendo di considerare circostanze in fatto concretamente valutabili e quelle sopra indicate che avrebbero comportato comunque l’obbligo di disporre l’immediata liberazione degli  arrestati in particolare l’assoluta non riferibilità a tutti ed a ciascuno della flagrante commissione dei reati contestati.

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CANTERINI Vincenzo:

CAPO F) Del reato di cui agli artt., 110, 61 n. 2, 479 c.p. perché, in concorso con le persone menzionate  ai capi A), C), partecipando in veste di comandante del VII Nucleo Sperimentale appartenente al I° Reparto Mobile di Roma della Polizia di Stato, all’organizzazione e alla conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773, nella relazione personalmente sottoscritta ed allegata al verbale di arresto trasmesso alla A.G. attestava falsamente che gli appartenenti al Nucleo e Reparto dal medesimo comandato:

-        incontravano violenta resistenza da parte degli occupanti, consistita in un fittissimo lancio di pietre e bottiglie dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;

-        incontravano resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti, che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli, bastoni ed armi improprie, alcune delle quali rinvenute in tali circostanze;

CAPO G) delitto p. e p. dagli artt.110,  368, comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p. così come formulato al capo B)

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CANTERINI  Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo

CAPO H) Delitto p. e p. dagli arrt. 110, 40, 81 cpv., 61 n. 9, 582, 585, 583 c.p. perché, nelle rispettive qualità di comandante, vice comandante e capi squadra del VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma, nel corso della operazione di perquisizione procuravano lesioni personali, anche gravi, a 79 degli arrestati

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NUCERA Massimo 

CAPO I) Del delitto di cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2  c.p. perché redigendo annotazione di servizio in cui descriveva il proprio operato durante l’intervento di irruzione all’interno dell’edificio  scolastico Diaz Pertini sito in Genova Via Battisti falsamente attestava di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata vibrata all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della divisa indossata e al corpetto protettivo interno

CAPO L) Del delitto di cui  agli artt. 368, comma I e II, 110,  81 c.p.v , 61 n. 2 c.p. come descritta al Capo B) realizzata in particolare nella annotazione di servizio a sua firma, trasmessa in allegato alla predetta comunicazione di notizia di reato, nella quale incolpava, sapendola innocente, persona non identificata ma compresa tra i predetti indagati, del delitto di tentato omicidio in suo danno

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PANZIERI Maurizio

CAPO M) Del delitto di cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2 c.p. in qualità di ispettore capo, aggregato al VII Nucleo del I° Reparto Mobile di Roma della Polizia di Stato, in concorso con l’agente Nucera falsamente attestava di aver  assistito ad un episodio in cui l’agente Nucera sarebbe stato accoltellato

CAPO N) Del delitto di cui agli artt. 368, comma I e II, 110,  81 cpv, 61 n. 2 c.p. come al capo L.

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TROIANI Pietro

CAPO O) Del delitto di cui agli artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. perché, in concorso con le persone indicate nel capo B) e con l’assistente Burgio Michele commetteva la calunnia descritta al capo B) mediante la consegna ai colleghi che cercavano armi delle bottiglie molotov che sapeva essere state ritrovare altrove.

CAPO P) delitto p. e p. dagli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre 1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e  9 c.p. per avere, al fine di commettere il delitto di cui al capo che precede e nella qualità ivi menzionata, in concorso con l’assistente Burgio Michele, detenuto e portato illegalmente in luogo pubblico due bottiglie incendiarie tipo “molotov”, da considerarsi arma da guerra

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BURGIO Michele

CAPO Q) Del delitto di  cui agli artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. come la al capo O)

CAPO R) Del delitto di cui agli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre 1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e 9 c.p. come al capo P)

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GAVA Salvatore

CAPO S) del reato di cui agli artt. 609, 615 c.p., 61 n. 2 c.p. per aver eseguito perquisizione arbitraria domiciliare e personale nel complesso scolastico denominato “Diaz – Pascoli“ con contestuale arbitraria e violenta apprensione delle cose mobile rinvenute (tra l’altro, apparecchi telefonici portatili, macchine fotografiche, videocamere, rullini, videocassette, parti interne di personal computers).

CAPO T) del reato di cui agli artt. 110, 40, 610, 61 n. 9 cp perché, in concorso con soggetti non identificati e non impedendo l’evento, costringeva con minaccia  - consistita nell’urlare ordini in tal senso, brandendo i manganelli in dotazione - gran parte degli occupanti  l’edificio a sedersi,  inginocchiarsi o anche sdraiarsi a terra e a mantenere tale posizione per almeno mezz’ora.

CAPO U) del reato di cui agli artt. 110, 40, 635 c. 1 e c. 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7, 61 n. 9 c.p. perché, in concorso con soggetti non identificati e non impedendo l’evento, distruggeva e rendeva inservibili (spaccandoli a colpi di manganello e scaraventandoli a terra) alcuni personal computers ed alcuni apparecchi telefonici di proprietà del Comune di Genova.

CAPO V) del reato di cui agli artt. 110, 40, 314 c.p. perché, in concorso con soggetti non identificati e non impedendo l’evento, si appropriava degli hard-disk dei personal computers di proprietà del Comune di Genova

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FAZIO Luigi

CAPO Z1) del reato di cui agli artt. 581, 61. n. 9 cp perché – strattonandolo, piegandogli un braccio dietro la schiena e colpendolo con delle manate al volto – percuoteva Huth Andreas

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nel PROC. Riunito N. 5045/05 R.G. TRIB, N. 8341/04 GIP, n. 14525/01 NR

DI BERNARDINI

1)   (già capo C) della Richiesta di rinvio a Giudizio: del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. falso come descritto al CAPO C);

2) (già capo D) della Richiesta di rinvio a Giudizio: del delitto p. e p. dagli artt.110,  368, comma I e II, 61 n.2 c.p., 81 cpv c.p. calunnia come descritta al CAPO B);

3) (già capo E) della Richiesta di rinvio a Giudizio: del delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p per l’indiscriminato arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso,  per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza di  elementi che giustificassero l’adozione di tale misura

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PROC. riunito N. 1079/08 Dib, n. 6115/05 GIP, 2774/04 NR

TROIANI PIETRO

del delitto di cui agli artt. 110, 479 c.p. perché, avendo consegnato per il tramite dell’assistente Burgio da lui all’uopo diretto due bottiglie incendiarie del tipo c.d. Molotov, consentiva che ne fosse evidenziata da parte degli estensori e sottoscrittori dei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro la disponibilità in capo agli occupanti l’edificio in cui era in atto la perquisizione, con la falsa attestazione nei predetti atti del rinvenimento delle bottiglie incendiarie nel contesto descritto, all’interno della scuola perquisita

GAVA Salvatore:

del reato di cui all’art. 479 c.p. per avere in qualità di Commissario Capo della Polizia di Stato aggregato alla Questura di Genova, attestato, in maniera non conforme al vero, sottoscrivendo il relativo verbale di perquisizione e sequestro di aver “proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi, strumenti di offesa ed altro materiale”;

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Pur avendo già anticipato alcuni giudizi e valutazioni del materiale probatorio raccolto, il Tribunale prosegue la redazione della sentenza con il capitolo intitolato

VALUTAZIONE DELLE RESPONSABILITÀ

introdotto dalla considerazione circa l’obbligo per il giudicante di attenersi alle regole processuali di valutazione giuridica dei fatti, con esclusione di alcun giudizio di natura politica e sociale, o anche di mera opportunità

Operazione presso la scuola Diaz Pertini

Il Tribunale esclude la tesi radicale sostenuta da alcune Parti civili secondo la quale i fatti oggetto del processo sarebbero la conseguenza di una ben precisa scelta operativa assunta dai vertici della Polizia, qualificabile come una sorta di “spedizione punitiva”.

Quanto alla tesi della pubblica accusa secondo la quale “le giustificazioni addotte dagli imputati circa il contesto di guerra evocato dalle immagini degli atti vandalici operati da gruppi di contestatori avrebbero reso esplicita una logica del nemico che ha caratterizzato l’agire delle forze di polizia e che colora di rappresaglia i propositi investigativi e repressivi concepiti alla base della disgraziata operazione, sia pur in astratto legittimi”, la stessa, secondo il Tribunale, potrebbe trovare fondamento nel fatto che “le violenze all’interno ed anche all’esterno della scuola Diaz risultano compiute non da sporadici operatori spinti da attacchi d’ira momentanei, bensì da un gran numero di agenti, appartenenti non solo al VII nucleo di Roma ma anche ad altri reparti” “sia nelle dichiarazioni di diverse vittime circa la sistematicità delle violenze e dei colpi inferti, sia in particolare in quanto riferito dal Pref. Andreassi circa l’intervenuto mutamento della situazione e la volontà di “passare ad una linea più incisiva, con arresti, per cancellare l’immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e devastazione”.

Ma, osserva il Tribunale, “la sistematicità nelle violenze poste in essere dagli operatori potrebbe anche essere attribuita alla sensazione riportata dalle vittime che, colpite più volte e con notevole forza, come risulta dalle gravi ferite riportate da alcune di loro, potrebbero in effetti aver avuto la concreta e certamente giustificata percezione di un’attività violenta sistematica, anche nel caso in cui in realtà si fosse trattato invece di sequenze di colpi non programmate con precise finalità e modalità.”

“E’ certo che lo svolgimento di tutta l’operazione e le violenze poste in essere possono costituire, come già rilevato, un indizio quanto meno del carattere di “rappresaglia” dell’operazione, ma deve anche riconoscersi che un indizio anche grave non può valere quale valida prova di un fatto.”

Secondo il primo giudice i dirigenti non avrebbero convocato i giornalisti, ciò che invece hanno fatto in quanto convinti che l’operazione avrebbe avuto successo e avrebbe portato all’arresto di black-bloc (ed in tale ottica il primo giudice considera irrilevante la vicenda relativa all’imputazione per falsa testimonianza a carico di Colucci conseguente al cambio di versione circa l’iniziativa di convocare Sgalla, Direttore dell’Ufficio Pubbliche Relazioni; se anche fosse stato il Capo della Polizia De Gennaro a disporne la convocazione, come riferito da Colucci in un primo tempo, ciò sarebbe stato determinato “dalla convinta generale aspettativa del suo successo con l’individuazione e l’arresto dei responsabili delle devastazioni e saccheggi dei giorni precedenti.”)

Secondo il Tribunale alla luce delle denunce dei cittadini, del sopralluogo di Mortola, della telefonata a Kovac e dell’aggressione al pattuglione, del tutto giustificatamente venne ritenuto che nella scuola si potessero trovare appartenenti al black bloc, responsabili delle devastazioni e saccheggi avvenuti nei giorni precedenti, e quindi che vi potessero essere anche le armi, proprie o improprie, dai medesimi utilizzate.  Quindi, reputa il primo giudice, la perquisizione venne disposta in presenza dei presupposti di legge. Ciò che invece avvenne non solo al di fuori di ogni regola e di ogni previsione normativa ma anche di ogni principio di umanità e di rispetto delle persone è quanto accadde all’interno della Diaz Pertini.

Si interroga il Tribunale su quale tipo di resistenza violenta avrebbero potuto porre in essere ad esempio Elena Zuhlke (che riportò, tra l’altro, la frattura di diverse costole con pneumotorace) di corporatura certamente assai esile, di fronte agli agenti di ben più notevole corporatura ed in divisa antisommossa e, che probabilmente con un solo braccio avrebbero potuto immobilizzarla, o su quale resistenza attiva e violenta avrebbe potuto porre in essere Arnaldo Cestaro (di anni 62) per costringere gli operatori a reagire, provocandogli la frattura dell’ulna e del perone; e conclude che risulta evidente, come del resto dichiarato da tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola Diaz Pertini, che la violenza posta in essere dalle forze dell’ordine non fosse, almeno nella maggioranza dei casi, diretta a superare specifici atti di resistenza; rileva il Tribunale come non vi è in atti alcuna prova di generali e diffusi atti di resistenza violenta posti in essere nei confronti delle forze dell’ordine, ma semmai soltanto di alcuni isolati episodi, quale quello che vide coinvolto l’agente Nucera o quelli riferiti dai capi squadra e da qualche operatore.

Anche tali singoli atti violenti comunque non avrebbero potuto giustificare l’uso della forza in modo indiscriminato nei confronti di quasi tutti coloro che si trovavano nella scuola, ma nei soli confronti di coloro che si fossero violentemente opposti alle forze dell’ordine.

Quanto avvenuto in tutti i piani dell’edificio scolastico con numerosi feriti, di cui diversi anche gravi, tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la situazione ad una “macelleria messicana”, appare al Tribunale di notevole gravità sia sotto il profilo umano sia sotto quello legale.

La scelta della pubblica accusa circa la richiesta archiviazione delle imputazioni nei confronti dei possibili esecutori materiali delle violenze, evidentemente determinata dalle difficoltà incontrate nella loro individuazione, secondo il primo giudice non ha sicuramente favorito l’accertamento delle singole responsabilità.

Fatto questo inquadramento generale in ordine alle violenze compiute all’interno della scuola Diaz Pertini nelle immediatezze dell’irruzione, passando ad esaminare il capo di imputazione H) relativo alle lesioni, il Tribunale ritiene:

“ non del tutto incredibile che l’inconsulta esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto; deve d’altra parte anche riconoscersi che una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell e di Frieri, sia immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presupponga la  consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati. Il fatto che nessuno non solo dei capi squadra, ma anche dei singoli operatori presenti all’interno della Diaz mentre erano in corso le violenze, abbia denunciato quanto avvenuto, pur avendone l’obbligo come espressamente previsto dall’art. 361 c.p., conferma la validità di quanto osservato.”

Prosegue il Tribunale: ”dunque coloro che con responsabilità di comando avessero assistito anche solo ad alcune delle violenze poste in essere dagli agenti, avrebbero dovuto necessariamente essere ben consapevoli che il loro comportamento omissivo non solo consentiva la prosecuzione delle violenze, ma confermando la validità dell’accordo di non denunciare gli eccessi di violenza posti in essere dai loro sottoposti, ne rafforzava la convinzione dell’impunità e di conseguenza il proposito criminoso.

Non va altresì dimenticato che tra gli operatori del VII Nucleo era attivo un collegamento radio mediante un “laringofono”, cosicché tutti ed in particolare i capi squadra, presenti con i loro uomini ad ogni piano, avevano in ogni momento la possibilità di parlare con i colleghi. Il loro silenzio costituiva dunque un’evidente acquiescenza a quanto stava accadendo e veniva certamente percepito come tale da tutti coloro che erano radiofonicamente collegati.

Gli imputati pertanto, che, entrati nell’edificio durante il periodo in cui le violenze vennero poste in essere, ebbero la possibilità di rendersi conto di quanto stava accadendo, vanno ritenuti responsabili in concorso tra loro del reato di lesioni in danno di tutte le vittime di tali violenze, senza alcuna distinzione tra i fatti cui avevano assistito direttamente e quelli avvenuti in altre parti della scuola, dato che sia l’accordo di cui si è detto sia il loro comportamento omissivo valsero certamente a rinforzare il proposito criminoso e ad agevolare il comportamento violento di tutti.”

In ordine agli altri fatti accaduti all’interno della scuola, il Tribunale ritiene:

il lancio di oggetti e l’aggressione all’agente Nucera non si possono escludere;

quanto alla falsità relativa alla presenza delle molotov, gli elementi valorizzati dell’accusa (incongruenze e reticenze, presenza del sacchetto in mano al Luperi alla presenza di altri, la comparsa dei reperti senza il sacchetto, la mancata menzione  degli stessi nella conferenza stampa di Sgalla, le differenti collocazioni dei reperti nei verbali di arresto, perquisizione e notizia di reato) costituiscono pur sempre semplici indizi per di più non univoci. La confusione e l’agitazione di quei momenti, secondo il primo giudice, ha reso i ricordi di singoli avvenimenti e dei particolari imprecisi, confusi e lacunosi Circa il colloquio avvenuto nel cortile deve d’altra parte riconoscersi che la presenza di alcuni imputati riuniti a parlare con Luperi, mentre quest’ultimo tiene in mano il sacchetto con le bottiglie molotov, non può sicuramente valere a provare con la dovuta certezza che in tale momento si stesse concordando di affermarne il falso ritrovamento all’interno della scuola, pur conoscendone la provenienza da altro luogo. L’omissione di qualsiasi riferimento alle bottiglie molotov nella conferenza stampa del dr. Sgalla, può a sua volta apparire in effetti piuttosto strana, trattandosi di un reperto assai significativo e decisivo, come già rilevato, ma non può evidentemente essere ascritta con certezza alla consapevolezza della sua non genuinità. Prosegue il Tribunale ritenendo poco probabile che tutti i partecipanti al colloquio si siano messi d’accordo; le prove false avrebbero potuto essere formate in Questura e non presso la Diaz ove era più pericoloso; il Luperi non avrebbe girato con il sacchetto in mano con il rischio, verificatosi, di venire ripreso dai cineoperatori presenti.

In conclusione, sebbene il Tribunale si renda conto che è difficile attribuire tutto al solo Troiani, tuttavia opina che in assenza di qualsiasi diversa concreta prova non sia consentito avanzare altre ipotesi, che, pur certamente possibili, resterebbero comunque prive di riscontri probatori certi, e debba quindi accettarsi quanto riferito in proposito dallo stesso dr. Troiani.

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Passando all’esame delle imputazioni di falso, il Tribunale osserva:

La prima relazione circa i fatti avvenuti presso la scuola Diaz venne inviata dal dr. Canterini al Questore e venne da lui redatta circa due ore dopo (si tratta dell’atto che Canterini stesso ha qualificato “due righe al Questore”): secondo il Tribunale non contiene le espressioni indicate nel capo di imputazione: la resistenza incontrata viene definita “vigorosa” e non “violenta”, viene indicato che “dall’alto piovevano oggetti contundenti ed in particolare bottiglie di vetro” e non che vi fu un “fittissimo lancio di pietre e bottiglie”; si afferma che gli operatori salendo ai piani superiori avevano incontrato “ugualmente resistenza” ma non si indicano “violente colluttazioni”  da parte degli occupanti. Comunque rileva il Tribunale “Il dr. Canterini dunque nel redigere la relazione in esame non descrisse quanto realmente avvenuto e comunque a sua conoscenza, ma nell’omettere alcuni fatti e nel riportarne altri in modo generico ed anche sviante per chi la leggeva, forniva una rappresentazione degli eventi del tutto difforme dalla realtà, con l’evidente finalità di favorire gli agenti che avevano commesso gli eccessi e le violenze, cercando di assicurarne l’impunità, secondo l’accordo tra loro esistente, più sopra posto in evidenza, e per un malinteso senso dell’onore dell’istituzione

Diversa la decisione invece per gli imputati che sottoscrissero la notizia di reato ed i verbali di perquisizione e sequestro e di arresto. Per il Tribunale non risulta in alcun modo provato che gli imputati dei reati di falso e di calunnia, ad eccezione di Canterini, siano entrati nella Diaz durante l’operazione di “messa in sicurezza”, ma soltanto in pratica dopo che Fournier aveva richiamato i suoi uomini per radunarli nel cortile, come risulta dalle dichiarazioni delle stesse vittime delle violenze; prosegue, pertanto, ”Non può dunque escludersi, e comunque non risultano acquisite prove certe di diverso tenore, che i citati imputati non si siano resi conto di quanto in effetti era accaduto”.È certo che il numero dei feriti e la gravità di alcuni di loro avrebbe dovuto almeno suscitare qualche perplessità circa quanto accaduto ed indurre ad approfondire i fatti, ma è anche vero che la situazione che si era determinata dopo giorni di violenze e sostanzialmente di “guerriglia urbana” con lanci di molotov e numerosi feriti, era ormai tale che nulla era più in grado di stupire o di essere giudicato secondo criteri logici e normali”; ed ancora “non può escludersi che i redattori degli atti in esame ed i sottoscrittori, fossero convinti dell’esistenza di un certo legame ed accordo tra tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola, già resisi responsabili di atti di resistenza nell’opporsi all’ingresso della polizia, e di conseguenza dell’attendibilità dei colleghi, per di più pubblici ufficiali, che descrivevano quanto avvenuto, nonché del fatto che l’elevato numero dei feriti potesse in effetti essere determinato dai violenti atti di resistenza avvenuti all’interno della scuola

Quanto al CAPO E) relativo all’abuso d’ufficio, anche riqualificato come arresto illegale ex art. 606 c.p., come richiesto dal P.M., il Tribunale ritiene che “non risulta comunque provato con la dovuta certezza l’abuso da parte degli imputati dei poteri inerenti alle loro funzioni, atteso che come si è già rilevato, non può escludersi, in base agli elementi probatori acquisiti, che ritenessero in effetti sussistente un certo legame ed accordo anche associativo tra tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola”.

In ordine al profilo di falsità relativo alla affermazione che durante l’operazione “gli occupanti” sarebbero “stati edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”, il Tribunale rileva che si tratta certamente di una espressione normalmente presente in tutti i verbali del tipo in esame, assai probabilmente di stile e preventivamente predisposta, e di cui certamente i redattori non si sono curati di accertare l’effettiva rispondenza al vero, ritenendola non essenziale e di scarso rilievo, anche tenuto presente che nella situazione concreta gli agenti non erano tenuti a dare tale avvertimento. Infatti secondo il primo giudice erano già in corso atti di resistenza cosicché gli agenti agivano in flagranza di reato e, come affermato dalla Suprema Corte, “l'avviso al soggetto sottoposto a perquisizione domiciliare della facoltà di farsi assistere o rappresentare è previsto ove la perquisizione sia effettuata dall'autorità giudiziaria, mentre tale formalità non è richiesta per le perquisizioni operate dalla polizia giudiziaria nella flagranza del reato, salva la facoltà del difensore di assistervi senza diritto di essere preventivamente avvisato” (Cass. Sez. VI, n. 2001 del 22/05/1995 - dep. Il 26/07/1995, Mazzanti, in CED Cass. Rv. N. 202590). La presenza di una simile affermazione, secondo il Tribunale, “può dunque ritenersi dovuta ad una semplice leggerezza o disattenzione e non può pertanto assumere alcun rilievo in ordine al contestato reato di falso.”

Compiute tali valutazioni di ordine generale, il Tribunale passa a valutare le

SINGOLE POSIZIONI

Luperi Giovanni 

Secondo la tesi accusatoria avrebbe rivestito insieme con il dr. Gratteri funzioni di comando quale funzionario di grado più elevato presente sul posto dopo il Pref. La Barbera, dunque “figura apicale del comparto della polizia di prevenzione cui fanno capo gli operatori della DIGOS territoriali”.

L’imputato nel corso delle sue dichiarazioni spontanee ha contestato la posizione attribuitagli ed ha affermato che era stato nominato alla Direzione della Prevenzione come Consigliere ministeriale aggiunto con compiti specifici di studio e ricerca.

Esclusa l’ipotesi di un “complotto”, per il Tribunale non può ritenersi provato che Luperi abbia assistito alla fase iniziale dell’aggressione e agli atti di violenza e non può escludersi che, come da lui stesso dichiarato, possa aver ritenuto che gli agenti stessero terminando una legittima operazione volta a superare un atto di resistenza. Non può altresì neppure ritenersi provato che Luperi si sia accorto della presenza di Covell in terra sulla destra del cancello, perché c’era confusione.

Quanto alla vicenda delle bottiglie molotov il Collegio richiama quanto in precedenza osservato circa l’impossibilità di ritenere provato con la dovuta certezza che Luperi fosse consapevole della provenienza di dette bottiglie e del fatto che non fossero state rinvenute all’interno della scuola.

In tale situazione probatoria l’imputato, in base al disposto dell’art. 530, comma 2, c.p.p., è stato assolto dai reati ascrittigli con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Gratteri Francesco

Anche nei confronti di Gratteri per il primo giudice valgono le stesse osservazioni sopra riportate per Luperi, nonché quanto già osservato in ordine ai reati a quest’ultimo ascritti.

Il Tribunale non ritiene possibile, in base agli elementi acquisiti, provare con la dovuta certezza che il dr. Gratteri abbia potuto rendersi conto di quanto era realmente avvenuto all’interno della scuola Diaz nei minuti precedenti al suo ingresso, né che fosse a conoscenza delle reali modalità dell’aggressione subita da Covell, della provenienza delle molotov e dell’innocenza degli arrestati. Anche tale imputato viene dunque assolto in base al disposto dell’art. 530, comma 2, c.p.p. dai reati ascrittigli con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Canterini Vincenzo

Circa la sua responsabilità in ordine ai reati ascrittigli (falso, calunnia e lesioni) il Tribunale richiama le valutazioni già espresse in precedenza: l’imputato entrò nella scuola quando ancora le violenze erano in corso e cioè prima che Fournier intimasse di smettere e non solo non intervenne in alcun modo per farle cessare, né denunciò quanto aveva visto, ma omise anche qualsiasi accenno in proposito nella sua relazione. Tale comportamento omissivo costituisce conferma dell’esistenza di una sorta di accordo tra i dirigenti e gli agenti del VII nucleo, volto a garantire l’impunità di questi.

In ordine al capo d’imputazione sub H) viene esclusa la responsabilità dell’imputato in ordine alle lesioni in danno di Heglund Cecilia, che ha affermato di non essere stata colpita.

In ordine ai capi F) e G) il primo giudice esclude la responsabilità dell’imputato in ordine a quanto da lui riferito circa gli atti di resistenza avvenuti mentre la polizia si trovava all’esterno dell’edificio scolastico nonché in ordine alla contestazione relativa al possesso di congegni esplosivi da parte di coloro che si trovavano nella scuola, richiamando quanto rilevato in precedenza, e cioè che qualche oggetto dovette essere stato lanciato contro gli agenti che si trovavano nel cortile della Diaz, cosicché quanto riferito dal dr. Canterini circa il lancio di oggetti contundenti e di bottiglie, anche se rinforzato dall’espressione “piovevano”, non può ritenersi connotato da assoluta falsità. Infine rileva il Tribunale che nella relazione in esame il dr. Canterini non ha riferito alcunché circa le bottiglie molotov (ma, si deve osservare, nessuna contestazione al riguardo è stata formulata nei confronti di Canterini).

Considerato reato più grave il falso, ritenute le attenuanti generiche per l’incensuratezza e la situazione di stress, circostanze valutate equivalenti alla contestata aggravante, la pena base è stata determinata dal Tribunale in anni 1 e mesi 4 di reclusione, aumentata per la continuazione con i reati di calunnia e lesioni, a loro volta implicanti continuazione interna con riferimento ai plurimi reati in danno di ciascuna delle parti lese, alla misura finale di anni 4 di reclusione, massima misura applicabile in forza del vincolo del triplo imposto dall’art. 81 c.p..

Tale pena è stata dichiarata condonata nella misura di anni 3; alla condanna è conseguita la pena accessoria della interdizione temporanea dai Pubblici uffici.

Fournier Michelangelo

Secondo il Tribunale l’imputato, comandante del VII Nucleo, entrò nella scuola Diaz attraverso il portone centrale, subito dopo il suo sfondamento, per cui non è possibile che, una volta all’interno della scuola, non si sia reso conto di quanto stava accadendo e delle violenze che avvenivano al piano terreno nel locale adibito a palestra; se si tiene conto della complessiva durata di dette violenze, e cioè del tempo trascorso tra l’ingresso delle forze dell’ordine ed il grido “Basta, basta”, pur ammettendo che l’imputato sia entrato non tra i “primissimi” ma comunque tra i primi, non è invero possibile che nei minuti trascorsi non abbia visto ciò che stava avvenendo. Lo stesso Fournier ha ammesso di aver notato, seppure “con la coda dell'occhio in quei momenti di trambusto”,  che al piano terreno “c'era una persona anziana che era stata picchiata.” Fournier, dunque, diede ai suoi uomini l’ordine di uscire e gridò: “Basta!” soltanto dopo aver visto le gravi condizioni in cui versava la Jonasch, che gli fecero temere la possibilità di eventi di particolare gravità. Osserva ancora il primo giudice che l’ordine di uscire dall’edificio venne sentito ed eseguito da tutti i suoi uomini, circostanza che conferma il costante collegamento tra gli appartenenti al VII Nucleo ed il fatto che il precedente silenzio da parte di Fournier, mentre le violenze venivano commesse in tutti i piani della scuola, non poteva valere che come conferma dell’accordo esistente di non denunciare eventuali eccessi commessi durante l’operazione.

Viene, pertanto, affermata la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli sub H), sempre con l’eccezione circa le lesioni in danno di Heglud Cecilia, che ha escluso di essere stata colpita. Ritenute sussistenti circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle contestate aggravanti, sia per la incensuratezza sia in considerazione della situazione di stress e di stanchezza in cui maturarono i fatti sia perché Fournier fu l’unico ad intervenire per far cessare le violenze, anche se poi omise di denunciarle, la pena base è stata determinata in anni 1 per le più gravi lesioni in danno di Lena Zhulke, ridotta di un terzo ex art. 62 bis c.p. ed aumentata sino al triplo per la continuazione, giungendo alla misura finale di anni 2 di reclusione; alla condanna è conseguita la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena. Infine sono stati concessi i doppi benefici.

I Capi Squadra e Basili Fabrizio

Dalle stesse dichiarazioni rese dagli imputati e dalle loro relazioni di servizio, osserva il primo giudice, risulta che in effetti gli agenti del VII Nucleo entrarono tra i primi, partecipando altresì direttamente allo sfondamento dei portoni centrale e laterale e si distribuirono quindi in tutto l’edificio salendo ai piani superiori. Pertanto non è possibile che detti imputati non si siano almeno resi conto di quanto realmente stava accadendo e delle violenze che venivano poste in essere nei confronti di coloro che si trovavano all’interno della scuola; diversi imputati riferirono di aver assistito in effetti ad episodi di violenza compiuti da personale diverso dal VII Nucleo, precisando di avere essi stessi aiutato alcuni dei giovani, ma ciò secondo il Tribunale è irrilevante in quanto era loro preciso obbligo intervenire immediatamente per fare cessare ogni violenza ingiustificata.

Nessun dubbio dunque nutre il Tribunale circa la responsabilità di detti imputati in ordine al reato loro ascritto.

Agli stessi sono riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante in considerazione sia della incensuratezza, sia della situazione di stress e di stanchezza in cui maturarono i fatti, e la pena base di anni uno di reclusione per il più grave reato di lesioni in danno di Lena Zhulke, aumentata sino al triplo per la continuazione, conduce alla pena finale per ciascuno di anni 3 di reclusione; tale pena è stata interamente condonata; infine è stata applicata la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena.

Troiani Pietro – Burgio Michele

Ribadisce il Tribunale che l’unico fatto emerso con la dovuta certezza in ordine alle bottiglie molotov in oggetto, oltre alla loro provenienza, è il loro trasporto ad opera di Burgio dal Magnum a lui affidato alla scuola Diaz su indicazione di Troiani. Reputa il collegio di primo grado che l’ordine rivolto a Burgio da Troiani sarebbe stato così evidentemente illegittimo da poter essere percepito come tale da chiunque, e che di conseguenza Burgio non avrebbe in alcun modo dovuto eseguirlo. Quale logica conseguenza osserva il Tribunale che il falso ritrovamento delle bottiglie molotov presso la scuola Diaz comportava necessariamente l’attribuzione del loro possesso a coloro che si trovavano all’interno dell’istituto, come in effetti avvenne; gli imputati erano quindi perfettamente consapevoli di incolpare questi ultimi di un reato di cui sapevano che erano innocenti. Troiani e Burgio, dunque, sono stati riconosciuti responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti, uniti sotto il vincolo della continuazione, attesa l’evidente unicità del disegno criminoso. Ritenute sussistenti circostanze attenuanti generiche, valutate prevalenti sulle contestate aggravanti, in considerazione della incensuratezza, della situazione di stress e di stanchezza in cui gli imputati agirono nonché in particolare della sostanziale confessione di Troiani e del fatto che Burgio in definitiva eseguì quanto richiesto dal predetto, ritenuto reato più grave il porto di armi da guerra, la pena base è stata determinata in anni 2 di reclusione ed € 750,00, quindi ridotta di 1/3 per le attenuanti generiche, aumentata per la continuazione con la detenzione di armi di mesi 2 ed € 150,00, per la continuazione con la calunnia di anni 1, giungendo così alla misura finale di anni 3 di reclusione ed  € 650,00 di multa ciascuno; alla condanna è conseguita la interdizione temporanea dai pubblici uffici, mentre la pena è stata dichiarata interamente condonata.

Nucera Massimo – Panzieri Maurizio

La posizione di tali imputati era già stata trattata dal Tribunale nella “Ricostruzione  dei fatti”, ove era giunto alla conclusione della impossibilità, in base alle prove acquisite, nonché alla perizia ed alle consulenze di parte, di stabilire con la dovuta certezza se l’aggressione descritta da Nucera e Panzieri fosse realmente avvenuta. Pertanto ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., entrambi gli imputati sono stati assolti dai reati loro ascritti con la formula “perché il fatto non sussiste”

Sottoscrittori della notizia di reato e dei verbali di perquisizione e arresto

Valutando unitariane le posizioni di tutti gli imputati di falso, il Tribunale ricorda che la comunicazione di notizia di reato, materialmente redatta dal dr. Gallo e dal dr. Schettini, venne sottoscritta dagli imputati Mortola e Dominici nelle rispettive qualità di dirigenti della Digos il primo, e della Squadra Mobile il secondo; il verbale di perquisizione e sequestro,  redatto almeno in parte da Mazzoni, venne sottoscritto da Panzieri, Nucera, Gava, Ferri, Aniceto, Cerchi, Di Novi, Mazzoni e Di Bernardini, i quali, insieme a Mortola, Dominici, Di Sarro, Caldarozzi, Ciccimarra e ad un altro funzionario non identificato, sottoscrissero anche il verbale di arresto, materialmente compilato da Ferri, Gava e Ciccimarra.

Gli elementi probatori acquisiti, a detta del Tribunale, non consentono di affermare con la dovuta certezza che i predetti imputati fossero consapevoli di riportare negli atti a loro firma circostanze non corrispondenti al vero. La relazione del dr. Canterini, del resto, forniva una ricostruzione degli eventi sostanzialmente corrispondente al contenuto degli atti in esame, ed induceva quindi certamente i sottoscrittori di detti atti, che, non avendo assistito direttamente ai fatti nella stessa descritti, non avevano alcun motivo per dubitare della sua attendibilità, a ritenere del tutto fondato quanto veniva riportato nei verbali di perquisizione e di arresto e a non valutarlo criticamente.

Per quanto attiene all’indicazione nei citati verbali di Mark Covell tra coloro che si trovavano all’interno della Diaz e la mancata specificazione dell’aggressione dal medesimo subita, il Tribunale rileva che non risulta in alcun modo provato che gli imputati fossero a conoscenza di quanto avvenuto.

Conseguentemente ex art 530, comma 2, c.p.p., tali imputati sono stati assolti dai reati loro ascritti con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Gava Salvatore

Accusato di avere sottoscritto il verbale di atti da lui non compiuti, il primo giudice osserva che è pacifico che quella notte Gava non entrò nella scuola Pertini, mentre fece ingresso nella Pascoli. Richiesto di spiegare perché firmò un atto senza averne titolo, Gava ha risposto di avere agito nel convincimento dell’opportunità della sua sottoscrizione anche sul verbale di perquisizione e sequestro, che altri aveva redatto, poiché aveva dato un contributo all’operazione, provvedendo all’identificazione delle persone perquisite ed arrestate. Secondo il Tribunale sarebbe nota la prassi comune di sottoscrivere atti come quelli in questione ad opera di tutti coloro che in qualche modo abbiano partecipato alle operazioni, cosicché non appare al primo giudice inverosimile che in effetti Gava, avendo ricevuto l’incarico di procedere alla perquisizione in questione, essendosi recato sul posto, seppure sbagliando obiettivo, ed avendo poi proceduto all’identificazione dei soggetti coinvolti, senza cui il predetto atto non avrebbe potuto essere redatto, si sentisse in qualche modo partecipe di tale operazione.

Pur valutando la sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato la sentenza del GUP di non luogo a procedere sulla imputazione coatta disposta dal GIP a carico del Gava per l’ipotesi di falso in esame, il Tribunale argomenta che Gava sottoscrisse il verbale di perquisizione e sequestro presso la scuola Pertini non per agevolare o sostenere la condotta dei colleghi, ma perché convinto di dover sottoscrivere in quanto compartecipe della successiva attività di identificazione degli arrestati, necessaria alla redazione dell’atto in questione.

L’assenza di prove circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dunque, ha indotto il Tribunale a pronunciare l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato.

Per i fatti commessi all’interno della scuola Pascoli (illegale perquisizione, violenza privata, danneggiamento e peculato), richiamato l’assunto dell’ingresso per errore seguendo altro personale già entrato e della insussistenza di una vera e propria perquisizione, il Tribunale ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., ha assolto l’imputato Gava dai reati di cui al capo S) della rubrica con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, attesa la carenza di prove circa la sussistenza dell’elemento soggettivo di detti reati, non potendosi escludere che il dr. Gava abbia agito nella convinzione di eseguire l’ordine ricevuto.

Inoltre secondo il Tribunale non risulta in alcun modo provato che detto imputato ed i suoi uomini abbiano usato violenza o comunque costretto alcuno dei presenti all’interno della scuola Pascoli a “inginocchiarsi o anche a sdraiarsi a terra e a mantenere tale posizione per almeno mezzora”. Per la stessa motivazione non può neppure rispondere delle altre condotte coercitive tenute da appartenenti non identificati della Polizia di Stato, che usarono prepotenza e violenza nei confronti degli occupanti l’edificio. Non esistono, infine, per il Tribunale elementi di prova per sostenere che il dr. Gava debba rispondere della condotta di chi vi entrò, distrusse le apparecchiature informatiche e si appropriò di parti dei computer quali gli hard - disk.

L’imputato dunque è stato assolto anche dai reati sub T), U) e V) con la formula “per non aver commesso il fatto”.

Fazio Luigi

L’imputato è stato riconosciuto con sicurezza da Huth Andreas nel corso dell’incidente probatorio disposto a tal fine. Ritenute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, la pena è stata determinata in 1 mese di reclusione, cui è conseguita l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un anno; sono stati con cessi i doppi benefici.

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STATUIZIONI CIVILI

Passando al tema del risarcimento dei danni in favore delle parti civili, esordisce il Tribunale argomentando che l’accertata responsabilità per il reato di falso non comporta il riconoscimento di danno risarcibile. Richiamata la decisione della Corte di Cassazione SSUU n. 46982 del 25/10/2007 che ha riconosciuto la natura plurioffensiva del reato di falso ed il diritto della persona offesa a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, il primo giudice ha ricordato anche come la medesima pronuncia abbia ribadito la distinzione fra persona offesa e persona danneggiata, ed abbia richiamato la più volte ribadita osservazione secondo la quale il falso è molto spesso un mezzo per conseguire un altro scopo; conseguentemente per il Tribunale poiché nel caso in esame il fine perseguito con il falso è costituito dalla calunnia il risarcimento riconosciuto per tale reato esclude ogni altra liquidazione per il falso, in quanto ciò avrebbe comportato una indebita duplicazione.

In secondo luogo il Tribunale sostiene che non può essere riconosciuto alcun risarcimento alle parti civili Bartesaghi Enrica, Gandini Ettorina e Fassa Liliana, madri di persone offese vittime di lesione o calunnia.

Queste parti civili, pur non rivestendo la qualifica di persone offese dai reati in esame, secondo il Tribunale potrebbero comunque vantare un diritto al risarcimento dei danni da loro patiti per effetto delle lesioni riportate dai propri figli, come anche recentemente riconosciuto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, che hanno affermato che “ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso e che di conseguenza in tal caso il congiunto è legittimato ad agire "iure proprio" contro il responsabile” (Cass. Civ. Sez. Un. n. 9556 del 01/07/2002).

Tuttavia, prosegue il primo giudice, le lesioni subite dal congiunto debbono essere “seriamente invalidanti, giacché lesioni minime o prive di postumi non rendono configurabile una sofferenza psicologica inquadrabile nella nozione di danno morale” (Cass. Civ. n. 10816 dell’8/06/2004) e che “la mera titolarità di un rapporto familiare non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria del prossimo congiunto dell'offeso, in termini di automatismo o anche solo di "notorio", occorrendo, di volta in volta, verificare l'intensità - all'attualità - del legame affettivo, oltre al livello di incidenza della lesione subita dalla vittima primaria sulla relazione con il congiunto (se essa sia stata, cioè, tale da comprometterne lo svolgimento)” (Cass. Civ. Sez. III, n. 10986 del 14/07/2003).

Ciò premesso, osserva il Tribunale che “Nella fattispecie, dunque, tenuto conto dell’entità delle lesioni e delle conseguenze lamentate dai figli maggiorenni delle sopra citate parti civili (asseritamente di un certo rilievo per la sola Sara Bartesaghi, ma comunque non certamente tali da potersi ritenere “seriamente invalidanti” nell’accezione indicata dalla Suprema Corte), nonché dell’assenza di specifiche prove circa l’incidenza negativa delle stesse nella vita e nei rapporti familiari, non può riconoscersi il richiesto risarcimento.” In ogni caso, prosegue il primo giudice, “i danni patrimoniali, per spese per viaggi e cure mediche, tempo dedicato alla ricerca della verità e alla difesa dell’onorabilità dei figli, non sono stati dimostrati e rientrano semmai tra quelli liquidabili direttamente alle persone offese, maggiorenni e costituite, a loro volta, parti civili”. Ed ancora “Palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria invocata a titolo di danno esistenziale sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti, umanamente riconoscibili, ma giuridicamente “immaginari”, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto a essere felici. Inoltre il diritto costituzionale inviolabile deve essere inciso oltre una certa soglia”.

Ulteriore osservazione riguarda la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e il Genoa Social Forum, persone giuridiche che secondo il primo giudice non possono vantare alcun diritto al risarcimento non risultando, all’esito del dibattimento, alcun danno in capo ai due organismi derivante dai delitti accertati, soprattutto in considerazione del fatto che gli imputati dei fatti accaduti nella scuola Pascoli sono stati prosciolti.

Quanto all’Associazione Giuristi Democratici di Genova, costituita parte civile in proprio lamentando, in particolare, le conseguenze derivanti dai danneggiamenti perpetrati ai computer in sua dotazione, il Tribunale osserva che queste attrezzature erano di proprietà dell’amministrazione comunale, e che nulla è dovuto per la perdita dei dati presso la scuola Pascoli, i cui responsabili non sono stati individuati con certezza, né per i fatti della Pertini, perpetrati nei confronti dei diretti lesi, senza frustrazione dello scopo precipuo dell’Associazione.

Relativamente alla liquidazione dei danni, il Tribunale ha proceduto alla quantificazione del danno morale subito da Huth Andreas condannando l’imputato Fazio, in solido con il responsabile civile, al pagamento della somma di  € 1.000,00. Quanto alle altre parti civili ha pronunciato condanna generica rimettendo la quantificazione a separati giudizi civili, e liquidando le seguenti provvisionali:

per il delitto di calunnia € 5.000,00 per ciascuna parte civile, ponendo tale importo per metà a carico di Canterini e per metà a carico di Troiani e Burgio;

per i delitti di lesioni importi diversi da un minimo di € 5.000,00 ad un massimo di € 50.000,00, in relazione all’entità delle  lesioni subite.

Passando, infine, al tema delle liquidazioni delle spese di lite, il Tribunale ha indicato quali criteri seguiti per la quantificazione “la natura dell’impegno professionale, comunque condiviso tra i difensori delle numerose parti civili, i quali si sono spesso sostituiti a vicenda, nonché la quasi costante adesione delle stesse alle scelte processuali del Pubblico Ministero”; il Tribunale ha “rilevato dai verbali il numero delle udienze cui il singolo difensore ha partecipato personalmente o tramite sostituto, riconoscendo, per ciascuna di esse e indipendentemente dalla durata della presenza, talvolta modesta, la voce relativa all’esame e studio e alla partecipazione, nonché, per le sole udienze cui ha partecipato personalmente il difensore, quella per l’attività difensiva”; “L’importo per ogni udienza è stato ridotto al 20%, in analogia a quanto previsto dall’art. 3 delle tariffe citate, quando il sostituto si occupava anche di altre posizioni. Si è poi aggiunta la voce relativa all’esame e studio dei decreti che dispongono il giudizio, quella per le conclusioni e le discussioni finali, in udienza preliminare e a dibattimento, nonché, ove presenti, quella per le memorie e le ordinanze dibattimentali”. Per le parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato il Tribunale ha richiamato per relationem i decreti di liquidazione del compenso ex DPR 115 del 2002, mentre per le altre parti ha applicato un aumento del 25% in considerazione dell’assenza del limite di cui all’art. 82 del DPR citato.

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Avverso tale sentenza hanno proposto appello

il Procuratore Generale;

il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale;

gli imputati TROIANI Pietro, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, ZACCARIA Emiliano, CANTERINI Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, COMPAGNONE Vincenzo, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, FAZIO Luigi e BURGIO Michele;

il responsabile civile MINISTERO DELL’INTERNO;

le parti civili HINRICHSMEYER Thorsten, MARTENSEN Niels, HUTH Andreas, GALANTE Stefania, WAGENSCHEIN Kirsten, BACHMANN BRITTA Agnes, GATERMANN Christian, KRESS Holger, VILLAMOR HERRERO Dolores, ZEHATSCHEK Sebastian, ZUHLKE Lena, BERTOLA Matteo, BARRINGHAUS Georg, GALEAZZI Lorenzo, PAVARINI Federico,  ALEINIKOVAS Tomas, CHMIELEWSKI Michal, CÖELLE Benjamin, MIRRA Christian, POLLOK Rafael Johann, SIBLER Steffen, ALLUEVA FORTEA Rosana, BRUSCHI Valeria,  DIGENTI Simona, MARTINEZ FERRER Ana, MASSO’ PAZ Guillermo, BROERMANN Miriam Grosse, ENGEL Jaroslaw Jacek, HAGER MORGAN Katherine, HEIGL Miriam, SZABO Jonas,  WIEGERS Daphne,  ZAPATERO GARCIA Guillermina, ZEUNER Anna Katharina, SCRIBANI Giuseppe, CORDANO Enrico, COSTANTINI Massimo, NANNI Matteo, KUTSCHKAU Anna Julia, SCHMIEDERER Simon, GALLOWAY Jan Farrel, NATHRATH Achim, PETRONE Angela, TREIBER Teresa HUBNER Tobias, CESTARO Arnaldo, MORITZ VON UNGER Karl Kaspar, WEISSE Tanya, COVELL William Mark, GOL Suna, BACZAK Grzegorz, DUMAN Mesut, BALBAS Aitor Ruiz, ALBRECHT Thomas Daniel, BARO Karl Wolfgang, DREYER Sybil Jeannette, HERRMANN Jens, HERRMANN Jochen, JONASCH Melanie, RESCHKE Manfred Kai, LUTHI Nathan Raphael, BODMER Fabienne Nadia, SVENSSON Jonas Tommy, OLSSON Katarina Hedda, HEGLUND Cecilia, CEDERSTRÖM Ingrid Thea Helena, OTTOVAY Kathrin, JAEGER Laura, VALENTI Matteo Massimo, FORTE Mauro,  MASU Andrea, BRIA Francesca, FLETZER Enrico, PODOBNICH Gabriella, LUPPICHINI Manolo, MESSUTI Raffaele, MARCUELLO Felix, PATZKE Julia, BARTESAGHI GALLO Sara, BARTESAGHI Enrica, BRUSETTI Ronny, BUCHANAN Samuel, DOHERTY Nicola Anne, GANDINI Ettorina, MC QUILLAN Daniel, GENOA SOCIAL FORUM, URGEGHE Marta, ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI DI GENOVA, Moret Fernandez David, SAMPERIZ Benito Francisco Javier, GIOVANNETTI Ivan Michele, PROVENZANO Manfredi, NOGUERAS CHABIER Francho Corral;

la parte civile FASSA Liliana ha proposto appello incidentale.

APPELLO del Procuratore Generale

In via preliminare il Procuratore Generale ha posto una questione di rito in tema di utilizzabilità “erga alios” delle dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati che hanno rifiutato di sottoporsi ad esame.

Il presupposto in fatto sul quale poggia la questione è costituito dalla asserita coartazione della libertà degli imputati che avrebbe comportato il rifiuto di sottoporsi all’esame dibattimentale, desumibile dalle seguenti circostanze:

a) il prefetto Andreassi era vice-capo della Polizia, ed il teste Giovanni Calesini, vice questore a Genova, ha affermato che “la presenza di Andreassi, vice capo vicario della PS, anche se non vi era un provvedimento espresso, significava che dava lui gli ordini. È persona di grande responsabilità che usa autorevolezza e non autoritarietà, ma era evidente che i servizi venivano effettuati se lui era d’accordo” (pag. 194 della sentenza);

b) era quindi impossibile per tutti e ciascuno degli imputati  parlare solo di sé stessi e delle proprie azioni (illegittime) senza parlare anche delle azioni (parimenti illegittime) dei propri superiori gerarchici;

c) al portavoce responsabile del GSF (pag. 153 della sentenza) il pref. Andreassi disse addirittura “che l’azione era stata decisa a Roma e che non poteva essere interrotta”;

d) nella sua sofferta testimonianza Guaglione Pasquale, all’udienza 5/4/07, ha detto testualmente: “ufficialmente non ho ricevuto nessuna pressione o discriminazione, ma sono stato l’unica testa caduta per questo procedimento”, perché è l’unico ad aver ammesso (dovuto ammettere) la falsità e la calunnia inerente il trasporto della bottiglie molotov nella scuola Diaz;

e) il dott. Di Bernardini solo di fronte all’evidenza dei fatti è stato costretto ad ammettere, in contrasto con le originarie affermazioni già rese (secondo cui le bottiglie Molotov erano state trovate “nello stanzone” della scuola e pertanto attribuibili a tutti gli occupanti) di aver effettivamente incontrato il dott. Troiani che lo aveva chiamato dall’esterno, consegnandogli o comunque facendogli visionare il reperto che era stato così messo a sua disposizione;

f) anche l’artificiere Melis, da indagini svolte in procedimento collegato risulta essere sottoposto a pressioni per la redazione della relazione allegata alla nota del Questore e pervenuta al Tribunale in ordine all’”erronea” distruzione delle bottiglie molotov trasportate all’interno della scuola Diaz per costituire falsa prova nei confronti degli occupanti;

g) nei confronti dei dott. Colucci e Mortola risulta esercitata l’azione penale per il reato di falsa testimonianza commesso all’udienza del 3.05.2007;

h) “appare poco plausibile che la quasi totalità degli agenti, appositamente addestrati, si siano improvvisante lasciati andare a comportamenti dettati da rancore ed ira, tipici invece di reazioni individuali” (pag. 314 della sentenza);

i) “non va altresì dimenticato che tra gli operatori del VII nucleo era attivo un collegamento radio mediante un laringofono, cosicché tutti ed in particolare i capi squadra avevano in ogni momento la possibilità di parlare con i colleghi, il loro silenzio  costituiva un’evidente acquiescenza” (pag. 315 della sentenza);

j) nessuno dei colleghi della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a posteriori, il poliziotto dalle caratteristiche fisiche assai peculiari (acconciatura dei capelli a “coda di cavallo”) che è stato ripreso mentre infieriva nella scuola Diaz su una  persona ferma, inerme ed arresa (che riporterà gravi lesioni);

k) nessuno dei colleghi della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a posteriori, il poliziotto che ha firmato con la sigla i verbali di arresto di cui all’imputazione (e che quindi sarebbe stato chiamato a rispondere dei delitti di falso);

l) lo stesso Tribunale di Genova ha - contraddittoriamente – riconosciuto (pag. 314 della sentenza) che “se non può escludersi che le violenze abbiano avuto inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presuppone la consapevolezza degli operatori di agire in accordi con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati”;

m) ancora, lo stesso Giudice di prime cure ha rilevato che “il fatto che nessuno non solo dei capi squadra, ma anche dei singoli operatori … abbia denunciato quanto avvenuto, pur avendo l’obbligo come espressamente previsto dall’art. 361 c.p., conferma la validità di quanto osservato”;

n) “l’omissione dal dott. Canterini di qualsiasi accenno alle  violenze …, il fatto che il dott. Fournier a sua volta non abbia neppure pensato di denunciare quanto lo aveva successivamente portato a dire che la situazione richiamava alla mente una macelleria messicana … costituiscono ulteriori, precise conferme della sussistenza di una sorta di accordo, tacito od anche espresso, in proposito”;

o) vi è stato anche ai massimi livelli un  significativo “dietro front”, quando si trattava di chiamare in causa i massimi responsabili della Polizia. Il teste Colucci all’udienza del 3.5.2007 ha ritrattato le sue affermazioni del 16.12.2002 (ben più vicine ai fatti, e quindi di per sé maggiormente credibili) secondo le quali vi era stato l’ordine di avvisare dell’”ottimo” esito operazione Diaz il dott. Sgalla, direttore dell’ufficio pubbliche relazioni della Polizia.  E mentre dapprima il teste ha affermato che l’ordine era partito dal capo della Polizia (all’epoca il dott. De Gennaro), quindi pienamente informato sui fatti, all’udienza ha detto che l’iniziativa è stata … la propria.

Sulla base di tale assunto, il P.G. - premesso che gli elementi di cui sopra sono più che sufficienti a rendere operativo “il meccanismo «recuperatorio» previsto dal comma 4 dell'art. 500 c.p.p., richiamato anche dall'art. 513 comma 1 c.p.p., che non   richiede una vera e propria prova delle intimidazioni e/o delle subornazioni subite, analoga a quella richiesta per pronunziare una sentenza di condanna per i reati di minaccia, violenza o subornazione nei confronti di specifici responsabili, quanto   piuttosto la sussistenza di «elementi» indicativi di siffatte situazioni illecite, non necessariamente riconducibili all'imputato, purché caratterizzati da sufficiente concretezza” - deduce che una interpretazione restrittiva e letterale del comma 2 dell'art. 513 c.p.p. che sostenga il divieto di acquisizione dei verbali contenenti le precedenti affermazioni anche in caso di illecito condizionamento del coimputato dichiarante che determini l’esercizio della facoltà di non rispondere, sarebbe di certo costituzionalmente illegittima e manifestamente illogica se raffrontata con la disciplina – risultante dall’intervento di Corte Costituzionale n. 361/1998 – vigente per gli imputati di reato connesso separatamente giudicati di cui all’art. 210, 1° comma c.p.p., disciplina secondo la quale se i predetti si rifiutino in tutto o in parte di rispondere alle singole domande a causa di illecito condizionamento sarebbe operativo il meccanismo di acquisizione delle precedenti dichiarazioni predibattimentali ai sensi dell’art. 500, comma 4 c.p.p..

Ove questa Corte non dovesse condividere la proposta interpretazione, viene sollecitata a sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 513 comma 2 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 e 111 commi 4 e 5 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice, in assenza di accordo delle parti, possa disporre la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo, rese dalle persone indicate dall'art. 210 comma 1 c.p.p., qualora queste si avvalgano della facoltà di non rispondere, nel caso in cui ricorrano i presupposti di cui all'art. 500 comma 4 c.p.p..

In secondo luogo il P.G. lamenta che il Tribunale di Genova ha dichiarato non utilizzabile il materiale dichiarativo riportato nei verbali dei lavori del Comitato paritetico parlamentare che aveva svolto una indagine conoscitiva in epoca immediatamente successiva ai fatti occorsi durante il vertice G8 a Genova. Sul punto rileva che invece detta prova, non espressamente disciplinata dalla legge, è pienamente ammissibile ai sensi dell’art. 189 c.p.p., non è coperta da segreto e non influisce sulla libertà morale degli indagati. Chiede, pertanto, che la Corte d'Appello di Genova ne disponga l’acquisizione, essendo documenti rilevanti per la decisione anche per l’accertamento dei fatti (avvenuti con i poteri dell’autorità giudiziaria, ex art. 82 comma 2 Cost.) che vi è contenuto.

I FATTI E LE RESPONSABILITA’ INDIVIDUALI

A)    La fase antecedente all’irruzione nella scuola Diaz – Pascoli e la sua giustificazione ufficiale.

A parere del P.G. la scelta di procedere all’irruzione, al sequestro di vario materiale, al pestaggio di praticamente tutti coloro che dormivano nella scuola, alla costruzione di false prove contro questi ultimi (episodio delle bottiglie molotov), all’arresto di tutti gli occupanti, aveva l’intento di reagire alle provocazioni ed agli episodi – questi sì illegittimi e violenti – che nei giorni precedenti  si erano verificati a Genova; e vi era la volontà di dimostrare l’efficienza e l’efficacia delle azioni di polizia dopo gli episodi di devastazione e saccheggio perpetrati dai cc.dd. black-bloc

Ma – rileva l’appellante – nell’operazione Diaz-Pascoli non vi è nessun arresto, nessuna individuazione di alcun appartenente ai black-bloc; neppure della presenza fisica di alcun appartenente ai black-bloc al momento di fatti vi è prova alcuna.  Oggettivamente, ed al contrario di quanto ha sempre sostenuto la polizia e di quanto sostengono le difese degli imputati, tutte le prove acquisite in dibattimento hanno dimostrato senza possibile dubbio non solo che i fatti materiali di lancio di bottiglie e di insulti al passaggio del “pattuglione” in Via Battisti nella prima serata ebbero portata modestissima, mai legittimando – anche dal punto di vista dell’opportunità  - l’irruzione; ma anche che nessun appartenente ai black-bloc si trovava all’interno della scuola Diaz.

-  L’asserito attacco alle auto della Polizia:

urla ed insulti ve ne furono tanti, ma aggressioni, violenze o resistenze assolutamente nessuna. Tra le numerosissime, il P.G. ricorda le testimonianze di Albrecht, Moret, Perrone, Di Pietro, che riferiscono di un passaggio lento delle auto, di urla (“assassini” e simili) ma non di lancio di oggetti qualsiasi né – tantomeno – di resistenza attiva, nonché quella fondamentale perché ritenuta assolutamente attendibile per la terzietà del teste resa dal dott. Costantini, che assistette alla scena dalla finestra della infermeria allestita nella scuola Pascoli.

Osserva, poi, il P.G. che dalle deposizioni assunte emerge univocamente che il passaggio è avvenuto in un orario compreso tra le ore 20.00 e le 21.00, nonostante il falso contenuto nei rapporti trasmessi all’Autorità Giudiziaria, e quindi ben tre ore prima l’irruzione “doverosa e necessitata” della polizia.

Contesta, quindi , il P.G. appellante l’assunto del Tribunale secondo il quale “non appare necessario accertare con assoluta precisione l’entità dell’aggressione … ma esclusivamente il fatto che fossero stati posti in essere nei confronti della pattuglia atti ostili e minacciosi, che possano avere indotto le forse dell’ordine a ritenere che nella scuola vi trovassero anche facinorosi appartenenti ai black-bloc”: al contrario, sarebbe stato del tutto necessario non solo accertare con assoluta precisione l’entità dell’aggressione, ma anche valutare oggettivamente i fatti per sconfessare ciò che lo stesso prefetto Andreassi ha detto circa le reali motivazioni dell’irruzione e soprattutto ciò che emerge dagli atti, ma a tale proposito il P.G. lamenta che il primo giudice abbia omesso di considerare:

a)  “le perplessità del questore Colucci e del dott. Mortola” (pag. 250 della sentenza) verso tale tipo di operazione, e la reale necessità e motivazioni della stessa;

b) lo “stupore” dello stesso imputato Canterini, nei pressi della Questura di Genova, di fronte ad “un apparato immenso formato da diversi corpi” (pag. 252 della sentenza), e quindi del tutto incongruo per un’operazione di mera “messa in sicurezza e perquisizione”, secondo quanto hanno invece sostenuto le difese;

c) i primi pestaggi, che iniziarono ben prima e finirono ben dopo l’irruzione vera e propria all’interno della scuola (vittime Frieri, consigliere comunale di Modena, e Covell, giornalista inglese). A quest’ultimo venne detto “sei un black-bloc, e non ammazzeremo i black-bloc”, e venne selvaggiamente colpito finché svenne (pag. 255): l’eloquente videoripresa (rep. 239) è in atti;

d) che la “rappresaglia”, riguardò anche la scuola Pascoli, ove – giocoforza - nessuno dei black-bloc poteva soggiornare, data la continuativa presenza non solo di persone legate al Genoa Social Forum, ma anche di organizzazioni pacifiste, di partiti politici, di testate giornalistiche;

e) soprattutto nella Pascoli, ma anche all’esterno degli edifici scolastici, furono sempre ricercate, reperite e distrutte tutte le attrezzature idonee alla registrazione e videoregistrazione degli avvenimenti (avendosi quindi piena e previa coscienza della loro illegittimità).

Analizzando le singole fasi il P.G. osserva:

B)   L’irruzione nella scuola Diaz

La prova di quanto è materialmente avvenuto durante l’irruzione della polizia nella scuola Diaz emerge “oggettivamente” dalle video riprese; dalle numerose testimonianze che non possono non essere ritenute credibili, per essere del tutto concordi e rese anche da testi imparziali ed anche da coloro che subirono l’arresto illegittimo e l’espulsione immediata con accompagnamento coatto alla frontiera (ciò che ha comunque impedito loro, giovani di diversa nazionalità che neppure si conoscevano, ogni possibile accordo sulla versione da dare).

L’esame dei filmati fa escludere del tutto il “fittissimo” lancio di oggetti addotto a giustificazione dell’accusa di resistenza. E per il P.G. la circostanza è esclusa anche – e soprattutto – dalle riprese successive, che dimostrano che nel cortile antistante il portone d’ingresso non vi sono affatto quei materiali che il “fittissimo” lancio avrebbe invece inevitabilmente lasciato sul terreno.

Anche le testimonianze e le valutazione tecniche di “terzi” (secondo l’impostazione del Tribunale), sconfessa la tesi del fittissimo lancio di oggetti: cita, in proposito, il P.G. quanto riferito dal teste Mattei, che ha affermato: “Sono in servizio presso il RIS di Parma e comando la sezione impronte e fotografie. Con le nostre tecniche non abbiamo apprezzato oggetti che arrivassero su tale personale.”

La ragione della “levata” di scudi a testuggine è stata ricondotta dall’agente Gabriele Ivo ad una manovra tecnica usuale nell’avvicinamento ad un edificio.

Quanto al teste Galanti, infermiere intervenuto alla guida della prima ambulanza giunta sul posto, che avrebbe “riconosciuto la sua voce nella chiamata al 118 (00.01.18), nella quale avverte: “Stanno buttando giù tutto”, e alle altre considerazioni difensive svolte dagli imputati, rileva il P.G. che il Tribunale ha omesso di considerare che

a) l’ora della telefonata del teste Galanti indicata nelle 00.01.18 va corretta come gli altri orari proprio nei termini sostenuti dall’accusa e riconosciuti esatti dallo stesso Tribunale, vale a dire nel caso in esame deve essere riportata alle ore 00.05.01, quando ormai tutti gli agenti intervenuti erano entrati nella scuola “Diaz”; consegue che situazione riferita dal teste non può  essere quella del momento iniziale quanto gli agenti erano ancora tutti ammassati nel cortile prima di entrare nella scuola, fase in cui sarebbe avvenuta la resistenza mediante il “fittissimo lancio di oggetti”.

b) non si apprezzano ombre o immagini di qualsivoglia oggetto, grande o piccolo, lanciato dalle finestre della scuola Diaz all’indirizzo degli agenti e di una caduta al suolo o sui soggetti che si trovano nel cortile;

c) le finestre della scuola, eccetto forse una, erano chiuse;

d) non si nota la presenza di persone affacciate alle finestre dell’edificio che possano pertanto effettuare i “fittissimi” lanci (o anche soltanto radi)  di cui si legge nel verbale di arresto;

e) nessuno degli agenti che fanno irruzione nel cortile prima e si ammassano davanti ai due portoni poi compie gesti o movimenti che possano far pensare ad un lancio di oggetti contundenti nei loro confronti;

f) non si vede cadere il maglio di cui riferisce il Dr. Mortola nel corso del suo esame, anche perché avendo questi indicato il punto ed il momento precisi della caduta (a sinistra del portone principale, perpendicolare e prossimo al muro esterno dell’edificio, poco prima che venisse sfondato il portone stesso) si può costatare dal filmato che un oggetto di quelle dimensioni non è sicuramente caduto e che Mortola, in quel momento, stava uscendo dal cancello esterno della scuola Diaz dando le spalle all’edificio e, quindi, in una posizione che neppure gli avrebbe consentito di vedere la caduta del maglio;

g) non si vede cadere la sedia che, secondo quanto affermato da un agente lo avrebbe colpito al naso. In questo, come nel precedente caso del piccone, si parla di oggetti di dimensioni tali da escludere che potessero sfuggire all’occhio delle telecamere;

h) il confronto tra i filmati che riprendono il cortile libero da persone, cioè prima che le forze dell’ordine sfondassero il cancello esterno e dopo che tutti gli agenti e gli ufficiali di P.G. erano entrati nell’edificio, consente di evidenziare come non vi fossero a terra oggetti tipo sedie, scrivanie, picconi, magli et similia e come in generale ciò che si percepisce esistente sul suolo ed in particolare nei pressi del portone principale di accesso alla scuola è sostanzialmente ciò che vi è dopo;

i) lo stesso dott. Canterini smentisce di avere visto lui stesso un fittissimo lancio.

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Richiamata la testimonianza di Andrisano circa il fatto che all’interno della scuola Diaz-Pertini, sostanzialmente adibita a dormitorio, gli occupanti, raggruppatisi per nazionalità, si stavano apprestando a dormire, il P.G. descrivendo l’irruzione nella scuola Diaz osserva come dalle testimonianze assunte sia emerso che lo sfondamento del portone della scuola e poi l’irruzione sorprese e atterrì tutti i presenti; in quello stato nessuna reazione violenta avrebbe potuto essere comunque efficacemente opposta; e del resto la stragrande maggioranza degli occupanti della scuola alzò subito le mani in segno di resa, anche se poi  - quasi tutti ed indipendentemente da qualsiasi loro atteggiamento aggressivo o sottomesso - furono malmenati, minacciati, ingiuriati ed infine arrestati.

Per il P.G. è significativo lo stesso esame di Canterini, il quale ha ammesso di non aver assistito ad alcun “forte contrasto opposto dagli occupanti agli agenti operanti" e di averne fatto menzione solo in quanto  “frutto di una logica deduzione”.

Del resto, si chiede il P.G., per quale motivo se "piovevano oggetti" o, come scritto nel verbale di arresto avvenne un "fittissimo lancio di oggetti di ogni genere" il dr. Canterini se ne stava in prima linea con i suoi uomini addirittura senza casco e senza scudo”; la versione difensiva "di ripiego" secondo cui ad un certo punto egli si sarebbe riparato sotto uno scudo altrui non trova alcun riscontro nel filmato in atti che documenta proprio le fasi di ingresso degli agenti attraverso il portone di sinistra dell'edificio.

Quanto alla situazione  all’interno dell’istituto scolastico, il P.G. rileva che:

-       all’atto dell’irruzione la stragrande maggioranza degli occupanti della scuola alzò subito le mani in segno di resa;

-       le testimonianze e le videoregistrazioni dimostrano che, comunque, tutti i poliziotti, irrompendo, iniziarono subito il pestaggio con manganelli e calci nei confronti di chiunque si presentasse loro davanti: e ciò avvenne e continuò anche alla presenza di persone “in borghese, in giacca e cravatta, che apparivano dirigenti”. Infatti anche qualcuno di costoro si lasciò andare direttamente a pestaggi e violenze in genere; e ciò fecero anche gli altri poliziotti in borghese e pettorina della polizia (come da testimonianza di Guadagnucci).

-       la grave degenerazione della situazione è dimostrata non solo dal grave ferimento di Melanie Jonasch (inerme, ferma, zitta, ma ciononostante picchiata e quindi rimasta a terra priva di sensi con abbondante perdita ematica a seguito di frattura cranica nella regione temporale sinistra); ma anche dalla stessa, tardiva ma eloquente reazione del vice-comandante Fournier, che - solo allora -  ha ordinato agli agenti, con le urla udite e riferite dalla quasi totalità dei presenti, la cessazione di ogni azione ed il ritiro (“ora basta! basta!”). 

In definitiva, il P.G. ritiene che non si possa dubitare anzitutto:

-       a) che nessuna forma di resistenza fu posta in essere da parte degli occupanti, e che nessun fittissimo lancio di oggetti ha preceduto né accompagnato l’ingresso della Polizia nella scuola Diaz;

-       b) che infatti, nonostante la sorpresa, la paura, la soverchiante forza della polizia, a nessuno degli arrestati è stato possibile attribuire il possesso delle armi improprie pure descritte nel verbale di perquisizione e sequestro ed asseritamente utilizzate per resistere;

-       c) che le violenze perpetrate non solo furono illegittime e inaudite, ma soprattutto immediate, precedenti, contestuali e successive all’irruzione;

-       d) che perciò è del tutto illogica e contraddittoria l’affermazione del Tribunale di Genova secondo la quale non sarebbe “del tutto incredibile (!) che l’inconsulta esplosione di violenza abbia avuto un’origine spontanea…” (pag. 314 della sentenza); specie considerando che poche righe più sopra il Tribunale ha riconosciuto che “appare poco plausibile che la quasi totalità degli agenti, appositamente addestrati, si siano improvvisante lasciati andare a comportamenti dettati da rancore ed ira, tipici invece di reazioni individuali”;

-       e) che insanabilmente contrastante con l’origine “spontanea” delle violenze è anche lo stesso abbigliamento predisposto per i poliziotti: tutti indossavano i caschi o i foulard d’ordinanza per nascondere il volto (come risulta nelle videoriprese in atti).

Osserva ancora il P.G. che non vi è prova alcuna che le armi sequestrate fossero effettivamente presenti nel vano palestra e/o negli altri piani dell’edificio e/o nelle aule dove stavano dormendo gli occupanti della scuola; né alcuna prova od alcun elemento preciso è stato fornito in merito al luogo specifico del loro  rinvenimento, fatto inspiegabile alla luce dei doveri e della competenze specifiche dei reparti (e dei capi dei reparti) di polizia che agirono.

Nel verbale di perquisizione, redatto negli uffici della Questura alle ore 4.00 del 22 luglio 2001, gli ufficiali ed agenti di P.G. sottoscrittori del verbale stesso ed identificati in Panzieri Maurizio, Nucera Massimo, Gava Salvatore, Ferri Filippo, Aniceto Leone, Cerchi Renzo, Di Novi Davide, Mazzoni Massimo e Di Bernardini Massimiliano, hanno dato atto che alle ore 23.30 del 21 luglio avevano proceduto a perquisizione esponendo circostanze false in quanto:

a)    la perquisizione ha avuto inizio alla mezzanotte;

b)    le bottiglie molotov non sono state trovate nella sala di ingresso al piano terreno e neppure in qualsiasi altro locale della scuola Diaz, bensì sono state rinvenute da altri ufficiali di P.G. in altro luogo ed appositamente portate presso la scuola Diaz al fine di includerle nel materiale sequestrato;

c)    le “mazzette ricurve in alluminio” sono in realtà stecche metalliche sfilate da zaini appartenenti a soggetti che si trovavano all’interno della scuola e “contrabbandati” per “mazzette ricurve in alluminio” allo scopo di farle apparire quali autonomi oggetti idonei ad essere ritenuti armi improprie;

d)    lo zaino di proprietà di Szabo Jonas era stato ritrovato nella scuola Pascoli, dove lo Szabo alloggiava e dove l’aveva lasciato quella sera essendosi recato nella scuola Diaz solo per ragioni contingenti e con l’intenzione di fare rientro alla Pascoli per dormire;

e)    lo stesso Szabo, così come il Brauer e la Jaeger, che si trovavano all’interno della scuola Diaz quando la Polizia ha sfondato il cancello dell’istituto, erano riusciti a fuggire attraverso le finestre e le impalcature esistenti sulla sinistra del caseggiato ed erano stati arrestati successivamente all’esterno della struttura senza che esistesse alcun elemento di prova che gli stessi si trovassero nella scuola e che quindi gli oggetti sequestrati fossero a loro riconducibili;

f)      Mark William Covell non era all’interno della scuola Diaz ed anzi è stato brutalmente ed immotivatamente aggredito mentre transitava nella via Battisti ancor prima di dare inizio alla perquisizione.

 

Contrariamente a qualsiasi norma e disposizione – non di legge ma – di regolamento ed anche buon senso, zaini, borse, non solo furono raggruppati, ma – insensatamente – furono del tutto svuotati a formare una catasta, sì che poi non sarebbe stato possibile attribuire a nessuno tali eventuali “armi”. Soprattutto, nessuno avrebbe potuto in alcun modo dimostrare la propria innocenza, non solo perché a nessuno  sarebbe stato possibile attribuire la specifica condotta di reperimento e trasporto delle armi all’interno della scuola, ma anche perché, nell’affermare falsamente che le armi “erano a disposizione di tutti”, tutti sarebbero stati corresponsabili.

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Quanto all’episodio della asserita aggressione all’agente Nucera, il P.G. lo ritiene del tutto sconfessato dagli elementi probatori acquisiti.

La prima volta l’agente Nucera nella relazione a sua firma datata 22 luglio 2001 afferma che, accompagnato dall’ispettore Panzieri e da altri colleghi della medesima squadra, facendo ingresso all’interno di un’aula buia del secondo piano dell’Istituto, viene fronteggiato da un individuo che urla e protende il braccio destro armato di coltello, puntandoglielo all’altezza della gola. Nucera lo colpisce con il “tonfa” al torace, facendolo indietreggiare; l’attacco non impedisce all’aggressore di sferrare un colpo al petto dell’agente e di fare anche un balzo indietro. L’ispettore Panzieri e gli altri colleghi di Nucera a questo punto intervengono a bloccare l’individuo, portandolo fuori della stanza; poco dopo l’agente trova sul pavimento il coltello utilizzato dall’aggressore e lo raccoglie. Solo in un momento successivo, Nucera asserisce di essersi reso conto di essere stato colpito, ma a questo punto sarebbe accaduto l’incredibile: come pretendono di far credere gli imputati, sarebbe già troppo tardi per identificare l’aggressore, il quale, pure bloccato dai colleghi di Nucera, verrà “perso”, confuso tra i numerosi individui presenti nel punto di raccolta al piano terra.

L’ispettore Panzieri, nella propria relazione di servizio redatta nell’immediatezza dei fatti, sostanzialmente conferma la versione del collega Nucera. Ma proprio il Panzieri in epoca successiva inizia una sorta di retro marcia che diventa poi una fuga: in un primo tempo risulterebbe essere stato presente sulla scena solo un altro agente, ovviamente ignoto ed il ricordo sul comportamento del Nucera e del suo aggressore diventa molto sfumato, poi addirittura sostiene di essersi allontanato proprio nel momento in cui Nucera era in procinto di affrontare una figura con un braccio alzato, quasi scappando.

Si chiede retoricamente l’appellante se è credibile che di fronte all’asserita aggressione ad opera di un black bloc un poliziotto sostenga di non essere intervenuto in aiuto al collega che si trovava proprio davanti a sé ed anzi neppure cerchi di identificare il soggetto in questione.

In ogni caso, sentito in seguito in veste di indagato, il Panzieri lascia definitivamente Nucera da solo a sostenere la sua versione con la conseguenza che non esiste più neppure un teste che abbia assistito all’aggressione e che possa suffragare quando scritto e dichiarato dal Nucera.

Ma è poi lo stesso Nucera, successivamente, a cambiare versione, e solo a causa delle risultanze della consulenza tecnica affidata dal P.M. a tecnici del R.I.S. Carabinieri di Parma sui reperti in sequestro costituiti dalla giacca indossata dall’agente Nucera, dal corpetto protettivo e dal coltello, per ricostruire la possibile dinamica dell’azione. Nucera ha modificato la sua versione soprattutto per giustificare il fatto che non fu uno solo il colpo di coltello che ha tagliato la giacca. Nella nuova ricostruzione egli ha infatti sostenuto di aver visto l’aggressore indietreggiare, perdere l’equilibrio a causa del colpo ricevuto, tentare senza successo di aggrapparsi a lui con la mano sinistra e sferrare una seconda coltellata dal basso verso l’alto.

Secondo ilo P.G. la rilevante modifica delle versioni fornite sia da Panzieri sia da Nucera, le lacune e le incoerenze della ricostruzione dell’accaduto fornita solo dopo le risultanze della consulenza tecnica e solo dopo la ricostruzione e la valutazione di tutte le falsità emerse nell’intera vicenda relativa all’irruzione nella scuola “Diaz”, assurgono a livello di veri e propri indizi, precisi e concordanti, nel senso della falsità della relazione di servizio dei due agenti e della inesistenza di un’aggressione come quella raccontata.

In relazione al contrasto fra i periti, il P.G. censura la decisione del Tribunale di aderire alle conclusioni del perito Torre, sia perché tale scelta è immotivata riducendosi alla stereotipa formula “Le conclusioni del perito, ampiamente e logicamente motivate, appaiono fondate e non si ha dunque alcun motivo per dubitare della loro fondatezza”, sia perché tale perito ha omesso di rispondere ai seri rilievi mossi dal consulente del P.M. Col. Garofano.

Del resto, osserva il P.G., lo stesso Tribunale ha dovuto riconoscere che numerosissimi elementi portano a ritenere inattendibili le versioni dei fatti fornite dal Nucera, anche se poi ha finito per ritenere scarsamente logica e razionale l’ipotesi della invenzione dell’episodio. Rileva il P.G. che non si comprende come possa definirsi illogica ed irrazionale l’invenzione della falsa aggressione, atteso che, unitamente alle altre invenzioni delle bombe molotov e del fitto lancio di oggetti di ogni genere, tale aggressione costituisce uno dei capisaldi delle motivazioni dell’arresto di 93 persone e della loro denuncia per gravissimi reati in realtà inesistenti; quindi lamenta il P.G. che il giudice di prime cure ha indebitamente frazionato e parcellizzato gli esiti delle prove, che invece andavano – e vanno – letti anche nel loro insieme.

C) L’irruzione nella scuola Pascoli ed il falso conseguente

Secondo il P.G. anche l’irruzione da parte di molti operatori della Polizia di Stato nella scuola Pascoli ha avuto sin dall’inizio tutte le caratteristiche tipiche della perquisizione, e la tesi difensiva secondo cui l’accesso si sia verificato “per errore” risulta del tutto smentita dal fatto che la scelta dell’ingresso anche nella scuola Pascoli era determinata:

dalla presenza nell’edificio degli appartenenti all’organizzazione del Genoa Social Forum (ritenuta dalla Polizia collegata in qualche modo con le tute nere);

dalla (infondata e generica) convinzione della polizia che in entrambi gli edifici Diaz-Pascoli vi fossero i cc.dd. black-bloc;

dall’ingente predisposizione di uomini e mezzi, del tutto eccessiva per la sola scuola Diaz, ed anche per l’insieme delle operazioni “formalmente” organizzate;

dalla scelta di mettere in sicurezza tutto il teatro delle operazioni mediante “cinturazione” e controllo di tutta la zona.

E osserva il P.G. che la conferma delle modalità tipiche della perquisizione è dimostrata:

a) dallo spegnimento dello “streaming” delle trasmissioni radio ad opera della Polizia, come riferito da Salvati Marino (ud. 12/04/06), Di Marco Vito (ud. 29/11/06);

b) dalle dichiarazioni dell’assistente della Polizia Sascaro Davide e da quelle dell’On. Mascia;

c) dall’ingresso non di pochi uomini che garantissero il controllo del territorio, ma di moltissimi appartenenti a varie squadre mobili ed al Reparto Prevenzione e Crimine, come riferito da numerosissimi testimoni (richiama, in particolare, l’appellante la deposizione del teste Colacicco - appartenente al Reparto Prevenzione e Crimine -, secondo cui ...”noi siamo arrivati per la cinturazione, loro (gli appartenenti alle squadre mobili) ci chiamarono dalla scuola e mi ricordo che dissero al mio capo equipaggio che bisognava controllare delle persone mentre loro avrebbero proceduto alla perquisizione...”;

d) dalla registrazione audio “miracolosamente” salvatasi e prodotta dal teste Trotta Marco, nella quale si odono i comandi di mettersi a terra e contro il muro, (del tutto coerenti con le operazioni iniziali di una perquisizione) e le urla dei presenti (a tal proposito richiama il P.G. anche le dichiarazioni di Sascaro ud. 30/01/2008 e di Colacicco sull’avere trovato persone sedute o accovacciate vicino al muro, ud. 15/06/2006);

e) dalle modalità di ingresso tipiche di un’operazione di Polizia. Sul punto rilevano secondo l’appellante anche le precise e dettagliate dichiarazioni del teste Brusetti Ronnie: “...i poliziotti sono arrivati di fronte alla porta della Pascoli...e hanno cominciato a picchiare contro la porta del seminterrato... abbiamo capito che la polizia era entrata dal portone del piano terra...sono arrivati dei poliziotti correndo insomma molto velocemente, ci hanno lanciato la cattedra addosso e hanno cominciato a picchiarci”

La tesi dell’errore operativo è smentita anche dalle dichiarazioni rese dall’assistente Mele Salvatore (facente parte del gruppo della Squadra Mobile di Nuoro al comando di Gava) e dallo stesso Gava, che confermano una preventiva divisione in due gruppi delle forze presenti nei pressi del complesso scolastico, uno che doveva entrare nella Diaz Pertini e l’altro nella Pascoli (teste Mele, ud. 31/1/08).

Da ultimo rileva il P.G. che la “perquisizione” si è protratta per un periodo di tempo oscillante tra la mezz’ora e i quarantacinque minuti, lasso temporale del tutto incompatibile, sul piano logico, con l’atteggiamento mentale di chi, accortosi immediatamente dopo l’irruzione nell’edificio dello sbaglio operativo, se ne dovrebbe subito allontanare

È poi incontrovertibile, sempre per il P.G., che anche all’interno della scuola Pascoli vi furono ingiustificate ed ingiustificabili violenze personali e verso il materiale informatico di ogni genere. Anche alcuni poliziotti della Digos hanno riferito dell’apprensione di quattro videocassette in una stanza del terzo piano dell’edificio, senza fornire una spiegazione formalmente – e legalmente – plausibile: il sovr. Bassani, riferendo della circostanza di avere visto persone che filmavano dal terzo piano ha detto: “abbiamo trovato queste cassette su un tavolo abbandonate e ho ritenuto opportuno acquisirle perché ho detto magari possono servire per qualsiasi motivo, se ci sono delle indagini. Lasciarle lì onestamente ... potevano essere cassette che riprendevano l’operazione di Polizia, magari finiscono nelle mani di chiunque, non so..”; ma poi ha ammesso di non avere redatto verbale “nella convinzione che si trattasse di materiale da far confluire in altri verbali a conclusione dell’operazione”.  Analoghe dichiarazioni ha reso l’ass. capo Pantanella Giovanni: “per me ho pensato magari che ci fosse (nelle quattro videocassette) del materiale importante per l’indagine… mi è stato detto che avrebbero fatto un altro verbale.”)

Esaminando il tenore della sentenza di primo grado sul punto, osserva il P.G. che un primo travisamento dei fatti è costituito dall’affermazione che il Gava sarebbe entrato nella scuola Pascoli per ultimo, dietro ad altri reparti della Digos e della Squadra Mobile. In realtà, osserva il P.G., risulta dalle stesse dichiarazioni dell’imputato (interrogatorio del 13/2/02) esattamente il contrario

Il secondo errore di interpretazione dei fatti in cui incorre la sentenza è quello di descrivere e considerare il Gava come un dirigente che non dirige, che non riesce a impartire ordini ai suoi collaboratori e che neppure si rende conto di quanto succede nell’edificio .

In terzo luogo, è la destinazione della scuola Pascoli a sede del Genoa Social Forum  - a tutti nota – che fonda la contestazione e la responsabilità per la violazione di domicilio; parimenti, l’asportazione delle parti interne di personal computers, significativamente non seguita da successiva verbalizzazione giustificativa del sequestro integra gli estremi dell’appropriazione indebita e del falso.

- il falso relativo alla perquisizione della scuola Pascoli (rectius Diaz-Pertini)

L’imputazione di falso relativamente al verbale di perquisizione e sequestro a carico di Gava consegue alla circostanza che egli ha firmato atti che danno conto di numerose attività cui egli non ha partecipato. L’assunto in base al quale il Tribunale ha assolto Gava è errato, secondo il P.G., sia in fatto, relativamente alla dedotta attività di identificazione dei soggetti perquisiti, sia in diritto, relativamente alla ritenuta assenza di dolo per aver Gava agito nella convinzione di poter legittimamente formare il verbale di perquisizione e sequestro solo in conseguenza dell’attività strumentale di identificazione predetta.

Il primo assunto è smentito, secondo il P.G. appellante, dal tenore letterale dell’atto in cui tutti i firmatari sono indicati come presenti all’interno della scuola Pertini ed autori dell’attività di perquisizione e sequestro; il secondo assunto è errato in diritto perché  L’oggetto giuridico tutelato è l’affidabilità degli atti pubblici, nel loro contenuto rappresentativo di fatti o situazioni di cui essi siano destinati a provare la verità, e  l’obbligo di documentazione della attività di polizia giudiziaria attraverso il verbale, non con semplice annotazione, è stabilito dall’art. 357 c.p.p. soltanto per alcuni tipi di atti ed operazioni, tra i quali la perquisizione e il sequestro. Inoltre, e soprattutto, per il P.G. l’evidente illegittimità anche dal punto di vista formale (si attestano fatti ai quali non si è assistito) degli atti che si vanno compiendo, non può certo essere posta nel nulla da una ritenuta sussistenza di eventuali prassi illegittime.

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D)            La vicenda relativa al sequestro e riposizionamento delle bottiglie molotov.

Premesso che risulta incontestabile che le bottiglie molotov giunte alla scuola Diaz erano state rinvenute in Via Medaglie D’Oro di Lunga Navigazione dal vice questore aggiunto dott. Pasquale Guaglione nel pomeriggio del sabato 21 luglio 2001, osserva il P.G. che Burgio ha lasciato la sua postazione (di custodia) del mezzo blindato posteggiato al centro di Piazza Merani soltanto per recarsi nel cortile della scuola Diaz e lasciarvi le bottiglie, non essendovi alcuna plausibile giustificazione “operativa” di tale condotta; infatti, nessun autista di qualsivoglia reparto deve abbandonare,  né ha mai abbandonato, il proprio mezzo, come è regola assoluta e come è testimoniato dagli appartenenti a tutti i reparti. E sono i funzionari più alti in grado a ricevere in consegna le molotov (materialmente il dott. Bernardini), fatto che secondo il P.G. dimostra la piena  consapevolezza del rinvenimento delle molotov in luoghi esterni all’edificio scolastico. La stessa Suprema Corte nella sentenza resa nel procedimento riunito per l’imputazione di falso ha chiarito che è  semplicemente “inconcepibile” che un alto funzionario di polizia non avesse la consapevolezza che del rinvenimento delle Molotov si sarebbe dato conto attraverso un atto ufficiale, cioè un verbale di sequestro, che avrebbe stabilito il collegamento fra le molotov e i soggetti perquisiti sulla base dei presupposti che lo stesso imputato aveva contribuito a creare.

Di Bernardini ha dovuto ammettere, in contrasto con le originarie affermazioni già rese alla A.G. (secondo cui le bottiglie Molotov erano state trovate “nello stanzone” della scuola e pertanto attribuibili a tutti gli occupanti), di aver effettivamente incontrato il dott. Troiani che lo aveva chiamato dall’esterno, e di aver ricevuto in tale contesto le molotov; del tutto incredibili sono, quindi, per l’appellante  le affermazioni del Di Bernardini di non aver avuto o richiesto notizie sulle modalità e sul luogo del ritrovamento degli ordigni.

E la motivazione della sentenza impugnata sul punto è perplessa, contraddittoria ed illogica proprio laddove dapprima riconosce che “tali dichiarazioni possono apparire imprecise e forse anche in parte illogiche, essendo … invero piuttosto strano che (le molotov) siano state affidate ad un non meglio precisato ispettore di Napoli, dalla Mengoni (che le deteneva) tanto conosciuto da non saperne indicare nemmeno il nome” (pag. 296 della sentenza); ma poi afferma, apoditticamente e contraddittoriamente, che “non sussistono peraltro elementi che possano provare l’assoluta inattendibilità di quanto riferito, tenuto dalla teste, tenuto presente lo scarso interesse da parte sua ad elaborare una versione dei fatti non veritiera”.

Venendo all’analisi degli elementi valorizzati dal Tribunale per motivare l’assoluzione, rileva il P.G:

a) quanto al fatto che “dovrebbe ipotizzarsi l’esistenza di un vero e proprio complotto organizzato in precedenza”, che è proprio quanto l’accusa ha dimostrato, con la messe di prove sopra evidenziate;

b) quanto alla “preventiva creazione di prove false”, che nessuno ha mai sostenuto che la bottiglie molotov siano state create ad arte dalla Polizia (per quanto sospetti siano le circostanze del ritrovamento e soprattutto la successiva fortuita distruzione dei preziosi reperti…). Si è solo dimostrato, con testimonianze, ammissioni e videoriprese, che  - trovate altrove le molotov – si decise di trasportarle nella Diaz per giustificare l’irruzione violenta nelle scuole Diaz-Pascoli, e poi l’uso di simili violenze contro gli occupanti delle scuole; e poi per fondare accuse calunniose nei confronti degli occupanti stessi;

c) quanto al “numero così rilevante di dirigenti, funzionari ed operatori di polizia” che sarebbe stato necessario per creare le apparenze del reato di possesso di ordigni incendiari, che nessuno ha mai sostenuto che l’operazione sia stata – né dovesse essere – concordata con tante persone.  In realtà bastava – ed è bastato – l’accordo di chi ha rinvenuto le molotov, di colui che ne disponeva, di colui che le ha trasportate e di colui che le ha poste nel cortile e poi all’interno della scuola Diaz: oltre, naturalmente, ai funzionari direttamente interessati e – purtroppo  - ai loro diretti superiori in grado, di rango anche elevato. Trattasi in tutto di una dozzina di persone al massimo, ma fidate, decise ed interessate al massimo esito dell’”operazione Diaz”.

E) LA CORRESPONSABILITA’ DI TUTTI I PARTECIPANTI

Conclude il P.G. che l’istruttoria ha dimostrato in fatto, e con pienezza, la corresponsabilità di tutti e ciascuno dei funzionari e poliziotti intervenuti nelle irruzioni, e quantomeno per le numerose e gravissime lesioni inferte agli occupanti delle scuole e per i falsi ideologici

La premeditazione di tutti emerge anche dal loro stesso abbigliamento, posto che tutti indossavano i caschi o i foulards d’ordinanza per nascondere il volto. E se i caschi potrebbero essere stati indossati per motivi di sicurezza personale, tanto non può dirsi nemmeno astrattamente per i foulards. Ed infatti proprio il nascondimento dei volti ha impedito il riconoscimento e la condanna di tutti i responsabili materiali delle violenze.

Ad ulteriore conferma il P.G. ricorda che nessuno dei colleghi della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a posteriori, il poliziotto dalle caratteristiche assai peculiari (acconciatura dei capelli a “coda di cavallo”) che è stato ripreso mentre infieriva su una  persona ferma, inerme ed arresa; ricorda anche che nessuno dei colleghi della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a posteriori, il poliziotto che ha firmato con la sigla i verbali di arresto di cui all’imputazione.

In questo quadro ed in questa conformazione della forza, predisposta da coloro che avevano funzioni di coordinamento e comando, consegue per il P.G. l’attribuzione anche ai dirigenti di tutti i reati, e con più grave responsabilità, a titolo di concorso morale e materiale, anche per violazione dell’obbligo giuridico di impedire il fatto reato ai sensi dell’art. 55 c.p.p., per l’eventuale assistenza passiva al crimine da parte di superiori gerarchici che rende ininfluente, in questo quadro, l’accertamento degli esatti movimenti compiuti da ciascuno.

F) Responsabilità dei dott. Gratteri e Luperi

Secondo il P.G. sussiste evidente e piena la responsabilità degli imputati Gratteri e Luperi per i reati loro ascritti: l’accordo criminoso che il Tribunale ha ritenuto essersi formato sulla mancata denuncia comporta non soltanto la tolleranza delle azioni illegittime, ma quantomeno l’implicito assenso da parte (anche) degli imputati Gratteri e Luperi, superiori gerarchici che erano a perfetta conoscenza dei fatti.

Ma anche limitandosi all’ipotesi di responsabilità ex art. 40 c.p., richiamate sul punto le osservazioni e le conclusioni in fatto rassegnate in primo grado dal PM, il P.G. sottolinea, in diritto, che l'articolo sancisce l'assoluta equivalenza casuale tra il non impedire l'evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire ed il cagionarlo; e gli imputati Luperi e Gratteri hanno partecipato e condotto le azioni della Polizia nelle rispettive posizioni apicali, e comunque erano costantemente e tempestivamente a piena conoscenza degli avvenimenti per avervi per la gran parte anche direttamente partecipato. Essi erano altresì provvisti di diretto potere gerarchico nei confronti di tutti gli ufficiali ed agenti di PG operanti.

Richiama il P.G. la costante giurisprudenza che ha sempre ritenuto che l'obbligo di impedire la perpetrazione dei reati discende per gli appartenenti alle Forze dell'ordine dalle norme istituzionali dei vari corpi d'appartenenza (e pertanto li ha sempre ritenuti responsabili ex artt. 40 e 110 c.p.), osservando come anche la minoritaria dottrina che critica questa ricostruzione ritiene che gli appartenenti alle forze dell'ordine  rispondano comunque, ed autonomamente,  ex art. 40 c.p., non essendovi dubbi sull’obbligo giuridico di impedire l'evento.

In definitiva i comportamenti – quantomeno omissivi – dei dott. Gratteri e Luperi secondo il P.G. hanno realmente e di fatto determinato la commissione sia dei reati di falso sia del reato di calunnia, poiché l’istruttoria ha escluso l'intervento di altri fattori  alternativi con elevato grado di credibilità razionale.  Anche volendo escludere una loro premeditazione in ordine ai reati di falso, se la loro azione doverosa di controllo dei loro collaboratori fosse stata compiuta (dalle loro corrispondenti “posizioni di controllo”, appunto), essa avrebbe con certezza impedito l'evento. E per pacifica giurisprudenza nella “responsabilità   penale correlata  alla   titolarità di  una "posizione di  garanzia" deve ritenersi  che gli obblighi da questa derivanti, lungi   dall'attenuarsi, siano rafforzati nel caso di attività complesse o pericolose.”

G) I falsi ideologici in relazione ai fatti della scuola Diaz

Con riferimento al verbale di perquisizione, il P.G. appellante evidenzia i seguenti aspetti di falsità:

a)    la perquisizione ha avuto inizio alla mezzanotte e non alle 23,30;

b)    le bottiglie molotov non sono state trovate nella sala di ingresso al piano terreno e neppure in qualsiasi altro locale della scuola Diaz, bensì sono state rinvenute da altri ufficiali di P.G. in altro luogo ed appositamente portate presso la scuola Diaz al fine di includerle nel materiale sequestrato;

c)    le “mazzette ricurve in alluminio” erano in realtà stecche metalliche sfilate da zaini appartenenti a soggetti che si trovavano all’interno della scuola e “contrabbandati” per “mazzette ricurve in alluminio” allo scopo di farle apparire quali autonomi oggetti idonei ad essere ritenuti armi improprie;

d)    lo zaino di proprietà di Szabo Jonas era stato ritrovato nella scuola Pascoli, dove lo Szabo alloggiava e dove l’aveva lasciato quella sera essendosi recato nella scuola Diaz solo per ragioni contingenti e con l’intenzione di fare rientro alla Pascoli per dormire;

e)    lo stesso Szabo, così come il Brauer e la Jaeger, che si trovavano all’interno della scuola Diaz quando la Polizia ha sfondato il cancello dell’istituto, erano riusciti a fuggire attraverso le finestre e le impalcature esistenti sulla sinistra del caseggiato ed erano stati arrestati successivamente all’esterno della struttura senza che esistesse alcun elemento di prova che gli stessi si trovassero nella scuola e che quindi gli oggetti sequestrati fossero a loro riconducibili;

f)      Mark William Covell non era all’interno della scuola Diaz ed anzi è stato brutalmente ed immotivatamente aggredito mentre transitava nella via Battisti ancor prima di dare inizio alla perquisizione.

Con riferimento al verbale di arresto, il P.G. evidenzia i seguenti elementi di falsità:

g)    dopo che le forze dell’ordine avevano forzato il cancello che dà accesso al cortile dell’edificio, le stesse “venivano fatte oggetto di un fittissimo lancio di oggetti di ogni genere” Ciò “rafforzava vieppiù nel personale operante il profondo convincimento  che effettivamente all’interno del predetto edificio i giovani manifestanti detenessero armi di ogni genere”;

h)    entrati gli agenti nella scuola “i giovani presenti all’interno cercavano di resistere ulteriormente dapprima ingaggiando colluttazioni con i procedenti ed in seguito disperdendosi per i vari piani dell’edificio anche per garantirsi la possibilità di poter tendere inaspettatamente ogni sorta di agguato”;

i)      l’agente Nucera Massimo era stato “accoltellato al torace” senza “ulteriori e drammatiche conseguenze solo grazie all’utilizzo da parte del predetto operatore di polizia di un giubbotto protettivo”;

j)      “nelle concitate fasi d’ingresso e durante la colluttazione, i giovani in argomento provvedevano intenzionalmente a lanciare verso ogni luogo i propri zaini, ciò evidentemente per rendere impossibili le operazioni di attribuzione delle responsabilità penali relative all’eventuale rinvenimento e sequestro di armi”;

k)    nel rinvenimento degli oggetti già descritti nel verbale di sequestro, fra cui le due bottiglie molotov che hanno determinato una delle due specifiche imputazioni, e che erano state ritrovate “al piano terra dello stabile, in prossimità dell’entrata, in luogo visibile ed accessibile a tutti”;

l)      nel rinvenimento di uno zaino di proprietà di tale Szabo Jonas al cui interno si trovavano alcuni fogli di carta su uno dei quali erano manoscritte parole quali “Genova 2001 … omissis … tipo … omissis … rivolta” e che ciò costituiva “conferma delle comuni finalità di rivolta e di devastazione che l’organizzazione si prefigge anche attraverso la sua capillare divulgazione”; il manoscritto, inoltre “descrive nei dettagli la preparazione di un giubbotto speciale da utilizzarsi in occasione di eventuali contatti con le Forze dell’ordine in occasione del vertice dei G8” e riporta altresì la frase: “di fronte a me ci sono circa 200 persone che lavorano su questo tipo di armamento passivo”.

Ciò premesso, rileva il P.G. in diritto che “tutti i rapporti di polizia sono atti pubblici” (sent. Cassazione penale  sez. VI del  24 settembre 1987), e che, secondo giurisprudenza anche di merito, costituisce falso ideologico in atto pubblico il fatto di chi appone la propria sottoscrizione nel verbale stesso quando, invece, sia stato assente all'effettuazione delle relative operazioni. E tanto vale non solo per il verbale di arresto, ma anche per quello di sequestro, in quanto “atto pubblico  facente fede  sino ad impugnazione  di falso, ai sensi dell'art. 476  cpv.  c.p. … nell'esercizio delle  funzioni  di accertamento ed  assicurazione del corpo  del reato.   La compilazione  di tale atto costituisce  infatti manifestazione del potere di documentazione  fidefaciente espressamente attribuito all'ufficiale di polizia giudiziaria” (Cassazione penale, sez. V, 24 novembre  1983).

Quanto alla tesi di alcuni degli imputati secondo la quale essi avrebbero “soltanto” apposto la firma in calce nei verbali di cui all’imputazione, la veridicità dei quali non sarebbero stati chiamati ad attestare, né comunque ne avrebbero conosciuto la non corrispondenza al vero, se anche ciò fosse provato, e per il P.G. non lo è, deve rammentarsi che proprio “la firma del pubblico ufficiale sul documento è ciò che attribuisce ad esso il valore e l'efficacia della pubblica documentazione” (sent. Cassazione penale, sez. V, 05 luglio 1990). 

In definitiva, a prescindere dalla invocata circostanza che alcuni sottoscrittori dei verbali non fossero a conoscenza della falsità delle attestazioni ed a prescindere anche dalla loro partecipazione effettiva all’irruzione della scuola Diaz ed ai sequestri del materiale, dal loro dovere di attestare solo ed esclusivamente fatti dei quali erano a diretta conoscenza ed ai quali avevano partecipato deriva la loro responsabilità penale. L’ufficiale verbalizzante, infatti, attesta quel che sottoscrive facendo integralmente proprio il contenuto dell’atto. principio che la Suprema Corte ha ribadito anche nel presente procedimento, annullando la sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP di Genova nei confronti dell’imputato Troiani, “considerate le competenze di un funzionario di polizia, idoneo a distinguere tra un atto a cui ha partecipato ed un atto a cui non ha preso parte e che non deve sottoscrivere…”.

Osserva ancora il P.G. che vi è nel processo positiva conferma della piena consapevolezza in capo agli ufficiali ed agenti di P.G. della natura e della funzione delle sottoscrizioni in generale, come si evince dall’episodio relativo all’agente Nucera il quale ha confermato che non avrebbe voluto sottoscrivere i verbali di arresto e perquisizione, essendo a conoscenza solo dell’accoltellamento che lo riguardava, e non di tutto il restante contenuto degli atti; la giustificazione di aver firmato per obbedire ad un ordine impartitogli da Mortola e da altro funzionario non scrimina, data la manifesta illegittimità del’ordine, ed è poco credibile, secondo il P.G., visto che il verbale di sequestro del giubbotto, del paraspalle e del coltello è stato firmato dal Panzieri e non dal Nucera.

Né vale, secondo l’appellante, invocare il principio “nemo tenetur se detegere”,  sotto il profilo che redigere atti corrispondenti al vero avrebbe implicato ammettere la propria responsabilità per i reati commessi all’interno della Diaz, in quanto tale principio non opera in tema di falso in atto pubblico, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione.

Infine il P.G. ricorda, quanto all’eventuale prassi  illegittima di firmare verbali di attestazione di fatti ai quali non si è assistito (rimarcando come nessun imputato sia mai giunto a dichiarare che tale prassi esiste), che “non può invocarsi a discolpa l’esistenza di prassi illegittimamente tollerate se non promosse” (Cass. 10720 del 04/12/2007 – 10/03/2008).

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  III – LE PENE IRROGATE, LA CONCESSIONE DELLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE, IL GIUDIZIO DI COMPARAZIONE DELLE CIRCOSTANZE.

Lamenta, infine, il P.G. l’inadeguatezza delle pene inflitte, modeste in relazione alla gravità dei fatti ed ai gravissimi danni fisici e morali arrecati non soltanto alle pp.oo., ma perfino alla credibilità ed al prestigio internazionale dell’Italia.

Per l’appellante  ingiustificata ed ingiusta pare la concessione a tutti gli imputati delle circostanze attenuanti generiche, per di più ritenute prevalenti o equivalenti alle gravissime aggravanti.  Tali attenuanti non sono oggi giustificabili con il mero stato di incensuratezza, mentre per il passato tale “status” deve cedere di fronte alla gravità di condotte e reati come quelli di chi venga meno non solo ai doveri di lealtà, correttezza ed imparzialità ai quali è istituzionalmente tenuto, ma anche di minima “umanità”.

Conclude, pertanto, il P.G. chiedendo la riforma della sentenza di primo grado con la conseguente condanna degli imputati in ordine a tutti i reati rispettivamente contestati; l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche e comunque la modifica del giudizio di comparazione delle circostanze con l’irrogazione di pene più gravi.

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APPELLO DEL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

Esordisce il P.M. di primo grado lamentando che la sentenza non consente, su decisivi temi di prova, alcun controllo della logicità e della coerenza del ragionamento decisorio, per la semplice ragione che la motivazione è del tutto assente, configurandosi così il più grave vizio dell’atto costituito dalla carenza assoluta di motivazione.

La ricostruzione del fatto è introdotta da un incipit metodologico che anticipa l’elusione del vaglio critico  delle dichiarazioni testimoniali. Il Giudice si avventura nella esposizione di una regola di giudizio che attinge ad un parametro pseudo scientifico presentato come di validità costante. Si evoca una psicologia spicciola della testimonianza secondo la quale sarebbe “noto” che i testi “sono di norma, anche inconsciamente ed in perfetta buona fede, portati a ricordare, riferire, sottolineare ed anche ampliare, prevalentemente i fatti e le circostanze favorevoli ai loro amici, conoscenti, colleghi ed affini ideologicamente e che con il trascorrere del tempo tale situazione si cristallizza sempre più, determinando spesso la convinzione di aver assistito esclusivamente a tali fatti” (pag. 241). Dubita il P.M. che ciò possa costituire una regola di giudizio tale da essere addirittura esposta come premessa significativa; viceversa per l’appellante sarebbe stato corretto avvalersi del criterio valutativo, enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale  non c'è nessun racconto (e, meno che mai, nessun racconto orale) che non abbia falle, lacune, contraddizioni; quel che si può pretendere è che il narrante riferisca i cc.dd. "fatti indimenticabili", cioè quelli che, per la loro rilevanza sociale e/o psicologica, sono ritenuti tali da non poter essere cancellati dalla mente e che in essa vengono abitualmente "trattenuti", secondo la normale meccanica mnemonica dell'uomo medio. In questo senso la giurisprudenza, come è noto, parla di "nucleo essenziale" del dictum, vale a dire del "nocciolo" del racconto: di quella parte dell'avvenimento ricordato e riferito che non può essere stata - in tutto o in parte - dimenticata da chi realmente tale avvenimento abbia vissuto o ad esso abbia assistito” (così Cass. Sez. V nr. 32906 del 31.05.2007, Capriati).

La seconda premessa alla ricostruzione dei fatti è valutata superficiale dal P.M.. Il Tribunale afferma che occorre “tenere presente quanto stabilito dall’art. 192 c.p.p. e la “ormai ampiamente nota elaborazione giurisprudenziale di tale norma, che appare superfluo ripetere in questa sede”, mentre osserva l’appellante che questa sarebbe stata proprio la sede naturale per esporre le premesse giuridiche in tema di valutazione delle prove. E ciò soprattutto perché  l’art. 192 c.p.p. non contiene una sola norma, ma un insieme di disposizioni e più norme, ognuna delle quali secondo il P.M. è stata ripetutamente violata. Richiama, ad esempio, l’appellante come rilevate in causa una recente e consistente linea giurisprudenziale secondo la quale, qualora chi si trovi nella condizione di indagato in procedimento connesso assuma la qualità di persona offesa, è quest’ultima veste processuale a prevalere e pertanto il soggetto è pienamente capace di testimoniare (Cass. Sez. III nr. 357 del 15/11/2007, Bulica).

Così come vi sono altre rilevanti opzioni interpretative quali: a) la non necessità dei riscontri alla testimonianza della persona offesa; b) il principio di frazionabilità delle dichiarazioni; c) il principio del riscontro incrociato con altre dichiarazioni, stabilito per le dichiarazioni dei correi e a maggior ragione per gli altri dichiaranti. Se ha inteso richiamare anche tale elaborazione giurisprudenziale, lamenta tuttavia il P.M. come  il Giudice non l’abbia poi osservata.

La ricostruzione del fatto.

Un primo elemento processuale che il Giudice pare risolvere in termini di certezza è quello relativo alla presenza di estremisti del black bloc o simili, se non nella scuola Diaz, quantomeno “nella zona prossima al complesso scolastico”.

Il Giudice si affida in primo luogo alla testimonianza del prefetto Andreassi, che secondo il P.M. ha reso una deposizione fra le più coerenti ed esplicite, ma fra le più contestate dalle Difese. Il teste riferisce di una decisa virata nella politica della gestione dell’ordine pubblico, proveniente dal vertice del Dipartimento di Pubblica Sicurezza: indica nella persona del dott. Gratteri, quale capo dell’organismo centrale S.C.O., il nuovo centro di imputazione delle direttive sul campo alle forze territoriali.

Il Tribunale affronta quindi la ricostruzione dell’episodio di aggressione alla pattuglia davanti alle scuole Diaz: la conclusione cui giunge il Giudice è quella della difficoltà di accertamento dell’accaduto, ed il P.M. lamenta che in tal modo il Tribunale rinuncia a prendere posizione limitandosi ad una mera registrazione del contrasto fra le deposizioni. La considerazione dell’episodio diviene così solo strumentale a dimostrare come l’ostilità mostrata nei confronti della pattuglia legittimasse il sospetto della presenza di facinorosi “evidentemente provenienti dalla scuola Diaz Pertini”.

Il Tribunale si basa ancora sulla testimonianza del dott. Colucci per descrivere le fasi relative alla preparazione della perquisizione e in particolare per le informazioni raccolte anche con il sopralluogo del dott. Mortola. Giunto ad altro contrasto tra due versioni dei fatti, quella resa dal teste Kovac e quella resa dall’imputato Mortola, il Giudice, lamenta il P.M., non è in grado di concludere e motivare sull’inattendibilità dell’una o dell’altra versione. La scelta si basa infine su una illazione, in danno dell’unico teste, il Kovac, che secondo l’appellante si era invece mostrato sempre coerente con le dichiarazioni rilasciate in istruttoria e in sede di commissione parlamentare. Rileva il P.M. che è stato travisato, nelle motivazioni della sentenza, il fatto che Kovac non abbia escluso di aver detto all’imputato Mortola che la situazione all’interno della Diaz fosse “fuori controllo” del G.S.F.: il Kovac non si è sentito responsabile delle conseguenze dell’intervento violento  per aver detto al Mortola che la situazione all’interno dell’edificio era sfuggita al controllo del G.S.F., ma per essersi fidato del Mortola che lo aveva tranquillizzato.

L’arrivo delle forze dell’ordine al complesso scolastico Diaz

Il Tribunale riferisce gli episodi di violenza in danno di Frieri e Covell, entrambi avvenuti a freddo - prima dell’irruzione - nella pubblica via: il Giudice afferma che non è chiaro chi lo ha colpito e chi era al comando dei reparti. In realtà, osserva il P.M., vi sono testi oculari che assistettero all’aggressione dalle finestre della scuola Pascoli con diretta visione dell’accaduto, nonché le definitive precisazioni e rettifiche fornite dalla stessa parte offesa sul punto ed infine il reperto filmato 239, che inquadra almeno una delle ultime fasi della brutale azione: per l’appellante il compendio di tali elementi fornisce prova della univoca attribuibilità del fatto ad appartenenti alle forze di Polizia in quel momento impegnate nell’irruzione. Ma ricorda il P.M. che vi sono state altre manifestazioni di violenza tutte perpetrate dai reparti della Polizia di Stato impegnati nell’operazione nei confronti di persone (i testi Tizzetti, Scribani e Nanni) che, al momento dell’arrivo delle forze di polizia si trovavano in strada e nell’atto di  allontanarsi da quei luoghi: la circostanza non menzionata dal Tribunale assume significato al fine della ricostruzione del fatto e degli avvenimenti successivi. Si tratta per il P.M. di violenza gratuita commessa da tutti i reparti sotto gli sguardi ed il controllo dei più alti dirigenti (di ciò è prova l’esame dei documenti filmati che riscontrano, come ammette il Giudice, le drammatiche testimonianze) valutata dal GIP nel provvedimento di archiviazione nei confronti degli arrestati, che fornisce riscontro di attendibilità alle dichiarazioni delle parti lese anche con riferimento alle violenze subite al’interno della scuola, escludendo i margini di dubbio anche a tale riguardo avanzati dal Tribunale.

Sul lancio di oggetti e atti di resistenza verso le forze dell’ordine

La conclusione cui perviene il Collegio in merito al verificarsi di lancio di oggetti contro i poliziotti, come attestato nei verbali di p.g., che descrivono “fittissimo lancio di oggetti”, (conclusione diametralmente opposta a quella del G.I.P. nel provvedimento menzionato), è ritenuta dal P.M. frutto di travisamento dei fatti e sorretta da fallaci argomentazioni logiche e giuridiche, che prescindono dalla valutazione del materiale probatorio a disposizione. Sul punto le argomentazioni sono analoghe a quelle sviluppate nell’appello proposto dal Procuratore Generale.

L’irruzione nella scuola Diaz Pertini. Ancora sulla resistenza

Il quadro che emerge dalle deposizioni secondo il P.M. è univoco. Le dichiarazioni delle persone offese sono convergenti e riscontrate reciprocamente in ogni dettaglio, trovano conforto nei certificati medici, nella tipologia delle lesioni patite, da cui si desume l’omogeneità e la reiterazione delle modalità dei colpi inferti, elementi che qualificano in maniera evidente le ferite come ferite c.d. da difesa (traumi cranici ripetuti a dimostrazione della mira e dell’obiettivo prescelto, braccia spezzate a protezione del capo, lesioni traumatiche alle gambe e in parti del corpo attingibili soltanto con il soggetto a terra). Ma ciò malgrado lamenta il P.M. che il Tribunale non se la sente di dar piena patente di credibilità alle parti lese, per cui ritiene che qualcosa deve pur essere avvenuto ed in particolare qualche colluttazione non si può escludere “con assoluta certezza”. Cita allora il Tribunale i 17 referti medici sulle lesioni riportate dai poliziotti, ma per il P.M. basta il bilancio complessivo degli ottantasette feriti su novantatre arrestati, e i trasporti in ambulanza per arrivare all’ossimoro della  colluttazione unilaterale” descritta dall’imputato Fournier.  

L’aggressione all’agente Nucera

Su tale episodio il P.M. registra un sostanziale non liquet del primo Giudice.

Il Tribunale dapprima riporta le dichiarazioni dell’agente Nucera e dell’ispettore Panzieri senza alcuna valutazione della loro attendibilità intrinseca; all’esito dell’accertamento tecnico disposto dal P.M., la versione resa dai due imputati riceveva obiettiva smentita. La successiva versione dell’agente Nucera, veniva quindi resa dopo aver conosciuto il dato obiettivo che smentiva la precedente nel suo nucleo essenziale. Le due versioni quindi venivano poste a base del quesito formulato al perito nella procedura di incidente probatorio richiesta dal P.M.

La diversità dell’ultima versione secondo il P.M. viene giustificata dal Giudice non solo in maniera apodittica, ma in palese contrasto con i dati processuali; da un lato fin da subito il Nucera riferì a terzi di aver ricevuto una sola coltellata, dall’altro lato il teste Gallo, incaricato di redigere la comunicazione di notizia di reato, ha riferito di aver chiesto al Nucera una dettagliata e precisa relazione su quanto accaduto, invitandolo alla massima precisione e chiarezza in quanto quello dell’accoltellamento era l’episodio più grave da inserire negli atti. Risulta, così, smentita, a detta del P.M., la giustificazione adottata dal Tribunale per spiegare la contraddizione fra le due versioni fornite dal Nucera, incentrata sulla confusione e la non consapevolezza dell’importanza della relazione richiestagli.

Ancora, lamenta il P.M. che il Tribunale ha omesso di considerare il radicale cambio di versione degli imputati ed in particolare del Nucera circa la presenza all’episodio di altre persone che avrebbero potuto testimoniare in merito all’aggressione; e che non ha considerato l’inverosimiglianza della mancata identificazione dell’aggressore, sia pur colpito e immobilizzato a terra e che si sarebbe poi confuso assieme agli altri arrestati.

Quanto agli esiti della perizia sui tagli agli indumenti, svolte argomentazioni del tutto simili a quelle sviluppate dal P.G., il P.M. lamenta che in sentenza non si spende una sola parola per giustificare le seguenti eccezionalità ed inverosimiglianze dell’azione concreta: a) come è possibile che il secondo colpo, che per le tracce lasciate è  quello sferrato con maggiore forza cinetica, sia stato inferto mentre l’aggressore, colpito con il tonfa in pieno petto dall’agente Nucera, era in caduta a terra? b) è ragionevole ipotizzare che, anche superata la legge gravitazionale, l’aggressore abbia colpito il suo antagonista con precisione millimetrica con un altro colpo che quasi si sovrappone al primo, sferrato in altre condizioni e da altra differente posizione?

La perquisizione

Anche in questo caso secondo il P.M. la motivazione è esangue.

L’appellante contesta l’assunto sostenuto in sentenza secondo il quale le operazioni di perquisizione sarebbero iniziate da parte degli agenti con funzione di polizia giudiziaria al termine della “messa in sicurezza” dell’edificio, dopo che “gli operatori del VII Nucleo” erano usciti e si erano radunati nel cortile. La situazione descritta non risponde alle risultanze probatorie ed è funzionale, secondo il P.M., alle conclusioni raggiunte dal Giudice in termini di responsabilità per giustificare le assoluzioni.

Di fronte alla evidenza delle numerose testimonianze, nonché delle riprese filmate, il Tribunale ammette che la fase delle violenze, durante la messa in sicurezza vede coinvolti anche operatori di tutti i reparti, quindi anche quelli dei comparti di polizia giudiziaria, che iniziano senza soluzione di continuità l’attività di perquisizione, condotta con le modalità serventi alla indiscriminata denuncia in stato di arresto di tutti gli occupanti.  Ricorda il P.M. che le dichiarazioni degli imputati sottoscrittori dei verbali, utilizzabili contra se sul punto in questione, confermano che la maggior parte di loro è entrata nell’edificio mentre l’occupazione militare non era conclusa con la neutralizzazione e sopraffazione violenta delle persone presenti e contestualmente inizia la ricerca di oggetti da sottoporre a sequestro. Nel verbale di arresto sottoscritto dagli imputati, sostiene l’appellante, vi è la rappresentazione di un’inesistente condotta degli arrestati che avrebbero provveduto “intenzionalmente a lanciare verso ogni luogo i propri zaini evidentemente per rendere impossibili le operazioni di attribuzione delle responsabilità penali relative all’eventuale rinvenimento e sequestro di armi”: Questo profilo di falsità in atti è attestato non nella relazione dell’imputato Canterini o dalle dichiarazioni provenienti dagli uomini del VII Nucleo, ma negli altri atti di p.g. ed è unicamente funzionale a giustificare la condotta dei perquirenti, cioè dei reparti di polizia giudiziaria, con ciò confermandosi, secondo il P.M., la impossibilità di distinguere le responsabilità secondo la rigida scansione dell’operazione in due distinte fasi, erroneamente istituita dal Tribunale.

Il Tribunale dà atto che dalle dichiarazioni testimoniali degli occupanti della scuola emerge la descrizione della perquisizione come confusa, diretta a cercare indumenti neri, con modalità tali da non consentire la diretta attribuzione di paternità degli oggetti e comunque irrispettosa dei diritti dei perquisiti, ma, osserva il P.M., la riserva manifestata dal primo giudice sull’attendibilità dei testi qualificata “sostanziale“ in virtù del richiamo all’art. 197 comma 6 c.p.p. (che il P.M. appellante corregge in 197 bis c.p.p.), ed il richiamo alla “comprensibile animosità nei confronti delle forze di polizia” sono ingiustificati, non tenendo conto della sussistenza dell’obbligo di dire la verità, e della serenità e pacatezza con la quale tutte parti lese escusse hanno riferito i fatti. Del resto, osserva il P.M., l’esternato sospetto è del tutto inutile, essendo stata rispettata la regola dell’art. 192 comma 3 c.p.p., poiché le testimonianze non solo si riscontrano reciprocamente e con genuinità, cioè come il Tribunale ammette in altre parti, senza che ci sia stata la possibilità di concordare versioni, ma sono anche riscontrate da inequivoche riprese filmate che documentano le incredibili modalità di perquisizione, con poliziotti che frugano e spargono alla rinfusa il materiale (immagini del rep.198.2.p.2. dal min. 0.02.17 del contatore in avanti).

Altra grave omissione nella sentenza è segnalata dal P.M. appellante nell’elencazione per ben undici righe del materiale sequestrato, che a prima vista sembra riprodurre l’elenco che compare nel verbale di sequestro, ma ad una lettura più approfondita, evidenzia la mancanza di “sei mazzette in alluminio ricurve” (i sostegni metallici estratti degli zaini), che secondo il P.M. è frutto di una delle più insidiose azioni calunniose ai danni dei perquisiti. Osserva il P.M. che questa estrazione dei telai metallici, quale deliberata azione compiuta da alcuni poliziotti davanti agli occhi di tutti, è un segno inequivoco di quel patto tra dirigenti e subordinati diretto a garantirsi l’impunità.

Ulteriore circostanza oggetto di contestazione di falso ma trascurata dal Tribunale si riferisce al sequestro di uno zaino attribuito a Michael Gieser e di alcuni documenti oltre ad un coltello a serramanico e due multiuso a Szabo Jonas, in relazione alla quale il P.M. ricapitola alcune circostanza sulle quali il Tribunale ha omesso ogni valutazione:

a) quanto sequestrato a Szabo Jonas è stato rinvenuto, secondo il verbale, nell’edificio della scuola Diaz Pertini e ciò non corrisponde al vero, tanto che il Tribunale usa l’espressione anodina “nel corso della perquisizione”;

b) il sequestro effettuato a Szabo Jonas è insieme con quello di Gieser il solo sequestro nominativo, per la semplice ragione che lo zaino a lui pertinente è stato rinvenuto nella scuola Pascoli, dove il proprietario l’aveva lasciato;

c) nello zaino dello Szabo sono stati trovati documenti, descritti nel verbale come 8 fogli dattiloscritti in lingua inglese sul retro di uno dei quali compariva uno schizzo e alcune frasi che sono stati artificiosamente presentati come piani strategici dell’associazione a delinquere di cui lo Szabo sarebbe stato componente di spicco (in realtà trattavasi di brani di una biografia del rev. Jesse Jackson su cui l’interessato elaborava una tesi e lo schizzo non rappresentava alcun piano di battaglia, come ammesso dall’imputato Mortola);

d) Szabo Jonas, benché fosse stato fermato nei pressi della scuola, veniva tratto in arresto per tutte le imputazioni, compresa la resistenza, con il medesimo verbale che dava atto della sua presenza all’interno dell’edificio;

e) lo Szabo ha sempre negato la proprietà dei coltelli inverosimilmente attribuiti a lui e ha denunciato, in tempi non sospetti, la mancata restituzione di una serie di effetti personali come carte di credito e denaro;

f) i documenti  a lui attribuibili erano detenuti nel suo zaino all’interno di una cartellina rossa che l’imputato Mortola, ripreso dalle telecamere con tale cartellina, afferma di aver ricevuto da non meglio identificati agenti del reparto mobile;

g) l’imputato Mortola non poteva ricondurre la cartellina estratta dallo zaino allo Szabo se non attraverso lo zaino stesso che conteneva i documenti di identità, quindi conosceva il rinvenitore dello zaino in questione, cosa che non ha rivelato;

h) dallo zaino di Michail Gieser sono stati estratte le barre metalliche a sostegno, poi sequestrate come armi improprie;

i) al Gieser è stata sequestrata una videocamera con relativa cassetta incorporata sulla quale era stata effettuata una ripresa del primo piano della scuola appena terminate le violenze e quando si trovavano ancora presenti i feriti ed i poliziotti, cassetta del cui sequestro si dà atto nel verbale relativo, ma che non è mai stata consegnata alla A.G. cui perveniva qualche giorno dopo una rettifica dalla Questura che affermava trattarsi di un errore la menzione a verbale.

Le bottiglie Molotov

Anche in tal caso il P.M. lamenta che l’analisi della vicenda è condotta dal Tribunale in modo superficiale, senza affrontare alcuna tematica o nodo centrale del contraddittorio.

Alla rilevate contestazione circa la provenienza esterna delle molotov, indicate nei verbali come presenti all’interno della scuola Pertini, si affianca, secondo il P.M. con altrettanta importanza, l’episodio della sparizione dei reperti, emerso nel corso del dibattimento. Censura il P.M. il giudizio di irrilevanza manifestato dal Tribunale circa l’invocato approfondimento istruttorio su tale fatto, che secondo l’appellante ha valenza indiziaria rilevante al pari di tutte le altre circostanza relative agli ordigni; pertanto lamenta l’appellante che il primo giudice ha omesso di pronunciarsi sulla nuova esplicita richiesta istruttoria formulata nella propria memoria finale, ove  venivano resi noti gli elementi emersi dalle indagini attivate parallelamente dalla procura: in base a tali emergenze l’artificiere, che avrebbe dovuto avere in consegna il reperto, ne avrebbe perso il possesso per opera di “personale della D.I.G.O.S.” che si sarebbe portato via il corpo di reato. Lo stesso artificiere sarebbe stato sottoposto a pressioni per dichiarare di avere distrutto erroneamente gli ordigni, come emergeva da intercettazioni telefoniche la cui acquisizione si sollecitava allo stesso Tribunale nell’ambito dell’accertamento sul punto.

Per il P.M. appellante è carente la motivazione anche nella parte in cui il Tribunale è giunto a conclusione condivisibile, come l’accertamento di responsabilità di Burgio e Troiani, in quanto a suo dire la svalutazione della condotta tenuta dagli altri funzionari che hanno gestito le bottiglie molotov, i quali sono stati assolti, e la conseguente separazione delle condotte di Burgio e Troiani da quella degli altri coimputati, ha impedito di valutare unitariamente la fase di ideazione e realizzazione del falso collocamento delle molotov all’interno della scuola, inducendo, così, il Tribunale ad ancorare la decisione di colpevolezza a circostanze di per sé scarsamente significative (ad esempio il fatto che Troiani, pur conosciuto dai suoi colleghi, abbia girato le spalline della divisa per occultare i gradi), obliterando le più consistenti tesi accusatorie sviluppate all’esito del dibattimento (ad esempio il fatto che il dott. Troiani e il suo assistente, i quali nella tesi accolta dal Tribunale hanno portato le molotov con funzione ingannatoria, sono stati fatti scomparire, non solo dai verbali che avrebbero dovuto indicarli come coloro che avevano rinvenuto il reperto più significativo dell’intera operazione, ma anche dagli elenchi degli operatori presenti, per ben due volte trasmessi dalla polizia con assicurazione che erano esaustivi.) Osserva il P.M. che se l’occultamento dei gradi è segno per il Tribunale di consapevolezza di azione illecita, non si comprende come gli ingannati abbiano fatto sparire, dopo il “lavoro sporco”, gli ingannatori, che a quel lavoro non avevano autonomo interesse, .

Per il P.M., pertanto, è illogica e immotivata la condanna dei soli Burgio e Troiani senza alcuna analisi da parte del Tribunale delle posizioni degli altri appartenenti al gruppo e dei diversi soggetti che hanno avuto in consegna le molotov – in particolare con riferimento alla loro presenza in loco, alla pacifica detenzione degli ordigni, alla mancata richiesta di informazioni sull’origine degli stessi, alla insufficienza ed incongruenza dei presunti soli moventi (quali?) che avrebbero animato Burgio e Troiani, alla incompatibilità della incauta ed ostentata condotta tenuta dal Troiani rispetto all’ipotizzato intento ingannatorio dei vertici della Polizia.

Le dichiarazioni degli imputati Di Bernardini, Caldarozzi, Mortola, Luperi, Canterini sono state analizzate, come impongono le regole di esclusione in caso di rifiuto all’esame dibattimentale, soltanto nella loro attendibilità intrinseca e nel loro contrasto con elementi documentali obiettivi quali le riprese filmate secondo la cronologia ritenuta affidabile dallo stesso Tribunale. Il risultato, secondo il P.M., non è che sono “in parte imprecise e contraddittorie” (come sostenuto dal Tribunale a pag. 292 della sentenza), ma quello ben diverso che sono state smentite e quindi sono false. Le amnesie ed imprecisioni attengono non a dettagli, ma a momenti significativi e cruciali dell’operazione. La valutazione delle dichiarazioni in parola, come effettuata dal G.i.P. che ha ordinato la formulazione della imputazione di falso a carico di Troiani, ha esplicitamente escluso, in quanto inverosimile, la tesi che il gruppo di funzionari potesse essere stato ingannato da Troiani, proprio facendo leva sulla macroscopicità del dato che nessuno avesse mai posto, secondo le versioni rese, alcuna elementare domanda sulle bottiglie molotov.

Osserva il P.M. che Tribunale ha omesso ogni valutazione, anche incidentale, sulle dichiarazioni rese da Luperi, ripreso con in mano il sacchetto contenente le molotov; sono state solo riportate le dichiarazioni rilasciate dal predetto Luperi dopo la contestazione del filmato che smentiva le dichiarazioni rese in precedenza, allorché, in una prima occasione, pur richiesto di fornire informazioni sulle molotov e sulla attribuibilità agli arrestati, il Luperi non aveva precisato le circostanze a lui note ed il contatto avuto con il reperto; in una seconda versione, ancor prima della contestazione della provenienza illecita delle bottiglie incendiarie, nuovamente richiesto di precisazioni sulla perquisizione e sui sequestri effettuati, affermava di aver visto il reperto, ma in mano ad altro soggetto che reggeva il sacchetto. Da ultimo, dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere,  alla visione del filmato che ritrae non altri, ma lui stesso che maneggia il reperto, cerca di contestare la cronologia del filmato e accreditare l’ipotesi di essere stato informato del ritrovamento antecedentemente alla ripresa e a quel contesto di luoghi e persone. Ma la possibilità di fissare con attendibilità scientifica la cronologia delle riprese filmate consente secondo il P.M. di smentire questa versione: è lo stesso Tribunale che nella sua ricostruzione dei fatti accerta che quel contesto, in cui Luperi è ritratto con il sacchetto delle molotov in mano ed in cui sono ancora presenti sulla scena i latori degli ordigni, rappresenta il momento in cui fanno la prima comparsa  le bottiglie.

Il fatto è che, dopo l’esame del reperto da parte di tutti i funzionari apicali al comando dei reparti impiegati, che avviene immediatamente dopo la consegna da parte di Troiani e Burgio, il reperto stesso è collocato nella scuola in esposizione insieme con gli altri oggetti sequestrati. Il percorso delle bottiglie e la loro collocazione finale all’interno della scuola per il P.M. sono, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, sufficientemente chiari per costituire gli elementi indiziari definitivi in ordine alla consapevolezza della illecita collocazione delle bottiglie molotov all’interno della scuola.

A supporto degli elementi evidenziati, il P.M. richiama due deposizioni:

1)    quella del dott. Fiorentino, che oltre a riconoscere la posizione di riferimento gerarchico del Luperi sui luoghi della operazione, riferisce di essere stato avvicinato da Luperi che, con grande esaltazione, gli mostrava le bottiglie nel sacchetto, esprimendo la soddisfazione che tale ritrovamento rendeva finalmente fruttuosa la perquisizione, i cui esiti fino a quel momento erano piuttosto inconsistenti e rendeva, quindi, solida la decisione dell’arresto delle persone occupanti la scuola. Questo aspetto della testimonianza, secondo il P.M., è in assoluto contrasto, non solo con il ruolo di mero osservatore distratto e distaccato che il Luperi si attribuisce, ma anche con la possibilità che la vicenda del ritrovamento e quel momento di esperienza vissuta possano essersi cancellati nella memoria del Luperi fino alla visione del filmato che lo ritrae con il sacchetto contenente le molotov.

2)    quella della dott.ssa Mengoni, riportata in sentenza, che pur ritenuta dal Tribunale connotata da “profili di imprecisione e forse in parte di illogicità” ed in contrasto con la deposizione del teste Pifferi, non è considerata dal primo giudice elemento significativo per la ricostruzione della consapevolezza in capo a Luperi e agli altri funzionari apicali dell’uso fraudolento delle molotov.

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Sulla redazione degli atti di perquisizione e sequestro

Osserva il P.M. che il tema è affrontato dal Tribunale in poche righe. In primo luogo l’appellante evidenzia come il Tribunale non abbia evidenziato l’anomalia di affidare a Gallo e Schettini l’incarico di redigere la notizia di reato, sebbene non avessero partecipato all’operazione. Ritiene il P.M. che la scelta dei sottoscrittori non sia stata dovuta alla fretta o alla confusione, ma appare ragionata e frutto di esplicita direttiva, come confermato dalla deposizione dello stesso teste Gallo. Rileva l’appellante che al termine dell’istruttoria dibattimentale è risultato impossibile individuare una qualsiasi fonte diretta che abbia potuto testimoniare o dichiarare a Gallo e Schettini lo svolgimento delle condotte e l’accadiemento dei fatti indicati nell’atto di sequestro e perquisizione, pur ivi analiticamente descritti.

Secondo il P.M. non è neppure certo che la prima relazione sia stata quella inviata al Questore dal dott. Canterini; infatti la relazione in questione, allegata al verbale di arresto e alla notizia di reato, non era disponibile neppure la mattina dopo, tanto che i predetti testi Gallo e Schettini non ne poterono tenere conto, malgrado fosse atto assolutamente indispensabile perché costituente l’unica fonte di notizia circa la rappresentazione delle resistenze poste in essere dagli occupanti. Non risponde al vero, per il PM, che i redattori degli atti di perquisizione e sequestro e di arresto si fossero riferiti alla relazione di Canterini, come sostenuto dal Tribunale per argomentare la loro buona fede; alcuni di essi, in particolare Dominici e Ciccimarra, essendo entrati per primi nella Diaz, avevano avuto diretta e personale conoscenza dei fatti, per cui dovevano ritenersi consapevoli di alcune falsità contenute negli atti in questione.

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La valutazione delle responsabilità

La premessa che le violenze all’interno e all’esterno della scuola Diaz sono state compiute da un grande numero di agenti appartenenti non solo al VII nucleo, ritenuta corretta dal P.M., si pone a suo dire in contrasto con la decisione finale che concentra le condanne a senso unico sul solo reparto del VII  Nucleo.

Tale premessa è tuttavia parzialmente modificata e contraddetta, secondo il P.M., dall’osservazione che la sistematicità nelle violenze “potrebbe anche essere attribuita alle sensazioni riportate dalle vittime che, colpite più volte e con notevole forza..potrebbero in effetti aver avuto la concreta e certamente giustificata percezione di un’attività violenta sistematica, anche nel caso che in realtà si fosse trattato invece di sequenze di colpi non programmate con precise finalità e modalità”; ma, contrappone l’appellante, la sistematicità della violenze non si ricava dalle sensazioni delle vittime bensì dal numero degli individui feriti (87 su 93), dalla pluralità e gravità delle lesioni inferte anche alla stessa persona e dall’accanimento degli agenti autori di tali lesioni.

Poiché l’unica ragione alla base della operazione, espressa  anche ufficialmente, è stata l’aggressione alla pattuglia avvenuta davanti alle scuole e l’obiettivo dichiarato era quello della cattura dei responsabili di quella aggressione, deduce il P.M. che è innegabile la sproporzione tra l’episodio e l’imponente operazione e la strumentalità in relazione ad un dispiego eclatante di forza muscolare e di efficacia repressiva, veicolate attraverso l’uso dei poteri di perquisizione autonoma ex art. 41 TULPS e non su mandato dell’Autorità Giudiziaria. Il tutto giustificato dal fatto che occorreva appunto “reagire”, perché la polizia non poteva essere così impunemente attaccata (come emerso dalla testimonianza del Questore Colucci). In questo unico senso del termine “rappresaglia” da lui usato il P.M. ritiene la circostanza provata al di là del ragionevole dubbio.

Viceversa non è decisiva la circostanza della conferenza stampa tenuta da Sgalla per dimostrare la buona fede degli imputati; infatti, osserva il P.M., in precedenza i giornalisti erano stati allontanati e Sgalla formalmente aveva vietato le riprese video; ma soprattutto Sgalla non ha riferito il fatto più eclatante del ritrovamento delle molotov, e nella successiva intervista rilasciata alle ore 02,00 al TG24 della RAI, oltre a ridurre il numero dei feriti a circa una ventina, ha introdotto la tesi che le ferite presentate dagli occupanti fossero pregresse, in quanto riferibili agli scontri dei giorni precedenti.

Anche l’affermazione del Tribunale secondo la quale occorre valutare la legittimità della perquisizione è censurata dal P.M. in quanto trattasi a suo dire di circostanza estranea al tema dell’accusa; oltretutto, lamenta il P.M., tale valutazione di legittimità, che è anche inconferente rispetto alla perquisizione eseguita presso la scuola Pascoli qualificata come illegittima nell’imputazione, è stata effettuata dal Tribunale sulla base di materiale informativo acquisito successivamente all’operazione.

Non solo, ma la soluzione positiva al quesito sulla legittimità dell’operazione è argomentata dal Tribunale con riferimento al giudizio di possibile presenza di black - bloc all’interno della scuola, presupposto che originariamente neppure gli imputati invocavano, avendo riferito quale episodio generatore dell’operazione esclusivamente l’aggressione al convoglio di auto in Via Battisti.

Anche il riferimento compiuto dal Tribunale alla pregressa operazione di perquisizione alla scuola Paul Klee, citata come esempio di analoga operazione con “esito positivo”, è contestato dal P.M., in quanto l’esito giudiziario di tale operazione era stato fallimentare (su 23 arrestati, 21 erano stati immediatamente rimessi in libertà dal P.M. per assoluta mancanza di indizi); l’episodio in questione era stato introdotto dalla pubblica accusa a comprova della utilizzazione della imputazione di associazione a delinquere come fattispecie che nell’ottica della Polizia avrebbe consentito l’arresto in flagranza di un considerevole numero di persone.

Affrontando il tema delle responsabilità degli imputati il Tribunale stabilisce correttamente, secondo il P.M., che l’obbligo di denuncia non è limitato agli operatori sotto il proprio comando; ma come accerta la responsabilità di Canterini sulla base delle sue dichiarazioni e dei filmati che attestano il suo ingresso nella Diaz dopo il reparto, si interroga il P.M. perché ad identica conclusione il Tribunale non sia giunto per gli altri imputati dei reati di falso, come ad esempio Ciccimarra che è entrato ancor prima di Canterini, e ha quindi a maggior ragione potuto rendersi perfettamente conto di cosa avveniva all’interno della scuola.

Rileva ancora il P.M. che l’osservazione di un comportamento diffuso di omissione, dal quale il Tribunale deduce logicamente l’esistenza di un vero e proprio accordo “di non denunciare gli eccessi di violenza”, doveva necessariamente, e a maggior ragione, riferirsi anche agli altri dirigenti ed in particolare a coloro che hanno organizzato, diretto e partecipato alla redazione degli atti di polizia giudiziaria, naturali compartecipi di un accordo di tale natura. Troppo palesi erano le tracce delle violenze commesse e troppo articolata era stata la fase di “messa in sicurezza” dell’edificio perché, secondo il P.M,  tale accordo potesse essere riferito unicamente ai dirigenti del VII Nucleo. In realtà dalla generale diffusione delle violenze il P.M. deduce non solo un accordo diretto a garantire l’impunità, ma un ruolo di incitamento trainante degli  imputati capisquadra e comandanti, che conformemente al loro ruolo e grado, guidavano alla carica e all’azione violenta, accompagnata da grida di battaglia, un reparto che, per il suo inquadramento compatto, agisce come un sol uomo e “colpisce alla cieca” ogni sagoma presente all’interno dell’edificio (modalità di azione testimoniata per ogni piano e locale), successivamente infierendo ed accanendosi sui corpi già feriti.

Affrontando in generale le condotte di falso e calunnia il P.M. appellante censura l’affermazione del Tribunale secondo la quale vi è prova di alcuni isolati episodi di resistenza a p.u., quale quello che vede coinvolto l’agente Nucera o quelli riferiti dai capi squadra e da qualche operatore; rileva il P.M. che in ordine al primo episodio lo stesso Tribunale aveva affermato di non poter dire né che fosse falso né che si fosse effettivamente verificato, e che le dichiarazioni di alcuni capisquadra, e di altri soggetti non identificati dal Tribunale, configgono con le unanimi deposizioni dei testi parti offese. In ogni caso trattasi di circostanze talmente limitate ed espresse in termini di “non esclusione che si siano verificate”, da non poter giustificare le falsità contenute nei verbali, quali “fittissimo lancio di oggetti teso a contrastare l’ingresso degli operatori, resistenza organizzata all’interno dell’edificio, sfociata in plurime  colluttazioni, agguati, aggressioni ai poliziotti con arme improprie, bastoni, mazze, coltelli”.

Affrontando nuovamente la vicenda delle bottiglie molotov, il P.M. riconosce che il Tribunale sintetizza gli elementi di accusa portati contro gli imputati Luperi e Gratteri e i sottoscrittori dei verbali, enucleando  una serie di elementi ritenuti significativi di una “certa reticenza”. Ma, lamenta il P.M., l’analisi parcellizzata di tali elementi indiziari da parte del Tribunale ne determina la svalutazione con il consueto ricorso all’evocazione di una non meglio precisata “confusione ed agitazione” di quei momenti, mentre la corretta metodologia invocata dal P.M. avrebbe richiesto un esame unitario ed organico di tutti gli elementi, con il dovuto rilievo delle rispettive correlazioni ed apprezzamento del conseguente significato probatorio complessivo che secondo il P.M. è coerente con l’ipotesi accusatoria.

L’elemento indiziante, secondo il P.M., non è la sola “presenza” degli imputati, ma la serie di circostanze che convergono univocamente ad individuare in quel gruppo il vertice di comando operativo artefice della decisione di utilizzare come prova le bottiglie molotov arrivate dall’esterno dell’istituto che si stava perquisendo da oltre 40 minuti. Ricorda l’appellante che il gruppo in questione è in quella formazione prima delle riprese con il sacchetto e dopo si sposta all’interno dell’edificio, potendo così disporre e constatare la stesura del telo su cui vengono posate le bottiglie stesse. Consegue, secondo il P.M.,  che le dichiarazioni di Mortola, Gratteri e Luperi sono in irriducibile contrasto con la documentazione filmata e con ogni considerazione di logica operativa nel contesto. Il Tribunale, lamenta ancora il P.M., non prende posizione sulle dichiarazioni mendaci di Mortola, né su quelle di Luperi e sulle ragioni difensive delle loro modifiche, e omette di rilevare che le bottiglie molotov hanno consentito la denuncia per un titolo di reato che da solo legittima un arresto in flagranza, e che sono da considerarsi l’unica vera arma e congegno esplosivo in una perquisizione diretta ex art. 41 TULPS proprio alla ricerca di tali corpi di reato.

Rileva il P.M. che il Collegio sminuisce il quadro indiziante nei confronti dell’imputato Gratteri argomentando, dalla semplice visione del filmato rep. 199 min. 8.55, che lo stesso dott. Gratteri non “appare particolarmente partecipe al colloquio e interessato a quanto avveniva, come sarebbe stato naturale qualora si stesse decidendo un’operazione di tale rilievo e rischio”. A parte la soggettività di tale valutazione, osserva il P.M. che il Tribunale omette di considerare che:

- il dott. Caldarozzi, vice del dott. Gratteri è fra i partecipi più evidenti del colloquio che in quel momento si sta svolgendo attorno a Luperi;

- il dott. Gratteri è a contatto fisico con il dott. Troiani (in tesi il grande ingannatore);

- il Troiani, lungi dal dileguarsi dopo la consegna, si ferma vicino ai dirigenti

- il dott. Gratteri, presente in quel contesto, ha dichiarato (prima della visione del filmato)  di  aver visto le bottiglie senza sacchetto e di presumere, ma solo per logica, di essere stato informato del loro ritrovamento dal dott. Caldarozzi.

Anche la localizzazione del colloquio all’esterno della scuola per il P.M. è segno della provenienza esterna del reperto presentato al gruppo che stazionava nel cortile da tempo per la direzione delle operazioni, in un luogo privo di accesso ad estranei e controllato militarmente dalle forze impiegate.

Lamenta l’appellante che il Tribunale, invece di  apprezzare nel loro complesso tutte le anomalie e le incongruenze relative alla vicenda delle bottiglie molotov, di propria iniziativa abbia trovato per ciascuna di esse discutibili giustificazioni; così, per esempio, nella comunicazione della notizia di reato la menzione del ritrovamento delle “molotov” viene qualificata come “di sfuggita” (ad onta dell’importanza del reperto) a giustificare la assenza di concrete e specifiche descrizioni della circostanza; la discrasia sul luogo di rinvenimento degli ordigni, indicato nella notizia di reato nel primo piano, e nel verbale di perquisizione nel piano terreno, viene spiegata dal Tribunale con l’osservazione che spesso per “primo piano” si intende piano terreno, e facendo affidamento sulla versione fornita dall’imputato Mortola, secondo il quale il luogo del ritrovamento gli sarebbe stato riferito da altri non meglio identificati operatori, con informazione che può essere stata imprecisa e non controllata approfonditamente;   

La responsabilità per i reati di falso documentale

Rileva il P.M. che il Tribunale, da un lato, nella ricostruzione del fatto e nelle premesse generali, ha ridotto l’area di obiettiva falsità degli eventi descritti negli atti fidefacenti  ad un nucleo essenziale costituito dal rinvenimento delle bottiglie molotov e dalle resistenze attive all’interno dell’edificio, descritte nella relazione del dott. Canterini; dall’altro lato, ha evitato di prendere posizione sulla consapevolezza dei singoli imputati, derivante dalla loro partecipazione alle varie fasi dell’operazione, rispetto a ciascuna delle circostanze ritenute oggetto di falsa attestazione, accentuando la separazione della fase della irruzione e “messa in sicurezza” dell’edificio da quella delle operazioni di perquisizione, quest’ultima  propria delle squadre di polizia giudiziaria.

Il Giudice ammette, ma solo per l’imputato Canterini, che la mera visione delle raccapriccianti scene di feriti a terra in vistose chiazze di sangue sarebbe stata sufficiente per dedurre con facilità l’eccesso dall’uso legittimo della forza: ma ciò, osserva l’appellante, avrebbe dovuto valere anche per gli altri imputati che sono entrati non dopo tanto tempo ed in una situazione identica a quella creata dall’irruzione.

Rileva il P.M. che anche i dirigenti di maggior livello, gli imputati Luperi e Gratteri, sono entrati nella scuola Diaz Pertini quando ancora erano in corso le violenze ai piani superiori. Il silenzio del Tribunale sul punto è qualificato imbarazzante, considerate le testimonianze assunte ed il fatto che l’ingresso di tali funzionari e i loro movimenti nella zona operativa sono stati ricostruiti con tanto di riferimento orario.

La rappresentazione dei funzionari, appartenenti a tutti gli uffici investigativi impegnati nell’operazione, come semplici ed estranei lettori di una relazione (quella di Canterini, che erroneamente è riferita alle prime ore successive ai fatti, essendo stata consegnata il giorno dopo) e vincolati al dato letterale di questa non è ricavabile dai dati processuali ed appare al P.M. una forzatura. Il mancato riferimento nel contenuto degli atti in questione (oggetto delle imputazioni di falso) alla relazione del dott. Canterini, né formale né sostanziale, è evidente, così come la autonoma elaborazione della fattispecie criminosa che poteva consentire l’arresto in massa di tutti gli occupanti la scuola. È un dato incontestabile che la decisione in merito all’arresto degli occupanti preceda quanto richiesto e sollecitato al solo dott. Canterini e, pertanto, non è quest’ultimo che induce o ha necessità di supportare quella decisione, ma i funzionari che, sulla base di altre considerazioni ed elementi,  già l’avevano presa in relazione alla fattispecie associativa e al possesso degli ordigni incendiari.

Anche in tale ipotesi, osserva il P.M., la tesi che Canterini abbia ingannato gli altri redattori degli atti falsi non ha alcun riscontro probatorio, ed è smentita, oltre che dai tempi di redazione della relazione di Canterini e dalla divergenza di contenuto fra i vari atti compilati, anche dalla circostanza, trascurata dal Tribunale, che l’imputato Gratteri sollecitò tale relazione (provvedendo, poi, a leggerla attentamente prima dell’inoltro al Questore), nonché l’invio di ulteriori certificati medici relativi alle lesioni subite dai poliziotti, dimostrando un concreto interesse alle sorti dell’operazione.

La posizione dei sottoscrittori degli atti

Il P.M. appellante censura l’inquadramento della situazione dato dal Tribunale alla fase della redazione degli atti, nella parte in cui ipotizza che “la lucidità poteva non essere perfetta” a causa del peso delle giornate del G8, della tensione, dello stress, dell’agitazione e della confusione.

Al contrario, rileva il P.M., gli atti compilati sono a struttura elementare e materialmente predisposti in Questura e presso la Caserma di Bolzaneto, quindi in luoghi tranquilli lontani dal teatro delle operazioni. Né di qualche rilevanza ai fini della corretta compilazione dei verbali poteva essere il numero degli arrestati, essendosi solo trattato di identificarli, in mancanza di qualsiasi altra attività individualizzante compiuta nell’operazione di perquisizione e sequestro.

Altra considerazione di ordine generale compiuta dal Tribunale che il P.M. contesta è quella, finalizzata ad argomentare la completa inerzia degli imputati sottoscrittori dei verbali di fronte alla vista del gran numero di feriti, secondo la quale: “la situazione che si era determinata dopo giorni di violenze e sostanzialmente di “guerriglia urbana” con lanci di molotov e numerosi feriti, era ormai tale che nulla era più in grado di stupire o di essere giudicato secondo criteri logici e normali. Non va dimenticato in proposito che il giorno prima negli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine era stato ucciso un giovane.

Ciò che in periodi normali sarebbe stato immediatamente visto e giudicato incredibile o illogico, nella situazione che si era determinata e nello stato d’animo ad essa conseguente poteva in effetti apparire plausibile”.

Osserva il P.M. che se anche si volesse concordare sulla predetta soggettiva e personale elaborazione delle giornate di Genova, sarebbe erronea l’attribuzione di reazioni emotive e psicologiche incidenti sulla lucidità e sull’equilibrio ad operatori professionalmente addestrati non solo ad affrontare situazioni limite, ma anche a riconoscere le tracce rinvenibili sulla scena del crimine e a formulare le possibili ipotesi causali.

Stigmatizza, poi, il P.M. la considerazione successiva proposta dal Giudice per cui  se “gli stessi Pubblici Ministeri” chiesero la convalida degli arresti eseguiti, “ottenendola per alcuni”, ciò dimostrerebbe che “anche a persone sicuramente esperte e non coinvolte direttamente nei fatti, non apparisse assolutamente illogica ed irreale la sproporzione tra l’elevato numero dei feriti arrestati e quello assai ridotto degli agenti: le richieste in questione, infatti, furono presentate dai PM proprio sulla base degli atti oggi ritenuti falsi, per cui è confermata la capacità ingannatoria degli stessi atti, non la loro conformità al vero, che dai GIP venne subito esclusa a seguito degli interrogatori di garanzia.

Lamenta ancora il P.M. che per giustificare le assoluzioni dalle imputazioni di falso il Tribunale, riassumendo gli elementi per cui a suo dire dalla Polizia la scuola “era considerata occupata da appartenenti al c.d. black bloc” (circostanza in tali termini valutabile solo ex post all’esito del dibattimento e con il travisamento della deposizione di Kovac) e all’interno qualche episodio di resistenza doveva essersi verificato, richiama la tesi per cui anche azioni come la chiusura del cancello e delle porte dell’edificio costituirebbero condotte di resistenza, sotto la forma di violenza c.d. impropria, comunque eccedente la resistenza “passiva”, utilizzando una massima giurisprudenziale non riferibile al caso in esame; ma così facendo, per il P.M. il Tribunale non si confronta con la differente valutazione espressa sullo stesso punto giuridico dal Giudice che aveva archiviato la fattispecie di resistenza addebitata agli occupanti la scuola. Non solo ma, rileva il P.M., tale nuova valutazione dei fatti a suo tempo addebitati agli arrestati in termini di resistenza, malgrado la sua frammentarietà ed inconsistenza, è forzata al punto da costituire elemento giustificativo della possibile convinzione in capo ai verbalizzanti che esistesse “un certo legame ed accordo anche associativo tra tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola”.

Del tutto omessa da parte del Tribunale è ogni valutazione sulle imputazioni di arresto illegale sub E)  e di calunnia; parimenti, lamenta il P.M., silenzio è tenuto dal Tribunale in merito al sequestro delle “sei mazzette in allumino ricurve” e sulle modalità di esecuzione della perquisizione.

Ancora, rileva il P.M. che il Tribunale omette di prendere posizione, se non ricorrendo alla premessa “passepartout” della confusione-agitazione, rispetto al fatto che alcuni fra gli arrestati, in contrasto con quanto appare dai verbali, non erano addirittura presenti nell’edificio: tra questi  Szabo Jonas, Laura Jaeger ed altri, rifugiatisi in una serra, circondati, catturati  e brutalmente colpiti senza alcun atto di resistenza da parte loro, ovvero ancora Jaroslaw Engel, anch’egli fuggito dalla scuola, condotto in Piazza Merani, colpito al momento della cattura e nuovamente picchiato a terra sanguinante, trascinato con crudeltà lungo Via Battisti, poi riportato e infine caricato su un’ambulanza; ovvero Mark Covell, ridotto in fin di vita (in codice rosso all’ospedale), in seguito a tre distinte ondate di aggressione prima della irruzione, quindi ancora una volta nei confronti di un palese non resistente, cui è arduo attribuire alcuna condotta criminosa nel contesto (tutti fatti che non potevano far parte della relazione Canterini, e che non sono pertanto il frutto di una suggestione di quest’ultimo).

Anche l’aspetto relativo all’avviso della facoltà di farsi assistere da difensore, apparentemente secondario, è stato risolto dal Tribunale in modo censurato dal P.M.: pacifico che non sia stato dato a nessuno tale avviso, l’appellante rileva che il Tribunale confonde il piano delle conseguenze giuridiche (non rilevanza della omissione ai fini della validità dell’atto) con quello della sua falsità, che consegue non tanto dalla mancata cancellazione dai moduli predisposti di una frase di stile, ma dalla sua utilizzazione con il resto del contesto dell’atto al fine di rafforzare la legittimità dell’atto nel suo complesso.

Conclusioni in ordine alla posizione dei singoli imputati

Evidenzia criticamente il P.M. come il Tribunale abbia considerato individualmente solo alcuni imputati: Luperi e Gratteri, Canterini, Fournier, Basili, Burgio, Troiani e Gava; per il resto ha trattato cumulativamente come “capisquadra” gli imputati appartenenti al VII nucleo, e come “sottoscrittori” di vari atti gli altri imputati.

Venendo alle singole posizioni, quanto a Luperi e Gratteri, imputati di falso, calunnia e arresto illegale, il P.M. richiama la sua memoria di primo grado sul tema della responsabilità di comando dolendosi che sul punto nulla abbia argomentato il primo giudice.

Osserva che nei momenti cruciali Luperi e Gratteri sono presenti e comandano come hanno ben evidenziato testimoni quali il prefetto Andreassi o il prefetto Micalizio, quest’ultimo anche con le conclusioni proposte all’esito della indagine amministrativa svolta per conto del Capo della Polizia.

La ricostruzione frammentaria dei singoli indizi operata dal Tribunale priva della visone d’insieme, e non considera che le imputazioni di falso, calunnia e arresto illegale non comportano la partecipazione degli imputati alle violenze, altrimenti vi sarebbe stata imputazione in concorso.

posizioni di Canterini, Fournier e gli altri appartenenti al VII Nucleo

In relazione al falso della relazione Canterini il P.M. censura la decisione di limitare la declaratoria di responsabilità alle accuse di resistenza all’interno della scuola: le distinzioni lessicali rilevate dal Tribunale fra relazione e capo di imputazione sono considerate dall’appellante irrilevanti, trattandosi di vocaboli sostanzialmente sinonimi

Non è condivisibile per il P.M. la limitazione dell’oggetto del falso compiuta dal Tribunale, perché l’utilizzo di espressioni meno gravi quanto al lancio degli oggetti non esclude la falsità, ravvisabile anche nelle ipotesi di dolosa “forzatura” del fatto.

Sulle dichiarazione di responsabilità del Canterini e degli imputati per cui interviene sentenza di condanna, il P.M. non ritiene congruenti le valutazioni sulla gravità dei comportamenti, che per il Tribunale hanno travalicato il “senso di umanità”, ed il trattamento sanzionatorio, parendo all’appellante del tutto ingiustificata la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate per l’imputato Fournier considerata la maggiore responsabilità dovuta alla posizione di comando che avrebbe dovuto comportare una valutazione in direzione opposta.

Sulla posizione di Nucera e Panzieri

Il P.M. non solo richiama la propria censura circa il “non liquet” espresso dal Tribunale in relazione all’episodio della asserita aggressione subita dall’agente, ma censura il mancato esame della condotta concorsuale di falso contestata ai due imputati quali sottoscrittori dei verbali.

Sulle responsabilità dei sottoscrittori degli atti di polizia giudiziaria

La considerazione in blocco degli imputati impedisce al Tribunale, secondo il P.M., di considerare almeno tre figure centrali, per grado e funzione rivestita: Caldarozzi, l’ufficiale di p.g. più alto in grado, riferimento operativo principale quale esponente del S.C.O; Di Bernardini, altra figura che non ha praticamente menzione nella sentenza, il quale mostra a Caldarozzi le bottiglie molotov che ha ricevuto appena giunte per mano di Troiani e Burgio; Mortola, dirigente della D.I.G.O.S. genovese, Ufficiale di P.G. più alto in grado a livello  territoriale locale.

Al riguardo il P.M. espone specifica critica in diritto alla decisione del Tribunale per non aver correttamente valutato il contenuto tipico che rientra nella sfera del “fidefacente” e la conseguente condotta del pubblico ufficiale sottoscrittore.

Richiamato l’assunto per cui atti pubblici fidefacenti sono tutti gli atti sottoscritti rispettivamente dagli imputati e cioè : a) relazioni di servizio, verbali di perquisizione e sequestro e b) verbale di arresto, annotazioni (nella parte descrittiva di fatti contenuta in essi), il P.M. invoca il pacifico principio elaborato dalla in giurisprudenza per cui il pubblico ufficiale in tali atti può solo rappresentare fatti o attività compiute direttamente o da altri alla propria presenza. L’istruttoria dibattimentale, rileva il P.M., ha fatto emergere, viceversa, che i sottoscrittori poco o nulla potevano attestare personalmente, né potevano indicare chi in vece loro potesse farlo. Questo aspetto, considerato “formale”, ma che è espressione della funzione rappresentativa dell’atto, è stato evidenziato dal G.I.P. nella ordinanza che rigettava una richiesta di archiviazione nei confronti dell’imputato Gava ed ha avuto una definitiva e cogente interpretazione della Suprema Corte con la pronuncia che ha cassato la sentenza del GUP di non luogo a procedere nei confronti del Gava per il reato di falso.

Anzi, lamenta il P.M., il Tribunale argomenta l’assoluzione degli imputati proprio in base all’assunto difensivo di aver sottoscritto gli atti attestanti fatti di cui non erano a conoscenza diretta, solo perché riferiti di altri colleghi, rimasti peraltro ignoti e come tali mai sentiti. Ed il richiamo ad una prassi di tal genere utilizzato fugacemente dal Tribunale è censurato dal P.M., sia perché tale prassi sarebbe illegittima, sia perché in concreto non esiste come attestato, fra le altre, dalle testimonianze del dott. Pifferi, del dott. Filocamo, della dott.ssa Mengoni, del dott. Guaglione e del dott. Gallo, dalle quali si desume la piena consapevolezza e conoscenza delle regole che disciplinano la redazione degli atti di polizia giudiziaria.

Quanto all’imputato Gava, che risponde della “formale” falsità insita nell’aver sottoscritto un verbale di perquisizione nell’edificio della scuola Pertini ove non si era neppure fisicamente recato, lamenta il P.M. che il Giudice non ha tenuto conto dei principi di diritto stabiliti della Suprema Corte (Cass. Sez. V nr. 1183 del 9.07.2007, Troiani e Gava) la quale, confermata l’imputazione coatta, ha escluso che la partecipazione ad atti prodromici o successivi (come l’identificazione degli indagati) giustifichi la sottoscrizione del verbale di perquisizione al quale l’agente non ha partecipato. La Cassazione ha indicato solo una alternativa secca: o Gava è stato tratto in errore dalle circostanze (ed allora c’è assenza di dolo), o ha inteso fidarsi e far proprie le affermazioni di colleghi (e allora c’è responsabilità). Il Tribunale, osserva il P.M., pur escludendo che Gava si sia sbagliato, ed anzi affermando la sua volontà e consapevolezza di firmare gli atti, ha pronunciato declaratoria di assoluzione eludendo la precisa direttiva data dalla Cassazione.

Quanto agli altri sottoscrittori, osserva il P.M. che gli stessi, a differenza di Gava, avevano piena consapevolezza che quanto attestato come frutto di loro scienza diretta era falso, al punto da sottoscrivere atti sostanzialmente anonimi per la carenza di indicazione della fonte diretta di conoscenza dei fatti attestati.

Le formule assolutorie.

Ulteriore motivo di appello è stato proposto dal P.M. con riferimento alle formule assolutorie adottate dal Tribunale, ritenute in alcuni casi errate. Così Luperi e Gratteri sono stati assolti dalle imputazioni di falso e calunnia perché “il fatto non sussiste” malgrado la obiettiva falsità relativa alle bottiglie molotov e la calunniosa attribuzione della detenzione a tutti i presenti siano state accertate dal Tribunale e abbiano fondato la condanna di Troiani per falso e calunnia. Per i sottoscrittori della notizia di reato e dei verbali di perquisizione e arresto la formula assolutoria in motivazione è stata perché “il fatto non sussiste” ed in dispositivo perché “il fatto non costituisce reato”, laddove il proscioglimento riguarda anche alcuni fatti per i quali è invece intervenuta condanna di Canterini.

Irruzione alla scuola Pascoli

In relazione a questo capitolo della vicenda le argomentazioni critiche esposte dal P.M. sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle esposte nell’appello presentato dal Procuratore Generale.

Ricorda il P.M. che lo svolgersi dell’irruzione è stato eccezionalmente documentato dalla diretta in corso su Radio Gap, dagli audio dei filmati acquisiti ed infine dalla registrazione fonica eseguita dal testimone Marco Trotta, ma di tali fonti di conoscenza diretta degli avvenimenti non è certo che il Tribunale abbia tenuto conto. Ricorda ancora il P.M. gli elementi di prova per sostenere che il Gava raggiunse anche il terzo piano (in particolare l’incontro con l’On. Graziella Mascia avvenuto al terzo piano, confermato dagli stessi testi che il Tribunale ha ritenuto attendibili quanto all’episodio delittuoso contestato all’imputato Fazio) e non si fermò al secondo, come sostenuto dal Tribunale; e tale circostanza è rilevante in quanto gli episodi connotati da maggiore violenza ed arbitrarietà per la descrizione fornitane dai testimoni sentiti a dibattimento si svolsero proprio ai piani primo e terzo dell’edificio.

Osserva ancora il P.M. che nel ritenere mancante la prova che l’imputato possa aver concorso nei reati contestati al capo T) il Tribunale incorre in un vero e proprio travisamento del fatto, in quanto è lo stesso imputato ad ammettere in interrogatorio di essersi ben reso conto della posizione fatta assumere dagli agenti agli occupanti e, pur negando di aver egli impartito tale ordine – in contrasto con quanto è possibile dedurre dall’ascolto della cassetta registrata di Trotta, a meno di non ipotizzare inverosimili iniziative autonome da parte dei suoi sottoposti – ammette di aver ritenuto di far mantenere tale disposizione per motivi attinenti alla sicurezza degli operanti.

Ha concluso, pertanto, il Procuratore della Repubblica appellante chiedendo la declaratoria di responsabilità degli imputati in relazione alle accuse loro contestate, con la condanna alle pene già richieste in primo grado o a quelle che sarebbero state chieste in udienza.

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APPELLI DELLE PARTI CIVILI

L’esame dei motivi di appello proposti dalle parti civili avverrà raggruppando gli stessi in relazione alle posizioni degli imputati, ed identificando le argomentazioni contenute negli appelli proposti cumulativamente da più parti civili mediante il nome della prima parte civile.

In relazione alle posizioni degli imputati Luperi Giovanni e Gratteri Francesco e con riferimento ai reati loro contestati ai capi A) e B) (falso e calunnia)

-       il gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“La sentenza segue la ricostruzione effettuata durante l’istruttoria dibattimentale dal Pref. Ansoino Andreassi ma non ne valorizza a pieno il contenuto e soprattutto non collega tale testimonianza agli altri, numerosi, elementi di prova presenti; viene meno, quindi, quella necessaria valutazione unitaria delle prove dirette ed indiziarie che sola può restituire un quadro fedele degli accadimenti oggetto della ricostruzione processuale.

Il predetto teste ha riferito dell’esigenza di una svolta con arresti, ed in tale ottica si inquadra l’arrivo a Genova di Gratteri (vice di Manganelli allo SCO) che subentra ad Andreassi; la prima manifestazione del “nuovo corso” è la perquisizione e gli arresti alla scuola Paul Klee, operazione dal punto di vista giudiziario conclusasi con un nulla di fatto, data la successiva scarcerazioni di tutti gli arrestati.

Quindi il capo della Polizia De Gennaro manda La Barbera (ufficialmente per operazioni di collegamento con le polizie straniere, ma di fatto mai occupatosi di tale aspetto), che di fatto si insedia in Questura e dirige le operazioni. con il suo vice Luperi.

De Gennaro impose la formazione di pattuglioni misti la cui reale funzione era quella di procurare il maggior numero possibile di arresti; la conferma viene addirittura dalle dichiarazioni rese da due dei principali imputati (Gratteri e Mortola), oltre cha da un teste – Donnini – che si occupò proprio della formazione dei pattuglioni stessi su disposizione del questore Colucci.”

La ricostruzione degli eventi successivi (le perquisizioni nei bar, l’aggressione alla pattuglia in Via Cesare Battisti, la telefonata fra Mortola e Kovac) viene proposta in termini omologhi a quelle sostenuti dal P.M..

Quanto, in particolare, alla singole posizioni, rilevano le parti civili appellanti “Gratteri era andato alla Diaz su input di un suo superiore gerarchico, il Dott. Manganelli, il quale ha ammesso che Gratteri a partire dall’operazione della scuola Paul Klee durante le fasi cruciali di quella giornata è stato sempre in contatto con il Ministero dell’Interno ed in particolare con gli uffici del Servizio Centrale Operativo, come risulta dai tabulati del suo cellulare, che registrano 19 contatti tra Gratteri ed il Ministero dell’Interno uffici dello S.C.O.; mentre Luperi era andato alla Diaz in qualità di vice di La Barbera

In base alle evidenze probatorie richiamate, si può agevolmente concludere che la perquisizione disposta difettava dei presupposti di fatto e di diritto che la potessero legittimare: non vi era stata aggressione davanti alla Diaz e ciò era noto a Caldarozzi e Di Bernardini; le scuole erano nella disponibilità del GSF e ciò era noto a Mortola. La tecnica utilizzata dai black bloc, il "mordi e fuggi"  (gruppi ristretti, che compiono azioni fulminee con successivo dileguamento) ben nota ad un analista come Luperi rendeva assurda l’ipotesi che invece se ne stessero tutti insieme alla scuola Diaz.

Quindi è ampiamente riscontrata l’ipotesi secondo la quale la perquisizione al complesso scolastico "Diaz" è stata costruita come operazione finalizzata a produrre, in assenza dei presupposti che la legittimassero, il maggior numero di arresti possibile, per assecondare le richieste e le disposizioni in tal senso che provenivano dal capo della polizia già dalla mattina del 21 luglio. Non si tratta di complotto, come erroneamente sostengono i giudici di primo grado, quanto piuttosto di adempimento (illegittimo) alle direttive (pure illegittime) che provenivano da Roma, indirizzate a migliorare l’immagine della Polizia attraverso il maggior numero di arresti possibile.

La linea di comando dell’operazione è costituita da Luperi, figura di riferimento per gli appartenenti alle Digos e da Gratteri figura di riferimento per gli appartenenti alle squadre mobili; la circostanza è pacifica e vi conviene anche la sentenza impugnata.

Ciò che accadde dopo l’irruzione all’interno della Diaz e della Pascoli, costituì uno sviluppo non previsto, causato dalla violenza bestiale scatenata dagli appartenenti alla Polizia di Stato con l’acquiescenza esplicita e vigliacca di quanti altri videro e non intervennero per fermare quel massacro.

Luperi e Gratteri entrarono alla Diaz pochi minuti dopo lo sfondamento del portone, come provato anche dal materiale filmato analizzato nella Consulenza Tecnica di parte civile (giudicata attendibile in sentenza). E' quindi impossibile che essi non abbiano percepito cosa fosse realmente accaduto (si tratta invero di due dei massimi esponenti della Polizia di Stato) e soprattutto che nessuno li abbia informati. Di fronte allo scempio dei corpi e dei diritti costituzionali l’imputato Luperi e l’imputato Gratteri si danno da fare, non per arrestare chi ha prodotto quello strazio, quanto piuttosto per salvare l’operazione progettata e per coprire quanto accaduto

Secondo i testi Frieri, Calesini, Cremonini i due (Luperi e Gratteri) dirigono, comandano, danno disposizioni (ad es. il teste Frieri dirà di Gratteri: dava l’impressione di essere il capo, tutto sembrava dipendere da lui; il teste Calesini dirà di Luperi: dirige, comanda, dà disposizioni).

L’imputato Luperi si ritrova, “distrattamente” in mano il sacchetto con le molotov, ne discute nel cortile della scuola alla presenza anche di Gratteri e dopo, sempre “distrattamente”, le affida proprio ad una sua collaboratrice, la teste Mengoni.

L’imputato Gratteri si preoccupa, nella notte, di ottenere quanti più certificati medici possibili in relazione alle presunte lesioni subite dai poliziotti che hanno fatto irruzione alla Diaz.

Appare assurdo sostenere che coloro che avevano responsabilità di comando, essendo entrati nella scuola a pochi minuti di distanza dall’irruzione, non abbiano visto e non si siano resi conto di nulla, quasi che l’azione si sia svolta attraverso flussi temporali ed ambienti scollegati ed isolati; appare, francamente, assurdo sostenere che chi ha avuto in mano un sacchetto di plastica contenente due bottiglie molotov non si sia posto il problema della loro provenienza.”

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-       il gruppo di Matteo Massimo VALENTI + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“Ai due principali imputati non è stato contestato il concorso nelle lesioni provocate immediatamente dopo l’ingresso, bensì l’aver determinato i propri sottoposti a redigere verbali falsi e calunniare gli attivisti al fine di assicurare l’impunità dei colleghi e giustificare l’arresto, per cui la valutazione delle loro condotte deve essere compiuta con riferimento alla possibilità di conosce gli eventi per quanto constatato sul posto immediatamente dopo l’irruzione, a nulla rilevando che non abbiano partecipato all’aggressione.

GRATTERI:

1      Dalle ore 00.24.52 alle ore 01.12.14 tredici frammenti video lo riprendono nel cortile della scuola Pertini. Fra questi c’è il medesimo frammento che riprende il cosiddetto “conciliabolo” di funzionari con al centro il sacchetto delle bottiglie molotov tra le mani del dott. Luperi.

2      E’ lui che chiama il dott. Filocamo e gli impartisce l’ordine di repertare quanto in sequestro

3      Dalle ore 01.13.44 alle ore 01.51.50 vi sono 33 frammenti video che riprendono Francesco Gratteri nei pressi del cancello dell’istituto scolastico o nelle immediate vicinanze di questo all’interno del cortile oppure nella via Battisti. In quest’ultima circostanza cinque frammenti video lo riprendono mentre parla con la stampa. Anche questa circostanza appare del tutto significativa: il capo del servizio centrale operativo della Polizia di Stato viene immediatamente contornato dai giornalisti che lo riconoscono come un interlocutore idoneo a chiarire i termini dell’operazione; egli non si sottrae anzi discute a lungo con loro dei fatti dandone una versione che poi sarà riportata sulla carta stampata e smentita al processo.

4      è lui stesso che chiede (ordina) a Canterini di predisporre una relazione sui fatti al Questore

5      è stato il dott. Gratteri a sollecitare Mortola perché fossero prodotti di certificati medici attestanti lesioni subite dai poliziotti da allegare agli atti.

Pacifica in tutte e cinque le circostanze risulta l’attività di incisiva determinazione del comportamento altrui e in tutti i casi si tratta di interventi rilevanti per poi giungere all’arresto e alla incolpazione degli occupanti. Altrettanto pacifico è il suo coinvolgimento attivo nella redazione degli atti.

LUPERI:

1.    egli è presente ininterrottamente, fuori, dentro e nel cortile della scuola tra mezzanotte e le due del mattino

2.    è lui che tiene le molotov in mano nel sacchetto mentre i dirigenti discutono il da farsi

3.    è lui che le consegna ad una sua fiduciaria, la dott.ssa Mengoni

4.    analogamente a Gratteri vuole un proprio uomo di fiducia, il dott. Pifferi, al lavoro di refertazione.”

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-       il gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“Fermo restando che il c.d. “fallimento dell'alibi” non rappresenta in sé prova di colpevolezza, ma può, in ogni caso, costituire elemento suscettibile di formare il libero convincimento del Giudice, va preliminarmente osservato come la difesa di entrambi i funzionari si sia sviluppata sulla tempistica del loro ingresso nell'edificio della scuola Diaz-Pertini, donde la loro materiale impossibilità ad assistere direttamente all'operazione di “messa in sicurezza” del sito e alle brutalità commesse.

Detto alibi fallisce radicalmente, in quanto le ricostruzioni del timing di svolgimento dei fatti svolte dalle c.t.p. dell'accusa e privata, ritenute come le più attendibili nell'impugnata sentenza, collocano il momento di ingresso sia del Dr. Gratteri, sia del Dr. Luperi intorno alle 00,03.30 della domenica 22 luglio, ossia in un momento in cui non è dato seriamente dubitare che la parte “di ordine pubblico” della complessa operazione di polizia in esame sia ancora in pieno svolgimento.

GRATTERI

Il Dr. Gratteri dimostra, durante tutto l'accaduto, l'effettivo esercizio di funzioni di comando (l'odierno appellato viene impietosamente ripreso in più occasioni nell'atto di impartire ordini ed istruzioni ai propri sottoposti) e, soprattutto, viene chiamato in correità, in maniera inequivocabile e con prova sottoposta a regime di piena utilizzabilità, dal Dr. Canterini. Riassumendo, è provato (consulenza video p.c.) che il Dr. Gratteri entra nell'edificio Diaz-Pertini in tempo per vedere con chiarezza che nessuna resistenza è posta in essere all'interno del plesso scolastico dagli occupanti. Nondimeno, secondo quanto dichiarato dallo stesso Canterini è lui ad invitare quest'ultimo  a redigere la prima annotazione (ideologicamente falsa) che finirà allegata al verbale di arresto, e a farlo, evidenziando le resistenze incontrate dal VII Nucleo nel corso della sua azione, così dando piena prova di consapevolezza e compartecipazione ad un disegno volto alla creazione di una rappresentazione dei fatti difforme dal vero storico.

LUPERI:

anche riguardo alla posizione del Dr. Luperi vale il discorso relativo al fallimento dell'alibi; alla smentita-video circa il momento di ingresso nell'edificio si aggiunge in questo caso addirittura il riconoscimento certo della persona operato dalla teste Bruschi: pare dunque potersi dire provato che il Dr. Luperi – al pari del Dr. Gratteri – ha potuto aver piena contezza di quanto avvenuto all'interno della scuola Diaz, durante l'intervento di “messa in sicurezza” del sito. Il funzionario è ritratto nei video agli atti come intento ad un ruolo ben diverso, rispetto a quello - del tutto passivo e quasi disinteressato a quel che avviene intorno a lui - che la sua versione dei fatti vorrebbe accreditare e viene a contatto, pressoché nell'immediatezza dell'arrivo di questo, con il reperto costituito dalle bombe molotov. Il suo comportamento nella circostanza e le modalità di gestione del reperto indici più che sintomatici della piena

consapevolezza di quel che stava accadendo e della partecipazione al momento decisionale, vuoi in ordine alle sorti da assegnarsi al sacchetto contenente gli ordigni incendiari, vuoi all'arresto in massa degli occupanti l'edificio.”

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-       il gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri, nonché le parti civili  MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David, SAMPERIZ Benito, GIOVANNETTI Ivan Michele ed il Genoa Social Forum, hanno esposto argomentazioni sovrapponibili a quelle sopra riportate.

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-       la parte civile Laura JAEGER ha sviluppato le seguenti argomentazioni:

“La sentenza presenta in generale notevoli carenze: il modesto sviluppo argomentativo delle valutazioni si affianca a modalità espositive particolari, caratterizzate dal frequente utilizzo di quella particolare figura retorica chiamata litote (che consiste nell’esprimere un concetto in forma attenuata attraverso la negazione del concetto opposto), unitamente con un uso frequente di aggettivi indefiniti (un/una certo/a, un/una qualche), nonché della locuzione  “non si può escludere”. Il tutto attesta un’evidente difficoltà di motivare congruamente le proprie scelte processuali.

Questa parte civile ricostruisce la vicenda delle bottiglie molotov in modo analogo a quanto fatto dalla pubblica accusa. In estrema sintesi, nel momento in cui altissimi dirigenti della Polizia di Stato acquisirono la disponibilità di un reperto di tal fatta, gestirono in prima persona i passaggi più significativi relativi al suo sequestro e alla sua messa in sicurezza, non è in alcun modo pensabile che non abbiano richiesto informazioni sulla sua provenienza, sulle modalità e sui tempi del suo ritrovamento.

Se, poi, il sequestro avvenne attraverso i passaggi storico-cronologici che comprovano un ingresso e una gestione clandestina delle due molotov; se tutti i principali protagonisti non esitano a mentire o a omettere particolari significativi pur di prendere le distanze dal reperto; se nessuno, pur presente sul luogo dei fatti, è in grado di chiarire attraverso quale canale le bottiglie furono portate nel piano palestra, private del sacchetto che le conteneva e posizionate accanto agli altri oggetti sequestrati; se il contesto in cui si inserisce tale segmento della vicenda è un contesto segnato dalla falsificazione (le grossolane menzogne sui pochi feriti con lesioni pregresse, sulla presenza dei black bloc, sulla documentazione sequestrata, definita eversiva, sulle intelaiature degli zaini, fatte passare come oggetti atti ad offendere, sulle generalizzate resistenze dei poveri ragazzi massacrati nella scuola ecc..) e dalla cieca violenza non di un manipolo di farabutti ma di forze dell’ordine che hanno agito su larga scala, con l’avallo o comunque senza l’intervento dei dirigenti preposti al controllo, a dimostrazione della collettiva volontà di “regolare i conti” con i manifestanti, allora l’unica ricostruzione possibile degli eventi in esame è quella che vede gli imputati perfettamente consapevoli di quanto accadeva.

Verifica di coerenza dei numerosi indizi e argomenti logici deve essere compiuta anche in base al criterio di esclusione di possibili ipotesi alternative. Occorre allora interrogarsi, al di là dell'impressionante serie di bugie ed omissioni messe in campo da alcuni degli imputati, su quale sia il grado di fondatezza di una ricostruzione alternativa a quella proposta dai PM. Possiamo davvero credere, come si rassegna  a fare il Tribunale, che siano stati Troiani e Burgio, i due soli condannati, a decidere di addebitare a 93 innocenti la detenzione di due armi da guerra?”

Francesco Gratteri

“Le sue dichiarazioni sono scarne e generiche, in contrasto, tra l’altro, almeno inizialmente, con quelle di Di Bernardini e Caldarozzi. Non ricorda specificatamente la presenza del sacchetto azzurro, anche se, secondo quanto riferito dal teste Fiorentino, proprio quel sacchetto era al centro della comunicazione del “conciliabolo”, di cui lui era uno dei protagonisti. I filmati smentiscono pacificamente l’assunto che le bottiglie fossero state tenute in mano da un agente senza l’involucro di plastica. Solo con la ostensione sul telo nero le stesse vennero “svestite” dal sacchetto azzurro che le conteneva. Egli circolava sul proscenio della vicenda nella fase successiva al “conciliabolo” (lo si vede infatti nei filmati). Era presente sul luogo di srotolamento dello striscione, aveva una posizione di direzione delle fasi cruciali della vicenda, ma anche lui non sa riferire alcunché sul reperto, non si informò in ordina al luogo relativo al suo ritrovamento.”

Giovanni Luperi

“Il dott. Luperi è sicuramente una figura centrale nella vicenda delle molotov.

Venendo ad una valutazione critica delle dichiarazioni del dott. Luperi, non si può non partire da quella presa di distanza iniziale contenuta nelle sue prime dichiarazioni, tra cui quella, straordinaria, di aver visto le due bottiglie tenute in mano da persona che non era in grado di indicare.

Nonostante l’indignazione postuma dell’imputato, si deve concludere che tali dichiarazioni costituiscono una clamorosa falsità e un’altrettanto clamorosa omissione del suo coinvolgimento diretto nella vicenda.

Luperi gestì materialmente il reperto, lo tenne in mano, lo affidò ad un operatore di sua fiducia e, in tal modo, si assunse la responsabilità della sorte delle due bottiglie molotov, che verranno poi inserite tra gli oggetti da sottoporre a sequestro.

Le modalità relative alla consegna alla dott.ssa Mengoni, la cautela raccomandata alla teste, dimostrano in Luperi la consapevolezza che il reperto in esame era di assoluta rilevanza, tale da qualificare l’intera operazione.

Nei passaggi successivi il dato dichiarativo proveniente dai protagonisti della vicenda non offre ulteriori delucidazioni: Luperi ricorda le bottiglie con il sacchetto vicino allo striscione, la Mengoni le rammenta senza involucro.

Il confronto con i filmati consente, però, di colmare le lacune della ricostruzione storica, di riempire i vuoti lasciati dalle rispettive dichiarazioni.

Il filmato smentisce, anzitutto, quella ricostruzione secondo cui il cortile si sarebbe improvvisamente svuotato: i funzionari sono tutti lì e si vede ancora Luperi dialogare con alcuni di loro.

Resta senza risposta la domanda relativa alla necessità da parte dello stesso di reclutare qualcuno, come la dott.ssa Mengoni, all’esterno della P.G. impegnata nella perquisizione; anche la successiva sensazione di solitudine della dott.ssa Mengoni sembra contraddetta dalle presenze continuative nel cortile della scuola. Non si vedono ispettori della Digos di Napoli ma si vedono numerosi funzionari tra cui il dott. Mortola.

È sicuro che Luperi e Mengoni erano vicini tra loro nel momento conclusivo della vicenda: Luperi perché lo si vede dal filmato, Mengoni perché lo afferma lei stessa e lo conferma il teste Pifferi.

E allora, nuovamente affidandosi a interrogativi retorici: è mai possibile che nessuno dei due si pose delle domande? E’ mai possibile che l’uno non abbia rimproverato l’altra per aver trasgredito ai suoi ordine? Che l’altra non abbia riferito al primo delle sue traversie? Perché Mengoni non contattò Luperi, non gli spiegò il tortuoso percorso del reperto, non si confrontò con lui sull’assenza del sacchetto?

In realtà Luperi appare, insieme al dott. Gratteri colui che ordinò e diresse l’operazione, in evidente atteggiamento di controllo su quello che avveniva.

In ogni caso, dopo aver assunto la gestione diretta del reperto fu colui che ne determinò i passaggi successivi. Non si allontanò ma rimase sui luoghi dove si svolse la fase terminale dell’acquisizione dei reperti sequestrati.

In definitiva, il filmato conferma e ingigantisce i dubbi sulla ricostruzione proposta dagli imputati.”

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In relazione all’imputato Vincenzo CANTERINI, assolto relativamente al falso e alla calunnia contestati sub F) e G)  con riferimento alla resistenza incontrata all’esterno dell’edificio.

-       il gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“L'istruttoria dibattimentale ha ampiamente smentito la ricostruzione dei fatti così come riportata dall'imputato Canterini nella annotazione trasmessa al Questore, con particolare riferimento all'asserito “fittissimo lancio di oggetti contundenti” all'indirizzo degli appartenenti al VII Nucleo dal medesimo comandato attraverso le finestre dell'edificio da parte degli occupanti dello stesso, al fine di impedire alle Forze di Polizia di farvi ingresso per procedere alla perquisizione ex art. 41 T.U.L.P.S..

In nessuno dei documenti filmati acquisiti in dibattimento e riprendenti le varie fasi di avvicinamento delle Forze dell’Ordine e dell’ingresso nell'edificio scolastico “A. Diaz - Pertini”, sono in alcun modo evidenziabili lanci di oggetti di qualsiasi genere.

Il Tribunale, disattendendo il parametro valutativo delle deposizioni testimoniali che si era dato all’inizio della decisione, improntato a massima cautela, fra le opposte versioni raccolte ha finito per dare maggior credito proprio alle deposizioni (perlopiù provenienti da colleghi degli imputati) di coloro che hanno riferito di aver percepito un lancio di oggetti contundenti dai piani superiori della Scuola.

La deposizione del teste Galanti Giuseppe, infermiere del Servizio “118”, viene valorizzata dal Tribunale quale prova del lancio di oggetti nonostante in dibattimento (v. trascr. ud. 30/05/2006) sia in realtà chiaramente emerso che l’arrivo del teste sul luogo dei fatti deve essere collocato in una fase temporale molto avanzata rispetto all'arrivo delle Forze dell'Ordine sul teatro delle operazioni e precisamente quando la Polizia di trovava ormai tutta all'interno dell'Istituto Scolastico ed aveva già occupato i quattro piani dell'edificio.

Al contrario numerose sono le  testimonianze assunte in dibattimento che hanno escluso che si sia mai verificata quella “pioggia” di oggetti contundenti e bottiglie di vetro, rappresentata dall'imputato Canterini nella propria relazione. Neppure tutte le relazioni di servizio a firma dei c.d. “capisquadra” redatte alcuni giorni dopo i fatti (27/07/2001) su richiesta del comandante Dott. V. Canterini fanno alcuna menzione della circostanza del lancio di oggetti, nonostante i redattori appartengano al personale (il VII Nucleo) che per primo aveva preso parte all'irruzione.”

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In relazione agli imputati Caldarozzi Gilberto, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Dominici Nando, Mortola Spartaco, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Cerchi Renzo e Di Novi Davide in ordine ai reati di cui ai capi C), D) ed E) (falso,calunnia e arresto illegale) della rubrica e Di Bernardini Massimiliano in ordine ai reati al medesimo ascritti ai capo 1) [già capo C)], 2) [già capo D)] e 3) [già capo E)]

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-       il gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

La ricostruzione dei fatti, dalla decisone di intervenire fino alle modalità di esecuzione della “perquisizione”, con le censure alle valutazioni compiute dal Tribunale ricalcano le argomentazioni sostenute dal Procuratore Generale e dal Procuratore della Repubblica nei rispettivi atti di appello.

In particolare, con riferimento alle singole posizioni, le predette parti civili hanno osservato:

Mortola

ha sempre esplicitamente ammesso di non aver mai saputo dove fossero state ritrovate le molotov;

è ripreso nella nota sequenza filmata nel cortile antistante l’edificio insieme con il gruppo di funzionari dirigenti uno dei quali, il dott. Luperi, ha in mano il sacchetto contenente le bottiglie, mentre l’allegazione difensiva secondo la quale le medesime bottiglie gli erano state mostrate in precedenza da due agenti, non meglio identificati, appartenenti al reparto mobile, non può giovare alla sua posizione, considerata l’inesistente attività di verifica svolta al riguardo;

il materiale filmato non solo lo colloca sui luoghi dall'inizio delle operazioni, ma altresì evidenzia, ad esempio, come il funzionario DIGOS non abbia potuto dal proprio angolo visuale vedere o percepire direttamente, come dallo stesso affermato, né il lancio di oggetti né la caduta del famigerato “maglio spaccapietre”, invisibile nei filmati, ma comunque invisibile al Mortola che nei momenti citati si trova di spalle all'edificio, senza casco e con atteggiamento apparentemente tranquillo;

nulla si dice in sentenza neppure sulla vicenda che coinvolge il sig. Szabo Jonaso (ovvero che lo zaino del sig. Szabo si trovasse presso la Pascoli, che lo scritto incriminato fosse in realtà una tesi di laurea sul reverendo Jackson, che il sig. Szabo sia stato fermato non all'interno dell'edificio scolastico Pertini ma sulla strada);

Di Sarro

addirittura rappresenta al proprio dirigente l'inopportunità della sua sottoscrizione degli atti data la minima attività prestata e ricorda solo un paio di sassi cadere. Anche lui, inoltre, nonostante lo abbia negato, è ritratto dai filmati vicino al corpo sdraiato di Mark Covell.

Dominici

entra nell'edificio, salendo ai piani superiori, rendendosi conto immediatamente dello stato e del numero dei feriti (del quale chiede spiegazioni). Con ogni evidenza, il Dominici assiste ad atti di cd. perquisizione all'interno dell'edificio e tuttavia firma un atto nel quale la descrizione degli eventi è palesemente diversa da quella che ha potuto constatare direttamente.

Caldarozzi

la sua posizione è simile, semmai accentuata dal grado e dal ruolo rivestito nell'operazione.

Ciccimarra

è anche estensore del verbale; le differenze radicali fra quanto dallo stesso direttamente percepito e quanto sottoscritto non si contano ed attengono sia ad episodi di violenza sulle persone presenti nella scuola che agli atti di perquisizione ed alla asserita impossibilità di attribuzione individuale degli oggetti sequestrati.

Ferri

è coinvolto nei fatti dal principio, essendo presente presso la pizzeria Planet nel contesto dei pattuglioni misti, giunge sul teatro delle operazioni addirittura in tempo per vedere il cancello prima che venga chiuso dagli occupanti la scuola (quindi non si comprende come possa non aver visto i brutali pestaggi ai danni dei sigg. Covell e Frieri); fa ingresso nell'edificio Pertini salendo anche ai piani superiori mentre nell'edificio si trovano ancora i feriti, si occupa anche della scuola Pascoli, redige direttamente, insieme a Gava e Ciccimarra, il verbale di arresto presso la caserma di Bolzaneto.

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-       il gruppo di Matteo Massimo VALENTI + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“È esclusa la portata scriminante della confusione e dell’asserita concitazione in cui i verbali sarebbero stati compilati alla luce del fatto che la redazione degli stessi risulta essersi protratta per molte ore e che comunque i funzionari che sottoscrissero tali atti erano certamente per rango ed esperienza all’altezza di cogliere la delicatezza e la rilevanza di quanto in essi si attestava. I soggetti che hanno posto in essere le attività di indagine e il conseguente arresto non coincidono con coloro che sottoscrivono i relativi verbali: tale schema, in cui la sentenza impugnata individua la ragione della possibile assenza di consapevolezza in capo agli imputati, ben lungi dal dimostrare l’assenza del dolo dei reati contestati, vale invece a provare oltre ogni ragionevole dubbio la sussistenza degli elementi oggettivi della fattispecie di cui all’art. 479 c.p.

La tesi per cui i firmatari dei verbali, non essendo presenti alle operazioni di perquisizione e sequestro e di arresto, avrebbero confidato nell’attendibilità dei colleghi sottoposti e attestato quanto da questi riferito, non esclude affatto la loro penale responsabilità per il reato di falso, ma anzi ne fonda il rimprovero sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo. Se anche si fossero limitati a riportare quanto descritto dagli agenti intervenuti ritenendolo verosimile alla luce del “clima di guerriglia urbana che animava quei giorni tanto che nulla era più in grado di stupire o di essere giudicato secondo criteri logici e normali”, comunque i firmatari dei verbali avrebbero attestato il falso nel dare atto di aver proceduto personalmente alla perquisizione, al sequestro e al conseguente arresto, nella piena consapevolezza di non aver invero partecipato a tali operazioni. Come ha avuto modo di sottolineare la Corte di Cassazione in merito agli stessi fatti sulla posizione Gava, la natura dei verbali in quanto atti pubblici fidefacenti non consente di riferire ricostruzioni dei fatti de relato basate sulla fiducia nei confronti dei colleghi.

In merito alle specifiche contestazioni di falsità la sentenza impugnata si limita, elusa ogni considerazione sui concordanti elementi di prova emersi all’esito dell’istruttoria dibattimentale, ad un telegrafico accenno all’impossibilità di escludere che gli stessi si siano verificati.

I giudici traggono la conclusione della possibile assenza di consapevolezza del falso e dell’infondatezza dell’ipotesi delittuosa e dell’attribuzione di prove contraffatte dalla generica considerazione che non si sarebbe provata la presenza dei firmatari nel corso delle operazioni di p.g. e di conseguenza verrebbe a mancare la loro contezza in merito a quanto accaduto nel corso delle stesse. Ma un esame avveduto delle risultanze dibattimentali avrebbe evidenziato la conoscenza da parte dei firmatari di alcune circostanze di fatto da cui senza dubbio derivava la loro consapevolezza, seppur parziale, della falsità di quanto attestato nei suddetti verbali e della sua portata calunniosa ai danni degli arrestati.

Il dott. Di Bernardini, che era a capo della pattuglia di auto che era transitata sotto la scuola nella prima serata, aveva subìto solo poco più di alcuni insulti e comunque un trattamento del tutto incompatibile con quanto da lui attestato nel verbale di arresto e nel verbale di perquisizione e sequestro.

Il dott. Mortola ha riferito nella comunicazione di notizia di reato la presenza di numerosi appartenenti al blocco nero dei manifestanti asseritamente visti, ma dimostratisi al processo attivisti inermi.

Ferri, Ciccimarra, Mortola, Di Sarro, Dominici e Caldarozzi erano tutti sul posto a mezzanotte, l’ora del blitz, e dunque attenti a ciò che stava accadendo, tra cui i primi pestaggi ai danni di Francesco Frieri e Mark Covell, non descritti in alcun atto di polizia.

Mortola, Caldarozzi e Di Bernardini sono tra i dirigenti che discutono con il sacchetto e le molotov al centro, dopo che proprio il vice capo dello SCO e il dirigente della squadra mobile di Roma in quel luogo le avevano introdotte.”

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-       il gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

CERCHI, DI NOVI e MAZZONI:

“Tutti e tre, – pur avendo firmato il verbale di perquisizione e sequestro – cercano di “allontanarsi” dal materiale compimento di attività di perquisizione; Cerchi e Di Novi avrebbero sottoscritto l'atto nella convinzione che la loro firma fosse dovuta, in ragione dell'attività svolta, mentre Mazzoni si sarebbe limitato a formare l'elenco degli oggetti sequestrati per poi lasciare l'atto “aperto” ed in bozza sul computer, atto che altri avrebbero completato e lui infine sottoscritto dopo la stampa. Viene rimarcata, infine, l'ammissione del DI NOVI di esser entrato nella Diaz-Pertini, senza soluzione di continuità, rispetto agli operatori incaricati della “messa in sicurezza” del sito.

Alla luce della loro sottoscrizione del verbale, tertium non datur: se ciò è vero (e lo è per tutti: CERCHI, che ritrova uno striscione, poi sequestrato; DI NOVI, che giunge subito all'interno dello stabile e vede quel che combinano, nel frattempo, gli uomini del VII Nucleo; MAZZONI, che ammette di aver svolto dell'attività di perquisizione a piano-terra e al primo piano), allora non si potrà negare che abbiano avuto modo di notare la difformità tra la verità oggettiva dei fatti e quanto attestato a verbale; se, invece, non è vero – e sono allora attendibili le versioni difensive – resta il fatto che CERCHI, MAZZONI e DI NOVI hanno sottoscritto un atto comunque ideologicamente falso, nel senso di aver affermato (in tal senso offrendosene come testi all'A.G.) di aver compiuto una serie di attività in effetti da loro non compiute e di aver riscontrato una serie di fatti in effetti da loro non riscontrati.”

FERRI FILIPPO

“È al Dr. FERRI che vanno sostanzialmente riferiti il momento decisionale e l'elaborazione tecnico-giuridica relativi: A) alla scelta di contestare agli occupanti la DIAZ il reato di associazione a delinquere, finalizzata alla devastazione e al saccheggio; B) a quella di trarli in arresto, sulla base di tali contestazioni, supportate dal compendio indiziario costituito dalla annotazione di Canterini e dai risultati della perquisizione. Il Dr. Ferri, arrivato tra i primissimi sul “teatro delle operazioni”, era nella condizione di constatare con pienezza di cognizione pari a quella di pochi altri la totale difformità tra il verbalizzato (fittissimo lancio di oggetti, vigorose resistenze e quant’altro) e l'effettivamente accaduto.”

DI BERNARDINI

“Oltre a quanto rilevato in ordine alle bottiglie molotov, rileva che  è lui stesso a: 1) ammettere di essersi concentrato, nel compimento della sua attività di perquirente, esattamente nel vano-palestra dell'edificio (ossia al piano in cui si pretendeva fossero allocati gli ordigni incendiari); 2) auto attribuirsi la decisione di aver fatto concentrare in un unico punto i reperti rinvenuti.”

CICCIMARRA

“Stando a quanto da lui stesso dichiarato in sede di interrogatorio in indagini preliminari, atto poi acquisito al fascicolo del dibattimento, è tra i primi ad arrivare sul posto, al comando di un nutrito numero di sottoposti ed entra, insieme con gli uomini al suo comando, pressoché senza soluzione di continuità con gli appartenenti al VII Nucleo. Ne consegue in maniera inesorabile (oltre all'assoluta inattendibilità del racconto e della versione difensiva che esso intenderebbe accreditare) che il Dr. Fabio Ciccimarra, in quanto testimone diretto dell'intervento degli uomini di Fournier, si rende conto di come la rappresentazione dello svolgimento dei fatti riportata nel verbale di arresto (fittissimo lancio di oggetti, vigorose resistenze, etc.) sia affatto differente, rispetto ad una fedele descrizione dell'accaduto e sia, in altre parole, del tutto falsa. Ancora, il Dr. Ciccimarra, sempre nel suo interrogatorio, dichiara di aver svolto dettagliata attività di perquisizione, a tutti i piani dello stabile, per cui è impossibile che non si sia reso conto gli ordigni incendiari non si trovavano affatto nel luogo “al piano terra...in prossimità dell'ingresso...visibile ed accessibile a tutti” in cui il verbale di perquisizione (in ciò ripreso integralmente da quello di arresto) pretende di collocarle.”

CALDAROZZI

“La sua versione difensiva, anch'essa modulata sull' “alibi” rappresentato dall'essere giunto sul teatro delle operazioni dopo che si era esaurita la fase dell'intervento ad opera del personale appartenente al VII Nucleo, viene smentita dalla consulenza-video di pate civile, che ne colloca l'ingresso all'interno dell'edificio Diaz-Pertini in un lasso di tempo prossimo a quello del superiore gerarchico Gratteri e dunque in un momento in cui le “colluttazioni unilaterali” (secondo l’ossimoro con cui le ha definite l'imputato Fournier nel corso del suo esame dibattimentale) tra i poliziotti e gli occupanti l'edificio sono ancora ampiamente in corso.

CALDAROZZI firma il verbale di arresto - anzi rivendicando il proprio ruolo nella costruzione della contestazione associativa a carico dei 93 arrestati – pur avendo partecipato direttamente e con funzioni direttive alle operazioni di perquisizione ed avendo dunque avuto ancora modo di: I) verificare la completa mancanza di riscontri individualizzanti a carico delle persone perquisite; II) verificare la mancata presenza del corpo di reato più significativo – ossia le molotov – nel luogo in cui il verbale le descrive rinvenute; III) essere venuto in contatto con il predetto reperto circa una quarantina di minuti dopo il suo ingresso nell'edificio, 30 minuti dopo l'inizio delle operazioni di perquisizione e nelle modalità – che in sé avrebbero dovuto essere sospette e che ancor più lo erano nel contesto – esaminate in precedenza.”

DI SARRO

“Il funzionario, nel corso di tutto il procedimento, ha “preso le distanze” dall'operazione, sostenendo (anche nel corso dell'interrogatorio reso in udienza preliminare) di essere rimasto fuori dalla scuola per tutto il tempo, salvi due fugaci ingressi nei locali dell'istituto – dunque, non partecipando a nulla di quanto potesse essere accaduto nel contesto dell'operazione vera e propria - e di aver sottoscritto il verbale di arresto nella tarda mattinata della domenica 22 luglio, non senza aver palesato le proprie perplessità (poi, peraltro, superate), in ordine alla contestazione associativa. Si versa qui nell'ipotesi tipica di falsità “formale” dell'atto pubblico, derivante dall'attestazione fidefaciente di una realtà che non è invece caduta sotto la percezione diretta del P.U. sottoscrittore dell'atto pubblico.”

DOMINICI

“Come per le posizioni GAVA e DI SARRO, si versa in ipotesi di sottoscrizione dell'atto “sulla fiducia” riposta nell'operato degli altri funzionari cofirmatari, motivazione che non scrimina il falso (come rilevato dalla Corte di Cassazione per la posizione di Gava). Inoltre egli ha constatato direttamente gli esiti dell'operazione condotta – tra gli altri – dagli uomini del VII Nucleo, nonché, successivamente e di conseguenza, la difformità tra le attestazioni riportate a verbale ed il vero effettivo, con particolare riferimento alle presunte resistenze, non avendo egli fatta propria la tesi della presenza di lesioni pregresse sulle persone degli arrestati.”

MORTOLA

“La funzione di scout svolta fa del Dr. Mortola un testimone oculare completo della scena dell'ingresso delle forze di polizia all'interno dell'edificio Diaz-Pertini sì da poter rendersi conto di come il “fittissimo lancio di oggetti” riferito nel verbale di arresto non abbia luogo. E tanto se ne rende conto che la caduta del “maglio spaccapietre” (funzionale alla tesi del lancio di oggetti), non viene menzionata né nella comunicazione di notizia di reato (redatta dal Dr. Gallo, utilizzando dati comunicatigli dal Mortola e da questi sottoscritta), né nel primo verbale di dichiarazioni rese all'A.G., come persona informata sui fatti, ma compare nel primo interrogatorio reso da indagato, con l'assistenza del difensore.

Il Dr. Mortola ha avuto modo di veder tutto quel che accadeva, a cominciare dalle violenze gratuite poste in essere già nella via Battisti; il dato documentale del video Chiucconi, attesta che Mortola insieme con Di Sarro alle 00.19 del 22 luglio è in prossimità del cancello del cortile della scuola, nelle vicinanze di un Covell esanime al suolo. Nondimeno, Covell è tratto in arresto come appartenente all'associazione a delinquere che aveva base nella scuola, ed anche a lui è attribuita la detenzione dei reperti sequestrati nella scuola.”

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-       il gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri, nonché le parti civili  MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David, SAMPERIZ Benito, GIOVANNETTI Ivan Michele ed il Genoa Social Forum hanno esposto argomentazioni sovrapponibili a quelle sopra riportate.

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-       parte civile Laura JAEGER, che ha incentrato la sua analisi principalmente sulla vicenda legata alle bottiglie molotov, ha sviluppato le seguenti argomentazioni:

Massimiliano Di Bernardini

“Anche lui, al pari degli altri imputati, tenta di chiamarsi fuori dalla vicenda, sostenendo di aver fatto solo da intermediario, anche se in realtà altri protagonisti lo ricordano con il sacchetto azzurro in mano.

Se è pacifico il contrasto con le dichiarazioni, sicuramente mendaci, di Troiani in ordine al luogo del ritrovamento del reperto, ciò non toglie che sia assolutamente incomprensibile perché Di Bernardini non chiese al collega indicazioni specifiche sul punto. Eppure, le bottiglie gli vennero consegnate da un collega dei reparti mobili addetti alla cinturazione esterna, che sicuramente proveniva dall’esterno dell’edificio, tanto che la consegna avvenne proprio sulle scale: è possibile che Di Bernardini, che era un ufficiale di polizia giudiziaria che stava compiendo una perquisizione all’interno della scuola, non si sia interrogato sul luogo del ritrovamento chiedendo al Troiani le necessarie informazioni al riguardo?

Tale omissione rivela la volontà e l’intenzione di coprire il più possibile i passaggi storici dell’ingresso delle bottiglie all’interno dell’edificio scolastico.”

Gilberto Caldarozzi

“Ciò che più risalta nelle sue dichiarazioni è la sua ritrosia ad interrogarsi sul luogo di ritrovamento dei reperti, ritrosia che si inserisce, in realtà, in una straordinaria presa di distanza collettiva, sua e di tutti gli altri imputati, sul nodo centrale della vicenda.

A prendere sul serio le dichiarazioni rese dagli imputati, ci si trova di fronte a una clamorosa commedia degli equivoci.

Mettendo in sequenza le attendibilissime ricostruzioni proposte in tema di luogo di reperimento delle molotov, si scopre che Burgio avrebbe dato a Troiani una indicazione falsa (vicino alle macchine), Troiani, a sua volta, ne avrebbe dato un’altra, anch’essa falsa ma diversa, a Di Bernardini (nel cortile o sulle scale), Di Bernardini, secondo quanto riferisce Caldarozzi, ne avrebbe data una terza, anch’essa mendace, allo stesso Caldarozzi (all’interno della scuola).

Valgono per Caldarozzi, allora le stesse osservazioni che saranno ripetute per tutti gli altri successivi imputati.

Egli aveva compiti di direzione delle perquisizione, non poteva non sapere che la stessa non aveva avuto sino a quel momento esiti particolarmente brillanti. Nel momento in cui venne reperito finalmente in un reperto significativo, un reperto che qualificava l’intera operazione e a cui, non a caso, verrà dato significativo rilievo nel verbale di perquisizione e sequestro e nei successivi atti di polizia giudiziaria, egli non ritenne opportuno informarsi più di tanto.

Non ci fu in Caldarozzi non solo il normale interesse investigativo che un poliziotto del suo profilo e del suo ruolo dovrebbe dimostrare, ma nemmeno quel minimo di interesse che qualsiasi persona normale potrebbe avere in tale frangente.”

Spartaco Mortola

“Mortola sottoscrisse gli atti che indicavano la presenza delle molotov all’interno della scuola. Come si può credergli quando afferma di non essersi informato sul loro reperimento per leggerezza?”

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In relazione agli imputati Nucera Massimo e Panzieri Maurizio in ordine ai capi loro rispettivamente ascritti I), M) (falso) L) ed N) (calunnia)

-        il gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“Il Primo Giudice, pur dovendo dare atto dei contrasti tra le differenti versioni fornite dall'agente Nucera nel corso del procedimento e dell'incompatibilità tra la dinamica dell'episodio riferita nell'immediatezza (in cui l'imputato parlava di aver subito un solo colpo da parte dell'ignoto aggressore) rispetto alle risultanze degli accertamenti peritali compiuti sui tagli rinvenuti sulla giubba della divisa e sul sottostante corpetto protettivo, ha finito per aderire del tutto acriticamente alle conclusioni del perito Prof. Carlo Torre, che ha ritenuto pienamente compatibile la seconda versione del fatto fornita dal Nucera (in cui i colpi di coltello ricevuti erano diventati due) con le lesioni riscontrate sui reperti in sequestro. Il Collegio ha finito in buona sostanza per ritenere maggiormente credibile l'ultima versione fornita da Nucera (resa però già in veste di indagato e, quindi, con la consapevolezza della contraddittorietà tra la prima versione e le risultanze  degli accertamenti tecnici compiuti dai Carabinieri del R.I.S.); versione solo in astratto compatibile con le conclusioni del Prof Torre ma smentita da ben quattro consulenti di parte (uno del P.M. e tre di parte civile).

Il Tribunale ha poi completamente omesso di considerare sia gli aspetti di inverosimiglianza intrinseca dell'accadimento (si pensi alla mancata identificazione dell'autore dell'accoltellamento) sia le stesse contraddizioni (sulla dinamica dell'episodio e sugli eventi successivi) tra le versioni del Nucera e le due distinte ricostruzioni dell'accadimento riferite dal Panzieri.”

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-       il gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“L’episodio si inserisce in un contesto (ed è la stessa sentenza impugnata a darne atto) di totale, sfrenata inverosimiglianza: ragionando per assurdo, se è vera la versione dei fatti riportata dai due imputati, allora si dovrà ammettere per vero che Nucera, addestrato, armato di manganello tonfa, più alto (lo dice lui, in interrogatorio) di diversi centimetri rispetto al suo presunto aggressore - e dunque provvisto di un maggior allungo di braccia - si sia fatto attingere per due volte da coltellate portate all'altezza di organi vitali da un aggressore più basso e provvisto di un minore allungo di braccia; ancora si dovrà ritenere plausibile che – pur resosi conto della gravità del fatto pochi istanti dopo che il presunto aggressore era stato ridotto all'impotenza e portato via, giù per le scale – l'Agente Nucera non sia stato, come dire, colto dalla “curiosità” di sapere chi fosse costui e non abbia “inseguito” i commilitoni per le scale,

per bloccare ed identificare il suo tentato assassino; ancora, sarà verosimile che – una volta sequestrato il coltello utilizzato dall'aggressore – nessuno si sia dato da fare per risalire all'identità di questo, attraverso le impronte digitali (operazione ancora possibile, pur se il coltello era stato maneggiato – in spregio a ogni protocollo operativo – a mani nude dopo il sequestro e destinata ad un possibile successo, dato il numero relativamente ristretto delle persone fermate); infine, si dovrà ritenere possibile ed anzi credibile che le incongruenze circa il luogo di verificazione dell'accaduto, come direttamente vissuto (Panzieri, che cambia versione circa la propria presenza alla scena) o come riferito (Sbordone, che lo colloca poco dopo l'ingresso).”

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-       il gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri, nonché le parti civili  MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David e SAMPERIZ Benito, GIOVANNETTI Ivan Michele, hanno esposto argomentazioni sovrapponibili a quelle sopra riportate.

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-       parte civile Laura JAEGER, ha sviluppato le seguenti argomentazioni:

“Al di là delle valutazioni relative al dato tecnico, ciò che più sconcerta nella motivazione del Tribunale è il mancato utilizzo delle usuali regole di grammatica della prova per valutare il dato dichiarativo e di ricostruzione storica emergente dalle annotazioni e dagli interrogatori dei due imputati.

Passano così in secondo piano, o vengono approssimativamente giustificate, le contraddizioni e le incongruenze riferite, che costituiscono, invece, unitamente alle argomentazioni dei due consulenti, un elemento rilevante dell’ipotesi d’accusa che consente di individuare sicuri profili di responsabilità nelle condotte dei prevenuti.”

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In relazione alle posizioni di tutti gli imputati precedentemente citati, la parte civile NOGUERAS CHABIER Francho Corral ha chiesto la riforma dell’impugnata sentenza con la declaratoria di responsabilità dei predetti, lamentando la illogicità e la carenza della motivazione.

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in relazione all’imputato Gava Salvatore con riferimento ai reati ascritti ai capi S) (perquisizione arbitraria), T) (violenza privata), U) (danneggiamento), V) (peculato) e falso

-       il gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“Non soltanto l'imputato Gava ha ammesso pacificamente di aver firmato un verbale relativo ad una serie di operazioni svolte e di fatti cui avrebbe dovuto assistere senza averne avuto in alcun modo diretta esperienza (si trovava, infatti, presso la scuola Pascoli) ma la Corte di Cassazione, interessata proprio della sua posizione e di quella del coimputato Troiani ha fissato un criterio estremamente semplice quanto stringente ritenendo “che il “contributo” consistente nell’attività di identificazione di alcune delle persone perquisite non legittima sul piano materiale la sottoscrizione dell’atto di perquisizione, giacché la “natura e il significato dell’atto” sottoscritto non consentono equivoci sul punto, tanto più se rispetto alla perquisizione l’identificazione avviene in momenti logico cronologici differenti, come in effetti è avvenuto nel caso concreto”. Inoltre, nel caso specifico dell'imputato Gava neppure può invocarsi la “confusione” invocata al contrario dal Collegio come uno elemento scriminante, dal momento che lo stesso si trovava a redigere l'atto a Bolzaneto, quindi in luogo “tranquillo”, che la redazione dello stesso si è protratta per diverse ore e che, in ultimo, i funzionari coinvolti sono tutti di rango ed esperienza elevata, quindi certamente in grado di rendersi conto di quanto stavano scrivendo e/o firmando.”

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-       il gruppo di Matteo Massimo VALENTI + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“La complessa vicenda processuale può ritenersi risolta nella pronuncia della Corte di Cassazione. Il Tribunale, incurante del suo ruolo acquisito di giudice del rinvio, sostiene che non vi sia in capo a Gava il dolo del falso. In motivazione si legge tuttavia che non appose la propria  firma con superficiale comportamento e senza rendersi conto della rilevanza della sua sottoscrizione, bensì con piena consapevolezza in base al soggettivo convincimento che sarebbe venuto meno a un suo dovere non sottoscrivendo il verbale in questione in ragione del suo contributo alla fase di identificazione.

A parte il fatto che la sentenza dà conto della circostanza che all’identificazione in realtà ha provveduto non direttamente Gava, ma un suo sottoposto, egli aveva avanti a sé la possibilità salvifica per l’addebito contestato di sottoscrivere i soli verbali di identificazione. Nell’escludere l’ipotesi che Gava abbia firmato per leggerezza il Tribunale fonda così la sussistenza del dolo in capo all’imputato nei termini della piena consapevolezza della estraneità del suo operato rispetto all’attività descritta nel verbale firmato.”

Quanto alle altre imputazioni a carico del Gava, queste parti civili ricordano come lo stesso abbia ammesso nel proprio interrogatorio di aver constatato la condotta tenuta dagli operatori di polizia intervenuti, ma di non essere intervenuto ritenendo che per ragioni di sicurezza fosse opportuno mantenere la situazione dai predetti creata.

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-       il gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti argomentazioni:

“Il dictum reso dalla Corte di Cassazione, quanto alla posizione GAVA,  ha efficacia vincolante nel presente giudizio, che nei riguardi del predetto imputato costituisce grado di rinvio. È evidente che il compimento dell'attività materiale di ricerca della prova che l'UPG perquirente compie sia ben altro rispetto al compimento di attività accessorie e successive, quali quelle cui il Dr. GAVA fa riferimento per motivare la decisione di firmare il verbale di perquisizione ed è altrettanto evidente come un funzionario investito dei gradi di commissario – quale era GAVA all'epoca – sia perfettamente in grado di rendersi conto della differenza.”

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-       il gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri ha esposto argomentazioni sovrapponibili a quelle sopra riportate.

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-       la parte civile URGEGHE Marta ha criticato l’assoluzione dell’imputato Gava argomentando che:

la tesi dell’ingresso per errore nella scuola Pascoli è contraddetta dai numerosi cartelli ben visibili che indicavano la presenza di strutture logistiche (stampa, media, uffici legali, sanitari, uffici del Genoa Social Forum).

Le testimonianze assunte hanno confermato l’arbitraria perquisizione, le violenze sui presenti, il danneggiamento delle strutture e l’asportazione di materiale video e informatico. A tale prova deve aggiungersi la registrazione audio in diretta dell’ingresso della Polizia, completamente  obliterata dal Tribunale, dalla quale si evince che gli agenti ben sapevano dove si trovavano e cosa avrebbero dovuto fare. Del resto successivamente Colucci e Mortola hanno inviato due telex al Capo della Polizia riferendosi espressamente alla perquisizione all’interno della scuola Pascoli.

Quanto alla posizione di Gava, il più alto in grado nella Pascoli, la sua funzione di comando dell’intera operazione è stata confermata dai sui sottoposti Apicella e Sascaro che hanno descritto la condotta tenuta del Gava e gli ordini dal medesimo impartiti a tutti i poliziotti entrati nella scuola. Sussiste quindi la responsabilità per concorso omissivo.

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-       la parte civile GENOA SOCIAL FORUM ha argomentato l’appello nei seguenti termini:

“La Scuola Pascoli era il quartier generale del GSF ed ivi si svolgevano tutte le riunioni organizzative, potendosi accedere solo tramite pass che veniva rilasciato a coloro che avessero compiti organizzativi. Vi trovavano sede l’ufficio stampa, il network Indimedia, Radio Gap, che trasmetteva 24 ore su 24, la sala avvocati, la sala medica, una sala con numerosi computer che potevano essere utilizzati per le connessioni internet.

Le modalità della perquisizione, e le attività poste in essere dagli agenti che hanno fatto irruzione nella scuola Pascoli, consentono di escludere con certezza che l’ingresso in tale Istituto sia potuto essere casuale o frutto di un equivoco.

-       al momento dell’irruzione nella Pascoli, nella scuola Pertini era già in atto una massiccia perquisizione. Chi fosse arrivato sul posto in assenza di una specifica indicazione non poteva sbagliare obiettivo. La Pascoli si pone dunque fin dall’inizio come un obiettivo ulteriore rispetto alla perquisizione della scuola Pertini

-       Il comportamento delle FO intervenute nella Pascoli è stato uniforme in tutti i piani dell’istituto.

-       Sono state interrotte le trasmissioni di Radio Gap ad opera della Polizia, secondo quanto riferito dai testi Di Marco e Salviati. Ancor più significativa sul punto è la testimonianza dell’agente Sascaro che ammette che è stato l’intervento della Polizia a fare cessare la trasmissione radio, riattivate circa mezz’ora più tardi.

-       Emblematico è quanto accaduto nella stanza dei legali: secondo la ricostruzione del teste Lenzi,  responsabile nazionale del WWF, dal momento dell’ingresso nell’Istituto a quello in cui le FO sono entrate nella stanza dei legali sono passati non più di due minuti, il tempo di contattare telefonicamente un avvocato per avvisarlo dell’irruzione;  il comandante del gruppo di agenti appena entrato, ha ordinato immediatamente ai presenti di sdraiarsi faccia a terra. Senza ricevere alcuna istruzione, gli agenti hanno iniziato a fracassare computer e telefoni che si trovavano sul lato sinistro della stanza. Dopodiché i presenti sono stati fatti uscire dalla stanza e gli agenti si sono trattenuti alcune decine di minuti all’interno senza che nessuno potesse entrarvi. Al rientro, oltre agli evidente danneggiamenti si poteva constatare la sottrazione degli hard disk dei p.c. in dotazione ai legali e del materiale cartaceo presente prima del bliz sui tavoli sui quali i legali svolgevano il loro lavoro.

I pc dei legali sono stati gli unici oggetto di danneggiamento in tutta la scuola Pascoli, pur essendo stati installati nella stessa oltre 50 postazioni informatiche (teste Galvan), per cui gli agenti conoscevano evidentemente non solo la collocazione dei pc dei legali all’interno dell’Istituto, ma anche la collocazione dei medesimi all’interno della stanza.

L’azione posta in essere nella Pascoli si pone quindi in un rapporto evidentemente strumentale rispetto a quella iniziata pochi istanti prima nella Pertini, e l’obiettivo primario sembra essere stato quello di evitare di avere degli scomodi testimoni del  sanguinoso bliz alla Pertini nonché quello di privare il GSF di materiale video e di materiale raccolto dai legali che potesse servire alla documentazione delle violenze commesse nelle giornate precedenti dalle FO.”

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-       la parte civile ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI ha argomentato l’appello in termini sostanziante analoghi a quelli sviluppati dal GSF.

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QUESTIONI PROPRIAMENTE CIVILISTICHE

In relazione alla condanna di Canterini e Troiani per i reati di falso e calunnia, le parti civili HINRICHSMEYER Thorsten + altri, VALENTI Matteo Massimo + altri, KUTSCHKAU Anna Julia + altri, BARTESAGHI GALLO Sara + altri e JAEGER Laura hanno censurato la decisione appellata per aver riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni solo con riferimento al delitto di calunnia, e con esclusione di ogni rilevanza del delitto di falso.

Il Tribunale ha menzionato la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 46982 del 25/10/2007, ed ha concluso sostenendo che “il danno conseguente al reato di falso deriva, di norma, dal fine perseguito e quindi, nella fattispecie, dal reato di calunnia, cosicché l’indennizzo stabilito a favore delle vittime di tale reato per la falsa incolpazione subita, esclude il riconoscimento di qualsiasi altra voce di danno riferibile al falso che costituirebbe un’evidente duplicazione”.

Tale conclusione deve dirsi errata secondo gli appellanti.

Le Sezioni Unite si sono infatti pronunciate su un contrasto giurisprudenziale relativo

alla monoffensività o plurioffensività del reato di falso, accogliendo sul tema che erano chiamate a dirimere il secondo indirizzo interpretativo, peraltro maggioritario.

I delitti contro la fede pubblica hanno natura plurioffensiva, con la conseguenza che al privato danneggiato da tale reato spettano i diritti e le facoltà previsti per la parte offesa.

Il reato di calunnia mantiene una sua autonomia, non è giuridicamente corretto qualificare il reato di falso come mezzo e il reato di calunnia come il fine perseguito, e non è questa l’interpretazione che deve essere data alla sentenza delle Sezioni Unite menzionata dal Collegio.

Il delitto di cui all’art. 479 c.p., infatti, determina un vero e proprio danno psicologico e morale prodotto dalla “falsa rappresentazione della realtà”, nel caso di specie amplificato dalla qualifica degli imputati, soggetti appartenenti alle forze dell’ordine e, pertanto, proprio coloro i quali dovrebbero perseguire la ricerca della verità stessa.

La descrizione falsa contenuta negli atti incriminati è stata strumento non solo per sostenere la falsa accusa, ma anche per assicurare l’impunità ai colleghi che avevano colpito gli occupanti la scuola e per giustificare la violenza utilizzata, sì che il rilievo della strumentalità del falso rispetto alla calunnia non era argomentazione determinante per escludere il diritto al risarcimento dei danni.

La calunnia è reato che può essere commesso da chiunque, normalmente è commessa dal privato cittadino e comporta un danno conseguente anche alle modalità con le quali si è esplicata. Il falso è un reato commesso dal pubblico ufficiale, che proprio per la sua qualifica e per la qualità dell’atto che compie rende più “forte” la calunnia.

Il GENOA SOCIAL FORUM (GSF), ha lamentato il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito in conseguenza della condanna degli imputati Burgio Michele e Troiani Pietro per i reati di cui ai capi O e Q, e degli imputati Canterini Vincenzo, Fournier Michelangelo, Tucci Ciro , Lucaroni Carlo, Zaccaria per i reati di lesion, falso e calunnia.

Nella sentenza impugnata si legge che “nessuno dei reati accertati appare commesso in suo (del GSF - ndr) danno o dei suoi affiliati o simpatizzanti in quanto tali. E’ anche emerso, del resto che un suo rappresentante, Kovac, era stato contattato prima della perquisizione. Quanto alle attività culturali del GSF, … non può dirsi che esse siano state interrotte o che l’immagine del gruppo sia stata intaccata per i comportamenti oggetto delle attuali condanne.

Premesso che non vi è altro collegamento tra le vittime dei reati di falso e calunnia, se non quello che gli stessi aderivano alle iniziative del GSF, lamenta l’appellante che c’è stata una evidente criminalizzazione di tutta l’associazione, inducendo in modo esplicito l’opinione pubblica a ritenere che il GSF fosse colluso, o addirittura si identificasse con quelle frange di manifestanti che avevano compiuto gravi danneggiamenti in città in quelle giornate. Estremamente eloquente al riguardo è la copiosa rassegna stampa allegata all’atto di costituzione di parte civile, da cui emerge che la prima immediata conseguenza del blitz è stata quella di equiparare il GSF all’associazione sovversiva dei Black Bloc, di cui la sede del GSF era divenuta il Covo operativo.

L’ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI censura la sentenza perché, pur avendo assolto Gava dai reati contestatigli con riferimento ai fatti accaduti nella scuola Pascoli, in un obiter dictum ha comunque escluso in radice ogni possibilità di risarcimento perché le attrezzature danneggiate (computers, altro materiale informatico, telefoni ed altri oggetti) erano di proprietà del Comune. Osserva l’appellante che soggetto danneggiato e offeso dal reato di danneggiamento può essere anche il semplice detentore della cosa o il titolare di diritto di godimento, che si affianca al soggetto passivo titolare del diritto di proprietà sul bene danneggiato.

In ogni caso l’associazione era soggetto danneggiato anche con riferimento:

al reato di cui agli artt. 609 e 615 c.p., in quanto i locali messi a sua disposizione dovevano qualificarsi privata dimora;

al reato di cui all’art. 610 c.p., in quanto ai suoi membri era stato impedito di accedere ai locali affidati all’associazione durante l’illegittima operazioni di polizia;

al reato di cui all’art. 314 c.p. per la sua natura di fattispecie plurioffensiva, volta a tutelare anche l’integrità del patrimonio della P.A. e dei terzi.

Le parti civili Bartesaghi Enrica e Gandini Ettorina lamentano nei confronti di tutti gli imputati (anche di coloro che sono stati condannati) e del responsabile civile il mancato riconoscimento del risarcimento del danno lamentato, rispettivamente, quale madre di Sara Bartesaghi Gallo e madre di Ivan Giovannetti, parti civili nel presente procedimento.

Il Tribunale ha rigettato le domande risarcitorie delle due madri sulla base delle seguenti argomentazioni:

- le lesioni subite dai figli non sono “seriamente invalidanti” nel senso inteso da Cass. Civ. 10816/04 e la mera titolarità di un rapporto familiare non è sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria del prossimo congiunto;

- le spese affrontate per viaggi e cure mediche non sono dimostrate, e comunque non sono dovute perché liquidabili direttamente alle persone offese;

- non sono meritevoli di tutela risarcitoria gli altri pregiudizi subiti consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altro tipo di insoddisfazione.

Deducono le appellanti che il Tribunale ha mal compreso l'insegnamento della Suprema Corte, la quale, nel riconoscere che i genitori conviventi della parte offesa di una reato hanno diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che dimostrino di aver subito in conseguenza del reato stesso (SSUU 26972/2008 e SSUU 9556/2002) non ha mai condizionato il riconoscimento di tale diritto al parametro della entità delle lesioni, inteso dal Tribunale come “seriamente invalidanti”.

Il danno non patrimoniale c.d. “riflesso” prescinde dalla gravità delle lesioni subite dalla parte lesa, ma è piuttosto legato alla gravità del reato, alle conseguenze in termini di sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata e al mutamento (peggioramento) che il reato ha causato all'interno dei rapporti familiari.

Appare dunque errata l'affermazione secondo cui “il diritto costituzionale inviolabile deve essere inciso oltre una certa soglia”; le SSUU non indicano “soglie”; già appare arduo individuare diritti costituzionali “violabili” e “non violabili”, applicare anche una soglia pare alle appellanti eccessivo.

Le parti civili Bartesaghi e Gandini chiedono quindi venga riconosciuto il loro diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali sia diretti per le conseguenze che i reati hanno direttamente causato alla loro sfera giuridica, sia indiretti, per le conseguenze che tali reati hanno provocato sul rapporto familiare e sul rapporto con i rispettivi figli.
Per quanto attiene ai danni patrimoniali risulta provato che le parti civili hanno dovuto affrontare esborsi per viaggi, soggiorni in altre città, consulenze; tali danni non sono stati provati nel loro ammontare in quanto nel procedimento di primo grado ne è stata chiesta la liquidazione in separato giudizio, ma nel successivo giudizio civile saranno precisati nel loro ammontare.

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Le parti civili HINRICHSMEYER Thorsten + altri, JAEGER Laura, MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David e SAMPERIZ Benito hanno lamentato la esiguità delle somme liquidate a titolo di provvisionali immediatamente esecutive, e ne hanno chiesto un congruo aumento, argomentando:

esse hanno subito grande nocumento a causa della illegittima privazione della libertà personale, danno che non si è concluso con la liberazione degli arrestati, ma si è protratto a lungo nel tempo per molti mesi;

tutti gli stranieri arrestati alla scuola Diaz sono stati in seguito coattivamente espulsi dal territorio italiano, subendo così un’ulteriore sofferenza psicologica;

i reati di falso ideologico, di calunnia (e di detenzione e porto di arma da guerra allo stesso direttamente connesso) commessi dagli imputati hanno contribuito in maniera determinante all’arresto di tutte le parti civili e alla costruzione di quella falsa impalcatura accusatoria che solo lo sforzo investigativo dei P.M. è riuscito a superare.

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Le stesse parti civili di cui sopra nonché Matteo Massimo VALENTI + altri e ANNA JULIA KUTSCHKAU + altri hanno lamentato l’insufficiente liquidazione delle spese di lite osservando che il processo in questione, per numero di parti, natura delle questioni dibattute, durata nel tempo avrebbe dovuto escludere in ogni caso l’adozione del livello minimo di tariffa, se non addirittura comportare l’ipotesi speciale di aumento del livello massimo. In particolare sono state censurate le argomentazioni sostenute dal Tribunale, incentrare sulla coincidenza di strategia processuale fra Pubblico Ministero e parti civili, sulla condivisione dell’impegno professionale fra più difensori, nonché la scelta tecnica di operare un’ulteriore riduzione al 20% degli onorari in ipotesi di sostituzione all’udienza di più difensori ad opera di un solo avvocato, in analogia con la norma che regola la liquidazione degli onorari al difensore che difende più parti nello stesso processo.

Secondo le parti civili appellanti, infatti, la ovvia coincidenza di interessi processuali tra accusa pubblica e privata, in riferimento al riconoscimento della penale responsabilità degli imputati, non consente di deprezzare il lavoro difensivo svolto dai legali di parte civile;

la quantificazione degli onorari relativi all'esame e studio, per la partecipazione e per lo svolgimento di attività difensive per ciascuna udienza è sempre stata conteggiata sui minimi tariffari, senza preoccuparsi “della natura, complessità e gravità della causa, delle contestazioni e delle imputazioni, del numero e dell'importanza delle questioni trattate e della loro rilevanza patrimoniale; della durata del procedimento e del processo”, che sono tutti parametri  cui il giudice deve obbligatoriamente riferirsi, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del Tariffario professionale forense, in sede di liquidazione;

non sembra consentita alcuna applicazione analogica che, peraltro, nel caso di specie appare sicuramente indebita, posto che non c'è alcuna identità o somiglianza tra il caso la difesa di più clienti con medesima posizione processuale e con esame di situazione particolari per ciascuno di essi (art. 3 comma 2 della Tariffa) e quello relativo all'utilizzo di un sostituto per la difesa di più parti.

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I difensori delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato lamentano che la condanna degli imputati e del responsabile civile alla rifusione delle spese di lite sia avvenuta per importo uguale a quello liquidato a carico dello Stato, e quindi con la limitazione al valore medio prevista dall’art.82 del D.P.R. 115/2002; al contrario, non potendosi confondere e sovrapporre la liquidazione del patrocinio a carico dello Stato (limitata ex lege) con la liquidazione delle spese a carico dell’obbligato principale (imputato e in via solidale responsabile civile) non soggetta a limitazioni, la liquidazione ad opera del Tribunale giudice del merito del processo sarebbe dovuta avvenire per intero, con condanna degli imputati al pagamento in favore dello Stato della quota corrispondente alla liquidazione del Patrocinio a spese dello Stato, e per la differenza direttamente a favore delle rispettive parti civili creditrici.

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APPELLO INCIDENTALE

FASSA LILIANA, in conseguenza dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno e degli imputati Canterini, Burgio e Troiani, ha impugnato in via incidentale la sentenza del Tribunale per non aver riconosciuto il danno lamentato quale madre convivente di Di Pietro Ada Rosa, e per l’errata quantificazione delle spese di lite. Posto che era stata ammessa quale parte civile (come prossimo congiunto di vittima del reato) il diniego del diritto al risarcimento è giudicato contraddittorio perché fondato su argomentazione che avrebbe dovuto condurre a non ammettere la costituzione di parte civile; richiamata la pronuncia della Corte di Cassazione sez 3° pen. n. 38952 del 2007 a sostegno del diritto al risarcimento anche nel caso in cui il prossimo congiunto sia vittima di reato diverso dalle lesioni personali, l’assunto del Tribunale secondo il quale sarebbe mancata la prova della intensità e attualità del legame familiare ed il livello di incidenza del fatto sulla relazione è contestato in quanto all’epoca la Fassa era convivente con la figlia Di Pietro Ada Rosa ed il rapporto è ugualmente intenso anche se la predetta aveva 25 anni.

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DI PIETRO Adarosa, TOMELLIERI Enrico, SCALA Roberto, SCHLEITING Mirko e SANZ MADRAZO FRANCISCO JAVIER, parti civili non appellanti, hanno chiesto la riforma della sentenza in accoglimento degli appelli del Procuratore della Repubblica e delle altre parti civili, con la condanna degli imputati al pagamento di provvisionali immediatamente esecutive, o all’aumento di quella liquidata in primo grado, e all’incremento delle spese di lite.

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APPELLO DEL RESPONSABILE CIVILE MINISTERO DEGLI INTERNI

La sentenza è stata impugnata con riferimento ai seguenti capi di imputazione:

Capo di imputazione Sub G per il quale vi è stata condanna di Canterini Vincenzo e del Ministero dell’Interno in solido con il medesimo; si tratta della imputazione di calunnia (per il reato di falso non vi è stata condanna civilistica) ritenuta provata a carico di Vincenzo Canterini <<Limitatamente a quanto attestato in ordine alla resistenza all’interno dell’edificio>>.

Osserva l’appellante che se tutte le altre circostanza contenute nella relazione sono state ritenute veritiere, ivi compreso l’episodio dell’aggressione a Nucera (a tale conclusione deve pervenirsi vista la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”), si dovrebbe escludere la falsità della circostanza della resistenza all’interno dell’edificio.

In secondo luogo, osserva il responsabile civile, Canterini è entrato nella scuola Diaz dopo gli altri operatori, ed è salito solo al 1° piano, quindi è giunto sui luoghi dei fatti quando i ferimenti si erano già verificati, e non ha avuto la possibilità di ipotizzare che tali ferimenti fossero la conseguenza di aggressioni indiscriminate da parte dei poliziotti.

Capo di imputazione sub H) a carico di Canterini, Fournier, Basili, Tucci, Lucaroni, Zaccaria, Cenni, Ledoti, Stranieri e Compagnone – reati di lesioni.

Lamenta l’appellante che non vi è corrispondenza fra capo di imputazione e sentenza. Il capo di accusa imputa la commissione delle lesioni direttamente, o agevolando o non impedendo l’altrui condotta, in relazione alle qualità specificate per ciascuno (comandarne, vice comandante, capo squadra); quindi, secondo l‘accusa, ciascun capo squadra poteva essere ritenuto responsabile solo delle condotte degli appartenenti alla propria squadra. La sentenza, viceversa, imputa tutti i fatti di lesione a tutti gli imputati indistintamente perché ciascuno con il proprio comportamento omissivo avrebbe rafforzato l’”accordo di impunità”; inoltre non è mai stata verificata la qualità di ufficiali e agenti di P.G. in capo agli imputati che potesse fondare la responsabilità per la mancata denuncia dei colleghi. Manca, infine, la prova che ciascun imputato fosse nella condizione di impedire concretamente le singole lesioni

Quindi lamenta il Ministero la violazione dell’obbligo di corrispondenza fra accusa e decisione.

Inoltre il Tribunale avrebbe compiuto diversi errori in fatto: Canterini è entrato nella Diaz dopo gli altri operatori dal portone laterale, e quando è arrivato al 1° piano Fournier ha già impartito l’ordine di “ritirata”; Fournier, dal canto suo, si è adoperato per aiutare la ragazza aggredita e fece cessare le violenze.

I Capi squadra, dal canto loro, non sono entrati tutti subito, per cui considerata la brevità del tempo necessario a colpire gli occupanti la scuola, non è possibile attribuire responsabilità per comportamento omissivo. Il Basili, poi, non aveva alcuna squadra ai suoi ordini, e non poteva quindi avere responsabilità di comando.

Lamenta l’appellante che in sostanza l’attribuzione di responsabilità sia avvenuta a titolo oggettivo.

Capo di imputazione sub O e Q per Troiani e Burgio; calunnia in relazione alla vicenda delle bottiglie molotov per la quale sola vi è stata condanna del Ministero.

Non contesta l’appellante il fatto storico che le bottiglie provenivano dall’esterno della scuola,  ma deduce l’assenza il dolo in capo agli imputati.

Quanto alla posizione di Burgio osserva: non possono essere utilizzate né le sue precedenti SIT, essendosi avvalso della facoltà di non rispondere agli interrogatori, né le dichiarazioni di altri coimputati in mancanza di consenso al riguardo; non c’è alcuna prova a suo carico se non la ripresa filmata che lo ritrae prima in Via Battisti e poi nel cortile della scuola, circostanza che di per sé non è significativa di alcun particolare atteggiamento psicologico. Consegue che per il responsabile civile manca la prova della volontà di attribuire le bombe agli arrestati: anche l’aver adempiuto all’ordine del Troiani di portare le bombe nella scuola non era adempimento di ordine illegittimo, perché di per sé il trasporto delle stesse, senza sapere l’uso che se ne voleva fare, non comportava alcuna illegittimità. In sostanza la scelta successiva di altri circa l’utilizzo delle bottiglie molotov non è a lui riferibile.

Quanto alla posizione di Troiani osserva: manca la prova che l’introduzione delle bottiglie nella scuola potesse avere l’unica finalità di calunnia, cioè che il Troiani si fosse accordato con gli altri colleghi che avrebbero poi redatto gli atti calunniosi, o, viceversa, che li avesse ingannati circa il luogo di provenienza delle molotov (ma in tal caso la condotta sarebbe stata ben diversa).

Ma egli non ha ingannato nessuno (non lo sostengono né Di Bernardini, né Calderozzi né alcuno degli altri partecipanti al conciliabolo), e tutti sapevano che Troiani veniva dall’esterno della scuola. L’ipotesi dell’accordo, d’altro canto, è smentita dalla sentenza che ha assolto tutti gli altri coimputati. Non resta per l’appellante che ritenere credibile la versione fornita dal Troiani il quale, per “leggerezza” e con l’intento di sbarazzarsi delle molotov senza redigere atti, avrebbe detto a Di Bernardini di averle trovate nei pressi del cortile della scuola.

Osserva da ultimo il responsabile civile che per entrambi gli imputati manca il movente.

Conclude, pertanto, chiedendo di annullare tutte le statuizioni civili di condanna di esso Ministeri dell’Interno.

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APPELLI DEGLI IMPUTATI

CANTERINI Vincenzo , FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo e COMPAGNONE Vincenzo

Vengono impugnate la sentenza e l’ordinanza del 26/03/2008 con la quale il Tribunale ha respinto l’istanza di BASILI, TUCCI, LUCARONI e COMPAGNONE, fino ad allora contumaci, di essere sottoposti ad esame.

In ordine al Capo H) relativo alle lesioni osservano: si tratta di una pluralità di singoli autonomi reati di lesioni che non potevano essere attribuiti indiscriminatamente alla responsabilità di tutti; il Tribunale, quindi, ha violato il principio di personalità della responsabilità.

In secondo luogo lamentano lo stravolgimento dell’originaria imputazione: non rileva più, per il Tribunale, il ruolo rivestito (comandante, vice comandante, capo squadra) ma la qualifica di agente e ufficiale di P.G. che fondava il conseguente obbligo di intervenire nei confronti di chiunque.

Non essendo stata provata la responsabilità per comportamento omissivo (che avrebbe richiesto una relazione di contiguità fra il singolo imputato e l’autore della singola lesione, nonché l’idoneità del comportamento omissivo ad istigare e/o rafforzare la condotta delittuosa), il Tribunale ha introdotto l’”accordo di impunità” e la tesi della responsabilità di tutti coloro che fossero stati presenti durante la commissione delle lesioni:  ma ciò facendo è incorso in violazione dell’art. 521 c.p.p..

In ogni caso, in fatto, non c’era bisogno del preventivo accordo per delinquere impunemente: gli operatori erano talmente tanti e di diversa provenienza che non sono stati tutti identificati e, quindi, non si conoscevano fra loro; inoltre erano quasi tutti travisati con fazzoletti sul viso. La violenza è nata non per propagazione all’interno della scuola, ma perché, mandati con la convinzione di trovare i Black Bloc, i poliziotti hanno visto serrarsi i cancelli e gettare oggetti dalla scuola.

Le violenze non sono state generalizzate, ma solo di alcuni, altrimenti, data la sproporzione del rapporto di forza, il bilancio delle vittime sarebbe stato molto più grave.

Non si comprende come, secondo il Tribunale,  i capi squadra avrebbero potuto far cessare le violenze; d’altro canto di fatto Fournier è intervenuto proprio in tal senso.

La mancata denuncia dei colpevoli, ammesso che fosse possibile e non sia di fatto avvenuta in alcune relazioni di servizio, non è indizio grave e preciso dell’esistenza dell’”accordo di impunità”, potendo dipendere da altre convincenti ragioni (in primis tutelare la propria posizione).

Non vi è riscontro che la maggior parte delle lesioni sia stata inferta da personale del VII nucleo: pochissime sono state le identificazioni immediate, inattendibili le indicazioni sulle uniformi rese dalle parti civili al dibattimento dopo anni dai fatti, e dopo che le deposizioni venivano pubblicate sul sito www.supportolegale.org.; la tipicità delle lesioni come riferibili al “tonfa” non è stata assolutamente motivata dal Tribunale.

Infine non risponde vero che gli appartenenti al VII nucleo sono entrati per primi: dai filmati si vede che sono stati scalzati da altri operatori, e quindi non sono stati gli autori delle lesioni immediatamente  inferte.

In ordine alle singole posizioni gli appellanti hanno rilevato:

BASILI: non aveva alcuna squadra al suo comando e quindi non era Capo Squadra; il Tribunale ha omesso di considerare tale circostanza, che determina il venir meno del presupposto dell’imputazione.

FOURNIER: è intervenuto energicamente per far cessare ogni violenza (circostanza che è stata confermata da 14 testi) quindi è assente ogni profilo di responsabilità sia secondo la prospettazione accusatoria del capo di imputazione, sia secondo la tesi dell’accordo di impunità proposto dal Tribunale. Quando è entrato nella scuola era passato un minuto e si è diretto subito al primo piano, dove ha urlato “basta basta”. Non vi è prova che abbia tollerato la commissione di lesioni da parte di altri operatori; ha dato l’ordine di uscire agli uomini collegati con lui via radio (laringofono), ma non poteva dare l’ordine a tutti e trecento gli uomini presenti in loco. Per questo le violenze non sono cessate immediatamente, ma ciò non è imputabile a Fournier. Egli, poi, non ha potuto identificare i poliziotti responsabili delle lesioni, ed è questo il motivo della mancata denuncia, non l’adesione all’”accordo di impunità”.

CANTERINI: la motivazione  nei suoi riguardi è scarsa, e si esaurisce nella formula “non poteva non sapere o meglio non vedere”. Egli ha dichiarato di essere entrato per ultimo e di non aver visto colluttazioni in atto, ma solo le conseguenze di pregresse condotte, e non è mai salito oltre il primo piano. Non era il Comandante Operativo della Forza, ruolo rivestito da Fournier, anche se non si è mai capito chi avesse di fatto la direzione delle operazioni. Lo stesso Tribunale argomenta l’assoluzine dalle imputazioni di falso facendo leva sulla impossibilità di rendersi conto di cosa fosse successo effettivamente, della confusione in atto, della perdita di lucidità e di capacità di valutazione critica secondo i normali parametri: tale argomentazione, stante l’identità di ratio, doveva essere adottata anche per assolvere Canterini dalle imputazioni di lesioni.

CANTERINI  Capo F) falso.

Il contenuto della relazione consegnata da Canterini al Questore, oggetto della imputazione, non corrisponde alla descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione. Il Tribunale ha ritenuto vera tale relazione quanto alla descritta resistenza all’esterno della scuola ed al lancio di oggetti, ed ha pure ammesso sporadici episodi di resistenza all’interno della scuola (in particolare l’aggressione a Nucera); tuttavia ha riconosciuto il falso imputando a Canterini ingiustificate omissioni (in ordine alle aggressioni compiute dalla polizia e alla presenza di feriti anche gravi) e generalizzazioni (attribuzione della resistenza interna a tutti indiscriminatamente i presenti), fatti che non fanno parte del capo di imputazione; quindi ha affermato la responsabilità in violazione l’art.521 c.p.p..

In ogni caso, in fatto, nella relazione si parla di resistenza da parte di alcuni occupanti, non tutti; trattandosi di relazione al Questore e non di atto di p.g., manca il dolo, non avendo Canterini consapevolezza che sarebbe stata allegata al verbale di arresto ed inoltrata in Procura.

CANTERINI Capo G) calunnia

Dal punto di vista dell’elemento oggettivo del reato vengono richiamate le argomentazioni precedenti. Inoltre, anche in tal caso manca la consapevolezza dell’invio all’AG della relazione; Canterini non ha partecipato alla decisione di procedere agli arresti (che per lui potevano essere anche fermi di identificazione o per indizio di reati commessi nei giorni precedenti). L’uso da parte di terzi della relazione generica di Canterini per muovere una accusa associativa a tutti non è riferibile a condotta del predetto (il quale nulla sapeva delle bombe molotov, vero perno della falsa accusa).

Viene quindi chiesta la riforma della sentenza e l’assoluzione  di tutti gli imputati.

In via SUBORDINATA

deducono gli appellanti che le circostanze attenuanti generiche dovevano essere valutate prevalenti (non solo equivalenti) rispetto alle aggravanti in ragione della incensuratezza e del contesto in cui sono maturati i fatti.

Da ultimo viene lamentata l’eccessività della pena, della quale si chiede la riduzione, e si insta per la concessione dei doppi benefici di legge.

Relativamente alla impugnata ordinanza istruttoria deducono che, presentatisi al dibattimento per rendere spontanee dichiarazioni pur dopo l’assenza e il rifiuto a sottoporsi all’esame, gli imputati avrebbero dovuto essere sottoposti ad esame in applicazione analogica dell’art. 420 quater c.p.p. dettato per l’udienza preliminare, non sussistendo ragione di distinguere l’udienza preliminare dal dibattimento.

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TROIANI Pietro

L’appellante lamenta che la motivazione della propria responsabilità è scarna.

Innanzi tutto egli non beneficia della considerazione circa lo stress e la stanchezza riconosciuta dal Tribunale a tutti gli altri imputati.

Contrariamente a quanto affermato in sentenza, non vi è certezza sul conducente del Magnum sul quale erano state riposte le molotov, né sul riconoscimento delle stesse come quelle esposte alla Diaz.

La fonte di conoscenza principale al riguardo è costituita dalla deposizione del teste Donnini: ma, rileva l’appellante, non è vero che egli ricordi di aver identificato nel Burgio l’autista che condusse il “magnum” nel tragitto dalla Questura alla Fiera del mare; dopo analisi stringente dell’intero contenuto della sua deposizione testimoniale emerge che il Donnini non ha ricordo diretto del Burgio quale autista, ma che alla sua identificazione è pervenuto a posteriori dall’analisi degli ordini di servizio.

Non è neppure certo quale sia stata la collocazione delle bottiglie molotov nel lasso temporale intercorrente fra il loro ritrovamento e la comparsa alla Diaz: il mezzo era destinato a servizi operativi (arresto black bloc) e non è pensabile che sia stato utilizzato a tal fine con le molotov a bordo.

In ogni caso esso Troiani era salito sul mezzo senza preventiva comunicazione della presenza a bordo delle molotov; tale fatto ha introdotto nel processo il tema della possibilità di accorgersi della loro presenza a seconda della provenienza o meno di odore di benzina dalle bottiglie (ma rileva l’appellante che tutti coloro che hanno avuto contatto con le stesse hanno escluso che emanassero odore di benzina). Conclusivamente deve ritenersi che Troiani non sapeva della presenza delle molotov a bordo del “magnum”.

Quanto alla ritenuta identificazione delle bottiglie come quelle reperite vicino a Corso Italia, osserva l’appellante che quelle della Diaz avevano un cappuccio di nylon intorno al collo: il Dott. Guaglione che le ha riconosciute come identiche a quelle da lui trovate altrove ha ricordato questo particolare solo alla terza audizione in s.i.t. dopo che gli erano state mostrate le fotografie, mentre i particolari aggiunti in dibattimento non erano mai stati riferiti prima. Consegue, a detta dell’appellante, la inattendibilità del giudizio di identità formulato dal Guaglione fra le bottiglie da lui trovate e quelle sequestrate alla Diaz.

Osserva l’appellante che egli si è limitato a consegnare le bottiglie comparse nel cortile della Diaz (che non c’è prova siano quelle di Corso Italia) al Di Bernardini (definito “miracolato”), dopo di che non se ne è interessato più. È stato condannato in concorso con altri ma non sono indicati i nomi dei complici (escluso ovviamente il Burgio).

L’imputazione di CALUNNIA si fonda sulla consegna delle molotov al Di Bernardini (assolto) e sulla consapevolezza che la detenzione delle molotov sarebbe stata attribuita a tutti gli occupanti la scuola. Ma il Troiani ha avuto contatto con le molotov e le ha consegnate al Di Bernardini all’esterno della scuola, fra Piazza Merani ed il cortile, mentre negli atti viene riferita la presenza delle stesse all’interno (piano primo o terra) in posizione visibile a tutti (circostanza determinante per muovere l’accusa di associazione sovversiva a tutti). La divergenza fra quanto riferito oralmente da Troiani e quanto riportato da altri negli atti scritti non riceve spiegazione da parte del Tribunale. La calunnia dipende dal contenuto degli atti scritti non redatti dal Troiani, per cui è incomprensibile la sua condanna e l’assoluzione degli altri.

E poi le bottiglie non sono state fondamentali per l’arresto, che era già stato deciso prima (come da telefonata di Agnoletto ad Andreassi, anteriore alla telefonata fra Burgio e Troiani). Quindi non c’era necessità per nessuno di utilizzare le molotov ai fini dell’arresto, e l’uso indebito del reperto non è attribuibile ad alcuna condotta del Troiani.

In ogni caso è carente il dolo della calunnia, dolo che non può essere eventuale: esso appellante non si é sottratto agli interrogatori avvalendosi della facoltà di non rispondere, ed ha fornito la sua spiegazione che deve ritenersi vera (piuttosto che mentire avrebbe potuto tacere).

Secondo la cronologia dei fatti proposta dall’appellante Troiani, la prima telefonata con Burgio risale alle ore 00,34: alle 00,41 interviene il c.d. “conciliabolo” fra gli alti funzionari con le bottiglie; poiché da tale momento  il Troiani non ha più rapporto con le molotov, in così poco tempo non avrebbe potuto architettare la calunnia addebitatagli.

Quanto all’imputazione di DETENZIONE E PORTO DI ARMA DA GUERRA

Non vi è prova che sia stato esso Troiani a mettere le bottiglie sul Magnum e a trasportarle fino alla Diaz; la circostanza dell’occultamento dei gradi sulla spallina è irrilevante al riguardo. Il Donnini non aveva avvisato Troiani di aver messo le bottiglie sul magnum.

In ogni caso anche per tale imputazione è carente il dolo: non è sufficiente l’ammissione resa nel primo interrogatorio del 9/7/2002 (secondo cui egli sapeva della presenza delle bottiglie prima di arrivare alla Diaz) in quanto smentita nel successivo interrogatorio del 31/05/2003. E del resto non avrebbe potuto fermarsi per strada per redigere un verbale di sequestro, che oltre tutto non gli competeva non essendo ufficiale di P.G..

Ma il reato è escluso in radice perché secondo l’accusa il Donnini affidò le bottiglie al Burgio ed il Troiani ne ebbe contezza solo in Piazza Merani; quindi il trasporto dalla Piazza al cortile Diaz non è reato perché funzionale alla consegna ad un ufficiale di P.G. quale il Di Bernardini al fine di redigere un atto.

Quanto all’imputazione di FALSO, rileva il Troiani di non aver redatto alcun atto. Né può sostenersi che abbia commesso il reato per induzione; la sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza di non luogo a procede emessa dal GUP ha “sconfinato” nel merito ed il Tribunale non ne era vincolato (del resto la motivazione della sentenza della Corte di Cassazione era incentrata sulla illogicità dell’addebito di calunnia e del proscioglimento dal falso). Non esiste il dolo di falsificazione futura e negli atti non è indicato il Troiani come fonte di cognizione del ritrovamento delle molotov all’interno della scuola.

IN VIA SUBORDINATA: lamenta che la pena comminata è eccessiva e ne chiede la riduzione.

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CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e ZACCARIA Emiliano

In ordine alla imputazione di LESIONI osservano che non hanno commesso alcun reato: essi operatori sono stati attinti dal lancio di oggetti; alcuni colleghi sono stati feriti; i presenti avevano armi, caschi vestiti neri (che se ne facevano?) e sono scappati per i ponteggi. Quindi è stata una normale operazione sollecitata dai cittadini che avevano visto i Black Bloc. Non vi è prova della commissione diretta delle lesioni né gli imputati potevano impedirle, in quanto ogni capo squadra ha autorità solo sulla propria squadra. Gli unici incaricati di mettere in sicurezza erano gli agenti del VII Nucleo. Tra i presenti nella scuola c’erano persone agguerrite e anche i terroristi dei black bloc.

La prova è contraddittoria, come si evince dall’elenco dei reperti sequestrati e dalla circostanza che alcune persone scappavano o si barricavano. La resistenza costituita dal lancio di oggetti è stata confermata dal teste Galanti, infermiere, mentre le ferite riscontrate sulle persone arrestate erano risalenti nel tempo.

Anche questi appellanti rinnovano la richiesta di sottoposizione ad esame dopo la precedente contumacia.

In via subordinata lamentano che la pena e l’entità dei risarcimenti accordati alle parti civili sono eccessivi.

Il SECONDO DIFENSORE di tali appellanti argomenta che la sentenza è emotiva ed è stata dettata da esigenze mediatiche. La responsabilità è stata affermata per la mera “presenza” in loco, essendo infondata la tesi dell’accordo di “impunità”. Viene dedotta la violazione dell’art. 521 c.p.p. per essere stata affermata la responsabilità a titolo di concorso morale invece che materiale come indicato nel capo di imputazione.

In ogni caso non sussiste neppure il concorso morale, in quanto l’accordo di “impunità” viene affermato dal Tribunale perché unica spiegazione plausibile, non perché provato.

In definitiva manca la prova del nesso di causalità fra l’omissione addebitata e l’evento, per cui il Tribunale pare aver affermato una sorta di responsabilità per “colpa d’autore” legata alla qualifica di “capi squadra” rivestita dagli imputati.

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BURGIO Michele

Chiede la riforma della sentenza e la propria assoluzione argomentando che egli non era presente nel momento in cui il Guaglione affidò le bottiglie a Donnini; non vi è prova che il mezzo condotto da esso Burgio fosse quello sul quale erano state collocate le molotov; i mezzi circolarono fino a sera ed è impossibile attribuire la presenza delle molotov al veicolo condotto dal Burgio la sera a piazza Merani; dai filmati non risulta che sia stato esso Burgio a portare le bottiglie all’interno del cortile, essendo rimasto all’esterno in contatto esclusivo con Troiani. Le dichiarazioni di altri coimputati non son utilizzabili, mente l’assunto sostenuto dal Tribunale secondo il quale egli ”Non avrebbe avuto altro motivo” integra una inammissibile inversione dell’onere della prova.

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FAZIO Luigi

La propria responsabilità per il reato di percosse in danno di Huth Andreas è stata affermata in base alle dichiarazioni della stessa parte lesa ed alle deposizioni di due testi.

Ma rileva l’appellante che non è sufficiente il proprio riconoscimento ad opera dell’imputato perché le modalità con le quali si è arrivati a tale riconoscimento lo rendono inattendibile: ad un primo esame su 293 foto, ivi compresa quella del Fazio, questi non veniva riconosciuto e solo ad un successivo esame di altre 11 fotografie relative a 4 agenti, l’Huth riconosceva esso Fazio come l’autore delle percosse. L’assunto del Tribunale secondo il quale le prime foto erano risalenti nel tempo non è fondato secondo l’appellante; comunque il riconoscimento non è genuino perché avvenuto con riferimento a 4 soggetti del tutto differenti fra loro in quanto 3 erano privi di caratteristiche di somiglianza con il Fazio.

Quanto alle deposizioni testimoniali, osserva l’appellante che Plumecke Tino e Moser Nadine non hanno assistito personalmente alle percosse a danno di Huth, ma hanno solo visto un poliziotto avvicinarsi al loro amico.

In ogni caso argomento risolutivo della propria innocenza doveva trarsi dal fatto che l’episodio è avvenuto al terzo o al quarto piano (come confermato dei testi) mentre esso Fazio non è mai andato oltre il secondo (come affermato dai testi Alveri Patrizio (escusso in udienza) e Locatelli Annibale (assunto in indagini difensive).

In subordine lamenta l’eccessività della pena e ne chiede la sostituzione con quella pecuniaria ex art. 52 D.L.vo 274/2000.

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NUCERA Massimo e PANZIERI Maurizio

Assolti con formula dubitativa, chiedono l’assoluzione piena.

Argomentano l’ammissibilità dell’appello ex Cass. SS.UU. n. 20 del 30/10/2003, secondo la quale eccezionalmente quando l’accertamento del fatto compiuto in sede penale potrebbe pregiudicare le situazioni giuridiche in altri giudizi civili e amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari, sussiste interesse per l’imputato prosciolto a proporre appello.

Nel merito sostengono provata la verità dell’episodio dell’aggressione a mezzo coltello: non vi sono discordanze sostanziali fa le versioni fornite dal Nucera; né vi è contrasto fra le stesse e quanto riferito da Panzieri, posto che il nucleo centrale dei fatti riferiti è rimasto sempre immutato.

L’interesse all’impugnazione risiede nella futura azione civile per diffamazione a mezzo stampa che gli appellanti avevano intenzione di proporre in relazione ad articoli apparsi su “La Repubblica” nel quale si descrivono le falsità dell’episodio in questione.

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IL GIUDIZIO D’APPELLO

Nella fase degli atti preliminari il Procuratore Generale, che aveva proposto appello anche nei confronti di FABBROCINI Alfredo, assolto dal Tribunale da tutte le imputazioni ascrittegli, con dichiarazione depositata il 20/05/2009 rinunciava a tale impugnazione; conseguentemente la Corte con ordinanza del 28/09/2009 dichiarava l’inammissibilità dell’appello e l’esecutività dell’impugnata sentenza quanto alla posizione del predetto Fabbrocini.

Alla prima udienza del 20/11/2009, verificata la costituzione delle parti, la Corte ordinava la notifica del decreto di citazione a tutte le parti civili non appellanti, nonché la rinnovazione della notifica del decreto di citazione nei confronti dell’imputato Fazio Luigi, di due difensori e di alcune parti civili.

Successivamente la Corte, con ordinanze che qui vengono richiamate, decideva alcune questioni preliminari sollevate dalle difese degli imputati e del responsabile civile:

all’udienza del 18/12/2009 respingeva le eccezioni formulate in riferimento alla  partecipazione al dibattimento, quali Sostituti del Procuratore Generale, dei Sostituti Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Genova (che avevano sostenuto l’accusa in primo grado) applicati ex art. 570 c.p.p., nonché alla esatta identificazione nel decreto di citazione di alcune parti civili. Alla medesima udienza del 18/12/2009 veniva stralciata la posizione dell’imputato Burgio Michele, in precedenza erroneamente dichiarato contumace, e si disponeva nuova notifica del decreto di citazione al medesimo Burgio; a tale udienza iniziava la relazione sulla causa;

alla successiva udienza del 10/02/2010, verificata la regolarità della citazione dell’imputato Burgio, sul consenso delle parti il suo procedimento veniva riunito a quello principale; terminava la relazione sulla causa, e le difese formulavano alcune eccezioni sulle quali la Corte riservava la decisione;

all’udienza del 17/02/2010 veniva data lettura dell’ordinanza riservata, relativamente al regime di utilizzabilità contra alios delle dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati ed alle istanze di rinnovazione parziale del dibattimento al fine di esperire l’esame di alcuni imputati;

quindi iniziava la discussione delle parti che con le repliche finali si protraeva fino all’odierna udienza, nella quale la Corte decideva l’appello come da dispositivo di cui era data pubblica lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

LE QUESTIONI PRELIMINARI

In primo luogo debbono essere  affrontate  le questioni preliminari sollevate dalle parti negli atti di impugnazione e nella discussione orale, relativamente alle questioni civili.

-               E’ priva di fondamento in fatto la sollecitazione del Procuratore Generale ad utilizzare le dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati anche “contra alios”, in assenza del consenso a tale utilizzazione, perché ricorrerebbe la situazione prevista dall’art. 500, comma 4° c.p.p. richiamata dall’art. 513, 1° comma c.p.p. (“violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità”) sub specie di “minaccia” che avrebbe indotto gli imputati a rifiutare di sottoporsi ad esame dibattimentale, con la speculare alternativa sollecitazione a sollevare questione di legittimità costituzionale del sistema normativo ove interpretato nel senso ostativo all’applicazione delle citate norme.

Gli elementi elencati dal P.G. a sostegno della tesi dell’esistenza di un clima di intimidazione all’interno del Corpo di Polizia che avrebbe determinato la scelta degli imputati che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere non sono significativi in tal senso; l’eventualità che le dichiarazioni potessero coinvolgere le responsabilità dei superori gerarchici è elemento dalla valenza ambigua, perché la ritrosia al riguardo ben potrebbe essere dettata anche da convinta solidarietà piuttosto che da timore; analoga valutazione deve essere compiuta con riferimento a tutte quelle circostanze indicative di ostacoli incontrati dagli inquirenti nell’accertamento della verità (mancata identificazione di uno dei sottoscrittori del verbale di arresto, mancata identificazione - se non dopo la conclusione del giudizio di primo grado - dell’agente ripreso mentre menava fendenti all’interno della Diaz, detto “coda di cavallo” ecc.), elementi che dalla stessa pubblica accusa non senza fondamento sono stati evidenziati a denuncia dell’atteggiamento di malintesa solidarietà di corpo fronteggiata durante le indagini, come tale antitetica al ritenuto clima di intimidazione; che il teste Guaglione Pasquale, al quale effettivamente si deve la conferma che le bottiglie molotov sequestrate come reperti all’interno della scuola Diaz provenivano in realtà da altro luogo, reputi di essere stato l’unica “testa caduta” per essere stato discriminato (ma non è detto come) e per i rapporti personali in seguito instauratisi con i colleghi appare veramente poco, soprattutto perché lo stesso Guaglione ha premesso che “L’Amministrazione comunque credo che sia stata sempre corretta nei miei confronti”.

Anche la richiesta di acquisire gli atti di indagine compiuti dal Comitato paritetico parlamentare deve essere respinta, essendo il materiale probatorio acquisito nel corso del dibattimento di primo grado ampiamente sufficiente a decidere la causa.

-               L’Avvocatura dello Stato, per il Ministero dell’Interno, ha eccepito (in atto di appello quanto a Troiani, ed in discussione orale quanto a Gava) che il responsabile civile non è stato citato nel procedimento n. 1079/08 Trib. a carico di Troiani Pietro e Gava Salvatore per i reati di falso, e che successivamente alla riunione di tale procedimento a quello principale non vi è stata estensione della domanda eventualmente proposta da altre parti. L’eccezione deve essere respinta; da un lato la stessa si presenta palesemente tardiva ai sensi dell’art. 491 c.p.p. in quanto ogni questione inerente la citazione e l’interevento del responsabile civile deve essere proposta a pena di decadenza subito dopo compiuto l’accertamento della costituzione delle parti in primo grado (mentre nulla ha eccepito in quella sede il Ministero dell’Interno con riferimento alle costituzioni di parte civile nei confronti di Troiani e Gava con richiesta di condanna in solido del responsabile civile al risarcimento dei danni); dall’altro lato l’eccezione è infondata nel merito perché la irritualità della mancata citazione è sanata con la costituzione di parte civile nei confronti del responsabile civile presente in dibattimento, attuandosi la regolare instaurazione del rapporto processuale civilistico con le modalità del codice di procedura civile e quindi anche con l’intervento nel processo mediante il deposito in udienza della comparsa di costituzione (Cass. 3° sez pen. n. 10900 del 22/06/1990, principio generale applicabile anche nel nuovo rito processuale penale).

-               L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità degli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale con riferimento alle imputazioni di calunnia per carenza di specifici motivi di impugnazioei quanto all’elemento psicologico del reato, a nulla rilevando i motivi proposti con riferimento all’imputazione di falso, non discendendo automaticamente dalla responsabilità per il falso anche quella per la calunnia. L’eccezione è infondata. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale a pagina 78 dell’atto di appello ha espressamente lamentato la mancanza di motivazione nella sentenza impugnata a sostegno della assoluzione dalle imputazioni di calunnia, richiamando espressamente le proprie tesi in fatto e diritto sostenute nel corso del dibattimento di primo grado e riepilogate nella memoria scritta conclusiva alle pagine da 488 a 499 alla quale è stato fatto integrale riferimento; pertanto sul punto l’appello è tutt’altro che generico, avendo richiamato esplicitamente, seppure per relationem, tutte le argomentazioni sostenute in primo grado che il Tribunale avrebbe totalmente omesso di prendere in considerazione (e di fronte del motivo di impugnazione incentrato sulla omessa pronuncia, non si vede come possano essere altrimenti specifici i motivi di appello se non richiamando integralmente le argomentazioni di primo grado ritenute completamente obliterate). In ogni caso, poco più avanti, a pagina 79 il Procuratore della Repubblica lamenta la mancata considerazione della circostanza che alcuni degli arrestati non erano presenti all’interno della scuola Diaz, malgrado il contrario sia stato falsamente sostenuto nei verbali di perquisizione e di arresto, circostanza che a detta dell’appellante avrebbe dovuto essere valutata anche perché significativa del dolo della calunnia, in quanto attestante la consapevolezza in capo agli imputati della innocenza degli accusati.

Anche il Procuratore Generale ha affrontato nel suo appello il tema della calunnia, richiamando a pagina 39 la decisione della Corte di Cassazione sulla imputazione coatta a carico di Troiani e Gava e rimarcando come non poteva che esservi consapevolezza che la consegna, anche nelle sole modalità ammesse,  di un corpo di reato di cui si aveva l’obbligo di giustificare l’apprensione e la detenzione, portava alla creazione di un collegamento inesistente fra i soggetti sottoposti a perquisizione perché occupanti l’edificio scolastico e il corpo di reato.

-               L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito nella corso della discussione orale che le imputazioni di falso sarebbero state contestate con riferimento alla fattispecie semplice, e non aggravata dalla natura fidefacente degli atti asseritamente falsi, mancando ogni esplicito riferimento lessicale e/o normativo all’aggravante di cui all’art. 476, 2° comma c.p.. Come anche recentemente ribadito dalla Suprema Corte (Sez. 5, Sentenza n. 11944 del 05/12/2008 – 18/03/2009) “La contestazione dell'aggravante prevista dall'art. 476 c.p., comma 2, relativa al fatto che la falsità riguardava un atto facente fede fino a querela di falso, deve ritenersi essere avvenuta regolarmente. Il richiamo che l'art. 479 c.p. fa dell'art. 476 c.p. ai fini della individuazione della pena, comprende anche il secondo comma che disciplina l'aggravante. Nel capo di imputazione l'atto contenente la falsità è stato esattamente identificato e se esso, a seguito della qualificazione giuridica fatta dal giudice, viene ad essere ritenuto come atto pubblico munito di fede privilegiata, l'aggravante è regolarmente contestata, anche se non c'è stata una specifica menzione della particolare natura dell'atto o il richiamo dell'art. 476 c.p., comma 2.” (in precedenza Cass.  Sez. 5, Sentenza n. 38588 del 16/09/2008 “Ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, né l'indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l'imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l'aggravante. (Fattispecie in tema di circostanza aggravante "ex" art. 476, comma secondo, cod. pen.). Consegue che il tema proposto non involge una questione preliminare in senso stretto, ma involge la valutazione di merito circa la fondatezza dell’accusa e la qualificazione giuridica degli atti indicati nei capi di imputazione, al fine di verificare se gli stessi sono muniti della caratteristica della fede privilegiata necessaria per ravvisare l’aggravante di cu al 2° comma dell’art. 476 c.p.; e tale analisi verrà svolta in prosieguo quando sarà affrontato il merito della contestazione.

-               L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità degli appelli proposti relativamente all’imputazione di peculato a carico di Gava Salvatore per assenza di specifici motivi, soprattutto in considerazione del fatto che la condotta di appropriazione sarebbe stata tenuta da altri operatori di Polizia. L’eccezione è infondata perché il tema è affrontato espressamente dal Procuratore della Repubblica a pagina 106 del suo appello, ove censura la tesi difensiva fatta propria dal Tribunale secondo la quale il Gava si sarebbe fermato al secondo piano dell’edificio Pascoli, senza avere così cognizione dei fatti accaduti ai piani superiori. L’appellante, nel richiamare le argomentazioni sostenute in primo grado circa la presenza di numerosi riscontri al fatto che Gava avesse visionato tutti i piani della scuola, argomenta che in tal modo la sua responsabilità anche per fatti compiuti da terzi, quali il peculato, emerge dalla omissione di qualunque intervento repressivo malgrado la consapevolezza piena di quanto stesse accadendo. La Corte è quindi legittimamente e ritualmente investita dell’onere di cognizione anche su tale questione.

-               L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità dei due appelli proposti dal Genoa Social Forum, sostenendo che dopo la proposizione del primo appello si sarebbe consumato il potere di impugnazione, con conseguente inammissibilità del secondo appello. L’eccezione è infondata, in quanto come stabilito dalla Suprema Corte (Cass. pen sez. 4° n. 40275 del 28/09/2006) “finché non sia interamente decorso il termine per proporre la impugnazione, la medesima parte processuale (sia imputato, parte civile o responsabile civile) che presenti ulteriori motivi, non incorre nel limite della presentazione di motivi aggiunti ex art. 585 c.p.p., comma 4, e quindi vincolati ai capi e ai punti dell'originario atto di gravame (Cass. Sez. 4, 2.2.2005 n. 3453, Nwobodo ed altri; Cass. Sez. 2 4.11.2003 n. 45739, Marzullo). Infatti, per i motivi aggiunti o nuovi di cui all'art. 585 c.p.p., comma 4 il termine di presentazione è fino a quindici giorni prima dell'udienza, e il loro scopo è quello di meglio illustrare le ragioni di gravame già dedotte, nel caso anche con argomenti nuovi, ma che non travalichino i capi e i punti dell'originario atto di gravame. La presentazione, invece, di un ulteriore atto di gravame nei termini previsti dall'art. 585 c.p.p., commi 1 e 2, incontra il solo limite del riferimento al contenuto o all'omissione di contenuto del provvedimento impugnato, non essendo logico, ne' previsto da alcuna norma che la sollecita e anticipata presentazione dell'atto di impugnazione pregiudichi in maniera definitiva la proposizione di questioni che la parte aveva ancora diritto di proporre per censurare la decisione gravata, non essendo scaduto il termine, nella specie, per l'appello; diversamente si apporrebbe un illegittimo limite alla cognizione del procedimento di impugnazione, pur in presenza di gravami tempestivamente proposti. Poiché entrambi gli appelli proposti dal GSF (il primo nei confronti di Canterini Vincenzo, Fournier Michelangelo, Tucci Ciro, Lucaroni Carlo, Zaccaria Emiliano, Cenni Angelo, Ledoti Fabrizio, Stranieri Pietro e Compagnone Vincenzo, il secondo nei confronti di Burgio Michele e Troiani Pietro) sono tempestivi e concernono diversi vizi della sentenza di primo grado, anche il secondo appello è ammissibile.

-               L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità della impugnazione proposta dalla parte civile Fassa Liliana nei confronti degli appellanti principali Ministero dell’Interno, Canterini Vincenzo, Burgio Michele e Troiani Pietro perché, tardivo quale appello principale, era inammissibile quale appello incidentale in quanto, avendo per oggetto la doglianza circa il mancato riconoscimento del proprio diritto al risarcimento dei danni malgrado la condanna penale degli imputati predetti, era estraneo ai punti della decisione oggetto dell'appello principale. Ha replicato sul punto la difesa della Fassa Liliana argomentando che riguardando i motivi di impugnazione proposti dagli imputati non solo la loro responsabilità penale ma anche la riforma della pronuncia di primo grado ai fini civili e, comunque, in base all’effetto estensivo dell’impugnazione  dell’imputato ai sensi dell’art. 574 c.p.p., il proprio appello incidentale era ammissibile.

L’eccezione è in questo caso fondata. La domanda civilistica proposta dalla Fassa  Liliana è stata respinta non perché gli imputati nei cui confronti era stata proposta siano stati assolti, bensì perché il Tribunale ha ritenuto, malgrado l’affermazione di responsabilità penale, che la Fassa Liliana non fosse titolare di danno risarcibile quale parente della parte offesa dai reati. È evidente che su tale punto della decisione gli appelli degli imputati sono del tutto indifferenti, posto che gli stessi hanno contestato la propria responsabilità penale e le conseguenti condanne civilistiche statuite a favore delle altre parti civili, non avendo certo interesse né legittimazione a disquisire sulla sussistenza in capo alla Fassa di danno risarcibile. Tale capo della decisione che è autonomo e non dipende dalla affermazione di responsabilità penale, doveva essere autonomamente e tempestivamente impugnato dalla Fassa, perché la statuizione di cui ella si duole ed i suoi presupposti sarebbero rimasti immutati a seguito del solo appello principale degli imputati e del responsabile civile. Analogamente non può operare alcun effetto estensivo dell’impugnazione degli imputati ex art. 574 u.c. c.p.p. perché questo si verifica con riferimento alla condanna al risarcimento e alle restituzioni, condanna che nel caso di specie a favore della Fassa non è stata pronunciata. Né, infine, la Fassa può invocare l’effetto estensivo delle impugnazioni proposte dalle altre parti civili e dalla pubblica accusa, che non riguardano il tema dell’esistenza del danno riflesso in capo alla medesima.

Consegue che l’appello incidentale proposto da Fassa Liliana deve essere dichiarato inammissibile.

-               La difesa dell’imputato Gava nella memoria del 17/03/2010 ha eccepito l’inammissibilità degli appelli della pubblica accusa con riferimento ai capi U) e V) per gli stessi motivi enunciati dal responsabile civile. L’eccezione  è infondata per i motivi sopra esposti a rigetto della identica eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato, posto che a pag. 106 del suo atto di appello il Procuratore della Repubblica ha argomentato le proprie ragioni di impugnazione con riferimento ad entrambi i capi di imputazione sopra riportati.

-               I difensori degli imputati Troiani e Burgio hanno eccepito l’inammissibilità dei motivi di impugnazione relativi all’entità della pena inflitta, quanto all’appello del Procuratore della Repubblica perché la memoria aggiuntiva datata 30/03/2009 che ne tratta è tardiva e contiene motivo nuovo rispetto a quelli sviluppati nell’appello tempestivo; quanto all’appello proposto dal Procuratore Generale per genericità del motivo. L’eccezione è infondata perché nel punto III del suo appello il Procuratore Generale ha ampiamente argomentato la richiesta di aumento delle pene per tutti gli imputati evidenziando la gravità dei fatti, la qualifica soggettiva degli imputati, l’eco negativa dei fatti in oggetto anche a livello internazionale, e censurando il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, nonché il giudizio di bilanciamento operato dal Tribunale. La Corte, pertanto, è ritualmente investita anche della cognizione relativamente all’entità del trattamento sanzionatorio nei confronti di tutti gli imputati.

L’IRRUZIONE NELLA SCUOLA DIAZ - PERTINI

La vicenda in esame può essere compiutamente valutata esaminando le fasi della genesi dell’operazione, delle modalità di organizzazione, e delle concrete modalità di svolgimento.

GENESI DELL’OPERAZIONE

Al riguardo la ricostruzione operata dal primo giudice mediante il riferimento principalmente alla deposizione del Prefetto Andreassi non è oggetto di censura da alcuna delle parti appellanti sotto il profilo della maturazione della decisione, mentre è stata criticamente valutata dal Procuratore della Repubblica in ordine alla ricostruzione di alcuni fatti posti a fondamento della decisione stessa ed al giudizio complessivo da attribuire a tale fase con riferimento agli accadimenti successivi.

Può dirsi così pacifico in causa che il sabato 21 luglio 2001, quando la manifestazione ufficiale del vertice “G8“ era terminata, così come erano finite le manifestazioni delle numerose organizzazioni dissenzienti, dal Capo della Polizia giunse la direttiva di affidare al Dott. Gratteri del Servizio Centrale Operativo il compito di effettuare perquisizioni, in particolare presso la scuola Paul Klee (ove si sospettava si fossero rifugiati appartenenti al gruppo violento di tipo Black Bloc), mentre nel pomeriggio giunse a Genova, sempre mandato dal Capo della Polizia, il Prefetto La Barbera (originariamente coindagato nel presente procedimento, e poi deceduto) per dirigere le operazioni, in particolare la predisposizione di c.d. “pattuglioni” con il compito di perlustrare la città alla ricerca dei Black Bloc. Il fine di tali direttive era chiaro ed è stato ben compreso dal Prefetto Andreassi così come da tutti gli altri protagonisti delle riunioni preparatorie dell’irruzione tenutesi in Questura: si doveva riscattare l’immagine della Polizia, che nei giorni precedenti era sembrata inerte di fronte ai gravissimi episodi di devastazione e saccheggio cui era stata sottoposta la città, e a ciò doveva provvedersi mediante arresti; era quindi necessaria una attività più incisiva per la quale erano stati mandati da Roma funzionari apicali che, evidentemente, subentravano a tal fine a quelli locali di Genova. (dep. Andreassi “La direttiva di affidare l’incarico al dr. Gratteri preludeva a mio parere a voler passare ad una linea più incisiva con arresti, per cancellare l’immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e devastazione…. Il capo della polizia voleva che venissero fatti dei pattuglioni, affidati non alla polizia locale, ma a funzionari della squadra mobile e dello SCO.  I pattuglioni erano diretti a trovare ed arrestare i black bloc”; dep Colucci, allora Questore di Genova “Certamente ero piuttosto condizionato dalla presenza dei vertici della polizia; capii che l’intervento era ben gradito…”).

La modalità tecnica scelta per intervenire è stata la perquisizione ad iniziativa di P.G. ex art. 41 TULPS. La scelta dell’obiettivo è caduta sulla scuola Diaz a seguito dell’episodio della aggressione al convoglio di veicoli della Polizia in Via Cesare Battisti nei pressi del predetto edificio scolastico, e di quella che è stata ritenuta la conferma della fondatezza del sospetto di presenza di armi (o meglio di black bloc e, quindi, di armi) indicata nella telefonata intercorsa far il Capo della DIGOS Dott. Mortola e KOVAC, coordinatore del GSF.

Ritiene la Corte che le finalità dell’iniziativa assunta dal capo della Polizia e la forma tecnico-giuridica adottata (perquisizione) debbano essere unitariamente valutate per la loro intima connessione al fine di comprendere la condotta tenuta dagli operatori di Polizia nel predisporre ed eseguire l’operazione di ingresso nella scuola Diaz. L’esortazione ad eseguire arresti, di per sé considerata, anche fosse indicativa di rimprovero implicito per precedente colposa inerzia, sarebbe stata comunque superflua, essendo in ogni caso gli operatori di P.G. tenuti ad eseguire gli arresti nella ricorrenza dei presupposti di legge dettati nel codice di rito (tralasciate le ipotesi di arresto facoltativo, estranee alla gravità dei fatti in questione). E poiché i fatti di devastazione e saccheggio erano ormai conclusi non era evidentemente immaginabile eseguire arresti in flagranza a tale titolo, sì che la perquisizione alla ricerca di armi era lo strumento tecnico giuridico più idoneo per procedere ad eventuali arresti in caso di effettivo reperimento di armi.

Ma anche per procedere alla perquisizione non è sufficiente un sollecito da parte del Capo della Polizia, bensì occorre pur sempre il sospetto della presenza di armi illegalmente detenute.

La sperimentazione di tale tecnica operativa al mattino presso la scuola Paul Klee, ove erano avvenuti arresti dei presenti con l’imputazione di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di devastazione e saccheggio, ma con esito processuale del tutto negativo, essendo stati tutti gli arrestati messi in libertà o direttamente dal GIP o dallo stesso P.M. poco dopo, se da un lato costituisce conferma che i vertici della Polizia avevano individuato in tale strumento giuridico l’unica possibilità di procedere ad arresti di massa di presunti Black Bloc, dall’altro, visto l’esito processuale, lungi dal costituire conferma della buona fede degli odierni imputati in ordine ai reati di falso, calunnia e arresto illegale, costituiva ineludibile precedente storico che determinava la consapevolezza che l’operazione di perquisizione locale in un edificio pubblico come una scuola e l’eventuale sequestro di armi non potevano condurre all’attribuzione generalizzata ed indistinta a tutti i presenti dell’illegittima detenzione delle armi, necessitando la contestazione dei relativi reati la indicazione di precisi elementi di fatto individualizzanti in ordine alle singole condotte ascritte a ciascun arrestato. Ciò che rileva in questo processo di tale precedente non è infatti la mancata contestazione ai poliziotti partecipanti a quella operazione degli stessi titoli di reato per i quali è oggi giudizio (evenienza non valutabile in questa sede alla quale quel procedimento è estraneo) quasi che tale circostanza integrasse una sorta di “patente” abilitativa a ripetere comportamenti analoghi, quanto piuttosto l’esito processuale dell’operazione che quale fatto storico indiscutibile avrebbe dovuto condurre a rimeditare le modalità di utilizzo del predetto strumento tecnico (perquisizione ad iniziativa) al fine di eseguire legittimi arresti.

Il binomio “esortazione ad eseguire arresti” e scelta dello strumento “perquisizione ex art. 41 TULPS” conduce a ritenere che l’ampio margine di discrezionalità che connota la decisione di procedere alla perquisizione deve essere apprezzato non tanto sotto il profilo della legittimità formale dell’operazione, quanto sotto quello delle modalità esecutive della stessa.

Il Tribunale e le parti hanno a lungo disquisito sull’episodio dell’aggressione della pattuglia in via Cesare Battisti che ha determinato la decisione di procedere alla perquisizione alla scuola Diaz, e sulla conferma della fondatezza del sospetto di presenza di appartenenti al Black Bloc che sarebbe stata fondatamente tratta dal tenore della conversazione telefonica intercorsa fra Mortola e Kovac; all’esito il Tribunale ha ritenuto di dover affermare la legittimità della decisione di procedere alla perquisizione.

Ritiene la Corte che tale valutazione di legittimità sia irrilevante ai fini di accertare la responsabilità per i capi di imputazione in questione, e che i temi sopra indicati debbano essere analizzati al fine di stabilire quali realistiche ipotesi erano formulabili da parte dei vertici della forze di polizia e, conseguentemente, se le modalità esecutive dell’operazione siano state coerenti o meno con tali ipotesi.

Esaminando il fatto dell’aggressione della pattuglia che è transitata per via Cesare Battisti, la Corte rileva che nel contrasto sulle opposte versioni fornite dagli imputati e dai testi appartenenti alla Polizia, da un lato, e da numerosissimi altri testi, dall’altro, la conclusione che può trarsi è quella in definitiva sposata anche dal Tribunale, e cioè che al passaggio del convoglio di quattro mezzi, di cui gli ultimi due con le insegne di istituto, numerose persone presenti in strada nei pressi del cortile della Diaz proferirono insulti all’indirizzo degli agenti, e venne lanciata una bottiglietta probabilmente di vetro. La smentita alla versione più grave fornita da alcuni agenti di Polizia secondo i quali ci sarebbe stato un tentativo di ribaltare il “Magnum” e sarebbero stati lanciati oggetti vari, tra cui sassi, e talmente pesanti che uno avrebbe infranto un vetro blindato, si rinviene nella deposizione del teste dott. COSTANTINI, medico del tutto estraneo a qualsiasi organizzazione tanto dei black-bloc quanto dei c.d. no global (egli ha riferito del lancio di una bottiglia, desunto peraltro solo dal rumore dell’infrangersi dell’oggetto di vetro, ed ha escluso assolutamente lanci di oggetti d’altro tipo; ha escluso anche colpi portati a distanza ravvicinata dalle persone che erano a più immediato contatto con le vetture, e richiesto di ulteriori particolari, ha precisato di aver osservato molto attentamente la scena, proprio perché il passaggio forzoso di due auto tra la folla era certamente pericoloso e poteva provocare danni alle persone), e dell’agente Weisbrod Daniela, del Reparto Prevenzione Crimine Campano di Napoli, facete parte della pattuglia in questione a bordo del terzo veicolo (Subaru con insegne), la quale ha riferito: ”non hanno aperto gli sportelli, io avevo il finestrino aperto perché fumavo in macchina, non hanno lanciato roba, facevano... così, come rivolta, cioè cercavano di incuterti paura, non è che c'hanno sballottato, io avevo la Subaru, la Subaru non aveva niente di anomalo… comunque, si sono spostati, quando è partita la macchina davanti si sono spostati.”

La Corte non condivide l’assunto sostenuto dal Tribunale secondo il quale il predetto episodio, come sopra ricostruito, possa “aver indotto i dirigenti delle forze dell’ordine a ritenere che in tale scuola non si trovassero soltanto manifestanti pacifisti, no global, vicini al GSF, ma anche facinorosi e appartenenti al c.d. black block” in quanto i numerosi giovani autori dell’aggressione erano “evidentemente provenienti dalla scuola Diaz Pertini”.

L’argomentazione soffre di alcune carenze nella logica consequenzialità che dovrebbe sostenere il sillogismo. Assume preliminare rilevanza la collocazione  temporale dell’episodio che, contrariamente a quanto riferito della comunicazione di notizia di reato, è accaduto non alle ore 22,30, bensì fra le ore 20,00 e le ore 21,00; ciò emerge dal concorde tenore delle deposizioni dei presenti (Paoletti Marisa Rosa, Cravero Clara, Carboni Massimiliano, Nanni Matteo, Di Pietro Ada Rosa, Alberti Massimo, Wagenschein Kirsten, Bria Francesca, Testoni Laura, Valenti Matteo Massimo, Ghiara Malfante, Messuti Raffaele) nonché dal fatto che tempo dopo tale fatto, a seguito della prima riunione tenutasi in Questura, intervenne la telefonata fra Mortola e Kovac, telefonata che tale ultimo teste colloca tra le ore 21,00 e le ore 21,30.

Consegue che l’episodio in questione avvenne almeno tre ore prima dell’ingresso della scuola Pertini (secondo la cronologia dei fatti cui si farà in seguito più ampio riferimento); per cui, se anche si volesse istituire un certo legame spaziale fra i giovani che insultarono la pattuglia e la scuola Diaz (ma allora, per coerenza, non solo con la scuola Pertini ma anche con la Pascoli) per il solo fatto che in quel momento gli stessi si trovavano nei relativi cortili, tuttavia in mancanza di altri elementi nulla autorizzava a pensare che gli stessi soggetti, ritenuti “evidentemente” provenienti dalle scuole (come se ciò istituisse un legame di appartenenza spaziale significativo dal punto di vista delle responsabilità soggettive) si sarebbero trovati tre ore dopo all’interno dell’istituto.

Il secondo salto logico che inficia il predetto sillogismo consiste nel ritenere che i giovani facinorosi, per il solo fatto di aver aggredito verbalmente la pattuglia, potessero essere considerati appartenenti al c.d. Black Bloc. Occorre al riguardo fare chiarezza sulla locuzione Black Bloc e sulla attribuibilità della relativa qualifica soggettiva. Il termine Black Bloc non individua una particolare e specifica associazione di soggetti, ma solo una tecnica di guerriglia adottata da estremisti che intendono manifestare violentemente il loro dissenso rispetto a eventi o simboli del sistema capitalista: si tratta di una tecnica sorta in Germania e utilizzata in diverse occasioni in altri stati, quale in particolare gli Stati Uniti d’America. Al di là del modus operandi che in qualche modo individua tale tecnica, l’unico elemento soggettivo che ne accomuna i fautori è l’uso di abbigliamento e di maschera neri, da cui il nome della tecnica. Ciò premesso risulta evidente che non esiste una sorta di “tipo di autore” definibile Black Bloc, e come tale individuabile senza ombra di dubbio per il solo colore dell’abbigliamento usato. In altri termini gli autori delle devastazioni e saccheggi compiuti a Genova durante il vertice G8 del 2001 erano riconoscibili come tali o perché colti nella flagranza dei relativi reati, o, secondo le ordinarie regole di valutazione della prova indiziaria, per il concorso di elementi oggettivi sintomatici della responsabilità, fra i quali il colore nero dell’abbigliamento o il possesso di maschere nere hanno un ruolo certamente utile ma non risolutivo.

Tornando all’episodio dell’aggressione alla pattuglia, le motivazioni che l’hanno determinato potevano essere le più disparate (non ultima il fastidio di un assembramento di persone per essere attraversati da una pattuglia della polizia che “disturbava” apparentemente senza motivo e, quindi, soggettivamente anche con intento provocatorio), sì che in mancanza anche di quell’elemento minimo tipico individualizzante costituito dall’abbigliamento nero (giustamente non menzionato dal Tribunale perché non verificato) l’episodio di per sé non consentiva di identificare gli autori della violenza come Black Bloc, intesi quali autori delle violenze dei giorni precedenti (per la verità un teste appartenente alla Polizia, Crispino Domenico, ha riferito che i ragazzi “erano vestiti di scuro”, ma il manifesto pudore che ha impedito di dire che erano vestiti di nero, circostanza non riferita da nessuno degli altri numerosissimi testi, priva di qualsivoglia significato tale annotazione).

Il secondo fatto da valutare sotto il profilo della scelta di eseguire la perquisizione presso la scuola Diaz è costituito dalla telefonata intercorsa fra Mortola e Kovac, ulteriore elemento apprezzato dal Tribunale come giustificazione del sospetto che nella scuola vi fossero appartenenti al Black Bloc e, quindi (si desume per logica non per espressa argomentazione) armi illegalmente detenute. Il contrasto fra le versioni fornite dai due protagonisti dell’evento, desumibile dal contenuto delle dichiarazioni riportate nella sentenza appellata ed alla quale si rinvia per speditezza, è stato risolto dal Tribunale attribuendo maggiore credibilità alla versione dell’imputato Mortola piuttosto che a quella del teste Kovac. L’operazione ermeneutica di per sé non è impossibile ma, a fronte del vincolo che lega il testimone a dire la verità, e alla piena facoltà dell’imputato di mentire senza conseguenze, necessita di robusta e approfondita argomentazione ancorata a solidi riscontri oggettivi. Di tali caratteristiche, viceversa, è priva l’argomentazione sostenuta dal Tribunale, che si fonda sostanzialmente su un vero e proprio pregiudizio in danno del teste Kovac. Tale deve essere valuta l’affermazione del Tribunale secondo la quale la smentita del Kovac di aver riferito al Mortola che il GSF non aveva più il controllo delle persone presenti nella scuola Diaz è inattendibile perché “se anche il Kovac avesse in effetti espresso qualche riserva circa le persone che si trovavano all’interno della Pertini, ovvero sull’effettivo controllo di tale stabile da parte del GSF, ben difficilmente, dopo quanto accaduto, l’avrebbe ammesso”. In sostanza il primo giudice attribuisce la patente di inattendibilità al Kovac addirittura in via eventuale (“se anche avesse espresso…” e quindi preventiva cioè, con espressione non elegante ma significativa, “a prescindere”. Il paradosso è evidente: il Tribunale non afferma che la deposizione del Kovac contiene affermazioni contrarie al vero, ma sostiene che Kovac sarebbe comunque inattendibile qualsiasi cosa abbia detto allora a Mortola, per cui finisce per privilegiare la tesi dell’imputato.

In secondo luogo è errata l’interpretazione fornita dal Tribunale alle dichiarazioni testimoniali rese da Kovac; egli, dopo aver riferito di aver ricevuto la telefonata del dott. Mortola con la quale gli si chiedevano notizie sull’utilizzo delle due scuole Pertini e Pascoli e su chi fosse presente all’interno, ed aver risposto che alla Pascoli c’era l’ufficio stampa e alla Pertini l’internet point e alcune decine di persone che dormivano (in quanto ivi giunte da altri punti di raccolta non più agibili a causa del violento temporale del venerdì precedente), insospettito della telefonata ne chiese il motivo al Mortola; questi riferì l’episodio del lancio della bottiglia alla pattuglia in transito per Via Cesare Battisti, al che il Kovac si rivolse all’interlocutore con la frase “non fate cazzate” alla quale Mortola rispose “no, no, stai tranquillo”. Continua la deposizione Kovac riferendo che in tal modo si era conclusa la telefonata, aggiungendo “e io, devo dire, con il senno di poi, colpevolmente, non gli diedi grande peso”, e più oltre “Cercai a lungo di capire se nella prima telefonata con il dr. Mortola potessi aver detto qualcosa che avesse potuto influire su quanto accaduto; mi sentivo responsabile per la mia inazione dopo la telefonata, per non aver avvisato che poteva arrivare una perquisizione; potevano far venire giornalisti e parlamentari; mi rimproverai di essermi fidato della parola del dott. Mortola”.

Argomenta il Tribunale da tale ultimo inciso che evidentemente il Kovac doveva aver detto qualcosa che aveva messo in sospetto il Mortola circa la presenza delle persone nelle due scuole, tanto da pentirsi in seguito, visto l’accaduto, di quanto aveva detto in tale telefonata. In realtà il senso della frase riferita dal Kovac è un altro: egli si rimprovera di essersi fidato della parola del Dott. Mortola “no, no stai tranquillo” e di non aver ipotizzato che l’incomprensibile interesse manifestato sulle due scuole motivato con il riferimento all’episodio dell’aggressione potesse preludere ad un intervento della polizia; lo scrupolo di interrogarsi se per caso inavvertitamente avesse detto qualcosa che potesse aver determinato l’intervento non significa aver ammesso nulla di quanto il Tribunale inferisce, e cioè di aver comunicato al Mortola che le due scuole non erano più sotto il controllo del GSF. Anche perché tale circostanza è stata negata recisamente dal Kovac, argomentandola con la oggettiva presenza in loco di tutti i rappresentanti delle varie organizzazioni affiliate al GSF, per cui noi avrebbe avuto alcun senso riferire una circostanza così contraria alla realtà. Anche la risposta data alla domanda del P.M. se esso Kovac poteva escludere di aver dichiarato che la situazione all’interno della scuola Pertini non era più sotto il loro controllo è stata mal interpretata dal Tribunale: la risposta “Non posso … posso ribadire quello che ho detto prima, cioè non ho detto questa cosa anche perché le due scuole sono esattamente una di fronte all’altra, a distanza, forse, di 20 metri, l’una dall’altra e appunto, tutti i maggiori responsabili, non so come dire, dirigenti se vogliamo dire così, del Genoa Social Forum, in quel momento, si trovavano lì” non consente di interpretare quel primo “non posso” seguito nella trascrizione dai punti di sospensione come una risposta definitiva equiparabile a “No, non posso escludere di aver detto ciò”: in realtà, sia perché la frase è rimasta in sospeso, sia perché la prosecuzione immediatamente successiva è di segno diametralmente opposto (“cioè non ho detto questa cosa…”) non può attribuirsi alla deposizione del Kovac il significato di una ammissione circa l’aver riferito a Mortola che il GSF non aveva più il controllo delle due scuole. Né, infine, alcuna valenza utile a giustificare l’opinione che i dirigenti della polizia si sarebbero formati, può desumersi dal fatto che venne comunicato al Mortola che persone già ricoverate in altri punti di raccolta avevano raggiunto la scuola Pertini per ivi trascorrere la notte, in quanto non  si vede come da tale informazione potesse desumersi la presenza di “Black Bloc“ all’interno dell’edificio.

La successiva attività di verifica compiuta dall’imputato Mortola, che si recò in motocicletta nei pressi della scuola e ritornò riferendo che vi erano numerosi giovani vestiti di scuro che bevevano birra ed avevano aria pericolosa, per la sua estrema genericità e per la soggettività dell’impressione sulla “pericolosità” non è significativa di nulla; in particolare non poteva sfuggire ad esperti vertici della Polizia, ed in  particolare ad uno studioso dei movimenti violenti quali il Dott. Luperi, che i Blak Bloc si manifestano nella loro “divisa” da combattimento solo durante le azioni violente (appunto per farsi riconoscere e rivendicarle), ma non certo quando stazionano tranquillamente per le pubbliche vie (ammesso e non concesso che si radunino in pubblico per fini non violenti).

Il Tribunale, poi, a ulteriore sostegno della fondatezza del sospetto di presenza di armi nella scuola, cita deposizioni che sono state assunte dopo i fatti ed informazioni che comunque non erano state oggetto di valutazione organica a fini investigativi, tanto che l’unica motivazione alla scelta di eseguire la perquisizione contenuta negli atti e sostenuta dalle difese in causa è sempre stata esclusivamente l’aggressione alla pattuglia in Via Cesare Battisti.

In conclusione, e tornando al tema iniziale delle ipotesi formulabili in relazione alle due predette circostanze (l’assalto alla pattuglia ed il colloquio fra Mortola e Kovach che, occorre ricordarlo, secondo la tesi della Polizia sono state le uniche ad aver determinato la scelta di operare la perquisizione alla Diaz) il sospetto che all’interno dei due edifici scolastici potessero esserci appartenenti al c.d. “Black Bloc” e, quindi, armi era particolarmente labile, potendosi al massimo ipotizzare che alle persone legittimamente presenti nella scuola Pertini (che la Pascoli continuasse ad essere sede del GSF era pacifico) si fossero aggiunte altre persone non immediatamente identificate dai responsabili del GSF. Ciò che sicuramente non risulta vero è quanto affermato nella comunicazione di notizia di reato, e cioè che il Dott. Mortola avrebbe accertato che “la struttura era occupata da numerosi elementi appartenenti all’area dell’antagonismo più estremo, riconducibili ai gruppi responsabili di alcune azioni violente realizzate nella stessa giornata ed in quella precedente”. Neppure lo stesso imputato Mortola nel corso delle sue dichiarazioni ha mai sostenuto di aver compiuto un accertamento del genere, né ha indicato con quali modalità investigative sarebbe giunto ad apprendere che all’interno delle scuole vi fossero soggetti ai quali potesse essere attribuita la responsabilità delle violenze compiute in precedenza.

Non solo, ma a tutto concedere alle tesi difensive, ed in conformità persino con la affermazione testé esaminata contenuta nella CNR, non era assolutamente ipotizzabile neppure con infimo grado di probabilità che all’interno dei due edifici scolastici vi fossero solo ed esclusivamente soggetti appartenenti all’area dell’antagonismo violento responsabili dei saccheggi e delle devastazioni, e ciò con riferimento non solo alla scuola Pascoli, sede delle associazioni di legali e medici, dei mezzi di informazione e delle altre strutture organizzative del GSF, ma anche per la Pertini, che continuava ad essere “internet point” e centro “dormitorio” per i manifestanti che provenivano da altre strutture.

In definitiva seppure in astratto il sospetto di presenza di armi non potesse escludersi in modo assoluto (dal che, come si anticipava, la legittimità dell’iniziativa volta a verificare la fondatezza del sospetto) in concreto non era eludibile da parte dei vertici della Polizia la constatazione che non si potevano accumunare in via preventiva e presuntiva tutti i presenti all’interno dei due edifici sotto la qualifica di “appartenenti all’area dell’antagonismo più violento” e che pertanto il binomio perquisizione - arresti rendeva assolutamente necessario organizzare dal punto di vista strategico e poi in concreto eseguire l’operazione di perquisizione in modo coerente con tale premessa.

Come si vedrà analizzando le modalità di preparazione e soprattutto di esecuzione della perquisizione tale coerenza è mancata, e l’analisi delle cause di tale incoerenza sarà indispensabile per valutare tutte le imputazioni.

MODALITÀ DI PREPARAZIONE DELL’OPERAZIONE

Costituisce dato indiscusso nel processo, quasi un assioma, che l’operazione dovesse svolgersi con una prima fase definita di “messa in sicurezza” e di una successiva fase che costituiva l’operazione di polizia giudiziaria vera e propria, cioè la perquisizione alla ricerca di armi.

Seppure possa intuirsi che in via ipotetica si dovesse provvedere a fronteggiare eventuali situazioni di pericolo, tuttavia nessuno fra testi ed imputati è stato in grado di chiarire in cosa sarebbe consistita in dettaglio tale operazione di “messa in sicurezza”, chi l’aveva studiata, quali direttive erano state date agli operatori di polizia per svolgere tale incarico, e soprattutto come si sarebbe dovuta svolgere tale operazione considerata la sua strumentalità alla successiva perquisizione.

Deve infatti osservarsi che non poteva sfuggire alla competenza dei vertici apicali della Polizia di Stato che eseguire una perquisizione in edifici scolastici, per di più temporaneamente adibiti a dormitorio, è cosa ben diversa che perquisire una privata dimora. Se nel caso di privata dimora è fisiologico attribuire le detenzione di eventuali cose illegali al detentore della dimora (per il connaturale potere di controllo che esercita), e/o ai soggetti ivi trovati presenti al momento della perquisizione (pur con le dovute cautele ben note in tema di mera connivenza) in base a elementari nessi di collegamento fra spazio e condotte tenute dai singoli, non altrettanto può dirsi nel caso di perquisizione di ampio edificio pubblico temporaneamente adibito al soggiorno di moltissime persone prive di legami reciproci fra loro e di legami giuridicamente significativi con l’ambiente spaziale che li circonda.

Malgrado tale evidente constatazione avrebbe dovuto presidiare la scelta delle modalità operative della perquisizione, non solo non risulta che il problema sia stato posto ed in qualche modo affrontato, ma è provato in positivo che le modalità di esecuzione avevano tutt’altra finalità che quella di garantire il buon esito della perquisizione. Ci si riferisce all’episodio, ancora nel processo orgogliosamente rivendicato dall’imputato Canterini quale metodo che avrebbe evitato di ferire i presenti, secondo il quale nella seconda riunione operativa tenutasi in Questura il predetto Canterini, incaricato con i suoi uomini della “messa in sicurezza”, aveva proposto di intervenire immediatamente con i gas lacrimogeni per far uscire tutti dall’edificio e poi procedere con la perquisizione; la proposta di Canterini è stata respinta perché giudicata troppo aggressiva, e non, come avrebbe dovuto essere in vai prioritaria, perché in tal modo, usciti tutti i presenti dall’edificio, la perquisizione sarebbe stata inutile non potendosi attribuire ai singoli presenti la detenzione di eventuali armi non portate addosso. L’episodio prelude significativamente a quanto in effetti sarebbe successo, e cioè all’arresto indiscriminato di tutti i presenti con attribuzione indistinta a tutti della detenzione illecita di armi trovate all’interno dell’edificio. Le intenzioni degli organizzatori della perquisizione tradiscono il sopravvento dell’esortazione ad eseguire arresti sulla verifica del buon esito della perquisizione stessa.

Ulteriori elementi significativi sulla preparazione dell’operazione si rinvengono:

a)            nell’elevato numero di operatori impiegati, che non è mai stato possibile appurare con certezza, ma che secondo la difesa di Canterini ed altri si aggira intorno a 346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici; quella che icasticamente lo stesso Canterini a definito “una macedonia di reparti mobili”, vedendo gli uomini schierati davanti alla Questura prima della partenza per l’operazione. Tali operatori erano equipaggiati in assetto antisommossa, con caschi, sfollagente, manganelli e foulard che coprivano il viso;

b)            nella manovra “a tenaglia” elaborata per avvicinarsi al plesso scolastico che, sito lungo la Via Cesare Battisti che procede da sud a nord, sarebbe stato raggiunto dalle forze di Polizia divise in due corpi, guidati dagli scout genovesi Mortola e Di Sarro, provenienti dalle opposte direzioni mare e monti; con previsione della cinturazione degli edifici da parte dei Carabinieri per evitare fughe.

c)             nella mancata indicazione della modalità operativa alternativa al lancio dei lacrimogeni proposto da Canterini;

d)            nell’omessa indicazione di quali fossero le “regole d’ingaggio” impartite agli operatori.

Complessivamente tutte caratteristiche che denotano l’assetto militare dato all’operazione e la incongruenza fra le modalità organizzative dell’operazione e le ipotesi legittimamente formulabili in riferimento ad una perquisizione ex art. 41 TULPS, confinate alla possibile presenza di qualche soggetto violento all’interno delle scuole e, quindi, forse anche di qualche arma.

LE MODALITÀ DI ESECUZIONE  DELL’OPERAZIONE

Difficilmente in un processo è dato riscontrare un complesso di elementi probatori orali (deposizioni testimoniali) e documentali (riprese audio e video, tabulati telefonici, registrazioni di telefonate) tanto nutrito come quello che in questo processo documenta la fase di esecuzione dell’operazione di perquisizione nelle scuole Pertini e Pascoli. E ciò è tanto vero che tranne un solo difensore (per il quale tutto è stato legittimo, in quanto le persone all’interno degli edifici erano pericolosi e pluripregiudicati attivisti violenti che hanno compiuto gravi atti di resistenza sì da costringere gli operatori di Polizia a reagire energicamente), nessuno degli imputati pone in dubbio che l’esito dell’operazione sia stato l’indiscriminato e assolutamente ingiustificabile pestaggio di quasi tutti gli occupanti, come del resto ritenuto dal Tribunale. Ne è ulteriore conferma la constatazione che le difese non si incentrano sulla negazione dell’accadimento dei fatti di lesione, ma sull’attribuzione ad altri della responsabilità di tale illecita condotta.

Come anticipato, i numerosissimi operatori si divisero in due colonne che giunsero separatamente in Via Battisti avanti le due scuole: una guidata dall’imputato Mortola proveniente da nord giunse per prima, l’altra, guidata dall’imputato Di Sarro giunse un po’ dopo da sud (per carenza di comunicazione fra le due guide dovuto a difetto di un telefono cellulare).

Immediatamente giunta da nord la prima colonna si verificarono le prime aggressioni verso cinque persone inermi che erano fuori della scuola (fatti oggettivamente certi in causa);

a seguito della chiusura del cancello del cortile della scuola Pertini e del portone di ingresso, venne decisa l’irruzione, con lo sfondamento del cancello mediante un veicolo di servizio, l’accesso al cortile, lo sfondamento del portone principale e poi di quello laterale, e l’ingresso degli operatori nell’edificio (fatti oggettivamente certi in causa);

seguirono le violenze agli occupanti dell’edificio ed il successivo trasporto dei feriti agli ospedali (fatti oggettivamente certi in causa).

I fatti accaduti all’esterno, ed alcuni di quelli accaduti all’interno e visibili attraverso le finestre illuminate della scuola, sono documentati da numerose riprese video eseguite da cittadini abitanti nei pressi e da manifestanti che si trovavano di fronte nella scuola Pascoli, oltre che, successivamente, da operatori di network televisivi. Tali riprese audio-video, effettuate da angolazioni diverse ed in tempi diversi, sono state oggetto di consulenza da parte del P.M., delle parti civili e degli imputati, al fine di essere coordinate nel tempo fra loro e con le registrazioni audio, nonché al fine di ottenere la sicura successione cronologica dei fatti e l’ora di rispettivo accadimento.

La Corte condivide la scelta del primo giudice di ritenere del tutto attendibile la consulenza espletata per conto delle parti civili (i cui esiti sono sostanzialmente sovrapponibili a quella fatta eseguire dal P.M. ai Carabinieri del RIS). Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di un gruppo di imputati la consulenza in questione non si fonda sull’esame dell’ora segnata da un orologio portato da una persona ripresa in un filmato; viceversa, essendo a disposizione del consulente le tracce video e i tabulati delle chiamate telefoniche, il coordinamento fra le immagini e le telefonate al fine di giungere alla collocazione esatta nel tempo dei fatti ripresi nei filmati è avvenuto correlando l’immagine dell’imputato Luperi che risponde alla chiamata telefonica proveniente da La Barbera, mentre altro soggetto contestualmente ripreso, identificato nell’agente Alagna, era al telefono, con i tabulati dei due soggetti contemporaneamente al telefono (Luperi ed Alagna); l’unica telefonata alla quale risponde Luperi quando è in corso quella di Alagna è quella iniziata alle ore 00.41.33. In tal modo, avuta la certa collocazione nel tempo di tale episodio, è stato possibile dapprima raggruppare i video dello stesso evento ripresi da punti diversi confrontando la posizione di soggetti noti rispetto ad oggetti fermi presenti nei video stessi, e poi, a partire dal video della telefonata di cui sopra, è stato possibile stabilire la successione cronologia di tutti i filmati mediante l’individuazione di eventi visivamente apprezzabili (come il lampo di un flash) presenti in più riprese.

Sulla base di tale elaborato il Tribunale ha ritenuto che l’arrivo delle forze di Polizia in  Piazza Merani sia avvenuto alle ore 23.57.00 (orario desumibile anche dalla trasmissione in diretta di radio GAP, perché è in quel momento che il programma in corso viene bruscamente interrotto per dare notizia del’arrivo della Polizia in assetto antisommossa),che l’ingresso dei reparti di Polizia operanti all’interno del cortile della scuola sia avvenuto alle 23.59.17 (visibile lo sfondamento del cancello del cortile mediante il mezzo del Reparto Mobile di Roma nel rep. 175), e che l’apertura del portone centrale in legno sia avvenuta alle ore 00.00.15 (visibile dai rep. filmati n. 175 e n. 239), meno di un minuto dopo l’ingresso nel cortile.

Il Tribunale ha ampiamente argomentato il motivo per cui la diversa prospettazione cronologica offerta dalla difesa (Avv. Corini) non sia attendibile, e sul punto le critiche mosse con la memoria illustrativa depositata in questo grado sono generiche, in quanto si limitano a riproporre le tesi del primo grado. In particolare la difesa non prende posizione sulla convincente argomentazione sostenuta dal Tribunale secondo la quale le telefonate effettuate dall’assistente Burgio quali emergenti dai tabulati in atti sono molteplici nell’arco della stessa fase temporale, e la difesa non ha fornito giustificazione logica e verificabile del motivo per cui la telefonata riferibile al video preso in considerazione sarebbe proprio quella scelta a confutazione delle risultanze delle CT del P.M. e delle parti civili.

Ma, soprattutto, osserva la Corte che la tesi della difesa è destituita di fondamento perché la telefonata che si assume fatta dal Burgio al Troiani alle ore 00.34 del 22 luglio non ha riscontro alcuno nei tabulati relativi alle due utenze cellulari in uso al Troiani; non esiste quindi, come invece avviene con le consulenze del P.M. e delle parti civili, il riscontro del tabulato di altra utenza che consenta di identificare con certezza la telefonata ripresa nel video e, quindi, di attribuirle l’ora esatta di effettuazione che deve risultare dai due tabulati.

Ciò premesso in ordine alla cronologia dei fatti, occorre esaminare i primi episodi di violenza verificatisi sulla pubblica via ancora prima dell’ingresso della Polizia nel cortile della scuola Pertini.

Il Tribunale ha descritto la gravissima aggressione subita dal giornalista inglese Mark Covell riportando la sua deposizione, ed al riguardo non vi sono temi in contestazione circa le modalità della violenza: il teste, che si trovava all’interno della scuola Pertini, verso le 23,45 sentì un italiano, entrato di corsa, dire qualcosa con riferimento ad una retata. Con un giornalista tedesco, di nome Sebastian, Covell cercò di rientrare nella Pascoli e così uscì di corsa dalla Pertini; i due si fecero aprire il cancello del cortile, che in quel momento era chiuso, e uscirono sulla strada; egli sentì un forte rumore provenire dalla sua destra ma pensò di riuscire a completare l’attraversamento; l’amico Sebastian vi riuscì, ma dalla destra sopraggiunse un gran numero di poliziotti; la prima fila colpì il teste con i manganelli; egli riuscì a restare in piedi e ad arrivare a metà della strada prima di essere colpito nuovamente. Vi era anche oltre alla prima fila di poliziotti una persona che dava ordini; poi tutto avvenne velocemente: venne circondato; egli urlava “stampa”, ma un poliziotto, agitando il manganello, disse in inglese “tu non sei un giornalista, ma un black bloc e noi ammazzeremo i black bloc”. Covell venne colpito ripetutamente da quattro poliziotti con gli scudi, spinto indietro verso il muro di cinta della Pertini. Egli cercò di correre verso il lato sud della strada ma non c’era modo di fuggire. Venne colpito con i manganelli sulle ginocchia e cadde a terra; iniziò a temere per la propria vita. Un poliziotto lo colpì alla spina dorsale e gli diede alcuni calci; quindi altri poliziotti si unirono a picchiare provocando la frattura di otto costole e della mano. Venne poi preso da dietro e riportato dove si trova all’inizio da un poliziotto, che controllò le pulsazioni al polso e cercò quindi di evitare che venisse ancora colpito; in tale frangente il teste riuscì ancora a vedere un camioncino della Polizia che sfondava con due manovre il cancello della Pertini; un poliziotto arrivò da sud e colpì nuovamente il teste, questa volta in faccia, sì che Covell perse diversi denti; dopo un ulteriore colpo sulla testa svenne.

L’attribuzione della responsabilità di tale gravissimo episodio di violenza è rilevante ai fini di qualificare l’operazione di perquisizione e di valutare la condotta dei partecipanti.

La tesi delle difese degli imputati è che, come aveva riferito in un primo tempo lo stesso Covell, l’episodio sia da attribuirsi a condotta dei Carabinieri, chiamati a partecipare all’operazione per eseguire la cinturazione dei luoghi. Il Tribunale, dal canto, suo ha concluso che non è risultato quali forze dell’ordine abbiano agito e chi ne fosse al comando.

Il teste Covell ha fornito una convincente spiegazione del motivo per cui nelle sue prime dichiarazioni ha fatto riferimento ai “carabinieri” e poi al dibattimento abbia chiarito trattarsi invece di poliziotti; egli, come tutti gli stranieri, non era a conoscenza della distinzione tipica del nostro paese fra Carabinieri e Polizia e solo il suo difensore lo ha informato al riguardo. Così, rivisti i filmati e le diverse divise, ha potuto in dibattimento precisare il suo ricordo, oltretutto molto onestamente riferendo di aver comunque visto divise con la scritta “carabinieri”. E la circostanza risponde a verità (integrando ulteriore elemento di conferma della attendibilità del teste), posto che è pacifico che quando era tramortito a terra per i numerosi colpi ricevuti, e prima di svenire, venne avvicinato da un Carabiniere, il tenente Cremonini Luigi, comandante del 4° Battaglione C.C. Veneto, che constatatene le gravi condizioni ne riferì all’imputato presente Gratteri, il quale lo esortò a tornare ai suoi compiti perché l’ambulanza era già stata chiamata.

In secondo luogo non risponde al vero che contestualmente all’arrivo della prima colonna di poliziotti in Via Battisti ci fosse anche un contingente di Carabinieri.

Il sottotenente Del Gais ha riferito che, incaricato della cinturazione, giunse avanti il cortile della Pertini dopo la Polizia, tanto che appena arrivato comunicò ad un funzionario della Polizia il motivo per cui egli e i suoi uomini erano lì, e cioè provvedere alla cinturazione; egli con il suo reparto si posizionò alla destra guardando il cancello di accesso al cortile della Pertini.

Il tenente Cremonini ha precisato che i comandanti CC convocati in Questura  erano stati lui e Del Gais; che dovevano seguire l’ultima colonna della Polizia; che per mancanza di spazio lasciarono i loro veicoli lontano dall’ingresso; che procedette a piedi di corsa per arrivare prima possibile seguendo il funzionario di polizia che indicava la strada; che giunse davanti alla scuola quando il cancello del cortile era già stato sfondato; che vide la persona a terra ferita e ne parlò con Gratteri; che l’altro contingente “Campania” arrivò ancora dopo.

Dalla descrizione dell’aggressione subita emerge che Covell mentre attraversava la strada dalla scuola Pertini verso la scuola Pascoli, quindi da est verso ovest, venne aggredito dapprima da operatori provenienti dalla sua destra, quindi da nord, e da ultimo da soggetto proveniente da sud. Da nord proveniva il primo dei due gruppi di poliziotti guidati dall’imputato Mortola. Tale imputato non ha riferito di essere stato sopravanzato dai Carabinieri mentre con passo spedito si dirigeva verso la scuola Pertini; l’imputato Ferri, che era con i suoi uomini nelle prime file del gruppo proveniente da nord, ha riferito che davanti a sé c’erano gli uomini del Reparto Mobile che andavano di corsa e così si avvicinarono all’edificio.

Nel filmato che riprende l’arrivo delle forze di Polizia in piazza Merani e poi in via Battisti all’ora in cui è avvenuta l’aggressione a Covell non si coglie la presenza di alcun Carabiniere.

Consegue con ampio margine di certezza che i Carabinieri giunsero da sud e, comunque, quando ormai l’aggressione a Covell era già stata compiuta; gli autori di tale vile massacro non possono che essere stati appartenenti alla Polizia di Stato.

Nessun dubbio, poi, può sussistere sulla paternità delle altre condotte aggressive tenute fuori delle scuole prima dell’ingresso nel cortile della Pertini, così ricostruite: Scribani Giuseppe, Tizzetti Paolo e Nanni Matteo, ciascuno in situazioni di ingiustificata coazione fisica in relazione alle circostanze documentate dagli stessi filmati: Scribani viene condotto con un braccio serrato al collo e mantenendogli il braccio dietro la schiena lungo Via Battisti sino in P.zza Merani, mentre Nanni e Tizzetti sono ammanettati e fatti inginocchiare, insieme ad altri, in una via laterale, quindi sdraiati per terra all’angolo con Via Battisti (su tale circostanza e sulle modalità di tali vessazioni ha deposto anche il testimone Tognazzi Riccardo all’udienza dell’8.3.07). Tutti costoro hanno senza ombra di dubbio indicato in appartenenti alla polizia gli autori delle condotte ai loro danni.

Il teste Frieri ha così descritto la propria aggressione: “Arrivarono quattro poliziotti con jeans e pettorina con la scritta “Polizia”. Io dissi subito “Stampa, stampa”. I poliziotti si volsero vero il loro dirigente, chiedendo che cosa dovessero fare e alla risposta di proseguire, iniziarono a colpirci con i manganelli dalla parte del manico finché non caddi a terra. Il pass mi venne strappato e non fu più ritrovato; mi vennero poi chiesti i documenti ed io diedi la mia tessera di consigliere comunale. Il poliziotto rimase stupito e mi disse: “Che cazzo ci fa lei qui?”. In precedenza mi avevano detto: “Che cazzo scrivete voi bastardi?”. Arrivò poi un dirigente, presumo lo stesso di cui ho detto prima che aveva autorizzato i poliziotti a proseguire, che mi disse che si erano sbagliati.  I poliziotti venivano dall’alto (da piazza Merani)”.

Le riprese video documentano lo sfondamento del cancello, l’accesso al cortile, lo sfondamento del portone principale e poi di quello laterale, quindi l’ingresso degli operatori nella scuola Pertini.

L’esito dell’irruzione è indiscusso in causa:

tutti i presenti all’interno (e all’esterno) della scuola (93 soggetti) sono stati arrestati con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie;

87 di questi hanno riportato lesioni (lesioni craniche lacero contuse, verranno obbiettivate nei referti di Albrecht Daniel Thomas, Sibler Steffen, Kutschau Anna Julia, Barringhaus Georg, Chimiliewski Michail, Giovanetti Ivan, Hermann Jochen, Kress Holger,  Reichel Ulrich, Schleiting Mirko, Schmiederer Simon, Zehatschek Sebastian);

due, Melanie Jonasch e Mark Covell, hanno corso pericolo di vita;

la situazione era talmente grave che lo stesso imputato Fournier quando al dibattimento si è deciso ad ammettere la reale entità dei fatti, per descriverli ha usato l’espressione “macelleria messicana”.

Le modalità con le quali sono state perpetrate le violenze sono state descritte da tutte le parti offese e sono ampiamente desumibili dalle deposizioni riportate per esteso nella sentenza di primo grado: non appena entrati nell’edificio, tutti gli operatori di polizia si sono scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero fermi con le mani alzate, e senza sentire ragione alcuna (né per l’età avanzata, né per l’atteggiamento remissivo, né per la rivendicazione della qualifica di giornalisti) hanno colpito tutti con i manganelli, con i c.d. “tonfa”, con pugni e calci; il tutto urlando insulti e minacciando di morte. Qualcuno anche mimando atti sessuali all’indirizzo di una giovane ferita ed inerme a terra (esame dibattimentale di Fournier).

Si presenta particolarmente significativa la deposizione di Albrecht Daniel Thomas, il quale ha riferito: “mi svegliò un mio amico, dicendomi che c'era la Polizia. Mi alzai e dalla finestra vidi che tutta la strada era occupata da macchine della polizia. Mi rivestii e con i miei amici ci dirigemmo nel corridoio, dove si trovavano anche altre persone, circa una ventina; avevamo molta paura; si sentivano urla e forti rumori. Una signora che non conoscevo disse "restiamo fermi con le mani alzate" e così facemmo, ponendoci in fila lungo le pareti del corridoio. I poliziotti arrivarono, salendo le scale con passo accelerato; nessuno di noi  scappò e non c'era "casino". Urlavano qualcosa e ci facevano segno di sederci. Vennero poi nella mia direzione e ponendosi davanti ai singoli, li picchiavano con forza e senza alcuna fretta. Io stesso fui colpito sulla testa ed anche  sulle braccia perché cercavo di proteggermi. I poliziotti avevano guanti imbottiti e colpivano anche con pugni e calci. Andavano avanti ed indietro, colpendo tutti. Urlavano "bastardi" ed altri insulti che io non comprendevo. Io era sdraiato in terra, vicino a me vi era una pozza di sangue che io perdevo dal braccio, dalla bocca e dalla testa” Da tale narrazione si evince senza ombra di dubbio che non si è trattato solo di un manifestazione eclatante di violenza esplosa irrazionalmente quasi espressione animalesca di bassi istinti repressi che trovavano finalmente sfogo; al contrario, si è trattato di fredda a calcolata condotta, cinicamente perpetrata con metodo sadico.

La paura ed il panico creato fra gli astanti sono stati così elevati che alcuni hanno perso il controllo degli sfinteri, come confermato dal sopralluogo effettuato il giorno successivo dai Carabinieri, che hanno attestato la presenza di materiale fecale in  terra.

La condotta violenta è stata così poco improvvisata che, a conferma di quanto riferito da alcuni testi circa la presenza di mazze da baseball utilizzate dai poliziotti, nel filmato Rep. 24. P2 al minuto 04,00 si può notare un agente in divisa della polizia che ripone nel vano portabagagli di una vettura non d’istituto una mazza o un bastone, aggiungendola ad altre già presenti nel vano: le modalità dell’azione e l’uso di vettura privata escludono che si trattasse di dotazioni ufficiali in uso alla Polizia o di reperti sequestrati, perché in nessuno dei due casi sarebbero stati riposti con aria clandestina su vettura privata.

L’attendibilità delle dichiarazioni rese dalle parti offese è riconosciuta dal Tribunale sulla base di numerosi presupposti; la concordanza fra i contenuti sostanziali di tutte le dichiarazioni, la mancanza di possibilità di preventivo accordo, trattandosi di soggetti delle più disparate nazionalità espulsi dal territorio dello Stato nell’immediatezza dei fatti (e al riguardo la possibilità di scambio di notizie su internet non costituisce certo prova di preordinazione nel contenuto delle dichiarazioni), le conferme oggettive date dai riscontri documentali (riprese audio video, situazione dei luoghi dopo gli eventi, rappresentata dalle numerose fotografie scattate dai Carabinieri, nelle quali si evidenzia drammaticamente la presenza di sangue fresco praticamente in ogni locale della scuola, a confutazione della vergognosa tesi che le ferite sarebbero state riportate nei giorni precedenti).

Tuttavia il Tribunale non manca di manifestare qualche dubbio, ingeneroso quanto infondato, sul tenore complessivo delle dichiarazioni rese dalle parti lese, e finisce con  l’affermare che, come sostenuto dagli operatori di polizia, qualche episodio di violenta resistenza sarebbe stato compiuto ai danni degli operatori.

Tralasciando per il momento l’episodio dell’aggressione all’agente Nucera, del quale si dirà ampiamente in seguito, non senza rilevare in questa sede che per il Tribunale è impossibile accertare se si sia o non si sia verificato (per cui non si vede come possa costituire conferma di resistenze compiute all’interno della scuola), osserva la Corte che le parti lese sono del tutto attendibili anche quando hanno riferito di aver avuto tutte atteggiamenti remissivi e passivi, essendosi addirittura fermate o sedute a braccia alzate, alcune con i documenti in mano, invocando “non violenza”. Le deduzioni contenute nelle relazioni di servizio stilate dagli operatori intervenuti sono assolutamente generiche, e sono state predisposte, a richiesta dell’imputato Canterini, ad alcuni giorni di distanza dai fatti, dopo che sui mezzi di informazione era scoppiata la polemica sull’esito dell’operazione (interrogatori di Lucaroni e Compagnone, ed es.). Del resto lo stesso Fournier ha riferito che le colluttazioni alle quali ha assistito erano “unilaterali”, ossimoro efficace per descrivere aggressioni portate dai poliziotti ai danni di soggetti inermi.

In conclusione, anche prima della decisiva pronuncia della Corte di Cassazione a SSUU n. 12067 del 17/12/2009 che ha affermato il principio secondo il quale “Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma primo lett. c), cod. proc. pen. o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione” il Tribunale disponeva già di tutti gli elementi valutativi necessari e sufficienti per ritenere del tutto attendibili le parti offese (nei confronti delle quali le false accuse erano già state archiviate) anche in ordine alla assenza di alcuna violenza o resistenza da parte loro all’interno della scuola.

Per quanto riguarda le fasi anteriori all’ingresso, nessuna resistenza è ravvisabile per il lancio di oggetti o per la chiusura del cancello e dei portoni di legno di accesso all’istituto scolastico, con l’ingenuo accatastamento di alcune panche.

Relativamente al lancio di oggetti, descritto nella CNR come “fitto lancio di pietre ed altri oggetti contundenti”, nel verbale di arresto come “fittissimo lancio di oggetti di ogni genere” e nella relazione di Canterini al Questore come pioggia di “oggetti contundenti ed in particolar modo bottiglie di vetro” è significativo secondo la Corte che nel verbale di arresto tale circostanza sia indicata come rafforzativa della convinzione che all’interno della scuola giovani manifestanti detenessero armi. La assenza di nesso logico fra il lancio di oggetti e la presenza di armi all’interno della scuola rende evidente l’intento di enfatizzare oltre misura fatti che non avevano alcun nesso con la perquisizione ed il sospetto di presenza di armi al fine di rendere in qualche modo giustificabile la decisione di fare irruzione con le modalità sopra descritte.

In ogni caso le emergenze probatorie raccolte escludono che si sia trattato di condotta particolarmente significativa e pericolosa, e che abbia avuto le caratteristiche con le quali è stata descritta negli atti sopra menzionati. Basta rilevare che gran parte della scena dallo sfondamento del cancello, al successivo ingresso nel cortile fino all’apertura del portone è stata ripresa nel filmato in atti, e che lo stesso, pure oggetto di attenta consulenza da parte dei RIS di Parma, non consente di apprezzare la caduta e tanto meno il lancio di oggetti (per cui se caduta vi è stata si deve essere trattato di oggetti di dimensioni insignificanti), come del resto confermato dal fatto che a terra nulla di tal genere è stato poi ritrovato, e che gran parte degli operatori staziona nel cortile senza assumere alcun atteggiamento di difesa o riparo da oggetti provenienti dall’alto (tra questi lo stesso Canterini che non indossa il casco, comportamento che per la sua esperienza di comandante non può essere dettato da leggerezza). Solo nella fase immediatamente precedente l’ingresso nella scuola, dopo l’apertura del primo portone, alcuni operatori portano lo scudo sulla testa, ma la condotta è ambigua, perché nello stesso frangente si vedono altri operatori nelle vicinanze che non  assumono alcun atteggiamento protettivo; inoltre è stata fornita una spiegazione di tale condotta (teste Gabriele Ivo, operatore del Reparto Mobile di Roma) ravvisata in una specifica tecnica operativa di approccio agli edifici, che contempla tale manovra in via cautelativa sempre, anche in  assenza di effettivo pericolo. Né a diversa conclusione può condurre la deposizione dell’infermiere Galanti che con la propria ambulanza giunse in loco e comunicando con la centrale del servizio “118” disse “stanno buttando giù tutto”; secondo la ricostruzione cronologica dei reperti audio e video compiuta dalle parti civili e fatta propria dallo stesso Tribunale, tale conversazione è collocabile alle ore 00.04.00, mentre la fase di stazionamento degli operanti nel cortile fra lo sfondamento del cancello e l’apertura del primo portone della scuola è collocabile fra le ore 23.59.09 e le ore 00.00.17. Consegue che la telefonata in questione è intercorsa circa 4 minuti dopo l’ingresso della Polizia nella scuola, come del resto confermato dallo stesso Galanti, il quale ha riferito che all’interno della scuola c’era già la Polizia e numerosi feriti a tutti i piani, verso i quali era stato richiesto di intervenire prontamente. Consegue che qualunque cosa abbia voluto dire il Galanti con l’espressione “stanno buttando giù tutto” (e non “giù di tutto” come qualche difesa ha riportato) la stessa sicuramente non  si riferiva alla fase in cui gli operanti erano nel cortile.

Sotto tale profilo, quindi, non si ravvisa alcuna resistenza, la quale, in ogni caso, non avrebbe in alcun modo giustificato la successiva condotta di indiscriminato pestaggio di tutti i presenti nella scuola per l’evidente venir meno di ogni eventuale effetto di ostacolo all’espletamento di atti d’ufficio.

Quanto alla chiusura del cancello e dei portoni, deve preliminarmente ricordarsi che l’edificio in questione, in quanto regolarmente assegnato dall’ente proprietario all’associazione consegnataria e destinato al soggiorno e anche al ricovero notturno di privati cittadini, era da considerarsi privata dimora, come tale legittimante interclusa all’eventuale accesso pubblico mediante chiusura dei varchi di apertura.

Ciò premesso, occorre considerare che per configurarsi resistenza a pubblico ufficiale occorre la consapevolezza in capo all’agente di opporsi al compimento di un atto dell’ufficio. Nella fattispecie formalmente l’atto da compiere era una innocua perquisizione, ma è pacifico che in nessun modo gli operatori di Polizia hanno portato a conoscenza degli occupanti della scuola tale intenzione: non è avvenuto alcun tentativo di parlamentare a mezzo altoparlante, come spesso succede in tali occasioni, per verificare l’atteggiamento degli occupanti e saggiare la loro disponibilità a consentire l’accesso, una volta avuta contezza delle motivazioni della presenza in loco della polizia. Al contrario l’irruzione è stata ordinata alla mera constatazione  che il cancello del cortile era chiuso, presumendo che fosse l’unica modalità per accedere in loco; ma tale presunzione esclude la sussistenza del dolo di resistenza non essendo in alcun modo intuibile da parte delle persone all’interno che si intendeva eseguire un atto di polizia giudiziaria.

Ed infatti le modalità di approccio all’edificio, caratterizzate dalla imponente quantità di operatori in assetto antisommossa, con manovra a tenaglia e cinturazione dell’edificio, con le gravissime violenze perpetrate già in strada ai danni di Covell e Frieri, a nessuno avrebbero consentito di ipotizzare che si preannunciava una pacifica operazione di mera perquisizione.[1]

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VALUTAZIONI CONCLUSIVE

Passando, quindi, a valutare i tre aspetti sopra evidenziati della ideazione, della preparazione e della esecuzione dell’operazione, possono trarsi le seguenti conclusioni.

L’ipotesi della presenza di armi all’interno della scuola Diaz - Pertini era scarsamente probabile; ma non potendosi, ovviamente, escludere del tutto la mera possibilità, è stata assunta a giustificazione della intrapresa perquisizione di iniziativa ex art. 41 TULPS al fine di procedere agli arresti sollecitati dal capo della Polizia. Sotto questo profilo, come già si è osservato, l’esperienza della scuola Paul Klee non è stata di ostacolo, con ciò risultando evidente che la priorità seguita in quel momento era la tutela dell’immagine compromessa della Polizia, tutela operabile con una speculare immagine di efficienza, cioè la rappresentazione pubblica dell’arresto di numerose persone sospettate di essere gli autori delle violenze dei giorni precedenti. In tale ottica il rischio che poi gli arrestati venissero scarcerati non ha costituito remora trattandosi di evenienza che in secondo tempo sarebbe stata riferibile alla attività giurisdizionale della magistratura, e non avrebbe inficiato l’impatto mediatico iniziale dell’arresto; significativo in tal senso è l’argomento da ultimo usato da Ferri per convincere Di Sarro, all’inizio perplesso e restio a sottoscrivere il verbale di arresti parendogli “una forzatura” l’arresto in flagranza per associazione, e cioè che “l’auorità giudiziaria sarebbe stata libera di qualificare diversamene i fatti” (interrogatorio Di Sarro del 16/10/2002). E questo è il motivo per cui venne  convocato l’addetto stampa Sgalla ancora prima di sapere l’esito della operazione; tale fatto, lungi dal provare la buona fede degli imputati, come sostenuto dal Tribunale, conferma la finalità mediatica dell’operazione che si intendeva perseguire con determinazione, ancor prima di sapere quale ne sarebbe stato l’esito.

Pertanto può affermarsi con ragionevole certezza che lo scopo primario perseguito era quello di compiere numerosi arresti, e la conferma è data dalle modalità di preparazione  dell’operazione e di sua esecuzione.

Si è visto che il dispiegamento di forze è stato notevole e che era stata prevista un prima fase di “messa in sicurezza”, affidata a Canterini ed ai suoi uomini del VII nucleo, le cui caratteristiche sono rimaste ignote. Non è dato sapere quali direttive operative siano state date al personale, se non quella, del tutto gratuita ed ingiustificata, che all’interno della scuola vi fossero i pericolosi Black Bloc responsabili delle violenze (di tale fuorviante informazione sono stati destinatari persino i Carabinieri Cremonini e Del Gais, e vi è prova della stessa nelle numerose circostanze descritte dagli aggrediti, Covell in testa, i quali hanno riferito che gli aggressori urlavano insulti sostenendo che le vittime erano dei violenti Black Bloc).

Tale carenza di informazioni agli operanti e, anzi, la fuorviante motivazione data agli stessi non hanno giustificazione alcuna anche alla luce delle deduzioni difensive degli imputati; come già visto in precedenza, se anche fosse vero tutto quanto dagli stessi affermato in ordine all’origine della scelta di eseguire la perquisizione alla Diaz, nulla autorizzava a pensare che all’interno della scuola ci fossero solo Black Bloc, per cui era ineludibile la necessità di predisporre le dovute cautele e verifiche al fine di distinguere, una volta all’interno, i pacifici cittadini dai violenti Black Bloc.

Viceversa è stato approntato un apparato “bellico” di notevoli dimensioni, attrezzato con abbigliamento antisommossa, dai volti mascherati e armato di manganelli e di “tonfa” (vere e proprie armi registrare, che se usate in modo improprio, cioè impugnate alla rovescia per colpire con la parte a “T”, sono particolarmente micidiali) e, probabilmente, con qualche ulteriore arma personale (mazze) surrettiziamente introdotta. A tale apparato “bellico” è stata fornita la errata informazione che scopo della missione era arrestare i Black Bloc che si trovavano all’interno delle scuole.

Il binomio “necessità di procedere ad arresti” e la “dotazione al personale di strumentazione necessariamente finalizzata all’uso della forza” avrebbe reso necessario o fornire agli operatori i criteri di intervento necessari al fine di evitare indiscriminate e generalizzate attività repressive (come invece è poi accaduto) o un controllo costante e penetrante da parte dei dirigenti dei vari reparti che impedisse l’uso distorto della forza.

Ma nulla di tutto ciò è stato predisposto, né nelle due riunioni preparatorie in Questura, né sul campo durante l’azione.

Non può stupire, allora, che al primo contatto con soggetti presenti nei pressi delle due scuole si siano immediatamente manifestate ad opera degli operatori di Polizia le prime gravissime ed indiscriminate condotte violente, sadicamente ripetute fino alla perdita dei sensi di Covell, nell’indifferenza generale di tutti i funzionari e dirigenti ivi presenti.

Non può stupire che, invece di parlamentare l’ingresso nella scuola, sia stata decisa l’irruzione (condotta di per sé violenta) lasciando liberi gli “animali”, come qualificati dal La Barbera i poliziotti alle sue dipendenze (interrogatorio del 19/06/02 pag. 105), e che quindi si siano avuti i gravissimi episodi di lesioni all’interno della scuola.

Il Tribunale, per fornire una spiegazione a tale eclatante e generalizzata manifestazione  gratuita di violenza, sorda ad ogni evidenza della inoffensività delle vittime, ha elaborato la teoria secondo la quale “l’inconsulta esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo all’istinto”, propagazione resa possibile da una sorta di accordo preventivo di impunità stipulato con i superiori gerarchici, che avrebbero tollerato qualsiasi condotta illecita. E per argomentare tale teoria il Tribunale è giunto a sostenere che “la sistematicità nelle violenze poste in essere dagli operatori potrebbe anche essere attribuita alla sensazione riportata dalle vittime che, colpite più volte e con notevole forza, come risulta dalle gravi ferite riportate da alcune di loro, potrebbero in effetti aver avuto la concreta e certamente giustificata percezione di un’attività violenta sistematica, anche nel caso in cui in realtà si fosse trattato invece di sequenze di colpi non programmate con precise finalità e modalità.”

Trattasi di argomentazione che tenta di conciliare ciò che non è conciliabile: sistematicità delle violenze come frutto di sensazione delle vittime.

Non si comprende, infatti, perché la valutazione oggettiva delle condotte tenute dagli operatori, cioè le modalità con le quali sono state inferte le ferite, debba essere rimessa alla valutazione soggettiva delle vittime.

Inoltre la tesi dell’insorgenza spontanea (ma il significato del termine “spontaneo” è dubbio, posto che nessuno ha mai sostenuto che gli operatori siano stati indotti alla condotta illecita su impulso esterno) contrasta con le immediate violenze perpetrate all’esterno della scuola ai danni di Covell e di Frieri ancora prima di entrare nell’edificio; contrasta con l’assunto di un preventivo accordo di impunità (la preordinazione seppure implicita e tacita di un accordo confligge con l’origine spontanea ed improvvisa della violenza); contrasta con le modalità della condotta quali descritte dal teste Albrecht Daniel Thomas, caratterizzate da fredda e calcolata violenza, del tutto incompatibile con il “libero sfogo all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto” di cui parla il Tribunale.

In sostanza, secondo la Corte, non è possibile descrivere i fatti in esame come la somma di singoli episodi delittuosi occasionalmente compiuti dagli operatori indipendentemente l’uno dall’altro in preda allo sfogo di bassi istinti incontrollati; al contrario, trattasi di condotta concorsuale dai singoli agenti tenuta nella consapevolezza che altrettanto avrebbero fatto e stavano facendo i colleghi, coerente con le motivazioni ricevute dai superiori gerarchici e con l’esplicito incarico di usare la forza per compiere lo sfondamento e l’irruzione finalizzati all’arresto di pericolosi soggetti violenti, senza alcuna preventiva o successiva forma di controllo sull’uso di tale forza.

La responsabilità di tale condotta e, quindi, delle lesioni inferte, è pertanto ravvisabile in capo ai dirigenti che organizzarono l’operazione e che la condussero sul campo con le modalità e le finalità sopra descritte; trattasi di responsabilità commissiva diretta per condotta concorsuale con quella degli autori materiali delle lesioni, perché scatenare una così rilevante massa di uomini armati incaricandola di sfondare gli accessi e fare irruzione nella scuola con la motivazione che all’interno soggiornavano i pericolosi Black Bloc che i giorni precedenti avevano messo a ferro e fuoco la città di Genova e si erano fatti beffe della Polizia, senza fornire un chiaro e specifico incarico sulla c.d “messa in sicurezza” o alcun limite finalizzato a distinguere le posizioni soggettive, significa avere la certa consapevolezza che tale massa di agenti, come un sol uomo, avrebbe quanto meno aggredito fisicamente ed indistintamente le persone che si trovavano all’interno, come in effetti è accaduto senza alcun segnale di sorpresa o rammarico manifestato da alcuno dei presenti di fronte all’evidenza del massacro.

In tal senso è significativa la presa di distanza dalla decisione di effettuare l’irruzione manifestata dall’allora indagato La Barbera che a suo dire l’avrebbe sconsigliata affermando “…partendo da questo nervosismo che io avevo notato, io avevo intuito, avevo subodorato, certamente le cose non sarebbero andate bene, perché ognuno conosce gli animali suoi dottore…”. Non si sa se apprezzare più il realismo o il cinismo di tale dichiarazione.

La circostanza che precedenti imputazioni a titolo di lesioni nei confronti di vertici della Polizia siano state archiviate non è influente in questo processo, nel quale il materiale probatorio a disposizione è di gran lunga più completo e ricco di quanto fosse all’epoca dell’archiviazione. Analogamente le motivazioni assunte in quella sede non sono vincolanti nel presente giudizio, che può esser fondato su una ricostruzione dei fatti più analitica ed appagante alla luce del numeroso materiale audio video e delle deposizioni in allora non disponibili. In particolare la Corte non condivide l’assunto, fatto proprio anche dal Tribunale, che l’operazione nel suo complesso possa essere suddivisa in due fasi separate e indipendenti, l’ingresso e la ”messa in sicurezza” con le conseguenti lesioni, e la successiva perquisizione ad opera degli ufficiali di P.G. che, non avendo assistito direttamente alle lesioni, non si sarebbero resi conto di quanto era effettivamente successo, ritenendo che i colleghi entrati per primi avessero dovuto fronteggiare una tale resistenza da essere costretti ad infliggere le gravi lesioni ben note.

Seppure corrisponde a verità, come meglio si vedrà in seguito, che dopo l’ordine impartito da Fournier ai suoi uomini del VII nucleo di lasciare la scuola, gran parte delle violenze cessarono, tuttavia dall’esame delle numerose dichiarazioni delle parti lese, anche sul punto concordanti ed attendibili, è emerso sia che alcuni funzionari in  borghese con la pettorina e la scritta “POLIZIA” erano presenti durante la immediata fase del pestaggio, sia che ulteriori fatti di lesioni continuarono a verificarsi anche dopo l’ordine impartito da Fournier di abbandonare la scuola.

Il tema ha centrale importanza con riguardo alle imputazioni di falso e calunnia, ed in tale sede sarà affrontato, ma in tema di lesioni rileva perché la dicotomia fra le due fasi, e quindi la presunta rilevanza dei tempi di ingresso nella scuola sono state utilizzate dalla difesa degli imputati dei reati di lesioni appartenenti al VII Nucleo Antisommossa del I° Reparto Mobile di Roma per contestare la propria responsabilità attribuendola ad operatori di altri corpi che assumono essere entrati prima di loro nella scuola Diaz-Pertini.

Come si è visto analizzando i capi di imputazione, le lesioni nel presente processo sono imputate a Canterini, Fournier e agli altri capi- reparto indicati nel capo H), quali appartenenti al VII nucleo. Che tale corpo fosse stato incaricato della c.d. “messa in  sicurezza” e quindi dell’uso della forza è pacifico in causa, e neppure gli imputati lo contestano; nella seconda riunione operativa tenutasi in Questura allorché si decise l’intervento, Canterini ed i suoi uomini furono incaricati della “sicurezza”, tanto che Canterini, come già visto, propose l’uso dei gas lacrimogeni per sfollare la scuola; il Nucleo, per sua organizzazione operativa, doveva restare compatto nell’assolvimento del compito ricevuto, tanto che la decisione di spezzarlo in due per procedere alla manovra a tenaglia era stata criticata da Canterini, che venne tranquillizzato solo con la garanzia della ricongiunzione in Via Cesare Battisti; il Nucleo era presente davanti al cancello prima che fosse sfondato (interrogatorio di Canterini del 6 e 7 giugno 2007); il primo operatore ad entrare nella scuola non appena sfondato il portone di legno è l’Ispettore Capo Panzieri del VII nucleo, che si è riconosciuto nel video che lo riprende mentre scavalca le panche ammassate dietro il portone ed entra nella scuola; la appartenenza al VII nucleo è contraddistinta da particolare divisa ed abbigliamento (tuta ignifuga con protezioni, cinturone in cordura di colore blu scuro e casco a protezione che si differenziava dagli altri perché in Keplek e quindi si presentava opaco mentre gli altri erano lucidi; un manganello tipo tonfa, dalla caratteristica forma a “T”, come descritto dal teste Gonan Giuseppe all’udienza del 10/01/2007). Come si evince dal reperto video che riprende l’ingresso nel cortile e poi nella scuola, dal momento in cui Panzieri per primo entra nell’edificio a quando praticamente si conclude l’ingresso di tutti gli altri operatori che erano presenti nel cortile trascorrono circa 70 secondi; fra tali operatori sono distinguibili gli appartenenti al VII nucleo che indossano casco opaco e tengono il “tonfa”; Fournier ha riferito di essere entrato tra i primi, (“entrai tra i primi, ma probabilmente non come dissi settimo od ottavo”, “come comandante della forza ritenni opportuno entrare per vedere cosa succedeva” “Con me entrò personale della mia squadra e altro personale”  interrogatorio del 13/06/2007).

In tale quadro, seppure è pacifico che insieme al VII nucleo entrarono anche altri reparti, tuttavia considerato che in 70 secondi erano tutti dentro e che per accedere al piano terra ed ai superiori tre piani della scuola e ferire quasi tutti i presenti occorre un tempo ben più lungo (per le stesse difese almeno 5 minuti), consegue che la tesi secondo la quale il VII Nucleo sarebbe stato scalzato da altri reparti, autori delle lesioni, giungendo in loco quando ormai tutto era concluso, non ha alcun fondamento. A tale oggettiva ricostruzione dei fatti debbono aggiungersi le dichiarazioni delle parti offese che hanno riconosciuto indossata dagli aggressori la tipica uniforme degli appartenenti al VII nucleo, caratterizzata dal cinturone scuro, ben distinguibile da quello bianco indossato da altri reparti.

Ma la partecipazione a pieno titolo del VII Nucleo alla iniziale fase di irruzione e contestuale aggressione fisica nei confronti dei presenti è desumibile da altre significative circostanze. È pacifico in causa che il VII nucleo era dotato di uno speciale sistema di comunicazione, il laringofono, con il quale il comandante Fournier era sempre in diretto contatto audio con i propri uomini, ai quali poteva impartire ordini in tempo reale durante lo svolgimento dell’operazione; allorché Fournier si avvide del corpo esanime della Melanie Jonasch e temette addirittura che fosse morta, urlò agli aggressori “Basta, basta”, quindi intimò immediatamente ai propri uomini con il laringofono di abbandonare la scuola; radunatosi il VII nucleo nel cortile, le violenze vennero scemando, anche se qualche episodio ulteriore continuò a verificarsi.

Su tale condotta possono svolgersi diverse considerazioni:

innanzi tutto appare assai poco probabile che Fournier, nella fase di ingresso nella scuola, non abbia impartito ai suoi uomini (che dovevano agire compatti) ordini ben precisi, ordini che Fournier avrebbe dovuto ritenere necessari in assenza di superiori disposizioni, a detta di tutti non impartite per essersi interrotta la catena di comando: ed il silenzio sul punto da parte di Fournier non può dirsi senza significato;

in secondo luogo l’espressione “Basta basta” usata da Fournier non pare casuale e senza significato: se l’aggressione fisica degli astanti non fosse stata prevista, la reazione immediata avrebbe dovuto comportare un ordine di tipo diverso, quale ad es. “Fermi, cosa fate!!”; viceversa l’uso della parola “basta” è sintomatica del superamento di un limite precedente e l’ordine di interrompere una condotta fino a poco prima quanto meno preventivata; è all’eccesso, con il rischio di conseguenze certamente non volute, che si è opposto Fournier quando ha visto le disperate condizioni della Melanie Jonasch ed ha ordinato “basta”;

in terzo luogo è particolarmente significativo che di fronte alla incontestabile evidenza di una intollerabile degenerazione, la prima reazione di Fournier è stata quella di far uscire i suoi uomini: ma se costoro, come più volte vantato nel processo, erano quegli operatori così addestrati e scelti anche dal punto di vista psicologico per la loro integrità e capacità di mantenere il controllo, e, come sostenuto da Fournier, non erano gli autori delle lesioni già inferte, per quale motivo Fournier li ha fatti uscire dalla scuola, invece che esortarli ad intervenire per impedire ulteriori violenze da parte di altri operatori di altri reparti? È pensabile che la prima reazione sia stata solo quella di una fuga dalla scena per salvare l’onorabilità del proprio reparto a scapito dell’integrità fisica delle persone che si trovavano nella scuola?. In realtà, come lo stesso Fournier non ha potuto escludere, i suoi uomini sono stati sicuramente responsabili delle lesioni inferte, e non a caso dopo l’ordine di uscire dato da Fournier ai suoi uomini, come concordemente riferito da tutti i presenti, l’ondata più feroce di aggressione fisica andò immediatamente scemando, anche se non terminò del tutto, con ciò risultando confermato che gli autori principali delle lesioni erano stati gli appartenenti al VII nucleo. Del resto, ipotizzando l’alternativa della mera tutela dell’onore del corpo, scappare e consentire agli altri di continuare a picchiare gli astanti sarebbe stato da parte dei responsabili della forza e della “messa in sicurezza” (in questa veste identificati da tutti gli operatori presenti) un esplicito lasciapassare e come tale un vero e proprio concorso morale nelle condotte illecite altrui.

Ulteriore e decisivo elemento di prova della responsabilità primaria del comandante e dei capi squadra del VII nucleo è ravvisabile nella circostanza, riferita da Canterini nell’esame dibattimentale del 07/6/2006, che immediatamente dopo essere ritornati nel cortile della Pertini, Fournier disse a Canterini “guardi che io con questa gente qui non ci voglio più lavorare”, espressione che a seguito di contestazione da parte del P.M. si apprende essere stata nel precedente verbale del settembre 2001 “io con questi macellai non ci voglio lavorare”. Sempre Canterini ammette che tale espressione si riferiva all’eccesso della forza fisica da parte dei capisquadra, come è logico che fosse, posto che Fournier non poteva riferirsi che al personale del VII nucleo, non certo a quello dei più disparati reparti provenienti da tutta Italia con i quali non aveva motivo di ipotizzare nuove collaborazioni.

Il quadro complessivo è coerente e non lascia margine a dubbi. Le maggior parte delle gravi lesioni è stata inferta dal VII nucleo, o dai capi reparto direttamente, o dagli uomini alle loro dipendenze; le condotte lesive sono state il frutto dell’incarico ricevuto (irruzione per procedere agli arresti dei “Black Bloc”), incarico eseguito in modo omogeneo e simultaneo da tutti i capi squadra e dai singoli operatori quale unitaria operazione sì da essere tutti consapevoli delle reciproche condotte finalizzate al medesimo risultato. Consegue il pieno concorso fra tutti i capi squadra (anche di Basile che formalmente non aveva squadra alle proprie dipendenze ma che ha operato allo stesso modo degli altri e con gli stessi effetti sulla condotta di tutti gli appartenenti al VII nucleo), nonché fra gli stessi ed i rispettivi sottoposti per la evidente relazione di dipendenza gerarchica che legava la condotta dei capi a quella dei subordinati, tenuti ad agire compattamente e di fatto lasciati liberi di agire senza incontrare divieti o limiti da parte dei capi squadra; ma sussiste anche il concorso fra i capi squadra del VII nucleo e gli autori delle residue lesioni appartenenti a diversi corpi, per la evidente azione di rafforzamento ed istigazione che la condotta del VII nucleo, incaricato della “messa in sicurezza”, ha esercitato sugli altri operatori violenti, che hanno tratto dalla situazione così creata conforto e solidarietà nel loro intento di rivalsa violenta, magari atteso (e sperato come attesta l’uso di qualche arma privata introdotta surrettiziamente).

La responsabilità di Fournier deriva in primis dalla sua qualifica di Comandante del VII Nucleo, e quindi si soggetto che aveva il potere-dovere di dirigere la condotta dei capi squadra e, a scendere nella scala gerarchica, dei singoli operatori. La mancata indicazione degli ordini impartiti ai capi squadra è forte indice della consapevolezza che l’uso della forza era connaturato all’operazione di irruzione ed arresto; la mancata predisposizione di alcuno strumento di controllo sul campo, e la mancata indicazione delle modalità di esercizio della forza, al fine di evitare gli eccessi che si sono verificati, si sono tradotti in una sorta di “carta bianca” data ai capi squadra. L’ordine impartito ai suoi di abbandonare la scuola lascia inspiegato come Fournier potesse ritenere in tal modo di aver adempiuto all’incarico di “mettere in sicurezza” l’edificio, se non attribuendo a tale espressione il significato di neutralizzare tutti coloro che si trovavano all’interno, finalità che presupponeva l’uso indiscriminato della forza senza distinguo alcuno. È ben vero che Fournier è intervenuto a fermare gli aggressori della Melanie Jonasch e ha fatto uscire i suoi interrompendo l’ulteriore corso delle violenze, ma tale intervento è avvenuto solo dopo la commissione delle violenze e per l’evidente travalicamento di ogni limite verso il quale la violenza si stava indirizzando.

Ed infatti la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che allontanarsi dal luogo ove i sottoposti commettono reati non esonera il funzionario preposto da responsabilità ex art. 40 2° comma c.p. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5139 Ud. del 05/04/1995 “In virtù del principio sancito dall'art. 40, capoverso cod. pen. può essere chiamato a rispondere di omicidio preterintenzionale il funzionario di polizia che sia assente dal luogo ove il fatto si è verificato, violando l'obbligo di impedire che la condotta degli agenti sottoposti trasmodasse in ulteriori e gravi violenze nei confronti dell'indagato”).

Quanto alla responsabilità di Canterini valgono in gran parte le considerazioni sopra esposte per Fournier. Quale Comandante del I° Reparto Mobile di Roma in seno al quale era stato costituito il VII Nucleo Antisommossa, Canterini era il diretto superiore gerarchico di Fournier e di tutti gli altri uomini del reparto; scartata la tecnica delle bombe lacrimogene, anche per Canterini, che ha partecipato alla seconda riunione in Questura ove è stata programmata l’operazione, vale la considerazione di non aver esplicitato in qual modo intendesse effettuare la “messa in sicurezza”, per cui rimane l’evidenza oggettiva di aver impiegato il VII nucleo per l’irruzione finalizzata agli arresti senza minimamente programmare alcuna attività strategica, e quindi lasciando liberi gli operatori di usare la forza in massima libertà, malgrado egli fosse presente sul campo e potesse – dovesse provvedere in tal senso avendo continua percezione in tempo reale di quanto stava accadendo; egli è entrato nella scuola ed ha raggiunto Fournier al primo piano ove si è trattenuto fino all’arrivo dell’ambulanza, per cui è transitato per il piano terra vedendo in fondo alla palestra numerosi feriti già radunati (fatto ammesso nell’esame dibattimentale), e non solo non ha manifestato alcuna contrarietà o stupore, ma ha proseguito verso i piani superiori senza intervenie in alcun modo per far cessare le violenze.

La responsabilità di tutti gli imputati di lesioni è accertata, quindi, a titolo di compartecipazione attiva e, anche, per omissione di tempestivo intervento (come pure sarebbe stato possibile, ad es. tramite il laringofono), quindi nel pieno rispetto delle ipotesi formulate nel capo di imputazione, per cui non sussiste alcuna violazione del principio di corrispondenza fra accusa e decisione. È sufficiente ricordare che in materia è risalente e immutato l’orientamento della giurisprudenza secondo il quale “La condotta omissiva di pubblici ufficiali - nella specie due agenti della Polizia di Stato -  consistente nella mancata opposizione alle azioni delittuose in atto e nella successiva omessa denuncia di fatti penalmente perseguibili, è giuridicamente apprezzabile sotto il profilo concausale della produzione degli eventi, e, come tale, equivale a concorso morale nel cagionarli, stante l'imperatività dell'obbligo giuridico inadempiuto (art. 40, secondo comma, cod. pen.) (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1506 Ud. del 06/12/1991). Né risponde al vero che nel contesto del capo di imputazione la menzione della qualifica rivestita dagli imputati abbia la funzione di limiatre la contestazione ai rapporti di ciascuno con i propri sottoposti appartenenti alla squdra, perché tale lmitazione non è desumible neppure implicitamente; la menzione della qualifica rivestita è funzionale solo a indicre a quale titolo gli imputati erano presenti e ad evidenzire la competenza professione e la titolarità di funzione direttiva idonee a consentire loro di valutare la condotta di tutti i presenti.

LA PRESUNTA AGGRESSIONE ALL’AGENTE NUCERA

Uno dei fatti più eclatanti riferiti nella CNR, nel verbale di arresto e, ovviamente, nelle annotazioni di servizio redatte dal Nucera e dal Panzieri è costituito dal vero e proprio tentato omicidio del quale il predetto Nucera sarebebe stato vittima, e che è stato addotto come grave elemento di conferma dell’atteggiamento di violenta resistenza incontrato dagli operatori all’ingresso nella scuola.

Ma a parte la elementare considerazione che se anche tale episodio si fosse effettivamente verificato, per la sua unicità ed il confinamento in un ristrettissimo ambito soggettivo e spaziale non avrebbe comunque giustificato l’aggressione a tutti gli altri occupanti la scuola, la Corte rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, l’episodio costituisce una delle più gravi e – ci si perdoni l’iperbole – sfrontate messe in scena di questo processo.

Il Tribunale ha già riportato per esteso le diverse versioni del fatto fornite dal Nucera e dal collega Panzieri che avrebbe assistito all’episodio.

È sufficiente in questa sede ripercorrere gli aspetti più salienti e significativi:

-               nella annotazione di servizio redatta alle ore 03.00 del 22 luglio l’agente Nucera ha riferito di essere salito con la propria squadra al primo piano, di aver percorso tutto il corridoio e, giunto davanti all’ultima stanza a destra, di avervi fatto irruzione sfondando la porta; entrato per primo, seguito dall’Ispettore Panzieri, veniva affrontato da un giovane alto circa mt 1,70 che urlava frasi indistinte e che gli puntò alla gola un coltello impugnato con la mano destra ed il braccio teso; esso Nucera utilizzando lo sfollagente colpiva al torace il giovane riuscendo ad allontanarlo da sé; quest’ultimo, però, con mossa fulminea colpiva il Nucera “vigorosamente al torace facendo al contempo un rapido salto all’indietro”. Prosegue l’annotazione narrando che Panzieri e altri colleghi bloccavano prontamente l’aggressore che veniva portato al piano terra nel punto di raccolta; quindi immediatamente dopo il Nucera si avvedeva della presenza a terra nel punto della colluttazione di un coltello e lo raccoglieva quale arma usata dall’aggressore. Poi, scendendo le scale, si avvedeva di aver riportato un taglio sulla giubba nel punto in cui era stato colpito, nonché un corrispondente taglio anche sul corpetto interno di protezione. Solo allora capiva di essere stato colpito dalla punta del coltello, per cui si precipitava al piano terreno per individuare l’aggressore ma non riusciva a riconoscerlo fra i presenti; né riusciva a ricordare chi erano i colleghi presenti che avevano fermato l‘aggressore, senza peraltro separarlo dagli altri non sapendo cosa fosse realmente successo.

-               A seguito di perizia disposta dal P.M., la quale verificava che i due tagli sulla giubba non potevano essere conseguenza di un solo colpo, ma almeno di due, il Nucera, nell’interrogatorio del 07/10/2002 mutava versione dei fatti: “… Questa persona cominciò ad urlare ma non sono riuscito ad intendere cosa perché forse parlava una lingua straniera che non ho riconosciuto, nello stesso tempo tendeva il braccio destro verso di me. A quel punto io l’ho affrontato colpendolo al torace con il corpo proteso in avanti e impugnando il tonfa all’impugnatura con la mano destra e nella parte lunga con il braccio sinistro. Ho avuto la sensazione però di essere stato colpito anche io, forse proprio perché mi ero proteso troppo con il corpo in avanti. La persona indietreggiando sempre con il braccio teso in avanti stava per perdere l’equilibrio ed ha cercato a questo punto di aggrapparsi a me, al mio braccio, senza riuscirvi, nel frattempo riuscendo però a sferrare un altro colpo che mi raggiungeva sempre nella parte frontale. Cadeva infine a terra e io nell’impeto l’ho scavalcato, dopodiché i miei colleghi lo hanno immobilizzato, trascinandolo via e lo allontanavano del tutto”.

Tali versioni sono, ciascuna in sé considerata, inattendibili e valutate contestualmente fonte di insanabile contrasto.

-               Il Nucera ha riferito nell’interrogatorio di essere più alto dell’aggressore: fronteggiandosi i due antagonisti a braccia tese, come riferito dal Nucera, ed essendo egli avvantaggiato dalla lunghezza maggiore del braccio e da tutta la lunghezza del manganello con il quale ha allontanato l’avversario, non è possibile che Nucera sia stato colpito dall’antagonista, per quanto esso imputato fosse proteso in avanti, perché ciò sarebbe stato possibile solo se, con modalità del tutto illogica (e contraria  a quanto riferito dallo stesso Nucera), avesse sospinto l’avversario tenendo il tonfa con il braccio flesso. Soprattutto non è comprensibile che l’antagonista abbia potuto colpire Nucera, con la forza necessaria a tagliare sia il giubbotto, sia la pettorina in plastica sottostante, facendo un rapido salto indietro: contrasta con le più elementari  e note leggi della fisica che un corpo, già alla massima distanza possibile da quello che lo fronteggia, muovendosi all’indietro possa ancora non solo colpire, ma anche solo toccare l’altro corpo.

Quanto sopra osservato vale anche in relazione alla seconda versione dei fatti secondo la quale il Nucera avrebbe avuto la sensazione (quindi non si sarebbe trattato di un colpo violento) di essere stato attinto (una prima volta) per essersi proteso troppo verso l’antagonista (ma allora egli non sarebbe riuscito ad allontanarlo puntandogli il tonfa al torace, come da lui sostenuto); a questo punto l’aggressore sempre indietreggiando con il braccio teso (e quindi senza più possibilità di contatto con il Nucera), perso l‘equilibrio avrebbe cercato, senza riuscirci, di aggrapparsi al braccio del Nucera, tuttavia riuscendo a sferrare un altro colpo che raggiungeva il predetto al torace; infine il Nucera sarebbe quasi rotolato addosso all’antagonista. Questa seconda versione è ancora più incredibile della prima: l’aggressore allontanato all’indietro perde l’equilibrio, non riesce a sorreggersi e quindi non trova alcun punto di appoggio e prosegue la caduta all’indietro, ma tuttavia mentre si allontana sempre più dal Nucera riesce a sferrare il secondo colpo, quello più violento, che attinge al petto il poliziotto provocando la seconda lacerazione sia al giubbotto sia al corpetto protettivo sottostante. L’assurdità di tale tesi è “in re ipsa” per l’insita impossibilità oggettiva che i fatti possano essersi svolti in tal modo.

Oltre all’intrinseca inattendibilità di ciascuna di dette versioni, non può non rimarcarsi la evidente diversità ed incompatibilità reciproca fra le stesse, nonché la direzione assunta dal notevole mutamento di strategia difensiva, coerente con le risultanze della perizia di parte del P.M. che aveva escluso la compatibilità delle lacerazioni sugli abiti con la dinamica dei fatti riferita dal Nucera nella annotazione di servizio. È evidente che nella prima versione dei fatti il Nucera ha riferito di essere stato attinto da un solo colpo, mentre nella seconda ne ha riferiti due, e trattasi di differenza sostanziale, non giustificata dal Nucera, e spiegabile solo con l’esito della perizia alla quale egli intendeva allineare le proprie dichiarazioni.

A quanto sopra deve aggiungersi anche l’incompatibilità con le versioni rese dal coimputato Panzieri, anch’essa significativa della insussistenza dell’aggressione.

-               Nelle relazione di servizio del 22/07/2001 Panzieri riferisce, per avervi assistito, l’episodio in cui Nucera entrava in colluttazione con un aggressore sconosciuto che teneva un oggetto in mano, aggressore che veniva fermato e accompagnato al centro di raccolta; viceversa nell’interrogatorio del 24/07/2003 Panzieri ha sostenuto che  NUCERA entra insieme al collega... quell’altro collega e io stavo di... di fianco al... al battente e ho visto questa persona che... fra il chiaro e il buio che veniva avanti questa ombra, che aveva il braccio alzato, una specie di pugno alzato, non so se fosse un qualche oggetto o qualcosa. E basta, perché poi in quel punto lì io ho lasciato e non sono... non so se l’hanno preso... chi l’ha preso questo, chi l’ha arrestato, non lo so, perché io poi sono scappato di sopra... mi ricordo bene il punto delle scale perché sono scappato.” Nella seconda versione il Panzieri sostiene di non aver visto neppure alcun oggetto in mano all’aggressore e di essersi subito allontanato senza neanche sapere se l’aggressore fosse stato neutralizzato. Appare evidente la presa di distanza di Panzieri dall’episodio, sia con riferimento al possesso di un oggetto da parte dell’aggressore, sia con riferimento al suo fermo. Così come appaiono eclatanti le divergenze rispetto alle versioni fornite dal Nucera, che ha indicato il Panzieri come collega partecipe in tutto e per tutto all’episodio dall’inizio alla fine, compresa la neutralizzazione dell’aggressore ed il suo trasporto al centro di raccolta.

Ulteriore incongruenza grave è ravvisabile nella tesi sostenuta dal Nucera secondo la quale egli non si sarebbe accorto subito di essere stato accoltellato, ma solo in un secondo momento, vedendo il coltello a terra, avrebbe capito che quello era l’oggetto impugnato dall’aggressore, ed in un successivo momento ancora, accortosi per caso del taglio al giubbotto, avrebbe capito di essere stato vittima di un accoltellamento; ma ormai, a suo dire, era troppo tardi per identificare l’aggressore. Nella annotazione il Nucera aveva riferito fin da subito di aver visto che l’aggressore impugnava a braccio teso un coltello puntandoglielo alla gola; il successivo mutamento di versione secondo la quale l’aggressore avrebbe solo proteso un braccio in avanti non ha alcun senso, e non spiega la repentina azione difensiva intrapresa dal Nucera; la consapevolezza dell’uso del coltello da parte dell’aggressore e la percezione di un colpo vigoroso al torace (prima versione) e di due colpi (seconda versione) esclude che il Nucera abbia potuto sottovalutare la gravità dell’episodio ed essersi allarmato solo dopo aver visto il taglio. In realtà questo tardivo tentativo di dilazionare il momento di presa di coscienza circa la gravità del fatto serve a fornire la spiegazione dell’incredibile circostanza della mancata identificazione e del mancato arresto dell’autore di un tentato omicidio (o quantomeno di un’aggressione con arma bianca) nel contesto di un’operazione di messa in sicurezza realizzata con una quantità di uomini diverse volte multipla del numero dei presenti  nella scuola.

Ulteriore elemento di dubbio sulla dinamica dei fatti è rappresentato da quanto riferito dell’imputato Luperi nel suo interrogatorio del 07/07/2003: appreso l’episodio direttamente da Nucera, questi gli avrebbe riferito che l’aggressore era riuscito a scappare e a dileguarsi, versione confermata anche dopo la contestazione della diversa dinamica riferita da Nucera circa l’immediata immobilizzazione dell’aggressore.

Costituisce, in ogni caso, inspiegabile anomalia il fatto che in una operazione come quella in esame, finalizzata ad arrestare violenti attivisti, nella quale secondo le tesi sostenute fin da subito gli operatori si sono trovati a dover affrontare atti di resistenza violenta, l’attentatore armato di coltello che aveva aggredito un agente, dopo essere stato prontamente immobilizzato, viene perso nel mucchio degli arrestati e non più identificato. A parte il fatto che la gravità dell’episodio era chiara fin da subito, in ogni caso si sarebbe trattato di un episodio di aggressione che avrebbe consentito l’unica attribuzione certa di un fatto di resistenza ad un responsabile ben individuato (contrariamente a quanto invece è poi accaduto, come emergerà nell’esame degli atti di P.G., ove mancano attribuzione specifiche ed individuali di fatti illeciti), e quindi nessuna dilazione o trascuratezza era giustificabile.

Ma, ancora, la tesi della mancata identificazione dell’aggressore non è credibile per un‘ulteriore considerazione. Risulta contrario contemporaneamente a qualsiasi massima di esperienza e ad elementare regola di comportamento della polizia giudiziaria (ma anche offensivo per l’intelligenza di chiunque) che il né il Nucera, né i suoi superiori ai quali sarebbe stato riferito l’episodio, constatata la commissione di un tentato omicidio, nella necessaria consapevolezza che il responsabile si trovava comunque ancora all’interno della scuola insieme con le altre persone arrestate, non abbiano fatto nulla per identificarlo. Si consideri che il Nucera afferma di aver subito trovato l’arma del delitto (che risulta anche fotografata quale reperto sequestrato), per cui sarebbe bastato eseguire una indagine sulle impronte digitali per cercare di identificare quale fra gli arrestati fosse il responsabile dell’aggressione. Il fatto che non si sia neppure tentato né questo né altro approccio investigativo denota senza ombra di dubbio che l’episodio è stato inventato di sana pianta.

In tale quadro di molteplici e convergenti elementi di valutazione che concorrono a ritenere insussistente l’episodio dell’aggressione armata a Nucera, le risultanze della perizia svolta in incidente probatorio, secondo la quale le lacerazioni sugli indumenti sarebbero compatibili con la seconda versione dei fatti fornita da Nucera sono irrilevanti. Innanzi tutto il mero giudizio di compatibilità da un lato non prova nulla in positivo circa l’effettivo accadimento dell’episodio, dall’altro lascia inalterato il giudizio di inattendibilità della seconda versione fornita dal Nucera, incompatibile con la prima e sorta solo dopo che la perizia del P.M. aveva sconfessato tale prima versione (come lo stesso perito ha confermato).

In secondo luogo la Corte non ravvisa nella perizia alcuna convincente argomentazione che consenta di superare i dubbi che le versioni fornite dal Nucera ingenerano circa la possibilità oggettiva che i fatti siano andati nel modo da lui descritti; in particolare il nucleo fondamentale delle due versioni consiste nell’affermazione che l’aggressore, mentre stava cadendo indietro e aveva perso l’equilibrio, quando già si trovava alla distanza massima consentita dall’estensione delle braccia e della lunghezza del manganello, abbia potuto attingere il torace del Nucera, per di più con la intensità e la forza necessarie a tagliare sia il giubbotto sia il corpetto protettivo sottostante. Non si rinviene nella perizia alcuna spiegazione di come sia possibile tale dinamica, che contrasta che le più elementari e note leggi della fisica (in particolare quella della gravità).

Il Tribunale, non prendendo posizione sul fatto storico dell’accadimento dell’aggressione (“non appare dunque possibile ritenere provata con la dovuta certezza né la falsità dell’aggressione in esame né il suo reale accadimento”) ha esposto alcune considerazioni giustificative della condotta del Nucera, nonché elementi di dubbio sulla possibilità che si sia trattato di una artata costruzione, che la Corte non condivide.

Sostiene il primo giudice che “la prima versione venne da lui (Nucera) redatta assai sommariamente nell’immediatezza del fatto, quando ancora poteva essere confuso per quanto accadutogli e non del tutto consapevole della necessità di essere particolarmente preciso nella descrizione dei fatti”: ma l’affermazione urta frontalmente con quanto riferito dal teste Gallo Nicola, incaricato di redige la CNR, il quale nella deposizione del 18/04/2007, consapevole della importanza dell’episodio riferito da Nucera e della sua probabile inesperienza nel redigere atti di P.G., lo esortò più volte alla chiarezza e completezza di esposizione “gli dissi: qui devi scrivere tutto, come sono andati, nei minimi particolari, quando sei entrato, chi c’era, chi non c’era, anche per dire c’erano molte persone, poco, chi ti ha aiutato… devi essere chiaro nei minimi particolari… gli consigliai di essere chiaro fino al punto di scrivere anche dettagli che a lui potevano parere insignificanti, cioè quando è entrato, con che mano l’ha colpito… è importante che tu scriva tutto quello che è successo, dalla luce, dall’intensità della luce, in quanti eravate, chi c’era dietro di te che può confermare tutto quello.” Deve pertanto escludersi qualsiasi stato confusionale e superficialità per mancata consapevolezza dell’importanza dell’annotazione posto che la redazione della medesima è stata seguita personalmente dal Gallo con le esortazioni al Nucera più sopra viste.

Richiama, poi, il Tribunale “lo scarso interesse personale sia del Nucera sia del Panzieri, per di più soltanto aggregato al VII Nucleo, a creare false prove di una resistenza violenta da parte di coloro che si trovavano nella Diaz”.

L’affermazione si connota per mancanza assoluta di atteggiamento critico che sempre deve assistere  il giudice nell’esame delle fonti di prova tanto più che essa si colloca in un processo nel quale lo stesso  il Tribunale ha dovuto riconoscere la falsità di atti finalizzata alla calunnia e l’introduzione abusiva nella scuola delle bottiglie “molotov” in realtà ritrovate altrove. Tale modo di argomentare denota anche la visione parcellizzata del processo, come sue si trattasse di una serie di fatti separati l’uno dall’altro, solo occasionalmente accaduti nel medesimo contesto spazio - temporale per una sorta di diabolica coincidenza. In realtà la visione d’insieme dei fatti che il Tribunale ben aveva di fronte avrebbe dovuto indurlo a trovare il movente della condotta di Nucera (come di coloro che portarono le false molotov) nella necessità di attribuire agli arrestati una serie coerente di fatti di reato tali da giustificare l’operazione e gli arresti stessi, una volta verificato l’esito infelice dell’irruzione. Si pensi ancora alla circostanza pacifica, pure trascurata dal Tribunale, che sono state smontate le intelaiature in metallo di sostegno degli zaini e sono state presentate e sequestrate come armi. Appare indubbio che l’attività di asportazione delle barre metalliche esclude in radice possibili soggettivi errori di valutazione sulla natura e la funzione di tali barre (problemi interpretativi che avrebbero potuto porsi se le stesse fossero state trovate già separate dagli zaini); viceversa la condotta di estrarle e poi ritenerle armi denota la dolosa preordinazione di una falsa accusa. Indubbiamente ci saranno stati uno o più operatori che hanno proceduto in tal senso, i quali altrettanto certamente non  avevano un interesse personale a far ciò, ma evidentemente compivano una attività loro richiesta, o suggerita, che costituiva un tassello della più amia opera mistificatoria in corso. Lo stesso vale per quanto compiuto da Nucera e Panzieri.

Prosegue il Tribunale a sostegno della inattendibilità dell’ipotesi delittuosa, che “si dovrebbe ritenere che il Nucera fosse già in possesso del coltello poi sequestrato e che nel breve tempo dell’irruzione, mentre numerosi suoi colleghi procedevano nell’operazione, con la partecipazione del Panzieri o comunque alla sua presenza, abbia avuto il tempo di colpirsi o farsi colpire, con i rischi anche fisici che ciò poteva comportare, ovvero di togliersi la giacca ed il corpetto, risistemarli insieme sul pavimento o su un tavolo, in posizione tale da simulare che gli stessi fossero regolarmente indossati, e quindi di colpirli con il coltello”.

Francamente non si vede quale potesse essere il problema per un operatore di polizia nel possedere un coltello: si pensi che diverse parti offese (Doherty Nicole Anne, Moth Richard, Robert Pollok, Rafael Galloway,  Ian  Farrel)  hanno riferito che durante il pestaggio alcuni poliziotti muniti di coltello tagliavano ciocche di capelli che conservavano come “trofei”; senza considerare il notevole numero di coltelli sequestrati, che ben possono essere stati usati prima di essere effettivamente raccolti fra i reperti. Quanto alla condotta necessaria per procurare le lacerazioni agli indumenti, escluso che Nucera abbia avuto bisogno di farsi colpire effettivamente rischiando la propria incolumità, vi era tutto il tempo e la possibilità in una delle numerose aule e utilizzando uno dei numerosi banchi o cattedre scolastiche, per stendere gli indumenti uno dentro l’altro come risultano quando sono indossati, e procurare i tagli con un coltello affilato.

Le perplessità segnalate, e le giustificazioni avanzate dal Tribunale non hanno, quindi, alcun pregio di fronte all’evidenza delle molteplici concordi ed univoche circostanze attestanti la falsità dell’episodio.

In relazione a questo episodio a carico di Nucera e Panzieri sono stati formulati specifici capi di imputazione:

per il delitto di falso aggravato (I ed M) in concorso fra loro e con gli altri coimputati sottoscrittori degli atti nonché di Gratteri, Luperi e Canterini;

per il delitto di calunnia aggravata (L e N) in concorso fra loro e con i coimputati indicati al capo B (Luperi e Gratteri) nonché, per il rimando operato dal capo B al capo A, anche in concorso con tutti i sottoscrittori degli atti.

Pertanto l’analisi dei profili di responsabilità specificamente attribuibili ai due imputati verrà condotta unitamente a quella degli altri coimputati. In questa fase è solo opportuno rilevare che la calunnia addebitata a Nucera e Panzieri ha lo stesso contenuto oggettivo di quella contestata agli altri coimputati, contenuto  consistente nella falsa accusa agli arrestati, con la consapevolezza della loro innocenza, di essersi resi responsabili dei delitti di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie. Tale condotta calunniatrice è stata realizzata mediante le false annotazioni dell’aggressione a Nucera, utilizzate a corroborare la falsa accusa di resistenza contenuta nella CNR, alla quale le due annotazioni sono state allegate. In altri termini la calunnia contestata ai capi L e N non si riferisce al falso addebito del reato di tentato omicidio a carico di soggetto rimasto ignoto, in quanto tale condotta integra gli estremi della simulazione di reato; infatti “Il delitto di calunnia sussiste anche quando l'incolpazione venga formulata attraverso la simulazione a carico di una persona, non specificamente indicata ma identificabile, delle tracce di un determinato reato - nella forma, cioè, della incolpazione cosiddetta reale o indiretta - purché la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti all'inizio dell'azione penale nei confronti di un soggetto univocamente e agevolmente identificabile” (Sez. 6, Sentenza n. 4537 del 09/01/2009), e nel caso di specie non è possibile identificare univocamente ed agevolmente il soggetto calunniato, non essendo a ciò sufficiente che si tratti di uno fra i soggetti arrestati. In definitiva la simulazione del reato di tentato omicidio rappresenta la modalità con la quale, unitamente alla sottoscrizione dei verbali di perquisizione e di arresto, la condotta calunniatrice di Nucera e Panzieri si è concretata a danno di tutti gli arrestati.

LE BOTTIGLIE MOLOTOV

Nella CNR viene riferito il ritrovamento di bottiglie incendiarie tipo “molotov” al “primo piano dell’edificio in luogo visibile ed accessibile a tutti gli occupanti”; nel verbale di perquisizione e sequestro le bottiglie sono localizzate “nella sala di ingresso ubicata al pian terreno”.

La detenzione illecita di tali ordigni è stata attribuita a tutti i soggetti arrestati in forza dell’inciso sopra riportato della “visibilità ed accessibilità” a tutti i presenti.

È ammesso dalle difese di tutti gli imputati che in realtà tali ordigni non erano presenti quella sera nella scuola Pertini, ma lì sono stati trasportati dall’esterno. Solo la difesa dell’imputato Troiani ha sollevato dubbi sulla possibilità di identificare le bottiglie sequestrate alla Diaz come quelle in realtà trovate nel pomeriggio in via Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione dall’ispettore Pasquale Guaglione, e sulla identificazione del Burgio quale autista del mezzo sul quale le bottiglie erano state sistemate dopo il ritrovamento. Ma tali dubbi, anche alla luce delle ammissioni di  Troiani nel corso dei suoi interrogatori (ammissioni delle quali si dirà in seguito), non inficiano la pacifica circostanza che le molotov non erano nella scuola Pertini. Del resto ulteriore conferma si desume dalle obiettive risultanze delle indagini su tutti i sequestri di bottiglie Molotov compiuti a Genova in occasione del vertice G8, che dimostrano come le uniche bottiglie rinvenute con le caratteristiche descritte sono quelle “formalmente” sequestrate nel corso della perquisizione alla scuola Diaz (come da deposizione all’udienza 10/01/2007del teste Dott. Gonan Giuseppe, nuovo dirigente DIGOS di Genova dall’11/09/2002).

È emerso nel corso del dibattimento, allorché sorse la necessità di visionare tali reperti, che gli stessi sono scomparsi; secondo la Questura di Genova perché accidentalmente distrutti per errore dell’artificiere incaricato della distruzione di altri reperti, ma secondo le successive indagini svolte dalla Procura, la cui acquisizione al processo non è stata ammessa dal Tribunale, perché intenzionalmente asportate da ignoti funzionari mediante pressioni sul predetto artificiere.

È pacifico in causa che:

-               il dott. Guaglione rinviene le due bottiglie Molotov in un sacchetto di plastica a seguito delle operazioni di bonifica e perlustrazione della zona appena percorsa dagli scontri in Corso Italia;

-               il sacchetto viene preso in custodia dal dott. Donnini che lo depone su un automezzo blindato nella sua disponibilità; egli ha affermato di aver preso l’iniziativa di collocare le bottiglie al sicuro su un mezzo di cui aveva la disponibilità, così liberando il dott. Guaglione ed il personale di questi dalla difficoltà di trasporto e detenzione dei due ordigni incendiari;

-               il mezzo si allontana con il risultato che al Guaglione non resta che dare atto della sua attività e relazionare al proprio dirigente in merito;

-               al rientro in Questura Guaglione trova il dott. Piccolotti intento alla stesura della relazione giornaliera, e gli fa presente la necessità di menzionare il ritrovamento delle bottiglie, avendone perso il possesso, e la loro consegna al Donnini. Queste circostanze sono state confermate al dibattimento dalla testimonianza del dott. Piccolotti, anche se questi non intese menzionare il Donnini nella relazione.

L’identificazione del Burgio quale autista del mezzo sul quale Donnini aveva riposto le  molotov è avvenuta in base alla deposizione del Donnini che si è rifatto alle connotazioni fisiche di tale autista da lui ben conosciuto (corporatura prestante e massiccia, come tale inconfondibile e unica rispetto alla corporatura degli altri autisti) ed al riscontro documentale degli ordini di servizio relativi all’assegnazione dei mezzi ai vari autisti; tale collegamento fra Burgio e mezzo sul quale aveva riposto le molotov, se non è stato espresso in termini di assoluta certezza per il tragitto da Corso Italia alla Questura, lo è stato viceversa per il successivo tragitto, sempre sul medesimo “magnum”, dalla Questura alla zona Foce, ove era acquartierato il Donnini; che tali viaggi siano potuti avvenire senza riprendere consapevolezza della presenza a bordo delle molotov non è escluso dall’odore delle stesse, posto che la presenza del cappuccio che ricopriva gli stoppini evitava la propagazione dell’odore;

successivamente al Donnini viene chiesto di reperire personale e mezzi per organizzare i famosi “pattuglioni”, per cui il “magnum” con le molotov viene in tale attività impiegato ad opera dell’imputato Troiani in tal senso incaricato da Donnnini. Poi, dopo il rapido rientro in Questura a seguito dell’aggressione al convoglio in via Battisti, tale “magnum” è impegnato insieme con gli altri mezzi per l’operazione alla scuola Diaz Pertini. Questa, in base alla deposizione di Donnini, è la ricostruzione più probabile che può farsi del percorso seguito dal mezzo e dalle molotov dal loro ritrovamento fino all’arrivo alla Diaz Pertini.

Sta di fatto che l’imputato Troiani, incaricato della cinturazione esterna, e l’autista Burgio compaiono alla Pertini, come rappresentato nel filmato che li riprende: in particolare l’autista Burgio è visto abbandonare il “magnum” in piazza Merani (operazione irregolare in assenza di eventi straordinari e imprevedibili) e recarsi nel cortile della scuola Pertini, ove è ripreso nelle vicinanze del gruppo di funzionari che maneggia il sacchetto contenente le molotov, per poi tornare al suo mezzo.

Al fine di analizzare la vicenda dell’arrivo e della gestione delle molotov presso la scuola Pertini occorre prendere le mosse dalle dichiarazioni rese dall’imputato Troiani.

Egli ha più volte fornito particolari diversi dei fatti nel corso dei vari interrogatori, ma è comunque rinvenibile un nucleo solido e certo: nell’interrogatorio del 09/07/2002 Troiani ha ammesso di essere stato consapevole di trasportare le molotov sul mezzo guidato da Burgio nel tragitto dalla Questura a Piazza Merani, proprio perché avvisato dal Burgio prima di partire; ha ammesso di aver chiesto al Burgio, che era rimasto con il mezzo in Piazza Merani, di portare le molotov ad esso Troiani che si trovava nel cortile della scuola Pertini; ha ammesso di aver consegnato le bottiglie molotov nel cortile della scuola al collega Di Bernardini, ben conosciuto quale compagno di corso, che esso Troiani sapeva intento a procedere alla perquisizione, spiegando agli inquirenti tale condotta con l’intento di disfarsi di tale molotov non avendo né voglia né tempo di stilare un verbale di sequestro, e chiedendo che a ciò provvedesse il Di Bernardini.

Di Bernardini, a sua volta, è costretto ad ammettere, in contrasto con le originarie affermazioni già rese alla A.G. (secondo cui le bottiglie Molotov erano state trovate “nello stanzone” della scuola e pertanto attribuibili a tutti gli occupanti), di aver effettivamente incontrato il dott. Troiani che lo aveva chiamato dall’esterno, consegnandogli o comunque facendogli visionare il reperto che era stato così messo a sua disposizione; egli, pur descrivendo la scena della consegna come avvenuta all’esterno dell’edificio, nel cortile, sulla soglia del portone, secondo l’ultima versione, nega di aver avuto o richiesto notizie sulle modalità e sul luogo del ritrovamento delle molotov, né, addirittura, sul motivo per cui Troiani gliele consegnava. Il Di Bernardini, in coerenza con l’assetto gerarchico esistente, si sarebbe limitato ad investire del problema creato con la consegna delle molotov il suo superiore diretto di riferimento, il dott. Caldarozzi, presente nel cortile insieme con tutti gli altri funzionari apicali. Queste circostanze sono documentalmente riscontrate dalle riprese filmate che mostrano la scena nella quale l’intero gruppo di funzionari responsabili dei reparti impegnati alla perquisizione e i due superiori gerarchici apicali Luperi e Gratteri sono attorno alle bottiglie Molotov appena consegnate.

Solo dopo la contestazione delle dichiarazioni altrui, il dott. Caldarozzi, che in occasione del precedente interrogatorio in merito alla perquisizione nulla aveva riferito in proposito, ammette non solo la fugace visione delle bottiglie in mano a Di Bernardini, ma il contatto diretto con il reperto, nelle modalità riferite da Di Bernardini, confermando che quest’ultimo lo pose alla sua diretta attenzione non all’interno dell’edificio, ma nel cortile (interrogatorio 02/07/2002); peraltro anche lui non avrebbe chiesto informazioni sulla provenienza e sulle modalità di rinvenimento delle bottiglie molotov.

Il dott. Mortola, silenzioso in merito al reperto fino alla contestazione della falsità degli atti di p.g. sul punto, nei suoi interrogatori riferisce di essre stato avvicinato da due ignoti agenti del reparto mobile che gli avrebbero mostrato le bottiglie molotov in un sacchetto. Egli afferma di non aver avuto alcun particolare interesse al rinvenimento di tale reperto e di non aver chiesto spiegazioni o maggiori dettagli agli agenti, impartendo soltanto l’ordine di riporre le bottiglie sopra il telo nero che era già steso nel luogo convenuto di raccolta di tutti gli oggetti sequestrati; tale versione è mantenuta ferma anche dopo la contestazione  delle diverse versioni fornite da Troiani, Di Bernardini e Caldarozzi, che attestano una diversa modalità di arrivo delle molotov sulla scena, e pur dopo la visione del filmato rep. 199 che ritrae Mortola insieme con gli altri funzionari davanti a Luperi che tiene il sacchetto con le bottiglie incendiarie.

Il dott. Gratteri, nel primo interrogatorio (29/06/2002) ha sostenuto che avrebbe visto le molotov, per la prima ed unica volta, in mano ad un operatore in borghese che le portava senza il sacchetto, aggirandosi nel cortile come per mostrarle; tale soggetto non è stato riconosciuto dal Gratteri nell’assistente Catania, rammostratogli in foto il quale, finite le operazioni, effettivamente riportava le molotov in Questura tenendole in mano senza sacchetto; nel secondo interrogatorio (30/07/2002) ha ammesso che subito qualcosa deve essergli stato riferito da Caldarozzi, anche se non chiese nulla e, pur essendo la scena avvenuta nel cortile, diede per scontato che le molotov fossero state ritrovate durante la perquisizione; ha riferito di non ricordare la scena, ripresa nel rep. 199 e rammostratagli, in cui si trovava in presenza degli altri funzionari e di Luperi che tiene in mano il sacchetto con gli ordigni.    

Il Dott. Luperi, dopo aver negato qualsiasi contatto con le molotov, messo di fronte all’evidenza del filmato rep. 199 ha ammesso di aver ricevuto il sacchetto da Caldarozzi e sostiene che prima Mortola lo avrebbe informato del ritrovamento; ha ammesso che il gruppo di funzionari in quell’occasione discusse delle bottiglie; poi riferisce di aver compiuto una telefonata tenendo in mano il sacchetto, e all’esito, essendosi disciolto il gruppo di funzionari ed essendosi ritrovato solo, avrebbe affidato il sacchetto con le molotov alla Dott.ssa Mengoni della Digos di Firenze, primo ufficiale di PG che riconobbe sul posto; conferma di aver rivisto le bottiglie molotov (ma ancora nel sacchetto) sullo striscione steso nella scuola sul quale erano stati sistemati tutti i reperti in sequestro.

La Dott.ssa Mengoni, dal canto suo, ha riferito che avvicinatasi al cancello di accesso al cortile della scuola Pertini con i suoi tre colleghi, venne chiamata dal Luperi che teneva in mano il sacchetto con le due bottiglie; avuta la consegna il Luperi le avrebbe detto di conservarle al sicuro fra i reperti, essendo pericolose; a questo punto la teste Mengoni, che si doveva preoccupare di conservare tali pericolosi reperti e non sapeva bene come, perde di vista i tre uomini del suo gruppo, che non può rintracciare telefonicamente perché il suo cellulare era rotto, e decide di chiamare dall’esterno un collega della DIGOS di Napoli del quale non ricorda il nome. Con tale collega entra dall’ingresso secondario di sinistra della scuola e in un atrio vuoto lontano dal passaggio di persone ripone il sacchetto con le molotov dicendo al collega napoletano di stare fermo lì mentre lei andava in cerca dei colleghi; trovati i tre colleghi e tornata con loro nell’atrio predetto, la teste non rinviene più né il collega di Napoli né il sacchetto con le bottiglie Molotov. Si dirige subito verso la palestra (unico luogo dove vi erano altre persone) e qui vede le bottiglie senza sacchetto poste su uno striscione nero insieme agli altri oggetti sequestrati; confermava che nel filmato reperto 172 parte 2 si intravede lo striscione mentre viene posto a terra proprio davanti al dottor Luperi, al dottor Caldarozzi e al dottor Gratteri.

L’identificazione dei protagonisti di questa importante fase degli avvenitmenti oggetto del processo non è dubbia, perché in primo luogo nessun imputato contesta la propria apparizione nel filmato e, in secondo luogo, il teste Salvemini (in servizio alla Questura di Palermo e aggregato alla Questura di Genova, da giugno a settembre 2002, per compiere indagini esclusivamente in ordine ai fatti oggetto del presente processo) afferma (udienza 10/01/07) che nel filmato Rep. 199 min. 8,55 si intravededono dalla sinistra il dr. Caldarozzi, il dr. Luperi, di spalle con la giacca blu, il dr. Fiorentino, con il completo grigio, il dr. Canterini, di spalle con le maniche della divisa rivoltate; alla destra del dr. Canterini il dr. Mortola ed il dr. Murgolo; all’estrema destra il dr. Gratteri in giacca; all’interno della palestra si vede una persona in abiti civili con il telefono è il V. Sovr. Alagna della Digos di Genova; all’estrema destra vi è il dr. Troiani, di cui si vede solo il volto.

In base alla ricostruzione dei tempi desumibile dalla consulenza della parti civili, possono scandirsii le seguenti fasi:

00:41:29:08 – inizia la scena del c.d. “conciliabolo” ove compare Luperi con il sacchetto in mano

00:41:35:17 – Luperi risponde alla chiamata di La Barbera

00:41:39:13 – finisce la ripresa  dall’esterno della cancellata

00:42:06 – finisce la telefonata fra Luperi e La Barbera

00:42:56:08 – riprende l’inquadratura del cortile

00:43:13:17 – si vedono Gratteri e Mortola

00:43:15:06 – si vedono  Luperi e Caldarozzi

00:43:56:11 – si vede  Mortola al telefono, vicino ad altri funzionari

00:44:01:16 – si vede ancora  Mortola che parla al telefono. Sulla destra un gruppo di funzionari, Luperi compare alla sua sinistra, si muove verso la porta laterale

00:44:02:12 – Luperi incrocia un agente con casco che va verso la porta centrale

00:44:03:02 – spunta la testa di Luperi all’altezza dell’angolo sinistro della finestra, poi scompare perché la videocamera segue l’ingresso dell’agente dalla porta centrale

00:44:08:09 – di nuovo inquadrato Mortola al telefono

00:44:09:02 – di nuovo inquadrato Luperi che ritorna verso Mortola

00:44:09:19 – Luperi  e Mortola sono vicini

00:44:10:14 – la telecamera inquadra la porta laterale sinistra:compare un operatore di Polizia che regge con un braccio un oggetto che assomiglia un casco e con l’altro un oggetto che assomiglia ad un sacchetto

00:44:10:21 –mentre l’agente entra, Mortola e Luperi stanno parlando (a sinistra del palo, lato destro prima della finestra)

00:44:16:18 – Luperi e Mortola escono dal campo della ripresa

00:44:17:18 – Mortola e Luperi parlano, poi Luperi si muove verso l’ingresso e si ferma

00:44:49:04 – inizio della ripresa dell’ingresso della scuola (Gratteri parla con Luperi di spalle). Dietro di loro stanno stendendo il telo scuro

00:45:01      – Calderozzi esce e rientra

00:45:03:13 – Mortola entra nel quadro, da sinistra, sempre parlando al telefono

00.45:11:18 – si vede Troiani dietro il gruppo con Mortola e Canterini in cortile

00:45:13:01 – si vede Luperi di profilo, vicino a lui si trova Gratteri

00.45.16:21 – Caldarozzi, Luperi e Gratteri all’interno vicino alla porta di ingresso

00:45:19:07 – compare la mano guantata proprio dietro a Luperi, che poi si sposta verso destra; compare il sacchetto azzurro che viene maneggiato dalla mano guantata

00:45:19:22 – il sacchetto contiene oggetti a forma di bottiglia

00:45:21:02 – ricompare la mano e un lembo del sacchetto

Analizzando ora le singole posizioni degli imputati si impongono le seguenti considerazioni.

BURGIO

Egli è sicuramente consapevole della presenza a bordo del “magnum” da lui guidato dalla Questura fino alla Diaz delle due bottiglie molotov, e, su richiesta di Troiani, porta a costui gli ordigni nel cortile della scuola Pertini; poi torna dal mezzo in Piazza Merani.

Rileva la Corte che Burgio, quale semplice autista, non risulta abbia mai condotto da solo il ”Magnum” con le bottiglie molotov a bordo; il ricovero degli ordigni su tale mezzo alla presenza sempre di superiori funzionari che ne avevano la disponibilità esclude la riferibilità della detenzione al Burgio, che si limitava ad eseguire gli ordini di movimento via via impartitigli. Anche a voler ritenere la sindacabilità (ma non si vede come, trattandosi di ordini di servizio che non avevano per oggetto diretto il trasporto degli ordigni) di tali ordini di spostamento, tuttavia la custodia delle bottiglie molotov all’interno di veicolo, quindi in ambito istituzionale riferibile all’autorità di polizia e confinato rispetto al pubblico, esclude l’illegittimità della detenzione e del porto delle armi le quali legittimamente potevano essere condotte dal luogo di rinvenimento alla Questura su un veicolo della Polizia. L’allungamento dei tempi di tale trasporto o la vera e propria deviazione dal percorso che si sarebbe dovuto seguire, in quanto disposti da superiori gerarchici senza manifestazione esplicita degli intenti illegittimi di tali scelte, non possono essere imputati a condotta illecita del Burgio.

Ad uguale conclusione deve giungersi per il trasporto a mano degli ordigni dal “magnum” posteggiato in Piazza Merani fino al cortile della scuola Pertini, perché trattasi di adempimento di ordine ricevuto dal superiore Troiani, in relazione al quale non vi è prova sufficiente che Burgio sapesse per quali scopi illeciti gli ordigni venivano richiesti presso la scuola. Può anche ipotizzarsi che dopo tutto quel tempo che trasportava le bottiglie a bordo del suo mezzo il Burgio abbia avuto qualche sospetto sulla destinazione degli ordigni, e che il suo coinvolgimento senza cautele particolari da parte del Troiani sia riferibile ad una partecipazione cosciente del Burgio a quanto il primo stava facendo, ma trattasi di semplici indizi che non assurgono al rango di prova.

Le considerazioni che precedono, quindi, escludono la sussistenza di prova sufficiente di responsabilità con riferimento sia alla imputazione di detenzione e porto illegale di arma, sia di calunnia; in particolare non sussistono chiari elementi che consentano di affermare che Burgio fosse consapevole che le molotov venivano richieste presso la scuola Pertini perché la detenzione ne fosse attribuita a tutti i presenti, che sarebbero stati accusati falsamente di quello e di altri reati.

Consegue l’assoluzione del Burgio da tutte le imputazioni ascrittegli.

TROIANI

Originariamente imputato di sola calunnia, a seguito della formulazione di imputazione coatta e della decisione della Corte di Cassazione (34966/07) che ha annullato la sentenza di non luogo a procedere del GUP (27/07/2005), è accusato anche di falso in concorso con Luperi, Gratteri ed i sottoscrittori degli atti trasmessi alla A.G. in relazione alla introduzione delle molotov nella scuola. Il Tribunale ne ha accertato la responsabilità per tutti i reati ascritti, e la sentenza merita conferma tranne che per l’imputazione di calunnia.

Come si è visto Troiani ha ammesso di aver trasportato le bottiglie molotov dalla Questura alla scuola Diaz senza peraltro indicarne il motivo, pur essendo stato informato da Burgio prima di partire della presenza degli ordigni a bordo del “magnum” (ordigni che avrebbe ben potuto lasciare in Questura invece che portare con sè). Consegue che quando consegna le bottiglie a Di Bernardini dicendo che erano state trovate nel cortile della scuola, o sulla scale di ingresso del portone, o in Piazza Merani vicino alle auto, o nel tragitto tra Piazza Merani ed il cortile della scuola, dice dolosamente il falso a Di Bernardini secondo la sua stessa versione dei fatti. Non solo, ma consegna le bottiglie in quanto oggetti degni di interesse per i funzionari presenti, senza fornire alcuna spiegazione particolare di tale consegna (come, ad esempio, quella riferita agli inquirenti di voler evitare di redigere un verbale di sequestro). E non è vero quanto Troiani ha sostenuto nell’interrogatorio predetto, cioè che non  sapesse che era in corso una perquisizione, perché nelle dichiarazioni rese come persona informata dei fatti, che rilette ha confermato integralmente all’inizio dell’interrogatorio e sono state acquisite agli atti del dibattimento, ha riferito di esser stato informato dal Dott. Caldarozzi alla partenza dalla Questura che ci sarebbe stata una perquisizione presso la Diaz.

Consegue inevitabilmente che consegnando a Di Bernardini, occupato nelle operazioni di perquisizione, le bottiglie molotov con le modalità che lui stesso ha riferito Troiani era perfettamente consapevole che tali ordigni sarebbero stati oggetto di sequestro quali reperti trovati nell’ambito della perquisizione presso la scuola Diaz, mentre ben sapeva che provenivano da tutt’altro luogo (e ciò anche se effettivamente non avesse riferito che le molotov erano state ritrovate all’interno della scuola). Del resto lui stesso ha ammesso che la consegna è stata funzionale a far redigere il verbale di sequestro ad altri, in quanto per il proprio reparto sarebbe stato “difficile” (SIT del 01/07/2002). E questi “altri”, al sequetro sollecitato da Troiani, in mancanza di indicazioni specifiche da parte di costui avrebbero provveduto includendo necessariamente le molotov tra i reperti oggetto di sequestro nell’ambito della perquisizione in corso.

Sussiste pienamente la responsabilità concorsuale per il delitto di falso essendo indubitabile la consapevolezza in capo al Troiani che in seguito alla sua condotta sarebbe stato redatto un atto di perquisizione e sequestro falso nella parte in cui avrebbe riferito il ritrovamento delle due bottiglie molotov (ordigni da sequestrare in ogni caso) durante la perquisizione nella scuola Pertini.

Tale illecita condotta tenuta dal Troiani rende illegittimi anche la detenzione ed il trasporto delle bottiglie molotov dal “magnum” fermo in Piazza Merani fino al cortile della Pertini (tramite l’autore mediato Burgio), perché la materialità dei fatti che integrano i delitti contestati non è giustificata da finalità legittima.

Non è invece condivisibile l’affermazione di responsabilità per il delitto di calunnia; al falso ritrovamento degli ordigni presso la scuola non conseguiva automaticamente anche la attribuzione della loro detenzione a tutti gli occupanti della scuola. Tale falsa accusa è frutto della scelta operata dagli altri coimputati; Troiani poteva certamente rappresentarsi che sarebbe stato falsamente attestato il ritrovamento delle molotov presso la scuola, ma non vi è prova sufficiente che fosse consapevole anche della strumentalità di tale falso rispetto alla calunnia che sarebbe stata contenuta negli atti. La sua partecipazione all’unitario disegno criminoso volto a costruire una serie di circostanze criminose a carico degli arrestati non può ragionevolmente superare la fase della falsa rappresentazione della presenza delle “molotov” presso la scuola.

DI BERNARDINI

Nel verbale di SIT rese il 21/07/2001, integralmente confermate nel successivo interrogatorio ed acquisite agli atti del dibattimento, il Di Bernardini sostiene di essere stato informato che nello stanzone al piano terra vicino alla porta di accesso erano state trovate le molotov. Nei successivi interrogatori del 17/06/2002 e del 06/07/2002 ammette che, dopo essere stato una decina di minuti all’interno della scuola nel locale palestra, venne chiamato da Troiani, da lui ben conosciuto, il quale, in compagnia di una assistente gli consegnò un sacchetto azzurro contente due bottiglie molotov, da lui riconosciute come quelle sequestrate. Egli senza nulla chiedere al Troiani circa modalità e luogo di rinvenimento, avrebbe subito avvisato del fatto il Dott. Caldarozzi presente, e poi si sarebbe disinteressato delle bottiglie. Da ultimo nell’interrogatorio del 30/07/2002, richiesto di precisare il momento in cui ebbe il primo contatto con la bottiglie molotov, l’imputato ribadisce quanto sopra riportato, sostenendo che la diversa versione fornita nel verbale di perquisizione e sequestro e di arresto è stata da lui firmata confidando che vi fosse stato un accertamento da parte di altri colleghi.

Nell’interrogatorio del 17/06/2002 Di Bernardini conferma di aver partecipato alla decisione, condivisa da Gava, Ferri e Caldarozzi, di arrestare tutti i presenti nella scuola con l’accusa di associazione a delinquere, ipotesi accusatoria attentamente vagliata (interrogatorio del 06/07/2002) e ancorata alla circostanza che tutte le cose sequestrate erano nella scuola, e quindi erano riferibili agli occupanti.

Dalle stesse ammissioni sopra riferite emerge la responsabilità del Di Bernardini per i reati di falso e calunnia: egli, dopo essere stato all’interno della scuola per una decina di minuti ed essere transitato per i luoghi ove gli atti indicano presenti le bottiglie molotov, ha avuto il primo contatto con le stesse all’esterno, nel cortile, allorché Troiani gliele fece vedere e gliele consegnò. Non è quindi possibile che egli abbia sottoscritto i verbali di perquisizione e sequestro e di arresto con l’indicazione della presenza delle molotov all’interno della scuola per errore, confidando nell’accertamento in tal senso compiuto da altri, perché invece ben sapeva per conoscenza diretta che le molotov le aveva portate Troiani, che proveniva dall’esterno della scuola. Né Di Bernardini ha indicato da quale circostanza potesse anche solo lontanamente ipotizzare che dall’interno le molotov fossero state portate fuori e poi da Troiani riconsegnate agli operatori addetti alla perquisizione senza nulla dire al riguardo: a parte l’assurdità di tale ipotesi, la stessa contrasta con quanto il Di Bernardini aveva potuto constatare direttamente nei dieci minuti in cui era stato all’interno della scuola.

Consegue la piena consapevolezza in capo al Di Bernardini della falsità contenuta nei predetti verbali circa la presenza delle bottiglie molotov all’interno della scuola.

Quale logica conseguenza deriva che, avendo egli motivato le accuse contestate agli arrestati con la detenzione di tutti gli oggetti rinvenuti nella scuola, la falsità della affermata presenza delle bottiglie molotov prova anche la sua responsabilità per la calunnia con riferimento a tutte le ipotesi delittuose ascritte agli arrestati, le quali sugli ordigni incendiari hanno visto la più solida base di contestazione.

CALDAROZZI

Nell’interrogatorio reso il 31/05/2002 riferisce di esser entrato nella scuola Pertini e di aver visionato il piano terreno ed il primo piano; poi ammette di aver visto le bottiglie molotov in mano al Di Bernardini nel cortile della scuola Pertini; nell’interrogatorio del 02/07/2002 non è in grado di riferire cosa gli avesse detto Di Bernardini a proposito delle molotov, e conferma di aver “messo l’accento sul discorso associativo” rispondendo ad una domanda sulla centralità delle molotov nell’operazione di perquisizione. Nell’interrogatorio del 30/07/2002 ammette di aver firmato il verbale di arresto senza sapere chi ed in qual modo avesse accertato il luogo di ritrovamento delle molotov ivi indicato.

Anche per Caldarozzi valgono le osservazioni compiute per Di Bernardini. Egli aveva visionato sia il piano terreno sia il primo piano della scuola, per cui sapeva che le bottiglie viste - circa 40 minuti dopo l’ingresso nella scuola - in mano al Di Bernardini nel cortile non provenivano dall’interno. La sottoscrizione di circostanza contraria al vero nel verbale di arresto integra pienamente gli estremi del contestato falso perché anche Caldarozzi era pienamente consapevole che tali ordigni non erano “al piano terra in prossimità dell’entrata, in luogo visibile e accessibile a tutti”. Anche Caldarozzi, argomentando l’imputazione di reato associativo con riferimento alle molotov, era consapevole di accusare falsamente sapendoli innocenti tutti gli arrestati, che, a parte ogni altra considerazione, non potevano essere ritenuti responsabili della detenzione di ordigni incendiari che non erano all’interno della scuola.

MORTOLA

Nell’interrogatorio del 23/07/2002 riferisce di aver visto le bottiglie molotov per la prima volta all’interno della scuola, al piano terra, mostrategli da due agenti del Reparto Mobile (che egli non conosce e non sa dire da dove venissero) i quali tenevano in mano un sacchetto. Proprio esso Mortola avrebbe dato loro la disposizione di posare le bottiglie sul telo nero insieme con tutti gli altri reperti, ma non sa dire che fine abbia fatto il sacchetto. Ammette di aver sottoscritto il verbale di arresto senza che nessuno dei presenti ai quali l’atto venne letto avesse dato indicazioni sul luogo di ritrovamento delle molotov. Nell’interrogatorio del 30/07/2002 Mortola ha confermato la precedente versione dei fatti pur dopo aver visionato il filmato Rep. 199, che lo ritrae nel cortile alla presenza degli altri funzionari e di Luperi che tiene il mano il sacchetto.

La versione fornita da Mortola è oggettivamente smentita dalle risultanze probatorie acquisite. Come si è già visto, in base ai tabulati delle conversazioni telefoniche e come ammesso dalle stesse difese, i primi contatti telefonici fra Burgio che stava in Piazza Merani e Troiani che era nel cortile della Diaz relative allo spostamento delle bottiglie incendiarie dal “magnum” al cortile risalgono alla mezzanotte e mezza circa; ed infatti alle ore 00.41.29 inizia il filmato ove è ripreso Luperi con il sacchetto delle molotov in mano.

Prima di tale orario non esisteva alcuna bottiglia molotov, tanto meno all’interno della scuola ove Mortola riferisce di averle viste in mano a due ignoti agenti. Successivamente alle telefonate fra Burgio e Troiani è pacifico che il sacchetto con le molotov, passando di mano in mano da Troiani agli altri funzionari sempre nel cortile, finisce a Luperi, e come si evince dal filmato che riprende la scena del c.d. “conciliabolo”, alle ore 00.41.29 Luperi maneggia tale sacchetto proprio di fronte a Mortola, che quindi non può ignorare la circostanza. Tale fatto oggettivamente riscontrato esclude che Mortola possa aver detto a due ignoti agenti di sistemare le molotov sul telo nero, che sarà sistemato alle ore 00.44.49, ben dopo che Mortola ha visto il sacchetto in mano a Luperi.

Anche per Mortola, quindi, valgono le considerazioni sopra svolte circa la consapevolezza di affermare il falso sottoscrivendo la Comunicazione di notizia di reato ed il verbale di arresto attestanti la localizzazione delle molotov all’interno della scuola; e, quindi,  la consapevolezza di accusare falsamente tutti gli arrestati per i reati loro addebitati sulla base della detenzione collettiva di tali ordigni incendiari.

LUPERI

Il Dott. Luperi, dopo aver mentito circa il proprio contatto con le bottiglie molotov nel verbale di SIT del 31/07/2001 (confermato nel successivo interrogatorio) sostenendo riguardo alle armi improprie “non ho assistito al loro rinvenimento”, e nell’interrogatorio del 12/06/2002 sostenendo “Ho visto le due molotov conservate in un sacchetto di plastica; non ricordo chi avesse in mano il sacchetto e non so dove le avessero trovate”, messo di fronte all’evidenza del video Rep. 199, min. 8,55 nell’interrogatorio del 07/07/2003 ammette di aver visto le molotov per la prima volta nel contesto ripreso nel predetto filmato, e poi di averle riviste una seconda volta sul telo nero insieme con gli altri reperti. Quanto al primo contatto sostiene di aver appreso da Mortola il ritrovamento delle molotov all’interno della scuola ad opera di personale del Reparto Mobile, anche se ammette di aver ricevuto il sacchetto da Caldarozzi. Poi sostiene di essersi ritrovato solo e di aver chiamato la Mengoni alla quale avrebbe affidato il sacchetto. Conferma che il gruppo di funzionari ripresi nel filmato parlò del sacchetto con le molotov.

Sono smentite da circostanze obiettive le seguenti affermazioni di Luperi:

di aver appreso da Mortola del ritrovamento delle molotov all’interno della scuola, perché Mortola, come visto, sostiene tutt’altra tesi incompatibile; inoltre la ricezione del sacchetto dalle mani di Caldarozzi è incompatibile con tale assunto difensivo, per di più senza spiegazione di come le molotov sarebbero arrivate a costui;

che il gruppetto si sarebbe sciolto ed egli si sarebbe trovato da solo, perché il filmato mostra con continuità la presenza dei protagonisti fino alla stesura del telo nero.

Secondariamente è del tutto inattendibile la vicenda che vede coinvolta la Dott.ssa Mengoni. Da un lato, continuando il Luperi ad avere la presenza intorno a sé degli altri funzionari addetti alla perquisizione, non si vede perché egli avrebbe dovuto chiamare dall’esterno la Mengoni per affidarle l’incarico di custodire quei pericolosi reperti, senza ulteriore spiegazione su come intendeva che si dovesse provvedere a tale custodia. Dall’altro lato il fantasioso racconto riferito dalla Mengoni non presenta il minimo margine di credibilità (lo stesso Tribunale ha riconosciuto che “Tali dichiarazioni possono in effetti apparire imprecise e forse anche in parte illogiche”.) Ella sostiene di aver avuto l’incarico dal Luperi di custodirle ma non è in grado di dire in qual modo avrebbe inteso portarlo a termine; malgrado sia consapevole che all’interno della scuola vi sono colleghi che stanno eseguendo una perquisizione e che le bottiglie andranno unite agli altri reperti sequestrati, persa d’animo perché non vede più i suoi tre colleghi (e non si vede come tale fatto potesse incidere sulla custodia dei reperti) pensa di chiamare un collega di Napoli dall’esterno da lei conosciuto ma del quale guarda caso non ricorda il nome (ed i tentativi di identificarlo fra il personale proveniente da Napoli non hanno sortito effetto alcuno non risultando neppure negli elenchi dei presenti). Non solo, ma trascurando inspiegabilmente il compito primario di provvedere alla custodia degli oggetti pericolosi per mettersi alla ricerca dei colleghi, lascia in un atrio non meglio specificato all’interno della scuola il napoletano e le molotov, che immancabilmente spariscono nella di lei assenza. Alla totale inverosimiglianza di tale racconto si deve aggiungere che l’assunto della Mengoni di aver poi rivisto le bottiglie già posate sul telo nero contrasta con la deposizione del Dott. Pifferi, incaricato della catalogazione dei reperti, il quale ha riferito di aver provveduto con l’aiuto proprio della Mengoni a stendere il telo.

Collegando il racconto della Mengoni con quello di Luperi emerge l’ulteriore inspiegabile incongruenza che, trovandosi i due nuovamente accanto di fronte alle bottiglie molotov posate sul telo, Luperi, senza mostrare alcuno stupore di fronte a tale situazione, non chiede conto alcuno alla Mengoni di come potesse pensare in tal modo di aver adempiuto all’incarico di mettere in sicurezza le bottiglie incendiarie.

La realtà che balza evidente dalle numerose e gravi contraddizioni ed incongruenze di cui sopra è che la comparsa della Mengoni e la sua apparente incolpevole perdita di contatto con le molotov sono funzionali a spezzare la catena che lega i funzionari che si sono occupati del sacchetto con gli ordigni, ed in particolare Luperi, con la  finale comparsa delle molotov fra i reperti sequestrati come oggetti rinvenuti all’interno della scuola Pertini.

La condotta dei partecipanti al c.d. “conciliabolo” può essere agevolmente ricostruita tenendo conto delle seguenti circostanze:

-               le false dichiarazioni da ciascuno rese circa il proprio ruolo;

-               il fatto che pacificamente i predetti in quella occasione hanno discusso e parlato delle molotov (ammissione di Luperi);

-               la non credibilità del disinteresse che ciascuno avrebbe manifestato circa le modalità ed il luogo di ritrovamento delle molotov, omettendo di chiedere informazioni al riguardo;

-               la consapevolezza, per essere entrati nella scuola, che le molotov non erano state trovate all’interno della stessa. Tale ultima considerazione vale anche per Luperi e Gratteri che sono ripresi mentre entrano nella scuola alle ore 00.03 – secondo la consulenza delle parti civili - ,quindi mentre l’operazione era nel pieno svolgimento: risultando così confermate anche le deposizioni delle parti offese che li hanno riconosciuti, (Valeria Bruschi all’udienza del 17/11/2005 ha riconosciuto Luperi, e Thomas Albrecht ha descritto un funzionario con giacca, camicia bianca, con la barba e che indossava un casco, che corrisponde in pieno a Gratteri –dichiarazioni rese all’udienza del 17/11/2005, non riportate nella sentenza di primo grado). Del resto Luperi nelle dichiarazioni spontanee rese al dibattimento ha ammesso di essere entrato nell’edificio al pian terreno e al primo piano e di aver visto i feriti a terra;

-               l’inesistenza di alcuna fonte di conoscenza che avesse in qualche modo collegato le molotov all’interno della scuola, se non le presunte dichiarazioni di Mortola, della cui non rispondenza al vero si è detto, e che non possono essere prese in considerazione quale consapevole inganno perpetrato da Mortola ai danni degli altri vertici apicali presenti in loco, Luperi in testa, perché presupporrebbe l’accordo ingannatorio con Troiani, del quale non vi è il minimo riscontro;

-               la circostanza, riferita dal teste Fiorentino, secondo la quale Luperi gli disse di aver consegnato le molotov ad un operatore della Polizia scientifica.

Tutto converge in modo univoco e convincente ad indicare che i protagonisti del “conciliabolo”, ben consapevoli che le molotov non provenivano dall’interno della scuola, decisero che tali ordigni potevano essere utilizzati come reperto principe a conferma della giusta intuizione di eseguire la perquisizione ex art. 41 TULPS nella scuola Pertini, e quindi come elemento decisivo per poter procedere all’arresto di tutti i presenti con l’accusa associativa finalizzata alla devastazione e al saccheggio.

La circostanza, sottolineata da alcune difese, secondo la quale in quel momento la decisione di procedere agli arresti era già stata assunta (come emerge dalla già intercorsa telefonata fra Andreassi e Agnoletto nella quale  il primo, alle rimostranze del seocondo, riferisce che la decisione di procedere agli arresti era già stata assunta a Roma e non si poteva fare nulla), non è significativa della inutilità di architettare la falsa vicenda delle molotov. Al contrario, proprio la confermata strategia di procedere agli arresti, concretata nella decisione già assunta e irrevocabile, costituiva ulteriore pressione per i funzionari ed i vertici presenti per trovare una giustificazione  apparente alla decisione. Ed il ricorso fino a quel momento alla sola accusa di resistenza, secondo quanto Canterini ed i suoi uomini cominciavano a sostenere, appariva evidentente troppo poco per giustificare un arresto di massa. Ecco allora che le molotov, del cui ritrovamento nella conferenza stampa improvvisata Sgalla non fa ancora menzione, divengono la prova principe non solo della fondatezza del sospetto che aveva condotto alla perquisizione ex art. 41 TULPS, ma anche dell’ipotesi di reato associativa che consentiva l’arresto indiscriminato di tutti.

La conclusione cui è pervenuto il Tribunale di ritenere responsabile il solo Troiani (in quella sede in concorso con l’autista Burgio) non è plausibile. Se il solo Troiani fosse stato l’artefice della falsa introduzione delle molotov nella scuola, la sua condotta risulterebbe priva di qualsasi elementare logica: le bombe sarebbero state collocate direttamente all’interno dell’edificio creando una situazione di apparenza credibile circa la imputabilità della detenzione almeno ad alcuni dei soggetti presenti all’interno della scuola. Viceversa, la consegna a mano e di persona degli ordigni ad un collega all’esterno dell’edificio si prestava evidentemente al rischio concreto che il destinatario, lungi dal cadere nell’inganno, potesse scoprire facilmente il tentativo di Troiani.

Né, d’altro canto, il riconoscimento della condotta concorsuale degli appartenenti al conciliabolo è impedito dalla considerazione che l’input sarebbe stato fornito dall’iniziativa autonoma di Troiani, del tutto imponderabile ed accidentale. La circostanza che per l’evidente reticenza di tutti i protagonisti non sia stato possibile ricostruire nei minimi dettagli la vicenda in tutte le sue fasi non vincola la ricostruzione dei fatti alla scarne e contraddittorie tesi difensive, impedendo di valutare il complesso di elementi indizianti che, come sopra visto, concorrono in modo grave ed univoco a fondare la conclusione sopra vista. Del resto lo stesso Troiani ha riferito che, comunicata la presenza delle molotov sul suo veicolo, sarebbe stato proprio Di Bernardini a dirgli di portarle nel cortile della Pertini, per cui sussiste anche un concreto elemento che esclude l’iniziativa autonoma ed occasionale del Troiani.

Come si è visto al Troiani è certamente imputabile il falso conseguente alla introduzione surrettizia delle molotov all’interno della scuola e, benché non sia vero che si sia allontanato subito ma in realtà sia rimasto in contatto con il gruppo del “conciliabolo”, viene assolto dalla calunnia per insufficiente prova che abbia partecipato attivamente alla discussione in quella sede intercorsa circa l’utilizzo delle molotov. Pertanto il collegamento fra la condotta del Troiani e quelle degli altri coimputati del “conciliabolo” è ampiamente provato con riferimento alla consapevolezza della provenienza delle molotov dall’esterno. La successiva decisione collettiva di riferire la detenzione delle molotov a tutti gli arrestati è, pertanto, compatibile con la condotta tenuta da Troiani, che ben può essere stato richiesto della consegna in previsione dell’utilizzo illecito degli ordigni.

Anche la condotta processuale successiva di tutti gli imputati costituisce ulteriore significativa conferma della loro concorsuale attività di illecita ideazione della calunnia reale: se fossero stati ingannati, o, comunque, avessero inizialmente creduto in buona fede che effettivamente le molotov erano presenti all’interno della scuola, non avrebbero inanellato la lunga serie di false dichiarazioni e contraddittorie tesi difensive chiaramente finalizzate solo a prendere le distanze da una situazione conosciuta come fonte di personale responsabilità diretta.

In tale contesto deve essere inserita la condotta di Luperi, che gestisce materialmente il reperto e ne predispone l’utilizzo con gli altri presenti. La discussione collettiva con il sacchetto in mano ha avuto una sua concreta utilità nell’ottica degli operatori di Polizia ed ha partorito la decisione di riferire la detenzione delle molotov, nella consapevolezza della provenienza dall’esterno, a tutti gli arrestati. La conferma oggettiva di tale risoluzione psicologica, che per i sottoscrittori degli atti trova ulteriore riscontro nella modalità di redazione degli stessi, come argomentato in precedenza, per Luperi è ravvisabile, dopo la manifestazione di soddisfazione per il ritrovamento esternata nei confronti del dott. Fiorentino, nel fatto che egli abbia visto le molotov collocate insieme agli altri reperti sul telo nero e che come tali sarebbero state riferite indistintamente a tutti gli occupanti, senza alcun segno di stupore o richiesta di chiarimenti ai presenti. Lo ammette lo stesso Luperi nelle dichiarazioni spontanee che quella era la prevista destinazione degli ordigni, essendo per lui indifferente il luogo effettivo di ritrovamento: “dal mio punto di vista, che queste bottiglie fossero state trovate dentro la scuola al quinto piano, al piano terra, su un terrazzo o in un cortile, un cortile che, tra l’altro, era stato chiuso con la catena e che era stato necessario sfondare il cancello, per me erano riferibili agli occupanti”. Certo questa ammissione è stata fatta da Luperi sul presupposto che, secondo la sua versione dei fatti finale coincidente con quella iniziale, egli non  sapesse neppure perché si era ritrovato con il sacchetto in mano e chi glielo avesse dato; ma la illogicità di tale versione ed il contrasto con le emergenze obiettive dell’istruttoria (impossibilità che informazioni sulle molotov gli siano state date da Mortola, oltre tutto senza coordinamento con la consegna del sacchetto da parte di Caldarozzi) colora, evidentemente, la predetta ammissione di ben diverso significato, e conferma la consapevolezza di attribuire la detenzione delle molotov a tutti, malgrado la provenienza degli ordigni dall’esterno della scuola, scelta operativa assunta alla presenza e unitamente a coloro che avrebbero redatto e sottoscritto i relativi atti di P.G., Mortola, Di Bernardini e Caldarozzi, e quindi in evidente concorso morale.

GRATTERI

Anche Gratteri, come da filmato di cui si è riferito sopra, compare nel “conciliabolo” davanti a Luperi che tiene in mano il sacchetto con le molotov (alle 00.41.29., alle 00.41.33 per indicare i momenti più salienti). La tesi sostenuta da Gratteri nell’interrogatorio del 29/06/2002 di aver visto le bottiglie tenute in mano senza sacchetto da ignoto personaggio in borghese è, quindi, smentita dalla predetta prova documentale-rappresentativa. Gratteri partecipa a pieno titolo alla gestione del reperto e alla decisione in quel contesto assunta da tutti i partecipanti. Accanto alla falsa giustificazione circostanziale che di per sé costituisce grave indizio di responsabilità, deve valutarsi anche per Gratteri la inconsistenza dell’assunto di non essersi interessato per nulla dell’origine e delle modalità di rinvenimento delle molotov, malgrado non solo abbia partecipato al c.d. “conciliabolo”, ma abbia successivamente assistito alla esposizione delle molotov sul telo nero, quale reperto frutto della perquisizione. Anche la sua condotta ha rafforzato la decisione assunta in quella circostanza di falsamente indicare gli ordigni come ritrovati all’interno della scuola e di riferirne la detenzione a tutti indistintamente i soggetti che si trovavano nell’edificio. In particolare, per quanto riguarda l’imputazione di calunnia, è decisiva la condotta tenuta da Gratteri con riferimento alla stesura degli atti, quale descritta dal coimputato Canterini anche al dibattimento. Rileva in tal senso l’interessamento diretto ed immediato di Gratteri nei confronti di Canterini consistito nel sollecitare la redazione della informativa al Questore con la raccomandazione di far menzione degli atti di resistenza che le forze di polizia avrebbero incontrato (tanto che lo stesso Canterini ha riferito tale episodio con una certa stizza, reclamando la propria competenza ed esperienza professionale al riguardo che rendevano superfluo tale interessamento); e successivamente, come si è appreso a seguito delle contestazioni del P.M. e della finale conferma da parte di Canterini, la consegna della relazione direttamente a Gratteri, che la chiese per leggerla prima di trasmetterla al Questore al fine, riferito da Canterini, di confrontarne il contenuto con quello di altre relazioni (passo dell’esame non riportato dalla sentenza di primo grado).

Reputa la Corte che tale diretto e penetrante controllo di Gratteri sul contenuto delle relazioni da inviare al Questore, anche al fine di coordinarne il contenuto, con la precisa richiesta di menzionare le condotte (come già visto) false di resistenza, sia prova lampante del suo diretto coinvolgimento nella predisposizione del complessivo apparato documentale artatamente predisposto a sostegno delle false accuse, necessario a fornire almeno nell’immediatezza credibilità alla disastrosa operazione di polizia e giustificazione degli indiscriminati arresti. Questa evidente condotta e il già menzionato fallimento dell’alibi forniscono convincente e logica conferma che l’atteggiamento di presunta indifferenza e distacco dall’episodio delle molotov vada in realtà letto come consapevole e convinta adesione alla decisione assunta dal “conciliabolo” di utilizzare gli ordigni per accusare falsamente gli arrestati.    

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LE IMPUTAZIONI DI FALSO

Le circostanze di fatto oggetto di imputazione di falsa attestazione da parte degli imputati possono essere ricapitolate nei seguenti termini:

1)    aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia”

2)    “di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli ed armi improprie”;

contestate a

Luperi e Gratteri al capo A);

Caldarozzi Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide e Cerchi Renzo al capo C) e Di Bernardini al capo 1) nel Proc. Riunito N. 5045/05 R.G. TRIB;

Canterini Vincenzo al capo F);

Nucera Massimo al capo I) e Panzieri Murizio al capo M)

3)    “che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato come arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati”;

4)    “di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio”;

contestate a

Luperi e Gratteri al capo A);

Caldarozzi Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide e Cerchi Renzo al capo C) e Di Bernardini al capo 1) nel Proc. Riunito N. 5045/05 R.G. TRIB;

5)     “gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”

contestata ai sottoscrittori del verbale di perquisizione e sequestro al capo C) e a Di Bernardini al capo 1) nel Proc. riunito N. 5045/05 R.G. TRIB;

6)    “di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata vibrata all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della divisa indossata e al corpetto protettivo interno”

contestata a Nucera Massimo al capo I);

7)    “di aver  assistito ad un episodio in cui l’agente Nucera, entrato assieme a lui e ad altro personale in una stanza posta al secondo piano dell’edificio in questione, “avanzava e  fronteggiava una persona munita di un oggetto, con il quale ingaggiava una colluttazione”, ed inoltre che “a seguito dell’intervento dell’altro personale componente la squadra” tale soggetto “veniva accompagnato nel punto di raccolta”, essendo successivamente venuto a conoscenza che “il summenzionato giovane era munito di arma da taglio” con la quale aveva posto in essere l’aggressione ai danni dell’agente”

contestata a Panzieri Maurizio al capo M);

8)    “rinvenimento delle bottiglie incendiarie … all’interno della scuola perquisita o nelle pertinenze della stessa”

contestata a Troiani Pietro nel Proc. riunito N. 1079/08 TRIB;

9)    “aver proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi, strumenti di offesa ed altro materiale”

contestata a Gava Salvatore nel Proc. riunito N. 1079/08 TRIB.

Gli atti affetti dalle contestate falsità sono le relazioni di servizio di Canterini, Nucera e Panzieri, il verbale d’arresto, il verbale di perquisizione e sequestro, e la comunicazione di notizia di reato.

Che i predetti atti costituiscano atti pubblici non è dubitabile, neppure per le relazioni di servizio, come anche recentemente riconosciuto dalla Corte di Cassazione (Sez. 5°, n. 38537 del 25/06/2009, Sez. 5, n. 8252 del 15/01/2010), trattandosi di documenti redatti da pubblici ufficiali nello svolgimento di pubblica funzione giudiziaria, nei quali devono essere attestati i fatti direttamente compiuti o percepiti dal pubblico ufficiale.

La falsità contestata è quella ideologica ex art. 479 c.p. e la attribuzione di responsabilità si fonda sulla formazione e sottoscrizione degli atti per tutti gli imputati, tranne che per Luperi e Gratteri, la cui condotta è configurata come concorso morale perché “determinavano e inducevano gli Agenti ed Ufficiali di PG presenti” alle false attestazioni sopra elencate, e per Troiani, la cui condotta concorsuale è ravvisata nella consegna degli ordigni con le modalità viste in precedenza.

Occorre subito sgombrare il campo dal tema della possibile scriminante ex art. 51 c.p. indicata con il brocardo “nemo tenetur se detegere”, invocata sul presupposto che le eventuali falsità sarebbero dipese dalla necessità di evitare l’ammissione di responsabilità per altri reati. Il costante orientamento della Corte di Cassazione esclude la ricorrenza di tale scriminante argomentando che “la finalità dell'atto pubblico, da individuarsi nella veridicità "erga omnes" di quanto attestato dal p.u., non può essere sacrificata all'interesse del singolo di sottrarsi ai rigori della legge penale” (Cass. n. 8252/2010 cit., Sez. 5° n. 3557 del 31/10/2007).

Come anticipato nell’esposizione delle questioni preliminari, uno dei temi discussi in relazione a questo capitolo del processo riguarda la avvenuta contestazione dell’aggravante di cui al 2° comma dell’art. 476 c.p. relativo alla natura fidefacente degli atti o delle parti di atti con riferimento alle circostanze sopra elencate ritenute affette da falsità.

Come si è visto in precedenza la questione è dalla giurisprudenza rimessa alla qualificazione giuridica dell’atto da parte del giudicante, sempre che nel capo di imputazione lo stesso sia chiaramente identificato. Nel caso di specie non vi è dubbio sulla esatta identificazione degli atti affetti da falsità, tecnicamente indicati con riferimento alla loro qualificazione processuale.

Per quanto riguarda il criterio per identificare l’atto o la parte di atto munito di fede privilegiata le parti hanno discusso con riferimento specifico ai fatti riportati nell’atto che sono il frutto di percezione sensoriale del verbalizzante, richiamandosi dalla difesa quell’orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione civile secondo il quale in tal caso, essendo la percezione per sua natura fallibile, la confutazione del fatto riferito dal P.U. non avrebbe richiesto la proposizione di querela di falso, con ciò escludendosi la natura di atto fidefacente ex art. 2700 c.c.; e, viceversa, richiamandosi da parte del Procuratore della Repubblica il più recente orientamento sul punto sancito dalla Corte di Cassazione a SSUU (n. 17355 del 21/07/2009) secondo il quale le circostanze attestate come avvenute alla presenza del P.U., tranne che nell’ipotesi di oggettiva e irrisolvibile contraddittorietà, sono contestabili solo mediante il giudizio di querela di falso, anche se l’alterazione sia involontaria o accidentale (in quanto frutto, appunto, di erronea percezione).

Le difese hanno pure rilevato che di tale nuovo orientamento della Corte di Cassazione, risalente al luglio 2009, non si possa tenere conto per valutare se vi sia stata contestazione in fatto dell’aggravante di cui al 2° comma dell’art. 476 c.p. attraverso i capi d’imputazione contestati molto tempo prima del 2009, dovendo invece tale valutazione compiersi alla luce della giurisprudenza allora dominante, che, come visto, escludeva la fede privilegiata ai fatti oggetto di percezione sensoriale.

Occorre esaminare tale ultima questione che si presenta preliminare.

La Corte ritiene che il criterio di valutazione della natura fidefacente della attestazione del P.U. relativa ai fatti avvenuti in sua presenza nel periodo anteriore alla citata pronuncia della Cassazione a SSUU non fosse quello perorato dalla difesa.

Sulla ovvia considerazione che ogni fatto avvenuto alla presenza del P.U è necessariamente oggetto della sua percezione sensoriale, la altrettanto ovvia fallibilità naturale di qualunque processo di percezione sensoriale porterebbe a privare sempre della fede privilegiata qualsiasi attestazione di fatti avvenuti alla presenza del P.U., ma che questo non fosse certamente l’orientamento della giurisprudenza anche in passato si evince proprio dalla ricostruzione dei precedenti analizzata da SSUU del 2009. In particolare, e con riferimento alla specifica fattispecie sulla quale la Cassazione si è pronunciata (verbali di contestazione di infrazioni stradali in base ai fatti che l’agente attesta di aver visto) il quadro interpretativo generale era dato dalla pronuncia anch’essa a SSUU 12545/1992 secondo la quale, per quanto qui interessa, “L’efficacia di prova legale del verbale non può estendersi alle valutazioni espresse dal pubblico ufficiale ed alla menzione di fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolverei in apprezzamenti personali, perché mediati attraverso la occasionale percezione sensoriale di accadimenti, che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo, senza alcun margine di apprezzamento”.

Come risulta chiaro dal predetto principio, pertanto, solo nelle ipotesi in cui, per le particolari caratteristiche di repentinità del processo di percezione, la rappresentazione che il P.U. si forma del fatto avvenuto in sua presenza è suscettibile di ampio margine di apprezzamento personale per l’impossibilità di verifica oggettiva, veniva meno secondo quell’orientamento la fede privilegiata dell’attestazione. Come è altrettanto ovvio l’insussistenza di precisi confini di operatività di tale criterio ha condotto nel tempo a pronunce che hanno eroso l’ambito della fidefacenza estendendo l’area della influenza dell’apprezzamento personale del fatto. Ed è a questa “deriva” che ha inteso porre rimedio la recente pronuncia a SSUU del 2009.

In ogni caso il criterio operativo che si era dato la giurisprudenza consisteva nell’escludere la fede privilegiata solo a quei fatti che potevano costituire oggetto “di apprezzamento personale perché mediati dall'occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo” (ancora da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25842 del 27/10/2008 in perfetta aderenza a SSUU del 1992). È su tale parametro, pertanto, che la Corte ritiene nella fattispecie in esame ritualmente contestata la aggravante di cui al 2° comma dell’art. 476 c.p. perché, come risulterà dall’analisi delle singole circostanze oggetto di contestazione di falso, tranne che per la prima ipotesi (“fittissimo lancio di oggetti”), negli altri casi non si tratta di fatti che sarebbero stati percepiti in poche frazioni di secondo e come tali altamente passibili di errore percettivo.

Esaminando le singole ipotesi di falsità, la Corte osserva:

1)    aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia”

Come anticipato, sul presupposto che anche l’appellante Procuratore Generale ammette che qualche sporadico oggetto è stato lanciato, o comunque, è caduto nel cortile della Pertini mentre ivi stazionavano gli operatori prima dello sfondamento del portone principale, l’aggettivazione “fittissimo” che integra il nucleo fondamentale di tale falsità costituisce certamente un apprezzamento personale, per sua natura insuscettibile anche a posteriori di verifica oggettiva (non esistono parametri tecnico scientifici per verificare il grado di intensità di caduta degli oggetti ai quali corrisponda una altrettanto precisa aggettivazione). Pertanto, seppure, come già si è analizzato in precedenza, l’aggettivo “fittissimo” costituisce certamente una iperbole ingiustificata strumentalmente adottata per tentare di giustificare le successive violenze compiute dagli operatori di polizia, tuttavia tale falsità non è riferibile ad attività fidefacente, risolvendosi piuttosto in un giudizio valutativo, che come tale è sempre stato escluso dal novero delle attestazioni fidefacenti.

2)    “di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia, armati di coltelli ed armi improprie”

L’accadimento così descritto sfugge ad ogni possibile connotazione di repentinità e non si presenta come frutto di apprezzamento personale opinabile. La condotta addebitata ai presenti viene descritta come generalizzata e tenuta per un apprezzabile lasso di tempo, così eclatante da comportare la reazione difensiva violenta degli operatori e le gravi conseguenza lesive dell’integrità fisica di moltissimi soggetti; il possesso di armi improprie e di coltelli non può essere considerato frutto di una percezione repentina e sfuggente. Tali fatti descritti come avvenuti alla presenza dei verbalizzanti sottoscrittori degli atti sono, pertanto, connotati da fede privilegiata.

Esaminando il merito della contestazione, osserva la Corte che la falsità delle predette circostanze è già stata rilevata dallo stesso Tribunale con riferimento al capo F) a carico di Canterini. La valutazione non può che essere condivisa dalla Corte, con la precisazione, peraltro, che i margini di dubbio sollevati dal primo giudice sono del tutto inesistenti. Non solo l’episodio dell’accoltellamento di Nucera è falso, come già argomentato, ma anche gli episodi di resistenza genericamente riferiti nelle relazioni di servizio sono falsi. Come già osservato si tratta di atti predisposti a richiesta di Canterini dopo alcuni giorni dai fatti quando ormai le polemiche sulle vicende della Diaz erano assurte agli onori della cronaca; addirittura il prefetto Micalizio, incaricato della inchiesta amministrativa, si era rifiutato di ricevere tali relazioni per l’evidente alterazione dei fatti in chiara funzione difensiva (verbale di s.i.t. del 29/08/03). Quanto ai 17 referti medici sulle lesioni riportate dai poliziotti e richiamati dal Tribunale, la irrilevanza di fronte al bilancio complessivo degli ottantasette feriti su novantatrè arrestati che ha condotto all’ossimoro della  colluttazione unilaterale” descritta dall’imputato Fournier, è confermata dalle indagini svolte che hanno consentito di appurare che tali certificati, rilasciati dal Centro Medico della Polizia, e sollecitati da Gratteri a Canterini, in tre casi si riferiscono a lesioni subite nello sfondamento del portone (lesioni riportate dagli agenti del Reparto Mobile Marra, Finocchio e Castagna), in due casi si riferiscono a lesioni accidentali riportate da agenti della Squadra Mobile di Napoli, negli altri casi attestano lesioni lievissime (traumi contusivi, distorsioni al dorso della mano, alle dita, alla coscia e alle caviglie) che sono troppo blande per essere state causate da violenta reazione a mano armata come descritta nella relazione di Canterini (“armati con spranghe, bastoni e quanto altro”), nella CNR (“gli occupanti ingaggiavano violente colluttazioni utilizzando anche armi da taglio ed improprie…gran parte degli occupanti affrontava gli operatori di polizia con bastoni, assi di legno ed oggetti metallici”), nel verbale di arresto (“dapprima i giovani cercavano di resistere ingaggiando colluttazioni…l’attiva resistenza posta in essere dai citati giovani veniva superato solo grazie alla presenza di un nutrito contingente di operatori”) e nel verbale di perquisizione (“vinta la resistenza degli occupanti”).

Occorre ancora rilevare come le relazioni di servizio siano assolutamente generiche in ordine alle presunte resistenze, mancando le descrizioni specifiche delle condotte, degli aggressori e delle modalità di utilizzo delle armi: anche tale genericità è indizio significativo di falsità.

Persino gli stessi imputati nel cercare di giustificare la propria condotta in ordine all’affermazione delle resistenze incontrare hanno ammesso di non averne avuto conoscenza diretta. Nell’esame dibattimentale Canterini afferma che “pur non avendo avuto visione di azioni dirette, sono cose che ho potuto constatare; è frutto di una logica deduzione, non di visione diretta. Sono giunto a questa deduzione perché abbiamo incontrato resistenza, avendo dovuto superare cancelli chiusi e accessi sbarrati. Quando sono entrato dopo i miei uomini, dopo aver visto e sentito cadere roba dall’alto, ho visto da una parte spranghe e oggetti contundenti tra cui una mazza, ho visto persone ferite addossate al muro e alcuni  dei miei contusi; ho dedotto quindi logicamente che vi fosse stato contatto fisico”. Nel suo esame dibattimentale Fournier afferma “vi era buio, e guardando meglio vidi che non si trattava di vere colluttazioni, ma vi erano quattro o cinque poliziotti che stavano infierendo sui feriti”. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Stranieri Pietro riferisce di violenze perpetrate da altri poliziotti, ma non di resistenze da parte degli occupanti. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Zaccaria Emiliano non riferisce alcun tipo di colluttazioni. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Cenni Angelo riferisce de relato presunte contusioni subite dai suoi uomini, che per ciò solo avrebbe invitato ad uscire dalla scuola (circostanza poco credibile perché non corredata da specifiche indicazioni sulla identità degli uomini feriti). Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Ledoti Fabrizio ha riferito di essere stato aggredito con un manico di piccone e di aver dovuto ricorrere al “tonfa” (o “baton”) per “bloccarlo” e poter proseguire (ma l’episodio è generico e resta non chiarito come sia avvenuto il “bloccaggio” dell’antagonista che ha consentito al Ledoti di proseguire). Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Luperi non riferisce di aver constatato alcuna resistenza, anzi conferma di essersi allarmato per l’elevato numero di feriti. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Dominici Nando riferisce di non aver assistito ad alcuna resistenza e di aver firmato il verbale di arresto fidandosi dei colleghi e sul presupposto che Caldarozzi gli aveva comunicato la decisione di procedere agli arresti di tutti i fermati. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Lucaroni Carlo ha riferito “nessuno degli occupanti fece resistenza nei miei confronti ed io non usai in alcun modo il tonfa”. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Compagnone Vincenzo non ha riferito alcuna resistenza.  Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Tucci Ciro ha genericamente riferito di colluttazioni fra suoi colleghi e giovani, ma non di atti di resistenza.

Il complessivo quadro che emerge da tutti gli elementi di prova raccolti nel corso del dibattimento di primo grado conduce chiaramente ad escludere che vi siano stati atti di resistenza, tanto meno con utilizzo di armi. Giova rilevare che il sequestro di coltelli e altri arnesi da lavoro di per sé non è assolutamente indicativo di nulla, in assenza della ben che minima descrizione di un loro utilizzo improprio quali armi.

3)    “che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze, bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato come arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati”;

Anche tale fatto così descritto sfugge ad ogni possibile connotazione di repentinità e non si presenta come frutto di apprezzamento personale opinabile. L’utilizzo di strumenti quali arma impropria per commettere atti di resistenza non può ricondursi alle percezioni repentine frutto di incerta valutazione soggettiva: trattasi di condotta duratura nel tempo che, così come descritta, implica la visione diretta di fatti chiari nella loro oggettività, quali il possesso e l’uso di mazze, bastoni, picconi ecc. per commettere atti violenti in danno degli operatori di polizia. Nessun dubbio, pertanto, che tale fatto al quale il P.U. afferma di aver assistito gode di fede privilegiata.

Quanto all’oggettiva esistenza della falsità, vale al proposito quanto osservato da ultimo con riferimento alla circostanza precedente. Non vi è alcun riscontro negli atti redatti e nelle dichiarazioni rese dagli imputati di alcuna specifica condotta che consenta di attribuire ad alcuno degli arrestati la detenzione e l’uso degli strumenti indicati, e la attribuzione indifferenziata a tutti di tali oggetti è di per sé chiaro indice di pretestuosa e infondata generalizzazione in spregio al fondamentale principio della personalità della responsabilità penale, che deve essere ben noto ai redattori degli atti di polizia giudiziaria.

4)    “di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio”

Anche tale fatto non può essere qualificato percezione sensoriale repentina e come tale fallace. L’affermazione di aver constatato la presenza di due ordigni incendiari in luogo visibile e accessibile a tutti, oltre che essere nella sua oggettività insospettabile di travisamento percettivo, è connotata di per sé di caratteristica (facile visibilità a tutti) che esclude la percezione repentina. L’affermazione sicuramente gode di fede privilegiata.

Nel merito il capitolo delle bombe molotov è già stato ampiamente esaminato e, del resto, l’oggettiva falsità dell’attestazione circa la loro presenza all’interno della scuola Pertini e la riferibilità a tutti gli arrestati, in tale detenzioni uniti dal vincolo associativo a delinquere, non è neppure contestata dagli imputati.

5)    “gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”

In tal caso non si tratta neppure di attestazione di fatto accaduto alla presenza del P.U., ma di azione direttamente compiuta dal verbalizzante, per cui non si pone alcun problema di percezione sensoriale del fatto. L’affermazione da parte del P.U. di aver compiuto una determinata azione è sicuramente dotata di fede privilegiata.

Nel merito la falsità oggettiva della circostanza è pacifica, e come tale ammessa da tutti gli imputati e riconosciuta dal Tribunale. Il primo giudice ha escluso la rilevanza penale del fatto argomentando che nel caso di specie, trattandosi di perquisizione ad iniziativa, non era obbligatorio per legge l’avviso in questione, che sarebbe stato inserito nel corpo del verbale di perquisizione per leggerezza o disattenzione.

Tale argomentazione non è condivisibile perché errata in diritto e, in ogni caso, incoerente.

Il Tribunale ha citato a sostegno della sua tesi una massima giurisprudenziale di pronuncia non pubblicata, che pare confondere l’avviso all’indagato da quello al difensore. Viceversa la costante giurisprudenza in tema di perquisizioni ad iniziativa della P.G. riconosce che ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p. e art. 356 c.p.p. è dovuto nei confronti della persona sottoposta ad indagini l’avviso della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia (arg. da Cass. pen. Sez. 2, Sentenza n. 40833 del 2007 che in caso di sequestro ad iniziativa poi convalidato dal P.M. ha sancito “questa S.C. è costante nel ritenere che la violazione dell'obbligo, da parte della polizia giudiziaria, di avvertire l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (art. 114 disp. att. c.p.p.) nel corso di una perquisizione o sequestro integra una nullità generale a regime intermedio”, e da Sez. 4, Sentenza n. 16094 del 2009 ove si presuppone la operatività del disposto dell’art. 114 disp. att. c.p.p. in caso di perquisizione conseguente ad arresto in flagranza).

Ma in ogni caso, venendo al secondo profilo, l’argomentazione è illogica perché la falsità dell’affermazione non dipende dalla doverosità o meno dell’avviso, ma dal fatto che esso sia stato effettivamente dato o meno, essendo evidente che la falsità non è esclusa dall’errore di diritto che eventualmente i verbalizzanti abbiano compiuto circa la necessità di un determinato adempimento procedurale.

Consegue che, essendo pacifico (in quanto confermato da tutte le parti offese e non contestato dagli imputati) che l’avviso in questione non venne dato, la contraria affermazione contenuta nel verbale di perquisizione è falsa.

E non è neppure condivisibile la giustificazione fornita dal Tribunale che imputa la falsità a leggerezza e disattenzione dei verbalizzanti: la leggerezza e la disattenzione inducono a trascurare fatti rilevanti, non ad affermare fatti inesistenti. Nel verbale di perquisizione e sequestro in esame la specificazione dell’avvenuto avviso agli indagati è stata scientemente inserita per confezionare l’atto nel modo più conforme possibile alle regole giuridiche che lo disciplinano, con la stessa studiata cura con la quale nella comunicazione di notizia di reato i verbalizzanti si sono premurati di evidenziare che la forza usata dagli operatori di polizia era stata “di proporzione adeguata all’intensità dell’offesa” posta in essere dai facinorosi resistenti, con ciò cautelandosi circa le preconizzate contestazioni di uso eccessivo della forza, evidente già al solo esame del numero dei feriti e della gravità delle lesioni inferte.

6)    “di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata vibrata all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della divisa indossata e al corpetto protettivo interno”

Trattasi di articolata e complessa vicenda descritta dal Nucera con riferimento a più fasi successive (aggressione da parte dello sconosciuto, uno o due colpi ricevuti al petto, ritrovamento del coltello, scoperta della lacerazione al giubbotto) che sfugge a qualsiasi possibile tentativo di considerarla conseguenza di percezione sensoriale repentina, come tale fallace. Nessun dubbio che anche in questo caso ci si trovi di fronte ad una serie di affermazioni dotate di fede privilegiata.

Quanto alla falsità, se ne è ampiamente argomentato in precedenza, e a tale capitolo si rimanda.

7)    “di aver  assistito ad un episodio in cui l’agente Nucera, entrato assieme a lui e ad altro personale in una stanza posta al secondo piano dell’edificio in questione, “avanzava e  fronteggiava una persona munita di un oggetto, con il quale ingaggiava una colluttazione”, ed inoltre che “a seguito dell’intervento dell’altro personale componente la squadra” tale soggetto “veniva accompagnato nel punto di raccolta”, essendo successivamente venuto a conoscenza che “il summenzionato giovane era munito di arma da taglio” con la quale aveva posto in essere l’aggressione ai danni dell’agente”

Nella sua relazione di servizio datata 22/07/2001 l’Ispettore Capo Panzieri ha riferito di aver proceduto personalmente insieme con Nucera allo sfondamento della porta chiusa di un’aula, di aver visto una persona aggredire il collega tenendo qualcosa in  mano, che l’aggressore era stato fermato e accompagnato al punto di raccolta, e che gli era stato riferito che l’oggetto impugnato dall’aggressore era un coltello.

Anche in questo caso valgono le considerazioni precedenti circa la specificità di diverse fasi dell’azione, alcune compiute direttamente dal Panzieri (sfondamento della porta insieme con Nucera, ricezione della comunicazione essersi trattato di coltello) come tali estranee a processo percettivo, ed altre percepite, per le quali non pare proprio sussista la repentinità (fermo e accompagnamento dell’aggressore al punto di raccolta). Anche in tal caso sussiste la fede privilegiata. Circa la falsità si richiamano le ampie argomentazioni svolte nella ricostruzione dell’episodio dell’aggressione a Nucera.

8)    “rinvenimento delle bottiglie incendiarie … all’interno della scuola perquisita o nelle pertinenze della stessa”

L’oggetto della contestazione a Troiani è speculare a quanto già esaminato al punto 4).

9)    “aver proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi, strumenti di offesa ed altro materiale”

Trattasi all’evidenza di contestazione che si riferisce all’affermazione falsa da parte di Gava di aver compiuto un determinato atto procedurale; anche in tal caso è estraneo il tema della percezione sensoriale perché a Gava è contestato di aver falsamente attestato la propria partecipazione diretta alla perquisizione e al sequestro. Nessun dubbio sulla natura fidefacente dell’atto. Quanto alla falsità oggettiva dell’affermazione, essa è pacifica nella sua materialità, posto che Gava non è neppure entrato nella scuola Pertini, essendosi occupato della antistante scuola Pascoli, e sostiene di aver firmato il predetto verbale solo per aver compiuto qualche identificazione degli arrestati.

Può pertanto concludersi su questo primo punto che, a parte la attestazione del “lancio fittissimo”, tutte le altre falsità contestate implicano la contestazione anche dell’aggravante di cui al 2° comma dell’art. 476 c.p. trattandosi di condotte tenute direttamente dai PPUU o di fatti che gli stessi hanno attestato essere avvenuti in  loro presenza, e dagli stessi percepiti senza margini di opinabilità.

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Descritte le ipotesi di falso in atto fidefacente contestate in causa, e verificata la sussistenza dal punto di vista oggettivo delle falsità, prima di procedere all’esame della responsabilità degli imputati occorre affrontare un secondo tema di carattere generale, relativo alla invocata legittimità della sottoscrizione dei verbali fidefacenti anche da parte di chi non ha partecipato direttamente alle attività procedimentali che l’atto stesso documenta, o per aver compiuto altre attività successive utili alla redazione dell’atto falso (come la identificazione degli indagati) o per essersi fidati di quanto affermato da altri colleghi, o per aver redatto solo in parte l’atto, lasciando che altri lo completassero nella parte poi risultata falsa.

La peculiarità dei verbali di perquisizione e sequestro, e di arresto oggetto del presente giudizio consiste innanzi tutto nella mancata indicazione nominativa dei verbalizzanti, posto che gli atti esordiscono con la frase “noi sottoscritti Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria effettivi a…” seguita dalla indicazione dei rispettivi corpi di appartenenza, ma senza specificazione delle generalità. Gli inquirenti hanno dovuto così investigare in base alle firme di sottoscrizione, spesso mere sigle, con il risultato che uno dei firmatari del verbale di arresto è rimasto ignoto (circostanza significativa secondo l’accusa pubblica della mancata collaborazione nelle indagini da parte della Polizia, pur delegata dalla Procura a investigare sui tragici fatti).

La legittimità della sottoscrizione da parte di chi non ha compiuto l’attività tipica consacrata dal verbale è stata sostenuta con quattro argomentazioni:

1)    l’art. 120 disp. att. c.p.p. al 1° comma stabilisce che “Agli adempimenti previsti dall’art. 386 c.p.p. possono provvedere anche ufficiali e agenti di polizia giudiziaria diversi da quelli hanno eseguito l’arresto o il fermo”;

2)    il codice di rito prevede e disciplina all’art. 383 l’arresto da parte del privato, cui segue la redazione del verbale da parte dell’ufficiale di P.G. che, evidentemente, non ha proceduto all’arresto;

3)     l’identificazione degli indagati, in quanto presupposto necessario per la redazione  del verbale, è attività della quale deve darsi conto nel verbale, per cui la sottoscrizione di chi ha provveduto a tale adempimento strumentale è legittima;

4)    l’art. 479 c.p. sanziona come falso ideologico anche la condotta, descritta come ipotesi di chiusura, della falsa attestazione di fatti diversi (da quelli compiuti dal P.U. o ai quali il P.U. ha assistito) dei quali l’atto è destinato a provare la verità. Sotto tale profilo la sottoscrizione ben può riferirsi alla assunzione di “paternità” dell’atto e di responsabilità circa le decisioni assunte quali conseguenza degli aspetti valutativi (come quella tipica di procedere all’arresto). Pertanto la sottoscrizione del verbale da parte di chi abbia appreso de relato le circostanze oggetto della parte descrittiva sarebbe giustificata dalla assunzione di responsabilità della parte valutativa e dispositiva dell’atto che consegue alla analisi dei fatti.

La Corte ritiene che nessuna delle suddette argomentazioni sia fondata.

-               Quanto alla prima, trattasi di evidente travisamento del significato della norma. L’art. 386 c.p.p prevede che successivamente all’arresto o al fermo la Polizia Giudiziaria compia una serie di adempimenti esecutivi: informare il P.M., avvisare l’arrestato delle garanzie difensive, avvisare il difensore, mettere a disposizione del P.M. l’arrestato, trasmettere il verbale. L’art. 120 disp. att. c.p.p. prevede che tali adempimenti esecutivi successivi alla redazione del verbale (che resta disciplinata dall’art. 357 c.p.p.) possono essere compiuti anche da ufficiali e agenti di P.G. diversi da quelli che hanno proceduto all’arresto, per evidenti ragioni di speditezza, ma non contempla certo la facoltà di redigere il verbale di arresto in capo a soggetti diversi da quelli che hanno proceduto materialmente al compimento dell’atto.

-               Quanto alla fattispecie dell’arresto da parte di privato, il travisamento è ancora più eclatante. La norma, nel disciplinare la facoltà di arresto da parte del privato, prevede che il P.U. redige il verbale della consegna: in tale atto l’ufficiale attesta, con efficacia di fede privilegiata, il fatto storico della presentazione del privato che gli consegna l’arrestato e il fatto storico consistente nella relazione che il privato fa oralmente al P.U. per descrivere le circostanze che l’hanno condotto ad eseguire l’arresto. Ma è evidente che il P.U. non può attestare di aver proceduto direttamente lui all’arresto, assumendosi la paternità della condotta tenuta dal privato.

-               Quanto alla terza argomentazione, la stessa è smentita innanzi tutto proprio dalla pronuncia resa dalla Corte di Cassazione nei confronti dell’imputato Gava, là ove ha ritenuto che non ha alcun senso sostenere che per il solo fatto di aver proceduto alla identificazione degli arrestati egli possa aver equivocato sulla natura e sul significato dell’atto sottoscritto, cioè il verbale di perquisizione alla quale non aveva partecipato. Come risulta evidente da tale argomentazione, ove la Corte avesse ritenuto che la partecipazione ad atti successivi legittimi la sottoscrizione di atto precedente al quale non si è preso parte, ne avrebbe dato atto nel caso al suo esame e non avrebbe argomentato circa l’insostenibilità dell’equivoco del Gava sulla propria partecipazione alla perquisizione; al contrario, risulta confermato che in tanto il P.U. può sottoscrivere l’atto, in quanto vi abbia preso parte effettiva.

L’occasione è opportuna anche per confutare le tesi secondo le quali la sottoscrizione degli atti da parte di chi non li ha compiuti sarebbe giustificata da prassi, o da fiducia riposta in quanto accertato da altri colleghi. Quanto alla prassi, la prima considerazione evidente è che non vi è traccia nel processo di alcun minimo indizio dell’esistenza di tale prassi; al contrario la stessa è stata smentita in modo inequivocabile dal vice questore Gallo Nicola (incaricato della stesura materiale degli atti insieme con Schettini) nell’esame testimoniale del 18/04/2007 (“se uno firma un verbale è perché può inserire in quel verbale qualcosa che ha percepito direttamente”). Ma certamente non esiste prassi che scrimini tale condotta, come sancito dalla Corte di Cassazione che afferma invece come “non può invocarsi a discolpa l’esistenza di prassi illegittimamente tollerate se non promosse. In casi siffatti, invero non si può parlare di condotta colposa, giacché la colpa consiste in una negligenza, nel senso che pur avendo adottato un sistema ed una procedura corretta, l’agente incorra in errore dovuto a superficialità o in una imperizia, nel senso per esempio che l’agente interpreti correttamente alcune disposizioni che regolano la procedura” (Cass. Sez. 5° n. 10720 del 4/12/2007- 10/03/2008)

Quanto alla firma per fiducia sull’operato altrui, deve rilevarsi come sia assolutamente illogico prevedere la facoltà di una sottoscrizione inutile e meramente aggiuntiva apposta quasi con funzione notarile, come se la quantità di sottoscrizioni possa aumentare la affidabilità di quanto attestato nell’atto. Ma anche per tale ipotesi la citata Cass. N. 10720 del 4/12/2007 afferma a chiare lettere che “Il pubblico ufficiale non può apporre firme al buio senza incorrere in responsabilità, essendo suo preciso dovere adottare le procedure idonee a garantire la piena conoscenza del contenuto degli atti che firma”.

L’ultima considerazione conclusiva sul punto è che, se anche per amor di accademia si volesse dare ingresso alle suddette ipotesi legittimanti la sottoscrizione da parte di chi non ha compiuto l’atto e non ha assistito agli accadimenti ivi attestati, sarebbe pur sempre necessario che l’atto esplicitasse il ruolo svolto dal sottoscrittore “estraneo”, indicando per ciascun firmatario nominativamente indicato a quale titolo egli sottoscriva pur non avendo partecipato: ad esempio con l’indicazione di aver redatto altri diversi atti successivi (come l’identificazione degli arrestati) o con l’indicazione della fonte dalla quale ha appreso il fatto che intende “confermare”, o della parte materiale di atto compilata, poi completata da altri. Nel caso di specie, viceversa, tutti i sottoscrittori si sono anonimamente indicati negli incipit dei verbali come autori diretti di tutte le attività compiute e percettori degli accadimenti ivi descritti, senza alcuna distinzione, per cui non vi è spazio alcuno per accedere alle tesi difensive sopra viste.

-               In ordine alla quarta argomentazione la Corte rileva che l’interpretazione dell’ultimo inciso dell’art. 479 c.p. “comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità” non è quella proposta dalla difesa. La tesi finisce per riferire la norma in esame a ipotesi di manifestazione da parte del P.U. di valutazioni, come l’”assunzione di paternità dell’atto”, che può significare solo la decisione di procedere all’attività ivi descritta e compiuta da altri (perquisizione e sequestro), nonché la decisione di procedere ad atti dispositivi (arresto) in base alla valutazione dei fatti emersi. Ma che tale area di condotta sia estranea alla norma incriminatrice in esame è pacifico, essendo la falsità sempre riferita a dichiarazioni di scienza (Cass.  Sez. 3, Sentenza n. 4545 del 17/01/1983 “Il reato di falso ideologico che si realizza sia nella ipotesi che il pubblico ufficiale attesti falsamente in atto pubblico fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, sia allorché il privato attesti al pubblico ufficiale gli stessi fatti, presuppone che l'attestazione consista in una affermazione o negazione di verità, e mai in una dichiarazione di volontà, e che il dichiarante abbia l'obbligo giuridico dell'esposizione veritiera.”

La fattispecie si riferisce all’ipotesi nella quale il P.U. dolosamente faccia propria la falsità riferita da un terzo su un fatto estraneo alla percezione del P.U. in quanto interno alla sfera di conoscenza e disponibilità del terzo stesso, il quale abbia per legge o altra fonte normativa l’obbligo di riferire al P.U. il vero, sì che l’atto predisposto da quest’ultimo sia destinato a provare la verità. La norma, pertanto, non autorizza il P.U. a sottoscrivere atti compiuti da altri. Se poi l’argomentazione in esame è volta a giustificare la sottoscrizione non quale autore delle attività compiute o spettatore dei fatti accaduti in sua presenza, ma come responsabile delle decisioni di carattere valutativo, vale la considerazione più sopra svolta circa la assoluta indifferenziazione dei sottoscrittori, e la mancanza di specifica e chiara indicazione dei ruoli, in tale ipotesi necessariamente diversi, assunti dagli ufficiali di P.G. con le rispettive sottoscrizioni.

Giova infine ricordare che anche per gli atti a contenuto dispositivo, quali il verbale di arresto, è ravvisabile la falsità ideologica con riferimento alla enunciazione dei fatti storici indicati quali presupposto del giudizio che conduce alla disposizione finale.

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Passando all’esame delle singole responsabilità, la Corte osserva:

1)    POSIZIONE di LUPERI e GRATTERI

Si tratta dei due funzionari di rango più elevato nel novero degli imputati, che peraltro, in ragione della carenza della qualifica di Ufficiali di PG non hanno firmato alcuno dei verbali falsi.

Entrambi hanno cercato di sminuire i loro rispettivi ruoli e funzioni nella vicenda in esame, ma sono stati smentiti dalle molteplici circostanze di segno contrario emerse nel processo.

Occorre a tal fine richiamare la testimonianza del pref Ansoino Andreassi illuminante sui ruoli dei due imputati in esame. Ha riferito tale teste di aver ricevuto una telefonata dal Capo della Polizia De Gennaro con la quale questi lo avvisava dell’arrivo a Genova del Pref. La Barbera, che sarebbe venuto a Genova a dare una mano ad esso Andreassi  (ud. 23/5/2007). La Barbera viene inviato a Genova con l’incarico formale di occuparsi dei rapporti con le polizie straniere per sollecitare una collaborazione più rapida in relazione ad arresti di stranieri coinvolti negli scontri. Ma è stato pacificamente acclarato che La Barbera, arrivato a Genova nel tardo pomeriggio a manifestazione terminata, non si occupò minimamente delle polizie straniere, e si installò, invece, nella sala operativa della Questura portando con sé anche l’imputato Luperi – il suo vice – che venne distolto dalla sala delle polizie straniere. La presenza di Luperi fin dall’inizio della vicenda e, come si vedrà, per tutta la sua durata fino al termine, rende irrilevante il suo incarico formale di Consigliere Ministeriale, a suo dire avente per oggetto solo attività di consulenza e non compiti operativi, se non altro perché, come rilevato da molti presenti sul campo, la funzione  di Consigliere ministeriale non aveva alcun nesso con l’UCIGOS, diretto dal La Barbera, del quale Luperi era vice.

Sempre dalla deposizione di Andreassi si apprende che in occasione dalla necessità di procedere in forma energica ad una perquisizione con conseguenti risultati in termini di arresti presso la scuola Paul Klee, la gestione della perquisizione venne tolta ad esso Andreassi e affidata a Francesco Gratteri, all’epoca vice di Manganelli al Servizio Centrale Operativo, fino a quel momento addetto ai servizi all’interno della zona rossa. Lo stesso Gratteri nel suo interrogatorio del 29/6/2002 ha confermato la circostanza, riferendo di esser stato lui a guidare l’operazione: “non era una perquisizione ma una passeggiata, quella perquisizione si stava svolgendo male”.

Il teste Manganelli, all’epoca diretto superiore di Gratteri, (ud. 02/05/2007) ha riferito di essere stato informato da Gratteri sull’operazione di perquisizione alla scuola Paul Klee.

Consegue che può ritenersi provato che l’imputato Gratteri viene, di fatto, messo a capo delle operazioni di ordine pubblico, con conseguente passaggio in secondo piano della figura del Pref. Ansoino Andreassi

Ancora il teste Andreassi in merito alla riunione presso la Questura allorché si decise l’intervento alla scuola Diaz ha aggiunto che:

a) il Capo della Polizia, informato dell’imminente perquisizione, aveva deciso che La Barbera doveva recarsi sul posto, così come l’addetto stampa della Polizia, Sgalla;

b) che Gratteri era andato alla Diaz su input del suo superiore gerarchico Dott. Manganelli; è opportuno sottolineare che Gratteri a partire dall’operazione della scuola Paul Klee – per espressa ammissione dello stesso Manganelli - durante le fasi cruciali di quella giornata è stato sempre in contatto con il Ministero dell’Interno ed in particolare con gli uffici del Servizio Centrale Operativo, come risulta dai tabulati del suo cellulare, che evidenziano ben 19 contatti tra Gratteri ed il Ministero dell’Interno uffici dello S.C.O. tra le ore 20:02,30 e le ore 00:31,15;

c) Luperi era andato alla Diaz in qualità di vice di La Barbera;

Alla deposizione di Andreassi si accompagnano decisivi riscontri oggettivi.

Quanto a Gratteri la ricostruzione operata dalla consulenza delle parti civili ha provato che:

a)    Dalle ore 00.24.52 alle ore 01.12.14 tredici frammenti video lo riprendono nel cortile della scuola Pertini. Fra questi compare il frammento in cui agitando il “tonfa” verso l’alto ordina di fermare i fuggitivi che erano riusciti a scappare dalla scuola tramite i ponteggi, e quello che riprende il cosiddetto “conciliabolo” di funzionari con al centro il sacchetto delle bottiglie molotov tra le mani del dott. Luperi.

b)    E’ Gratteri che chiama il dott. Filocamo e gli impartisce l’ordine di repertare quanto in sequestro (dep. Filocamo all’udienza 15/11/07);

c)    Dalle ore 01.13.44 alle ore 01.51.50 vi sono 33 frammenti video che riprendono Francesco Gratteri nei pressi del cancello dell’istituto scolastico o nelle immediate vicinanze di questo all’interno del cortile oppure nella via Battisti. In quest’ultima circostanza cinque frammenti video lo riprendono mentre parla con la stampa. Anche questa circostanza appare del tutto significativa: il capo del servizio centrale operativo della Polizia di Stato viene immediatamente contornato dai giornalisti che lo riconoscono come un interlocutore idoneo a chiarire i termini dell’operazione ed egli non si sottrae anzi discute a lungo con loro dei fatti.

d)    è lui stesso che chiede a Canterini di predisporre una relazione sui fatti al Questore

Anche un altro documento acquisito agli atti del dibattimento illumina il ruolo del dott. Gratteri nell’ambito dell’operazione: in una telefonata registrata sulla linea 113 si ascolta una conversazione tra Mortola e Canterini dalla quale si apprende che il dott. Gratteri si era rivolto al primo per sollecitargli la produzione di certificati medici per gli atti (tel. 22 luglio al 113 -07  03.05.22).

Risulta così ampiamente dimostrata la partecipazione diretta ed attiva di Gratteri anche nella fase della redazione degli atti e, soprattutto, nel controllo del loro contenuto, come già si è visto descrivendo l’episodio della richiesta a Canterini di redigere la relazione al Questore, con il suggerimento del contenuto ed il successivo controllo per verificarne la congruità con gli altri atti. La richiesta di certificati medici attestanti le lesioni subite dai poliziotti per suffragare il giudizio contenuto nella CNR sulla “proporzione fra forza usata e violenta resistenza incontrata” è ulteriormente sintomatico del concorso di Gratteri nella formazione dei verbali.

Secondo i testi Frieri, Calesini, Cremonini gli imputati Luperi e Gratteri dirigono, comandano, danno disposizioni (ad es. il teste Frieri ha detto di Gratteri: dava l’impressione di essere il capo, tutto sembrava dipendere da lui; il teste Calesini ha riferito di Luperi: dirige, comanda, da’ disposizioni).

In definitiva può affermarsi con elevato grado di sicurezza che la linea di comando dell’operazione è da individuarsi in Luperi, figura di riferimento per gli appartenenti alle Digos e in Gratteri figura di riferimento per gli appartenenti alle squadre mobili; la circostanza è del resto affermata anche dalla sentenza impugnata.

Quanto alla consapevolezza delle falsità contenute nei verbali, e riprendendo il tema dello sdoppiamento dell’operazione in due fasi distinte e separate, sostenuto dalle difese, e condiviso dal Tribunale al fine di escludere che i due si potessero rendere conto di quanto era successo, si deve ricordare:

Luperi e Gratteri arrivarono fra i primi sui luoghi, quanto erano in corso i pestaggi di Covell e di Frieri, e comunque il corpo di Covell sarebbe rimasto ben visibile accasciato vicino al cancello di ingresso; lo stesso Luperi ha ammesso di aver visto Frieri bloccato a terra da poliziotti, ma senza saperne il motivo. Risulta, pertanto, poco credibile che i due non si siano avveduti delle violenze che già erano iniziate ben prima dell’arrivo al cortile della Diaz;

Luperi e Gratteri entrarono alla Diaz pochi minuti dopo lo sfondamento del portone, secondo le ricostruzioni dello svolgimento dei fatti sostanzialmente coincidenti contenute nelle consulenze delle parti civili e dell’accusa, ritenute come le più attendibili nell'impugnata sentenza. In particolare il momento di ingresso sia di Gratteri, sia di Luperi è collocabile intorno alle 00,03.30 della domenica 22 luglio, ossia in un momento in cui non è dato seriamente dubitare che la parte “messa in sicurezza” della operazione di polizia fosse ancora in pieno svolgimento; conferma della circostanza, come già visto, è rinvenibile dalle testimonianze di Bruschi Valeria e Thomas Albrecht. È quindi impossibile che essi non abbiano percepito cosa fosse realmente accaduto essendo due dei massimi esponenti della Polizia di Stato, e soprattutto che nessuno li abbia informati. A tale proposito non bisogna dimenticare che almeno l’imputato Fournier ha manifestato di essere ben consapevole della “macelleria messicana” e di averne fatto espresso riferimento a Canterini, per cui non  è credibile che i due massimi dirigenti non siano stati informati.

Ma l’evidenza oggettiva dei fatti, anche ammesso che i due fossero giunti all’interno della scuola dopo la cessazione delle violenze, era tale da ingenerare in chiunque la certezza che vi fosse stato un gravissimo ed ingiustificato abuso della forza: l’elevato numero dei feriti anche gravi, le urla strazianti che in ogni caso si sentivano chiaramente all’esterno fin dall’inizio dell’operazione, le condizioni della scuola all’interno caratterizzate da sangue fresco su muri e sui caloriferi e per terra, porte divelte, arredi fracassati, vetri infranti davano vita ad una scena di violenza talmente evidente e generalizzata da non poter essere seriamene misconosciuta.

Ed infatti l’ultima versione della strategia difensiva di Luperi è stata di affermare che effettivamente egli si rese conto che le cose non potevano essere andate regolarmente e che egli manifestava dubbi per l’elevato numero di feriti; e così, per tranquillizzarlo e dissolvere ogni possibile interrogativo, qualcuno lo avrebbe ingannato sia con l’episodio dell’aggressione a Nucera, sia con quello del ritrovamento delle molotov. La tesi, se da un lato è necessariamente coerente con l’evidenza oggettiva di cui si è detto, dall’altro è manifestamente incredibile quanto all’epilogo, contrastando in primo luogo con le falsità da lui stesso sostenute, e poi con le emergenze istruttorie ampiamente viste in precedenza, la pretesa di Luperi di passare quale vittima di inganno altrui.

Alla concreta possibilità di rendersi pienamente conto di quanto era successo all’interno della scuola si ricollega la vicenda delle bottiglie molotov, come sopra già ricostruita, che nell’evidenziare la consapevole partecipazione dei due imputati alla predisposizione della falsa accusa di detenzione delle stesse da parte di tutti gli arrestati, fornisce la conferma più esauriente del ruolo attivo svolto da Luperi e Gratteri. Costoro, preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola.

Risulta provato il presupposto della condotta addebitata al capo A), consistente:

nell’aver constatato:

- l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante l’operazione, anche per le modalità stesse con le quali la perquisizione era stata condotta;

- l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento, consegnate in loro presenza mentre si trovavano unitamente ad altri funzionari nel cortile antistante l’edificio;

- infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro, soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni a pubblico ufficiale, tentato omicidio ed associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio.

Ed infatti, sono concordi le dichiarazioni delle parti lese secondo le quali gli operatori presero gli zaini e le cose di pertinenza degli occupanti e li ammucchiarono tutti insieme indistintamente senza accertare le singole appartenenze (per tutti si vedano le dichiarazioni di Bruschi Valeria "Mi chiesero i documenti e poi raccolsero i nostri zaini e le borse, dopo averli svuotati ed averne rovesciato il contenuto in un mucchio a terra”, Madrazo Francisco Javier Sanz “ho visto alcuni poliziotti in borghese con il casco ed una pettorina con la scritta Polizia; hanno preso gli zaini e rovesciato a terra il contenuto”, Martinez Ferrer Ana “entrarono alcune persone in giacca, con una fascia tricolore. Quindi iniziarono a prendere gli zaini e a svuotarli al centro della sala, lontano da noi”, Villamor Herrero Dolores “I poliziotti al centro della sala ordinarono a tutti di consegnare gli zaini. I poliziotti svuotarono poi tutti gli zaini in un mucchio”) Con questa modalità di perquisizione, ben visibile a Luperi e Gratteri entrati prima ancora che i funzionari iniziassero tale inconcludente attività, era chiaro ai due massimi vertici della Polizia (anche a Luperi che era stato ufficiale di P.G. e conservava l’animus del poliziotto, come rivendicato nelle dichiarazioni spontanee) che nessuna cosa sequestrata poteva fondatamente essere attribuita alla detenzione di alcuno degli arrestati. La circostanza del resto è risultata immediatamente chiara anche al Dott. Filocamo della squadra mobile della Questura di Parma (deposizione all’udienza del 15/11/2007).

Così come, evidentemente, a nessuno poteva essere attribuita la detenzione delle bottiglie molotov, della cui provenienza dall’esterno i due erano ben consapevoli. Con la conseguenza che altrettanto indubitabilmente i due erano consapevoli che in tale situazione non poteva essere eseguito alcun arresto, per l’impossibilità di attribuire ad alcuno, secondo i principi della personalità della responsabilità penale, i fatti delittuosi ipotizzati (e la recente esperienza della scuola Paul Klee, che avrebbe dovuto essere illuminante anche in caso di eventuali dubbi, non ha sortito alcun effetto, con ciò evidenziandosi ulteriormente il dolo della condotta).

Sulla base di tali presupposti noti agli imputati, le loro condotte hanno costituito certamente concorso morale nella redazione degli atti falsi, avendo istigato, suggerito e rafforzato l’intento delittuoso dei sottoscrittori dei verbali. La condotta di Luperi, che ha gestito in prima persona le bottiglie incendiarie, ha partecipato all’accordo sulla loro utilizzazione, si è compiaciuto con terzi del ritrovamento, ed ha assistito senza nulla obiettare alla loro esposizione fra gli oggetti la cui detenzione era riferita agli arrestati ha costituito concreto e determinante (stante l’autorevolezza della fonte) impulso alla falsa attribuzione delle molotov a tutti gli arrestati e, conseguentemente, approvazione delle affermazioni false, pacificamente riferitegli ma non certo per ingannarlo, delle violente resistenze incontrate all’interno della scuola e dell’uso di armi improprie da parte dei soggetti che ivi si trovavano (circostanze che, per constatazione diretta fin dall’ingresso immediato nella scuola, Luperi sapeva essere false).

La condotta di Gratteri, che con Luperi ha gestito l’operazione dall’inizio alla fine, è stata altrettanto determinante. Basta ricordare l’esortazione a Canterini di inserire nella relazione, in tutta fretta richiesta per il Questore, la falsa circostanza della violenta resistenza all’interno della scuola, la richiesta di visionare la relazione per confrontarne il contenuto con gli altri atti, la sollecitazione a produrre più certificati medici sulle presunte lesioni subite dai poliziotti. per aver la conferma lampante della ingerenza diretta di Gratteri anche nella redazione della comunicazione di notizia di reato e dei verbali di perquisizione e di arresto.

Oltre all’aggravante della natura di atto fidefacente, sussiste anche la contestata aggravante del nesso teleologico, essendo indubbio, per la logica che sorregge le condotte sopra viste, che la partecipazione al falso era finalizzata alla calunnia e all’arresto illegale in danno degli arrestati, allo scopo evidente di garantire l’impunità agli autori delle gravissime lesioni procurate agli arrestati stessi.  

CANTERINI

La responsabilità per la falsa attestazione contenuta nella relazione al Questore circa la resistenza incontrata all’interno della scuola emerge dal fatto che il contenuto di tale attestazione è stato sollecitato da Gratteri, mentre Canterini non aveva avuto alcuna percezione diretta e personale di tali presunte resistenze, come ha ammesso nel suo esame, ove ha ricollegato la sua affermata scienza diretta del fatto ad una mera deduzione logica cui egli era pervenuto vedendo gli oggetti sequestrati e sentendo i suoi uomini. Ma la conoscenza diretta della reale situazione avuta entrando nella scuola, e la recriminazione di Fournier circa la condotta violenta dei suoi uomini escludono anche che Canterini potesse aver elaborato tale deduzione logica di fronte alla ineludibile evidenza del contrario.

I SOTTOSCRITTORI DEI VERBALI

CALDAROZZI Gilberto, primo dirigente, vice direttore del Servizio Centrale Operativo (e quindi vice di Gratteri), ha sottoscritto il verbale di arresto. Come già osservato in precedenza anche tale verbale contiene l’esposizione di fatti che vengono riferiti come percepiti direttamente dai firmatari, fatti in base ai quali venne adottata la decisione di procedere all’arresto. Le attestazioni ivi contenute  ben possono essere oggetto di falso ideologico. In particolare nel verbale di arresto si riferisce il ritrovamento delle bottiglie molotov “al piano terra in prossimità dell’entrata”. Caldarozzi, ammesso che avesse potuto farlo, non ha distinto il titolo in base al quale ha sottoscritto il verbale di arresto, e quindi si è assunto volontariamente e consapevolmente la paternità anche di tale affermazione palesemente falsa, senza saper indicare da quale fonte avrebbe attinto tale conoscenza. “Pur essendo tra i firmatari del verbale di arresto in cui si menziona il luogo di rinvenimento delle molotov, non ho appreso e non so riferire chi e come abbia, nella formazione di tale atto riferito le circostanze specifiche contenute nel medesimo verbale sulle bottiglie molotov; prendo atto che nessuno dei funzionari interrogati è in grado di specificarlo, ma purtroppo io non ne sono a conoscenza” (int. dr. Caldarozzi 30/7/2002). È sufficiente richiamare le considerazioni già svolte sul ruolo di Caldarozzi nella vicenda delle bottiglie molotov e sulla inverosimile tesi di aver ricevuto il sacchetto con le bottiglie senza nulla chiedere sulla provenienza per drsumere che Caldarozzi, non solo ha sottoscritto il verbale “al buio” (con ciò commettendo in ogni caso il delitto di falso) ma anche che egli fosse consapevole della falsità di tale attestazione.

Caldarozzi, dopo aver organizzato i “pattuglioni”, cui nel pomeriggio del sabato 21 luglio era stato affidato il compito di controllo del territorio e di intercettazione dei facinorosi, ha partecipato alle riunioni in cui viene decisa prima ed organizzata poi l’operazione di perquisizione. La sua versione difensiva, anch'essa basata sulla dicotomia di fasi e sull’assunto di essere giunto sul teatro delle operazioni dopo che si era esaurita la fase dell'intervento ad opera del personale appartenente al VII Nucleo, è stata smentita dalla consulenza delle parti civili, che ne colloca l'ingresso all'interno dell'edificio Diaz-Pertini in un lasso di tempo prossimo a quello del superiore gerarchico Gratteri e dunque in un momento in cui le “colluttazioni unilaterali” erano ancora in corso. Quindi Caldarozzi è consapevole anche della falsità del riferimento alla necessità di vincere la resistenza dei presenti, contenuto nel verbale di arresto.

Sussiste pienamente, pertanto, la contestata fattispecie di falso ideologico aggravata sia dalla natura fidefacente delle attestazioni in fatto contenute nel verbale di arresto, sia  dal nesso teleologico, come argomentato in precedenza.

MORTOLA Spartaco, dirigente della DIGOS di Genova, ha sottoscritto la comunicazione di notizia di reato insieme con Dominici ed il verbale di arresto.

Egli ha partecipato attivamente a tutte le fasi dell’operazione dall’arrivo (essendo lo scout della prima colonna) fino alla redazione degli atti.

Consegue che ha avuto modo di veder tutto quel che accadeva, a cominciare dalle violenze gratuite poste in essere già nella via Battisti e dal pestaggio di Mark Covell (e Mortola viene ripreso insieme con Di Sarro dai filmati alle ore 00.19 proprio in prossimità de luogo di tale pestaggio).  

Mortola ha avuto perfettamente modo di vedere come il corpo esanime fosse riverso al di fuori del cortile e come nulla potesse avere a che fare con le attività poi riferite nel verbale di arresto, ove è indicato come uno dei soggetti che erano all’interno della scuola Pertini. Negli interrogatori del 23 e 30 luglio 2002 l’imputato ammette che nessuno sapeva dove fossero state trovate le bottiglie molotov, e malgrado ciò conferma di aver sottoscritto il verbale di arresto e la comunicazione di notizia di reato che ne attestano il ritrovamento in luogo visibile e accessibile a tutti all’interno della scuola (piano terra o primo piano). A sostegno della falsa tesi circa le resistenze incontrate, Mortola ha riferito, non nella comunicazione di notizia di reato, né durante le prime s.i.t., ma solo dopo acquisita la qualità di indagato, di aver assistito alla caduta di un maglio spaccapietre. La tardività del ricordo di un fatto così eclatante, ed il mancato sequestro del maglio spaccapietre che avrebbe dovuto trovarsi a terra nel cortile (tutti gli oggetti sequestrati sono stati indicati come ritrovati all’interno della scuola), sono illuminanti circa le falsità studiate per giustificare gli arresti.

Giova ancora ricordare la vicenda che coinvolge Szabo Jonas, arrestato con l'accusa addirittura di essere l'eminenza grigia del blocco nero sulla base di elementi inesistenti, tanto da essere rilevati come tali anche dall'imputato Mortola nel corso dei suoi interrogatori. Di tali fatti Mortola viene a conoscenza sul teatro delle operazioni ed in una fase in cui appare incredibile che egli non si sia informato sulle circostanze relative al ritrovamento, e cioè che lo zaino del sig. Szabo si trovava presso la Pascoli, che lo scritto incriminato era in realtà una tesi di laurea sul reverendo Jackson, che Szabo era stato fermato non all'interno dell'edificio scolastico Pertini ma sulla strada.

Infine sulla falsità sostenute da Mortola in ordine al ritrovamento delle bottiglie molotov si è già detto.

Anche per questo imputato si è raggiunta la piena prova della responsabilità per il contestato reato di falso ideologico aggravato dalla natura fidefacente degli atti e dal nesso teleologico.

DOMINICI Nando

Anche per tale imputato è raggiunta la prova che si è trovato sul posto a mezzanotte, l’ora dell’irruzione, ed ha dunque assistito a ciò che stava accadendo, tra cui i primi pestaggi ai danni di Francesco Frieri e Mark Covell. È entrato nell'edificio, salendo ai piani superiori, rendendosi conto immediatamente dello stato e del numero dei feriti. Con ogni probabilità Dominici ha assistito anche ad atti di cd. perquisizione all'interno dell'edificio (”ho notato dei poliziotti in borghese che rovistavano tra le cose presenti nella scuola” interr. del 14/10/2002) .

Egli ha sottoscritto il verbale di arresto “sulla fiducia” riposta nell'operato degli altri funzionari sottoscrittori in ipotesi autori delle attività ivi documentate, invocando il proprio contributo (la cui estraneità all'atto non poteva sfuggirgli) rappresentato dallo svolgimento di attività di identificazione degli arrestati, feriti e trasportati presso gli ospedali cittadini.

Peraltro nel suo interrogatorio del 14/10/2002 Dominici ha confermato quanto a suo tempo aveva riferito all’ispettore ministeriale Micalizio, e cioè che alla vista del gran numero di feriti istintivamente si era rivolto al Canterini chiedendogli conto di quello che appariva come grave e sproporzionato uso della forza, ricevendo dallo stesso versione del tutto opposta a quanto attestato negli atti,  cioè che i suoi uomini erano entrati e “avevano colpito alla cieca”.

Valgono, al proposito le considerazioni sopra già svolte circa la falsità sia per la consapevole mancanza di fonte diretta di conoscenza di quanto attestato, sia per concreta conoscenza della contrarietà al vero delle circostanze affermate.

Per i motivi sopra esposti sussitono anche le due aggravanti contestate.

FERRI Filippo

L’imputato, dirigente della squadra Mobile della Spezia,  ha sottoscritto sia il verbale di perquisizione e sequestro, sia il verbale di arresto, che ha collaborato a redigere a Bolzaneto insieme con Ciccimarra e Di Bernardini.

Egli ha preso parte a tutte le fasi della vicenda in esame, dall’aggressione subita dalla pattuglia in Via Cesare Battisti fino all’epilogo rappresentato dal confezionamento dei verbali di P.G..

Nel verbale di s.i.t. rese il 01/08/2001, confermate integralmente nel successivo interrogatorio del 18/12/2001, Ferri, dopo aver anch’egli sostenuto la tesi di essere entrato quando le ferite erano già state inferte, ha ammesso di non essere in  grado di riferire se le bottiglie molotov e le armi improprie fossero nella disponibilità di uno o più degli arrestati. Tuttavia egli si è assunto la paternità della decisione di procedere all’arresto di tutti quanti sulla base della formulazione di accusa associativa, ipotesi di reato che gli “sembrava maggiormente sostenibile per procede all’arresto in flagranza.” L’ammissione tradisce platealmente lo stravolgimento logico che ha connotato la condotta dei funzionari: il fine (procedere in ogni caso agli arresti) ha giustificato il mezzo (contestazione di falsa accusa di delitto associativo).

Dall’esame dell’interrogatorio reso il 18/12/2001 emerge che Ferri è giunto sulla località fra i primi insieme con Mortola, immediatamente al seguito del Reparto Mobile, per cui è stato in grado di apprezzare le violenze gratuite commesse per strada ai danni di Covell e Frieri. Entrato nella scuola dopo il Reparto Mobile (ma, si ricordi nello spazio temporale dei già rilevati 70 secondi), Ferri ha visto le persone vistosamente ferite radunate al piano terra e zaini ammassati. Poi è salito ai piani superiori ed ha constatato la presenza di persone gravemente ferite anche là.

Nel successivo interrogatorio del 20/09/2002 Ferri, pur incaricato di eseguire la perquisizione, ha ammesso di non avervi provveduto, in quanto occupato a soccorrere i feriti, ed ha confermato il suo contributo giuridico alla formulazione dell’ipotesi di reato associativo.

Durante la redazione del verbale di arresto Ferri è stato in contatto con la Questura dove i suoi sottoposti DI NOVI, CERCHI e MAZZONI collaboravano alla stesura del presupposto atto di perquisizione e sequestro, per cui risponde a logica e a comune massima di esperienza che abbia partecipato coordinandola anche alla elaborazione del contenuto del verbale di perquisizione.

Consegua la piena prova che Ferri era perfettamente consapevole che la realtà dei fatti era del tutto diversa da quella rappresentata nei verbali da lui prrdisposti e sottoscritti: all’interno della scuola non vi era alcuna bottiglia molotov, il numero e la gravità dei feriti escludeva la possibilità di ipotizzare una collettiva attività di resistenza violenta da parte degli stessi, l’ammasso degli zaini e delle armi improprie impediva la attribuibilità delle stesse ai singoli arrestati. L’attribuzione delle opposte condotte (resistenza, getto degli zaini, uso delle armi improprie, detenzione delle bottiglie molotov), rappresenta il contenuto consapevolmente falso dell’atto, dolosamente finalizzato a giustificare gli arresti, a calunniare gli arrestati e a coprire le violenze compiute da colleghi e sottoposti.

Anche per Ferri, quindi, sussiste piena prova del contestato reato di falso ideologico pluriaggravato.

CICCIMARRA Fabio, commissario capo presso la Squadra Mobile di Napoli, ha sottoscritto il verbale di arresto.

Secondo le dichiarazioni rese nell’interrogatorio del 13/10/2001 egli

- ha partecipato alla riunione in Questura ove si è decisa e organizzata la perquisizione alla scuola Diaz;

- è arrivato in loco con Mortola prima ancora della chiusura del cancello da parte degli occupanti la scuola, quindi nella fase in cui venivano picchiati Covell e Frieri;

- entrato nel cortile dopo lo sfondamento del cancello, con i suoi uomini ha tentato di forzare il portone di ingresso laterale sinistro e, dopo che il reparto mobile riuscì in tale intento,  è entrato nella scuola Pertini;

- dopo aver visto persone ferite scendere la scale accompagnate da colleghi, salito al primo piano vedeva un poliziotto che picchiava inutilmente un ragazzo inerme e lo invitava a fermarsi;

- non ha assistito ad atti di violenza da parte dei presenti nella scuola, ne alcuno dei colleghi gliene ha riferiti;

- si è basato sulla relazione di Canterini per elaborare il contenuto dell’atto;

- la decisione di procedere all’arresto è stata assunta collegialmente da tutti i firmatari del relativo verbale.

Da quanto ammesso dallo stesso imputato emerge chiara la sua responsabilità per le false attestazioni contenute nel verbale di arresto: egli non ha assistito alla resistenza e alle colluttazioni che sarebbero state ingaggiate dai giovani all’interno della scuola e nessuno gliene ha riferito; anzi ha assistito direttamente ad atti di violenza gratuita commessi da un collega proprio al piano da dove provenivano altri feriti; la relazione di Canterini (come si è visto anch’essa falsa) non avrebbe legittimato la attestazione “sulla fiducia”, comunque non giustificata dalla conoscenza diretta della divergente realtà (la circostanza conferma, viceversa, il coordinamento operato da Gratteri fra il contenuto dei vari atti stilati nell’occasione). Egli, entrato tra i primi nella scuola e rimastoci fino alla fine delle operazioni, aveva constatato che nessuna bottiglia incendiaria era nell’atrio o in altro posto ben visibile all’interno della scuola, per cui non poteva comparire fra gli oggetti sequestrati come da relativo verbale di perquisizione al quale il verbale di arresto fa esplicito rinvio formale; egli non ha visto gli occupanti gettare gli zaini per disfarsene e rendere impossibile la perquisizione, nessuno gliene ha riferito e la circostanza non è contenuta nella relazione redatta da Canterini, che non può quindi essere stata fonte ispiratrice al riguardo.      

DI SARRO Carlo, funzionario della DIGOS di Genova alle dipendenze di Mortola, ha sottoscritto il verbale di arresto. Ha sempre sostenuto di essere rimasto all’esterno della scuola tranne che per due brevissimi ingressi, di aver visto, su segnalazione di Mortola, gli oggetti sequestrati fra i quali non vi erano le molotov, di cui apprese solo un volta tornato in Questura, e di aver sottoscritto il verbale di arresto la mattina della domenica 22 luglio, malgrado non sappia dire come si giunse a tale decisione; riferisce di aver letto il verbale prima di sottoscriverlo e di avere avuto perplessità sulla contestazione del reato associativo, ma di aver ricevuto rassicurazioni da Ferri sulla correttezza della valutazione giuridica alla luce dei reperti trovati, e fatta salva la eventuale diversa qualificazione giuridica da parte dell’autorità giudiziaria: al che Di Sarro si risolse a firmare.

Egli, inoltre, è stato tra i primi a giungere sul posto in quanto scout della seconda colonna giunta da sud, e se non ha assistito al pestaggio di Covell, certamente ne ha visto il corpo a terra insieme con Mortola, come da video che lo ritrae (min. 00.19 secondo la consulenza delle parti civili).

Trattasi di tipica ipotesi di sottoscrizione dell’atto “sulla fiducia” per non aver avuto alcuna cognizione personale sulle circostanze attestate nel verbale di arresto (e a quello di perquisizione richiamato per relationem) relative alla violenta resistenza, alla perquisizione ed al ritrovamento dei reperti, nonché sulla loro riferibilità ad alcuni o a tutti gli arrestati.

Anche per Di Sarro sussiste in pieno la contestata ipotesi di falso ideologico pluriaggravato, in particolare essendo a lui ben chiara, per averne avuto inizialmente dubbi, la strumentalità delle false accuse rispetto agli arresti.

MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide e CERCHI Renzo, le cui posizioni possono essere esaminate contestualmente, hanno sottoscritto sia il verbale di perquisizione  e sequestro, sia il verbale di arresto; Mazzoni ha in parte redatto materialmente il verbale di perquisizione  e sequestro.

Tutti e tre sostengono di essere sostanzialmente rimasti estranei all’attività di materiale compimento della perquisizione che sarebbe stata da loro interrotta quasi subito per dedicarsi, i primi due, alla identificazione dei feriti presso gli ospedali, ed il terzo a trovare le ambulanze.

Cerchi e Di Novi avrebbero sottoscritto l'atto nella convinzione che la loro firma fosse dovuta per l'attività svolta, mentre Mazzoni si sarebbe limitato a formare l'elenco degli oggetti sequestrati (senza peraltro saper indicare – neppure per le bottiglie molotov – le fonti di conoscenza da cui avrebbe attinto le notizie riferite), per poi lasciare l'atto “aperto” ed in bozza sul computer, atto che altri avrebbero completato e lui infine sottoscritto dopo la stampa. Va ricordata, infine, l'ammissione del Di Novi di essere entrato nella Diaz-Pertini unitamente agli operatori incaricati della “messa in sicurezza” del sito.

Anche in tale ipotesi siamo di fronte ad una consapevole falsità per mancato svolgimento delle attività che vengono attestate come compiute dai sottoscrittori, non scriminata dalla redazione successiva di diverso atto (il verbale di identificazione degli arrestati), né dalla “fiducia” riposta nei compilatori seguenti del verbale (a parte la carenza di indicazione circa tale sdoppiamento di responsabilità nella redazione dell’atto).

Piena prova, quindi, anche per questi tre imputati, della responsabilità per il falso pluriaggravato loro contestato.

DI BERNARDINI Massimiliano, vice questore alla Squadra Mobile di Roma, ha sottoscritto sia il verbale di perquisizione  e sequestro, sia il verbale di arresto.

Come risulta dal suo interrogatorio del 17/12/2001 egli è entrato nella scuola Pertini e si è soffermato nel vano palestra, ove avrebbero dovuto trovarsi in bella vista le bottiglie molotov, ed ha visto gli zaini e altro materiale ammassati indistintamente a terra. Ha avuto solo la “sensazione” di uno scontro violento, ma nessuno gli ha riferito di episodi particolari. In tale situazione le stesse ammissioni dell’imputato, unite alle considerazioni in precedenza svolte circa l’episodio della gestione delle bottiglie molotov, fondano la sua responsabilità per la falsità in ordine alle circostanze attestate nei verbali, incompatibili con quelle effettivamente conosciute come sopra riferite, o della cui conoscenza l’imputato non ha saputo indicare la fonte. Anche per tale imputato sussiste la evidente strumentalità del falso rispetto agli arresti di tutti i presenti nella scuola (o tali ritenuti), per cui è configurabile la responsabilità per il falso ideologico pluriaggravato come contestato.

A tutti i sottoscrittori del verbale di perquisizione e sequestro è addebitabile anche la falsità relativa alla affermazione “gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”, circostanza non vera ma che non ha impedito, né ha comportato dubbi al riguardo, la sottoscrizione del verbale.

NUCERA MASSIMO e PANZIERI MAURIZIO hanno sottoscritto le rispettive annotazioni sull’episodio dell’accoltellamento nonché il verbale di perquisizione e  sequestro e quello di arresto. Sulla falsità dell’episodio dell’aggressione a mano armata di Nucera basta richiamare quanto ampiamente più sopra argomentato. Le due false annotazioni sono state allegate alla comunicazione di notizia di reato ed il loro contenuto è stato trasfuso nel verbale di arresto, sottoscritto dagli imputati, al fine di rafforzare l’accusa di resistenza e detenzione di armi a carico di tutti gli arrestati, per cui non esistono margini di dubbio sulla responsabilità dei due imputati per il delitto di falso ideologico pluriaggravato loro contestato. L’assunto difensivo secondo il quale i due non avrebbero voluto firmare i verbali, e a ciò sarebbero stati indotti dalle pressioni ricevute dai superori gerarchici presenti, che li avrebbero anche a lungo trattenuti in Questura, non è riscontrato da alcun elemento neppure indiziario, per cui non vi è spazio per ipotizzare un vizio del consenso per violenza tale da escludere la responsabilità per carenza dell’elemento soggettivo.

GAVA Salvatore, funzionario in servizio presso la Questura di Nuoro, con riferimento alla sua sottoscrizione del verbale di perquisizione e sequestro è imputato di falso per non aver minimamente partecipato all’attività di P.G,, non essendo neppure entrato nella scuola Diaz-Pertini.

La sua posizione trova completo inquadramento giuridico nella sentenza della Corte di Cassazione già citata che ne ha confermato la correttezza dell’imputazione coatta. Secondo la Corte Suprema vi sono solo due alternative possibili: o Gava è stato ingannato in qualche modo da terzi nell’apporre la sua sottoscrizione (ed allora è esente da responsabilità essendo in tal caso il falso solo colposo), o, se ha firmato consapevolmente, non può essere esente da responsabilità per il solo fatto di aver successivamente partecipato ad altro atto, l’identificazione degli arrestati, che ben doveva sapere essere attività del tutto estranea a quella tipica della perquisizione.

ll Tribunale, esclusa correttamente l’ipotesi della sottoscrizione per errore, ha assolto Gava sul presupposto che la sua convinzione di dover firmare per aver proceduto alla identificazione degli arrestati giustificasse la condotta escludendo il dolo. Sorprendentemente il Tribunale disattende scientemente il principio di diritto dettato dalla Corte di Cassazione senza fornire alcuna spiegazione di tale scelta.

Al contrario questa Corte condivide appieno il principio sancito dalla Cassazione secondo il quale il P.U. è legittimato a sottoscrivere l’atto pubblico solo in quanto autore delle attività ivi descritte o spettatore diretto degli avvenimenti che riferisce, e che il compimento di altre attività (come la successiva identificazione degli arrestati) ben può e deve formare oggetto di un altro atto, ma non può confluire anonimamente in quello precedente (nel caso in esame la perquisizione). Vale, in ogni caso, il rilievo già evidenziato che nel verbale di perquisizione e sequestro manca ogni specifico riferimento sulla limitata e diversa attività asseritamente compiuta da Gava, per cui la sottoscrizione incondizionata comporta assunzione di responsabilità del Gava per tutti gli aspetti significanti del verbale, in primo luogo la sua partecipazione all’attività di perquisizione.

Anche per Gava, quindi, sussiste la responsabilità per il contestato falso ideologico pluriaggravato.

LA CALUNNIA E L’ARRESTO ILLEGALE

L’accertamento delle responsabilità per i falsi come sopra argomentato conduce al riconoscimento, tranne che per Burgio e Troiani, come già visto, della responsabilità per la contestata calunnia ascritta a Luperi, Gratteri e agli altri sottoscrittori degli atti ai capi B), D), G), L), N), 2) Proc. 5045/05 Trib..

È già stata argomentata la stretta correlazione fra l’indicazione di circostanze false negli atti e la finalità di procedere all’arresto di tutti i presenti nella scuola, con la necessaria formulazione di accuse che, in quanto basate su tali false circostanze, integrano chiaramente l’ipotesi delittuosa della calunnia.

Il concorso morale accertato in capo a Luperi e Gratteri nella redazione dei falsi verbali comporta la loro responsabilità allo stesso titolo anche per la calunnia, essendo anche loro partecipi della specifica finalità cui erano preordinate le false attestazioni. Constatato l’esito disastroso della irruzione, l’inesistenza dei c.d. black bloc e l’assenza di armi, la necessità procedere agli arresti e di giustificare le numerose e gravi lesioni inferte ha indotto i due massimi dirigenti che conducevano le operazioni a coordinare l’attività di confezionamento di un complesso di false accuse che fosse apparentemente idoneo a giustificare arresti e violenze. Sono sorte, così, le false accuse di violenta resistenza, di utilizzo di armi improprie, tra le quali strumenti di lavoro che erano presenti in loco per la pacifica esistenza di un cantiere edile, e le barre metalliche estratte dagli zaini, la falsa detenzione delle bottiglie molotov, la falsa aggressione all’arma bianca ai danni di Nucera.

Come si è visto analizzando la condotta di Luperi e Gratteri essi erano pienamente consapevoli che la loro condotta costituiva approvazione ed esortazione alla formulazione delle false accuse per giustificare gli arresti, Luperi perché esperto analista di terrorismo e criminalità organizzata, lungi dall’essere stato vittima di inganni altrui, ritenendosi soddisfatto delle spiegazioni a suo dire ricevute a fronte delle sue evidenti perplessità sull’accaduto e partecipando alla gestione delle bottiglie molotov; Gratteri perché, oltre a partecipare alla gestione delle molotov, ha anche concorso attivamente alla concertazione del contenuto degli atti da presentare all’autorità giudiziaria.

Nessun dubbio, ovviamente, sussiste sulla responsabilità per la calunnia in capo ai sottoscrittori del verbale di perquisizione e sequestro, del verbale di arresto, nonché della comunicazione di notizia di reato, atti della cui consapevole falsità si è ampiamente detto, e che per loro natura sono istituzionalmente destinati all’autorità giudiziaria. Ma ad analoga conclusione deve pervenirsi anche relativamente all’annotazione di servizio redatta da Canterini ed indirizzata al Questore, a nulla rilevando che l’autore non avesse ipotizzato che tale suo atto sarebbe stato allegato alla CNR trasmessa all’A.G., posto che il Questore aveva certamente l’obbligo di riferire a quella autorità dei reati di cui veniva a conoscenza tramite la relazione di Canterini.

Ricorrono anche le due aggravanti contestate, quella di cui al 2° comma dell’art.368 c.p. in conseguenza dell’entità della pena edittale massima prevista per il reato oggetto di calunnia di devastazione e saccheggio (art. 419 c.p.) superiore ad anni 10, e quella del nesso teleologico che lega la calunnia alla commissione dell’arresto illegale.

Le condotte come sopra descritte corrispondono alla contestazione in fatto di cui ai capi E) e 3) Proc. 5045/05 Trib a carico di Luperi, Gratteri, Caldarozzi, Ciccimarrra, Ferri, Mazzoni, Cerchi, Di Novi, Di Sarro, Mortola, Dominici e Di Bernardini.

È evidente, infatti, che lo scopo primario conseguito, quello di procedere all’arresto di tutti i soggetti presenti nella scuola e all’esterno nelle immediate vicinanze, è stato attuato nella assenza dei presupposti legali legittimanti l’atto. Si deve escludere alcun margine di possibile errore di valutazione giuridica a fronte della creazione di false prove a carico, e della oggettiva e indiscutibile impossibilita di attribuire indistintamente a tutti gli arrestati la responsabilità per i reati ipotizzati in mancanza oggettiva, risultante per tabulas dagli stessi atti, di elementi individualizzanti, ed essendo macroscopicamente pretestuosa la riferibilità a tutti delle bombe molotov solo perché site in luogo “accessibile e visibile a tutti”.

Ritiene, peraltro, la Corte, conformemente alle richieste finali del P.M. in primo grado, che la fattispecie debba essere inquadrata nell’ipotesi dell’arresto illegale di cui all’art. 606 c.p. piuttosto che in quella contestata dell’art 323 c.p., alla luce della giurisprudenza (Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 6773 del 19/12/2005 Ud) che, nell’enucleare le differenze fra sequestro di persona con abuso della qualità di pubblico ufficiale e arresto illegale, individua la seconda fattispecie allorché la condotta criminosa consiste proprio nell'abuso specifico delle condizioni tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza) alle quali la legge subordina il potere di arresto. Nel caso di specie gli imputati hanno proceduto all’arresto in assenza del presupposto della flagranza di alcun reato, e ciò integra la fattispecie di cui all’art. 606 c.p..

I REATI RELATIVI ALL’INGRESSO NELLA SCUOLA PASCOLI

Tra i fatti oggetto di processo vi sono anche le vicende connesse all’irruzione compiuta dalla Polizia nella scuola Pascoli, fronteggiante la scuola Pertini, cristallizzate nei residui capi di imputazione S), T), U) e V) a carico di Gava Salvatore.

La tesi della difesa dell’imputato Gava, fatta propria dal Tribunale, è incentrata sull’assunto che l’ingresso in tale scuola sia avvenuto per errore, che all’interno nessuna attività di P.G. e tanto meno illecita sia stata compiuta, essendo Gava e i suoi uomini entrati dopo altri reparti e usciti dopo pochi minuti, e che Gava non era comunque al comando di tutti gli uomini entrati in tale scuola ma solo dei suoi colleghi di Nuoro.

Premesso che tale errore in realtà non ci fu, come si argomenterà in seguito, deve rilevarsi che in ogni caso le condotte devono essere valutate per quello che effettivamente è accaduto, essendo la responsabilità di eventuali reati commessi all’interno della scuola indipendente dall’esistenza di errore nella decisione assunta dalla Polizia di compiere irruzione anche in tale edificio.

Il presunto errore è stato giustificato dal Tribunale con il fatto che la targa esterna a tale scuola riporta la scritta “Scuola Diaz”, circostanza che avrebbe indotto Gava e gli altri operatori a ritenere che fosse proprio la scuola destinataria della perquisizione. Ma a parte il fatto che di tale targa si sono accorti solo successivamente i Carabinieri fotografandola e che nessuno degli operatori di Polizia vi ha fatto menzione a sostegno del presunto errore, deve rilevarsi che secondo la maggior parte del personale intervenuto (e le stesse ammissioni di Gava) l’ingresso nella scuola avvenne dai portoni laterale e retrostante, ove non c’era nessuna targa ingannatrice.

L’argomentazione del Tribunale non regge la verifica di compatibilità con altri gravi e concordanti indizi di segno opposto.

Secondo la ricostruzione cronologica svolta dal consulente delle parti civili, in base all’audio della cassetta registrata da Trotta in cui si odono i comandi di mettersi a terra e contro il muro, e alla interruzione delle trasmissioni in diretta di radio GAP, l’ingresso nella Scuola Pascoli è avvenuto alle 00.04.42, quindi 5 minuti dopo l’ingresso nel cortile della Pertini. In quel momento, come si evince chiaramente anche dalla visione dei filmati, una gran massa di operatori di Polizia stava entrando nella Diaz Pertini, per cui era evidente a chiunque quale fosse l’edificio di interesse primario per la Polizia; in ogni caso era chiaro a Gava che stava entrando in un edificio diverso e quindi immediato doveva sorgergli il dubbio che si trattasse di un’altra scuola.

Il teste Gonan Giuseppe (udienza 10/1/07), che ha assunto la direzione della Digos di Genova dall’11 settembre 2001 ed ha ricevuto l’incarico di accertare l’identità dei poliziotti intervenuti nell’operazione Diaz, ha riferito “Gli operatori Pantanella,  Padovani,  Garbati e Vannozzi mi dissero di aver fatto ingresso nella Pascoli dopo aver visto che da una finestra del terzo piano  della scuola vi era un giovane che riprendeva l’intervento In particolare ricordo che l’Ass. Pantanella disse di essere entrato per identificare chi faceva le riprese, e che, non avendolo trovato, avevano sequestrato quattro videocassette Subito dopo fu disposta l’immediata uscita dalla Pascoli. Un altro collaboratore riferì di essersi sbagliato ad entrare.”

L’imputato Mortola nell’interrogatorio del 27/10/2001 ha confermato che accanto alla tesi dell’ingresso nella Pascoli per errore alcuni sostenevano la diversa tesi fondata sulla necessità di mettere in sicurezza anche tale edificio.

Il teste Colacicco Alessandro, agente scelto della Polizia di Stato in servizio a Napoli, nella deposizione all’udienza del 15/06/06 ha riferito che, incaricato della cinturazione di un edificio scolastico, giunto in Via Battisti ebbe incarico dal suo dirigente di effettuare la cinturazione della scuola Pascoli, e che poco dopo “personale che era in borghese che era all’interno della scuola … ci chiamarono dalla scuola e mi ricordo che dissero al mio capo equipaggio che bisognava controllare delle persone mentre loro avrebbero proceduto alla perquisizione”.

L’assistente Mele Salvatore (facente parte del gruppo della Squadra Mobile di Nuoro al comando di Gava) all’ud. 31/01/08 ha riferito: “arrivati lì sul posto, ci venne incontro un collega della Questura di Genova, praticamente venimmo divisi in due gruppi, ci dissero che dovevamo entrare in questa scuola...”

La permanenza all’interno della Pascoli, come da testimonianze concordi, si è protratta per un periodo di tempo oscillante tra la mezz’ora e i quarantacinque minuti, per cui in questo ampio lasso di tempo Gava e gli altri operatori avevano avuto la possibilità di notare come all’interno dell’edificio fossero presenti numerosi segnali indicativi della presenza di un media center. Il teste Bria (ud. 15/03/06)  ha dichiarato “c’erano diversi cartelli ed era espressamente scritto che quello era il Centro Media del Genova Social Forum, poi al piano terra c’era l’accoglienza che era indicata da un cartello” e il teste Fletzer (ud. 07/12/05) ha riferito “l’istituto era contrassegnato da varie scritte che parlavano, appunto, di Centro stampa, di Centro Legale, e al nostro piano, in ogni stanza, era ben visibile la scritta “Redazione del Manifesto di Carta, Redazione di Liberazione, redazioni di Radio Gap, composta da una serie di emittenti, fra cui la nostra. All’ingresso c’era un infinità di cartelli, delle comunicazioni e c’era subito un ufficio accrediti”; della stanza dei legali il teste Nanni (ud. 30.11.05) ha riferito che “sulla porta c’era scritto “Avvocati del Genova Social Forum” o “centro legale del Genova Social Forum”.

Tutte le predette circostanze concorrono ad escludere che l’ingresso nella Pascoli sia avvenuto per errore; in realtà l’ingresso è avvenuto intenzionalmente per evitare che dalle riprese audio-video che erano in corso da quella scuola rimanessero tracce della irruzione in corso presso la scuola Pertini, e se c’è stato errore questo è consistito nell’entrare nella sede del GSF ove un intervento della Polizia era politicamente controproducente. Non a caso l’occupazione è terminata solo dopo l’intervento della On. Mascia che ha ottenuto lo sgombero.

Un secondo errore di valutazione compiuto dal Tribunale risiede nell’affermazione secondo la quale Gava e i suoi uomini sarebbero entrati per ultimi, quando altri operatori avevano già bloccato i presenti all’interno della scuola.

Lo stesso imputato Gava nell’interrogatorio del 13/02/02 ha riferito che l’ingresso in Pascoli da parte di tutti gli appartenenti alle diverse squadre mobili di Genova, Roma e Nuoro è avvenuto in modo sostanzialmente contestuale “i primi a entrare siamo stati una ventina”.

Inoltre quattro componenti della Squadra Mobile di Nuoro, Mele Salvatore, Gallistu Tonino, Bellu Massimiliano e Mannu Antonio all’udienza del 31/01/08 hanno riferito di un ingresso contestuale di tutti gli operatori non appena ricevuta l’indicazione di entrare proprio nella Pascoli.

Non è neppure vero che Gava si sia fermato solo al secondo piano: i testimoni che hanno assistito al colloquio fra l’On. Mascia e Gava hanno collocato l’episodio al terzo piano: il giornalista inglese William Hayton all’udienza dell’11/01/2006 ha riferito che era al terzo piano quando arrivò una donna che mostrava un libretto (il tesserino parlamentare) e subito dopo la polizia se ne andò; e Moser Nadine all’udienza 6/4/2006 ha riferito di aver visto la parlamentare presso l’Indymedia, che si trovava al terzo piano, e subito dopo che la stessa aveva parlato con la Polizia, la scuola venne abbandonata dagli agenti. Lo tesso Gava nel suo interrogatorio ha riferito di esser andato a visionare tutti i piani e che l’incontro con l’on. Mascia avvenne al secondo o al terzo piano.

Passando all’esame degli avvenimenti all’interno della Pascoli, occorre rilevare che la cassetta con la registrazione audio di Trotta scampata all’irruzione consente di ascoltare gli ordini secchi impartiti dagli operatori appena entrati nella scuola, con i quali veniva ordinato “tutti a terra, faccia al muro, fuori dalle aule”.

Le univoche descrizioni, ripetute con ricchezza di particolari in dibattimento, da parte di tutte le parti offese evidenziano un ingresso avvenuto in modo forzoso e determinato, senza eccessive difficoltà nel superare i banchetti che qualcuno aveva posto dinanzi all’entrata laterale della scuola, con immediata intimazione rivolta a tutti di sdraiarsi a terra o mettersi in ginocchio e faccia al muro.

Anche in questa scuola, oltre alla privazione della libertà di movimento per tutti i presenti, obbligati a recarsi nei corridoi e a stare in piedi con le braccia al muro, e poi seduti per terra, si sono verificati episodi di violenza, come dallo stesso Tribunale ricostruiti.

Le prime deposizioni che possono essere ricordate sono quelle di Brusetti e Pavarini (udienze 24/11/05 e 24/05/06) che erano al piano terra in prossimità della palestra della scuola.

Il primo ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di andare nella palestra e lì di “mettersi sdraiato, faccia a terra come gli altri, con le mani dietro la nuca”. “C’era un certo Sebastian che era sdraiato su una brandina lì dolorante per i colpi subiti che chiedeva di potersi, di non sdraiarsi perché non ce la faceva e mi ricordo il poliziotto, uno dei poliziotti che gli diceva: non mi interessa, mettiti per terra. Mi ricordo poi che un’altra persona, avrà avuto 35, 40 anni si tirava in piedi da sdraiato e diceva: ma ci volete fare vedere un mandato o qualcosa? E loro che dicevano: questo non è un telefilm americano, questo non è una favola, adesso ve la facciamo vedere noi, adesso vi massacriamo. E a quel punto la gente è stata zitta, si è messa faccia a terra”. Pavarini ha dichiarato: “ci hanno intimato di andare in palestra e a distenderci sul pavimento. Alcune persone hanno tentato di avere una spiegazione, di capire quello che stava succedendo, del perché dell’irruzione e le spiegazioni non ci sono state date. Anzi, ci è stato detto di stare zitti, che avevano il diritto e il potere di fare qualsiasi cosa e che era meglio non chiedere niente, non sapere niente”.

Alberti Massimo, Galeazzi Lorenzo, Salvati Marino, Curcio Anna, Clementoni Francesca, Podobnich Gabriella, Morando Daniela e Gallo Alessandra si trovavano nella stanza di Radio GAP, al secondo piano, quando irruppero nella stanza alcuni poliziotti con viso coperto da fazzoletti, armati di manganelli che brandivano. La Morando ha raccontato che colpivano i banchi, spaventando i presenti. Secondo la Curcio non diedero spiegazioni: intimarono di stare fermi, abbassare le tende, non avvicinarsi alle finestre, preparare i documenti. La Clementoni afferma che annunziarono una perquisizione e che non occorreva un “mandato”.

Fra le persone che si trovavano al secondo piano, il teste Fletzer, giornalista pubblicista, ha dichiarato di essere stato vittima della violenza della Polizia. Il teste Brusetti venne colpito. Tutti i presenti dovettero stendersi a terra con le mani dietro alla nuca. Nella palestra il dr. Costantini, medico presente nell’infermeria,  trovò due giovani che erano stati colpiti.

La condotta tenuta dagli appartenenti alla Polizia di Stato nei locali in uso al Mediacenter ed agli avvocati, sempre al primo piano della Pascoli, è stata descritta da Bria Francesca la quale ha riferito che, mentre assisteva dalla finestra all’avanzata della Polizia verso la Pertini, sentì rumori provenire dal basso, poi irruppero alcuni poliziotti, taluni in uniforme, altri in borghese con pettorine. Urlavano: “Giù per terra! faccia a terra!”. La teste li vide rompere un computer e colpirne altri. Fu percossa con un  manganello. I presenti vennero poi condotti nel corridoio ed obbligati a rivolgersi verso il muro. Dopo una decina di minuti fu ordinato di sedersi per terra.

Stesso racconto ha reso Galvan Fabrizio, il quale fu colpito da una cassa acustica, mentre i poliziotti sfasciavano i computer, e Lenzi Stefano, il quale non trovò più il suo telefono, quando rientrò nell’aula. Più drammatica è la ricostruzione dei fatti di Minisci Alessandro, perché, oltre a descrivere con maggiori dettagli i gesti di devastazione che attribuisce ad un numero da cinque a otto poliziotti, dichiara che  essi chiedevano urlando dove fossero armi e droga. Riferisce inoltre di un colpo inferto da uno di loro ad un giovane. Minisci stesso venne schiaffeggiato da un poliziotto.

Anche al terzo piano avvennero atti di violenza e prevaricazione, come descritto nella sentenza di primo grado.

Nella stanza avvocati del primo piano avvennero danneggiamenti alle apparecchiature informatiche che erano state affidate al teste Brusetti Ronny, consegnatario dell’edificio e del materiale ivi contenuto. La domenica successiva a mezzogiorno il funzionario comunale addetto si recò nella scuola Pascoli per prenderne visione e riscontrò che i computer in funzione al primo piano erano stati gravemente danneggiati: sembrava fossero stati colpiti “a randellate”.

Relativamente all’interruzione delle trasmissioni internet di Radiogap, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, al dibattimento è emerso con chiarezza essersi trattato di iniziativa diretta degli agenti di Polizia: il teste Di Marco (ud. 29/11/06) ha riferito di “un episodio rilevante ossia lo spegnimento da parte del poliziotto dell’apparecchiatura ISDN”, episodio confermato anche dal teste Salvati (ud. 12/04/06) che ha dichiarato: “capito che cosa stavamo facendo, si sono consultati un attimo fra di loro e hanno… sono rientrati e hanno spento il mixer, in modo da interrompere le trasmissioni”. Definitiva e insospettabile conferma è stata fornita dal sovrintendente Sascaro (ud. 30/01/08) che ha riferito di aver dato ordine insieme con altri agenti “di spegnere la radio che stava trasmettendo”. “Loro si sono lamentati – sempre secondo Sascaro – e non so se poi a staccare la spina siamo stati noi o loro.” Circostanza che spiega come se anche materialmente allo spegnimento ha provveduto un operatore della radio, ciò è avvenuto su ordine della Polizia.

Il Tribunale, pur dando atto che secondo i testimoni alcuni poliziotti avevano infierito anche sulle attrezzature informatiche, sostiene che gli autori di tali danneggiamenti non sono stati identificati e che non è ipotizzabile che tale condotta sia stata tenuta dai poliziotti, che per asportare gli hard disk avrebbero avuto necessita di tempo e attrezzature (cacciaviti) per smontare i case. In secondo luogo il Tribunale trova inspiegabile il motivo per cui tale violento accanimento abbia preso di mira solo le attrezzature informatiche in uso agli avvocati.

La valutazione delle condotte sopra descritte, dal Tribunale riportate asetticamente, conduce a ritenere non casuale l’irruzione nella scuola Pascoli, così come del resto evidenziato  dalle comunicazioni ufficiali inviate dal Questore al capo della Polizia. La nota informativa inviata nelle prime ore del 22/07/01 ed acquisita agli atti del processo è preceduta da un lungo fonogramma dall’identico contenuto sempre diretto alla medesima autorità, nella quale si legge che “contemporaneamente alla perquisizione, veniva effettuata una verifica all’interno dei locali della sede stampa del GSF sita in un edificio prospiciente il complesso scolastico Diaz, senza il compimento di ulteriori atti od operazioni per assenza di qualsiasi problematica concernente la sicurezza”. Come affermato dall’imputato Mortola, cioè, si trattava di mettere in sicurezza la zona, ovvero impedire turbamenti dell’operazione in corso, ritenuti possibili anche per la presenza di persone che operavano riprese filmate dalle finestre.

Così come è risultato provato, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, che vi fu attività di perquisizione e di asportazione di oggetti.

E’ lo stesso agente Pantanella Giovanni (udienza 03/10/07) ad ammettere pacificamente di aver preso quattro cassette di video-camera che si trovavano su un tavolo al momento della perquisizione. In alcuni casi le cassette sono state estratte direttamente dalle video camere (il teste Trotta all’udienza del 07/06/06 ha riferito del prelevamento di oggetti dalle stanze ove i poliziotti entravano e di aver constatato che dall’interno della videocamera dell’amico Stephen Stegmaier era stata sottratta la cassetta).  E’ stato sottratto materiale video anche al terzo piano della Pascoli (testi Valenti, Luppichini, Forte). David Jones (udienza 26/1/2006) ha riferito di acquisizione di nastri audio, video o minidisk e floppy mentre i presenti erano costretti a stare in piedi faccia al muro impossibilitati a telefonare. Dalla stanza di Radio Gap i testi riferiscono di aver visto portare via il materiale in alcuni scatoloni.

All’udienza del 03/10/07 il sovr. Bassani ha riferito le modalità di tale apprensione, giustificandola con una non meglio precisata esigenza di evitare che immagini dell’operazione finissero in chissà quali mani. Ha aggiunto poi di aver ritenuto di non redigere verbale per la convinzione che si trattasse di materiale da far confluire nei verbali che si sarebbero redatti a conclusione dell’operazione.

Secondo la ricostruzione del teste Lenzi, responsabile nazionale del WWF, dal momento dell’ingresso nell’Istituto a quello in cui  gli operatori sono entrati nella stanza dei legali sono passati non più di due minuti, il tempo di contattare telefonicamente un avvocato per avvisarlo dell’irruzione;  il comandante del gruppo di agenti appena entrato, ha ordinato immediatamente ai presenti di sdraiarsi faccia a terra. Senza ricevere alcuna istruzione, gli agenti hanno iniziato a fracassare computer e telefoni che si trovavano sul lato sinistro della stanza. Dopodiché i presenti sono stati fatti uscire dalla stanza e gli agenti si sono trattenuti alcune decine di minuti all’interno senza che nessuno potesse entrarvi. Al rientro, oltre agli evidenti danneggiamenti si poteva constatare la sottrazione degli hard disk dei p.c. in dotazione ai legali e del materiale cartaceo presente prima del bliz sui tavoli sui quali i legali svolgevano il loro lavoro.

Può desumersi da tale descrizione dei fatti che gli agenti conoscevano evidentemente non solo la collocazione dei pc dei legali all’interno dell’Istituto, ma anche la collocazione dei medesimi all’interno della stanza. Infatti tutti i testi che sono stati in grado di ricordare la posizione dei pc in uso agli avvocati all’interno della stanza (per es. Galvan, Lenzi, Malfante, Cattini, Testoni), o perché vi avevano lavorato, o perché avevano assistito al loro lavoro, hanno  confermato che i legali utilizzavano i pc ed i telefoni posti sul lato sinistro entrando, mentre i pc collocati sui tavoli collocati sul lato destro in uso per altre attività, sono rimasti intatti e non hanno subito alcun tipo di danneggiamento o di manomissione.

La inconfutabile conferma dell’avvenuto svolgimento di attività di perquisizione è data dalla deposizione del vicesovrintendente della Polizia di Stato Grispo, incaricato dell’attività di controllo sulla corrispondenza tra quanto indicato nei verbali di sequestro e quanto effettivamente depositato negli uffici della Polizia, il quale ha riferito (ud. 08/03/07) “negli scatoloni che sono stati depositati c’erano anche 4 cassette di cui non è fatta menzione nei verbali”. Nella relazione di servizio di Mortola e Scorfani – acquisita agli atti del dibattimento -, datata 9 agosto 2001 i due scrivono: “Per quanto attiene alle quattro cassette, in merito alla difformità tra il materiale acquisito e quello sequestrato,  si sottolinea il seguito di comunicazione di notizia di reato inviata in data 30.7.01 al Procuratore Aggiunto Dott. Lalla, e si trasmette la relazione di servizio redatta dal personale Digos dalla quale si evince che l’acquisizione è stata operata da Bassani, Pantanella e Garbati che non l’hanno tempestivamente comunicata nell’erronea convinzione che detto materiale fosse stato inserito nel verbale di sequestro”. E nella comunicazione via telex dello stesso dirigente Mortola al Capo della Polizia, datata 05//08/01 (della quale il Tribunale non fa menzione), in relazione ad una videoripresa effettuata alle ore 23 circa del giorno 21/07/01 all’esterno della scuola Diaz in via Cesare Battisti, il dirigente della Digos dichiara che “il video è stato acquisito dal personale della Polizia intervenuto senza compiere alcun atto di perquisizione nella scuola Pascoli” e di seguito che “il materiale video, costituito da due microcassette, è confluito fra tutti i reperti sequestrati o comunque acquisiti all’interno della scuola Diaz ed all’A.G. è stata data tempestivamente notizia delle modalità di acquisizione, consegnando successivamente in data ieri 4 agosto la videocassetta su cui sono state riversate le immagini.” È particolarmente significativo il linguaggio palesemente atecnico utilizzato dal Dirigente Mortola che tradisce l’imbarazzo di descrivere come attività di “acquisizione” condotte che dal punto di vista giuridico, per lui ineludibile, non potevano che essere qualificate veri e propri sequestri.

Non pare seriamente discutibile che in presenza addirittura del frutto dell’attività di ricerca di cose, anche nella scuola Pascoli è stata compiuta attività di perquisizione.

Né conclusivo in senso contrario è l’argomento relativo alla riconducibilità al gruppo “black bloc” di quanto sequestrato dai Carabinieri presso l’edificio Pascoli. Il sequestro di tale materiale avvenne infatti a distanza di più di 24 ore dall’accesso della Polizia, il 23 luglio alle ore 12.30, quando già i locali erano stati “visitati” da numerosissime persone ed in parte modificata la situazione originaria dei luoghi. In quei giorni in cui, come riconosciuto dal Tribunale, tutto poteva accadere, non può attribuirsi a tale fatto con sufficiente certezza il valore di prova idonea ad eludere le evidenti emergenze processuali sopra ricordate, anche perché tutti i testi hanno riferito che le ricerche compiute dalla Polizia erano state piuttosto superficiali, essendosi l’interesse degli operatori concentrato sui materiali informatici e su quelli audio visivi.

Non convincente, infine, è la perplessità manifestata dal Tribunale sulla possibilità concreta per i poliziotti di danneggiare i computers per asportare gli hard disk interni e sull’interesse a compiere tale attività mirata proprio sulle attrezzature degli avvocati. Quanto al primo aspetto basta ricordare la circostanza (deposizione Lenzi) secondo la quale gli occupanti la sala degli avvocati furono fatti uscire e gli operatori, una volta entrati, vi stazionarono indisturbati per diversi minuti, avendo quindi tempo e possibilità (l’apertura di una case anche se di vecchio tipo chiuso con viti non richiede attività complessa) per asportare i componenti interni.

Quanto al secondo profilo, che ricorda gli analoghi dubbi sull’interesse a mentire di Nucera e Panzieri, basta ricordare che la motivazione principale per cui è stata disposta l’irruzione nella Pascoli è stata impedire l’ulteriore ripresa di quanto la Polizia stava compiendo, e quindi lo scopo era eliminare le testimonianze materiali costituite da riprese audio e video e, quindi, anche i supporti destinati naturalmente alla loro conservazione quali gli hard disk dei computers. Del resto era noto che l’attività svolta durante tutta la manifestazione del G8 dagli avvocati del GSF era stata anche quella di raccogliere materiali di documentazione su eventuali condotte illegali ai danni dei manifestanti pacifici, per cui non può creare alcuna sorpresa che nell’occasione anche i computers degli avvocati siano stati oggetto dell’interesse immediato e diretto degli operatori di polizia entrati nella Pascoli.

Da ultimo occore dare conto che il Tribunale, per escludere che sia avvenuta una perquisizione, utilizza ampiamente in motivazione l’episodio della offerta da parte dei Poliziotti di pasta contenuta in una pentola, e uno spezzone di video-ripresa del giornalista TG3 RAI Riccardo Chartroux. Quanto al primo episodio, il tetse che ne riferisce William Hayton (ud. 11/01/06) lo ha qualificato come sureale ed inspiegabile, e comnuque avcenjtoment i prsnrti erano ancora obbligfti a stere fermo nei corridpi, per cui assume il sapore di mero dileggio. Quanto al filmato RAI, se è vero che i soggetti rispresi non mostrano eclatanti segni di sofferenza, è tuttavia evidente che essi manifestano solo rilassamento per la fine della iniziale fase aggressiva e violenta e per la presenza di operatori televisivi, garanzia che di non correre rischi di ulteriori violenze; ma il video conferma che i presenti continuano a mantenere posizioni vincolate e sono quindi privi della libertà di movimento. Inoltre nello stesso filmato è possibile assistere alla intervista della testimone Testoni Laura che, seduta, niente affatto sorridente, racconta che quanto sta accadendo è percepito come una violazione del diritto da parte del G.S.F. di svolgere le proprie attività all’interno dei locali legittimamente condotti.

Anche in questo caso, pertanto, le circostanze alle quali il Tribunale ancora la motivazione che oblitera evidenti emergenze processuali sono incinsistenti.

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I fatti sopra descritti integrano le ipotesi di reato di cui ai capi S),T), U).

Si è visto come è indubitabile che sia stata compiuta una vera e propria perquisizione, tanto che ne sono stati acquisiti i frutti. Sussiste, pertanto, l’ipotesi contestata al capo S) posto che, non ricorrendo pacificamente per la scuola Pascoli l’ipotesi di perquisizione ad iniziativa ex art. 41 TULPS prevista e programmata solo per la scuola Pertini, la perquisizione stessa è avvenuta con abuso di potere in mancanza dei presupposti di legge che consentissero l’intervento. La condotta in esame ha integrato anche la violazione di domicilio ex art. 615 c.p., in quanto la scuola era sede di private associazioni ed organizzazioni che legittimamente ne avevano il possesso, con diritto di escludere terzi estranei, come comprovato dalla presenza di un ufficio accrediti ove veniva verificato il possesso di idoneo pass per chi voleva accedere all’edificio. Sussiste, infine, l’aggravante del nesso teleologico con il reato di danneggiamento, essendo stata la perquisizione finalizzata a danneggiare le apparecchiature per asportare ciò che era ritenuto di interesse.

Pacifica è anche la condotta di violenza privata contestata sub T), essendo plurime e concordanti le descrizioni delle condotte tenute dagli operatori che hanno limitato la libertà personale dei presenti per apprezzabile lasso di tempo, costringendoli con minacce e brandendo i manganelli a stare nei corridoi e ad assumere posizioni statiche contro il muro o per terra sdraiati o seduti. Il fatto è aggravato dall’abuso delle pubbliche funzioni svolte dagli autori.

Sussiste, infime, anche il danneggiamento di cui al capo U), aggravato dalla natura pubblica dei beni danneggiati (di proprietà del Comune di Genova) alla luce delle molteplici deposizioni e delle oggettive risultanze relative alla distruzione delle apparecchiature informatiche e di servizio compiuta dagli operatori entrati nella Pascoli.

La responsabilità di tali reati è ascrivibile a Gava Salvatore per il suo ruolo di dirigente dell’operazione in esame.

Innanzi tutto lo stesso Gava nel verbale di s.i.t. confermato integralmente in occasione del primo interrogatorio, ha riferito che in occasione dei fatti del 21-22 luglio 2001 era stato al comando di un gruppo di 25 uomini dei quali facevano parte non solo i colleghi di Nuoro ma anche altri aggregati da varie Questure. Sempre nello stesso verbale di s.i.t. ha riferito di essere entrato nella scuola Pascoli dal cancello posteriore e subito di essersi reso conto che c’era un centro stampa. Restò in attesa di disposizioni da parte di Dominici, con ciò confermando che era lui a dirigere gli operatori entrati nella Pascoli. Nell’interrogatorio reso il 13/02/2002, confermato di essere stato il più alto in grado all’interno della Pascoli, pur sostenendo di aver comandato solo i suoi 6 colleghi del Nucleo di Nuoro, ha riferito di aver dato disposizione agli uomini di disporsi ai piani per prevenire eventuali lanci ed operare in sicurezza: di fatto, come è stato illustrato, tutti i numerosi operatori entrati si disposero sui tre piani, e non è pensabile che Gava intendesse mettere in sicurezza l’edificio con solo 6 uomini, due per piano. È sempre Gava che chiese a Dominici disposizioni sul da farsi, e l’ordine di abbandonare l’edificio venne dato da Ferri ancora e solo a Gava, con l’effettivo risultato che tutti gli operatori che erano all’interno lasciarono l’edificio, ulteriore prova che Gava dava efficacemente disposizioni a tutti i presenti. Quando l’On. Mascia si presentò nella scuola e chiese di parlare con il responsabile per chiedere la liberazione dell’edificio fu condotta da Gava e con questi parlò, senza essere da Gava dirottata verso altri eventuali diversi responsabili.

Ancora, Gava ha ammesso di aver visto le persone schierate nei corridoi e limitate nei movimenti, ma ha riferito di non aver ritenuto di intervenire, con ciò approvando la condotta degli operatori, e non di non aver avuto il potere per impedirla.

Da quanto esposto risulta indubitabile il ruolo di comando esercitato da Gava durante tutta la fase dell’irruzione nella scuola Pascoli, la sua concreta possibilità di constatare tutte le condotte ivi tenute dagli operatori, non solo la immobilizzazione dei presenti lungo i corridoi mediante ordini urlati e minacce, ma anche i danneggiamenti gravi ed estesi che risultavano palesi a chiunque fosse presente. La responsabilità per le condotte tenute dagli operatori deriva dalla sua posizione di comando, concretamente esercitata impartendo ordini al personale sulla loro dislocazione, dalla omissione di qualsiasi iniziativa volta ad interrompere o sanzionare le illegittimità commesse dai subordinati, ed anzi, al contrario, dalla espressa approvazione ammessa in sede di interrogatorio; tutte condotte eloquenti che costituivano istigazione e rafforzamento dei comportamenti illeciti posti in essere dagli operatori, che si sentivano così corroborati e approvati nei loro intenti delittuosi.

Solo relativamente alla imputazione di peculato la Corte ritiene insufficienti gli elementi di prova per ritenere il concorso del Gava anche rispetto alle condotte di appropriazione realizzate da alcuni operatori che si sono portati via parti interne di computers. Trattasi, infatti, al contrario delle altre sopra viste, di condotte non manifeste, delle quali non vi è prova che Gava abbia avuto cognizione personale, e che costituiscono uno sviluppo non necessario e non facilmente prevedibile della perquisizione illegale  e del danneggiamento.

LE PERCOSSE IMPUTATE A FAZIO

Il Tribunale ha accertato la responsabilità di Fazio Luigi, unico operatore identificato, per le percosse inferte a Huth Andreas. L’appello dell’imputato si incentra sulla non  affidabilità del riconoscimento operato dalla parte lesa e dalla assenza di conferme esterne, poiché i testi menzionati dal Tribunale non sarebbero stati spettatori diretti del fatto.

L’impugnazione è infondata. Il riconoscimento fotografico non richiede l’osservanza delle prescrizioni dettate in tema di ricognizione personale, per cui il riconoscimento del Fazio da parte di Huth Andrea non è di per sé inattendibile per il solo fatto che le foto visionate non appartenessero a soggetti somiglianti. Quello che rileva è la presenza di riscontri esterni che rendono credibile e affidabile il riconoscimento fotografico. Tali riscontri sono ravvisabili nelle deposizioni dei testi Plumecke Tino e Moser Nadine: costoro hanno avuto modo di vedere il contatto fra l’aggressore e Huth; il primo ha riferito “arrivò un altro poliziotto più anziano che chiamò Andreas vicino a sé e poi lo condusse giù lungo le scale… indossava i jeans ed aveva una pettorina, non aveva il casco; era un po’ anziano, capelli abbastanza grigi e una barba grigia folta”, la seconda ha riferito “un altro poliziotto…andò con Andreas nel vano delle scale; vidi che aveva una mano sulla sua testa e lo teneva giù. Il secondo poliziotto era più vecchio, aveva la barba grigia, era in abiti civili, non so dire se portasse un casco”.

La descrizione del soggetto fatta dai due testi coincide con quella fornita da Huth (“Il poliziotto che mi percosse e mi portò nel seminterrato non era molto alto circa un metro e settanta, magro anche nel viso poteva avere circa cinquanta anni e aveva capelli grigi corti; aveva la barba lunga di qualche giorno”) e costituisce così riscontro di attendibilità del riconoscimento fotografico. Che poi Fazio sia l’autore delle percosse descritte da Huth risulta dalle sue dichiarazioni, delle quali non vi è motivo di dubitare non ravvisandosi intenti calunniosi, che sono anche confermate sempre dalla deposizione della Moser, che ha visto il Fazio condurre forzatamente Huth in basso piegandogli la testa con una mano.

Le informazioni difensive secondo le quali Fazio non sarebbe mai salito al terzo piano, ove è accaduto l’episodio, non sono attendibili, non solo per la provenienza da colleghi, ma soprattutto perché per aver il significato invocato si dovrebbe presupporre che i due, durante tutti i 40 minuti di durata della permanenza dentro la Pascoli, non abbiano mai perso di vista il Fazio standogli sostanzialmente sempre alle costole, circostanza ovviamente neppure adombrata.

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO

Il punto preliminare da affrontare su tale tema è quello relativo alle circostanze attenuanti generiche ravvisate dal Tribunale per tutti i condannati nella incensuratezza e nella situazione di stress e di stanchezza in cui maturarono i fatti.

La Corte non condivide tali motivazioni.

Quanto all’incensuratezza, se è vero che all’epoca della commissione dei fatti generalmente costituiva uno dei parametri di valutazione per il riconoscimento delle attenuanti generiche e che i Pubblici Ufficiali, solo per tale qualifica, non meritano discriminazione rispetto ai cittadini comuni, tuttavia nel caso in esame ritiene la Corte che la personalità degli imputati, la natura dei reati addebitati e la loro gravità escludono che la determinazione del trattamento sanzionatorio possa essere operata anche solo in minima parte con riferimento ai trascorsi giudiziari. Di fronte al quadro complessivo dei reati accertati a carico degli imputati e all’entità del tradimento della fedeltà ai doveri assunti nei confronti della comunità civile l’incensuratezza diviene fatto assolutamente irrilevante.

Quanto allo stress e alla stanchezza, non se ne vede la sussistenza né con riferimento alle lesioni, né con riferimento agli altri reati connessi alla redazione degli atti. Relativamente alle lesioni si è accertato come le stesse siano conseguenza del consapevole uso della forza volutamente destinato a garantire il maggior numero possibile di arresti: tale scelta è il frutto di ponderata decisione, maturata anche dopo la manifestazione di perplessità iniziali da parte di alcuni funzionari, e quindi non può dirsi dettata da stress e stanchezza. Le modalità di esplicazione di tale violenza, generalizzata, continua e indiscriminata, perpetratasi anche con calcolata freddezza, escludono che si sia trattato del frutto di stress e stanchezza.

Quanto ai falsi, alle calunnie e agli altri reati conseguenti, si è trattato della consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato nel lungo arco di tempo che è intercorso fra la cessazione delle operazioni e il deposito degli atti in Procura avvenuto la domenica alle ore 18,30: la motivazione di tale condotta criminosa, volta a salvare l’operazione già evidentemente apparsa disastrosa, è incompatibile con stress e stanchezza, e presuppone, viceversa una attenta e scrupolosa organizzazione nella predisposizione degli atti e del loro contenuto. Nel quadro offerto dalla Polizia agli inquirenti nella immediatezza tutto ha una logica e una coerenza interna (ed è questo il motivo per cui i Pubblici Ministeri, che confidavano nella onestà della P.G., chiesero la convalida degli arresti, non certo, come infondatamente sostenuto dal Tribunale, perché i fatti esposti fossero veri). Tutti gli atti, le relazioni di servizio e le annotazioni convergevano in modo sinergico apparentemente convincente a supportare le accuse verso gli arrestati, e tale risultato non può essere stato la conseguenza di stress e stanchezza (condizioni foriere di errori e carenze macroscopiche) quanto piuttosto di studiata e ragionata organizzazione.

Tanto premesso, ritiene la Corte che, tranne per la posizione di Fournier, per tutti gli altri imputati non siano ravvisabili circostanze atipiche che giustifichino attenuazione di pena.

Relativamente ai responsabili delle lesioni non può che rimarcarsi la notevole gravità dei fatti. I tutori dell’ordine (come tali ancora apprezzati per esempio da Cestaro Arnaldo, di anni 62 all’epoca dei fatti, che si è espresso nei seguenti termini ”si apre la porta così, mamma mia, era la nostra Polizia, la Polizia di Stato,… hanno cominciato coi manganelli da me uno e dopo gli altri… sono stato colpito, ma non da quello che aveva alzato le mani così, da altri poliziotti in seguito”) si sono trasformati in violenti picchiatori, insensibili a qualunque evidente condizione di inferiorità fisica (per sesso o età delle vittime), agli atteggiamenti passivi e remissivi di chi stava fermo con le mani alzate, di chi stava dormendo e si era appena svegliato per il frastuono. Alla violenza si è aggiunto l’insulto, il dileggio sessuale, la minaccia di morte. Il sangue è sgorgato a fiotti per ogni dove lasciando tracce (immortalate dalle fotografie scattate dai Carabinieri) che non potevano essere trascurate da nessuno dei presenti. L’enormità di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero, non rende seriamente rintracciabile alcuna circostanza attenuante generica. Né a diversa conclusione può condurre il comportamento processuale successivo, improntato, nella migliore delle ipotesi, alla mera negazione di responsabilità, in quella peggiore a sostenere che le ferite erano pregresse. Nel processo si è assistito soltanto ad un deplorevole scambio di accuse tra gli imputati che si sono ributtati a vicenda la responsabilità delle lesioni e degli altri gravi reati, ma non una sola voce di rammarico per l’accaduto o un pensiero alle vittime si sono levati.

Se possibile è ancora più grave la valutazione delle condotte successive che hanno prodotto i falsi, le calunnie e gli arresti illegali (per ricordare le più rilevanti). Qui è davvero difficile nascondersi l’odiosità del comportamento: una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, i vertici della Polizia avevano a disposizione solo un retta via, per quanto dolorosa: isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociarsi da tale condotta, rimettere in libertà gli arrestati. Purtroppo è stata scelta la strada opposta: con incomprensibile pervicacia si è deciso di percorre fino in fondo la strada degli arresti, e l’unico modo possibile era creare una serie di false circostanze funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un  arresto di massa.

Pur facendo appello a tutta l’umana comprensione possibile, non si riesce a scorgere in tale scelta e nella sua concreta attuazione alcun aspetto che possa integrare una generica circostanza di attenuazione della pena.

Come si è anticipato, solo nei confronti di Fournier è possibile confermare la decisione di primo grado alla luce della condotta tenuta dal predetto. Benché in ritardo e ingiustificatamente passivo prima e durante lo svolgimento delle operazioni, si deve al suo intervento l’interruzione del massacro, che poteva avere ulteriori e ben più gravi conseguenze. Dal punto di vista processuale al dibattimento, seppur tardivamente e sempre cercando di scagionare i propri uomini, Fournier ha ammesso la vera natura e consistenza della condotta violenta degli operatori entrati nella scuola.

La Corte, nella valutazione complessiva dei fatti, ritiene di non obliterare la circostanza, emersa chiaramente in causa fin dalle prime emergenze e confermata nell’ulteriore corso processuale, secondo la quale l’origine di tutta la vicenda è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia di riscattare l’immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall’invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell’ordine pubblico. Certo tale pressione psicologica non giustifica in nulla la commissione dei reati né l’eventuale malinteso spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione con l’ufficio di Procura (riconosciuta anche dal Tribunale), ma consente, nell’ambito dell’ampio divario fra le misure edittali della pena, di optare per la quantificazione della pena base nel minimo.

LE PRESCRIZIONI

Il decorso del tempo ha comportato l’estinzione per prescrizione dei seguenti reati:

-               la calunnia contestata al capo B) a Luperi e Gratteri;

-               la calunnia contestata al capo D) a CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide e CERCHI Renzo. A tale proposito si deve rilevare che per mero errore materiale nel dispositivo letto all’udienza del 18/05/2010 è stata omessa l’indicazione di tale reato fra quelli per i quali è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere a pagina 2 del dispositivo originale. L’evidenza dell’errore emerge dal fatto che per il medesimo reato la declaratoria di estinzione è stata pronunciata nei confronti dei concorrenti Luperi e Gratteri e che la condanna dei medesimi imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili è stata pronunciata anche con riferimento ai danni causati dal reato di calunnia (pag. 5 del dispositivo originale);

-               l’arresto illegale contestato al capo E) a predetti imputati;

-               la calunnia contestata al capo G) a Canterini Vincenzo. Anche in tale caso valgono le considerazioni precedenti in ordine alla omissione materiale nel dispositivo, il cui errore è desumibile dalla indicazione della pena inflitta a tale imputato, riferita solo ai reati di falso aggravato e lesioni gravi.

-               tutte le lesioni contestate al capo H) a Fournier Michelangelo, in conseguenza delle ritenute attenuanti generiche;

-               solo le lesioni semplici contestate al capo H) a CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo. Non sono, viceversa, prescritte le lesioni gravi aggravate dall’uso delle armi, la cui pena edittale massima ex art. 585 c.p. è di anni 9 e mesi 4, la quale, secondo il vigente più favorevole regime, comporta la durata massima dl termine di prescrizione di anni 11 e mesi 8 (termine non ancora maturato dalla decorrenza del 21/07/2001).

A questo proposito la Corte rileva che l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato secondo la quale non vi sarebbe prova certa dell’entità delle lesioni, che quindi non potrebbero essere qualificate gravi, è tardiva in quanto mai sollevata in primo grado, ove il contraddittorio fra le parti si è svolto pacificamente sul presupposto della correttezza della contestazione. Osserva in ogni caso la Corte che l’entità delle lesioni è stata per tutti certificata con documentazione sanitaria rilasciata da strutture pubbliche, sulla cui correttezza non vi è motivo di dubitare, e che l’Avvocatura dello Stato non ha motivatamente contestato.

-               le calunnie contestate ai capi L) ed N) a Nucera e Panzieri; anche in tale caso valgono le considerazioni precedenti in ordine alla omissione materiale nel dispositivo, il cui errore è desumibile dalla indicazione della pena inflitta a tali imputati, riferita solo ai reati di falso aggravato, e dalla condanna dei predtti al risarcimento dei danni in favore delle parti civili anche con riferimento al reato di calunnia;

-               la perquisizione illegale, la violenza privata ed il danneggiamento contestati ai capi S), T) e U) a Gava Salvatore;

-               le percosse contestate al capo Z1) a Fazio luigi;

-               la calunnia e l’arresto illegale contestate ai capi 2) e 3) del Proc. 5045 Trib a Di Bernardini Massimiliano.

LA DETERMINAZIONE DELLE PENE

-               Per il falso ideologico in atto fidefacente aggravato dal nesso teleologico contestato al capo A) a Luperi e Gratteri, determinata la pena base in anni tre di reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato in mesi 3 e l’aumento di pena per la continuazione interna fra i tre fatti di falso è quantificato in mesi 3 per ciascuno degli atti falsi (comunicazione di notizia di reato, verbale di perquisizione e sequestro, verbale di arresto), giungendosi alla quantificazione finale di anni 4 di reclusione.

-               Per il falso ideologico pluriaggravato contestato ai capi C) e 1) del Proc. 5045 Trib a CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo e DI BERNARDINI Massimiliano, determinata la pena base in anni tre di reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato in mesi 2 e l’aumento di pena per la continuazione interna fra i tre fatti di falso è quantificato in mesi 2 per ciascuno dei tre atti falsi, giungendosi alla quantificazione finale di anni 3 e mesi 8 di reclusione.

-               Per il falso ideologico in atto fidefacente aggravato dal nesso teleologico e le lesioni gravi (ravvisabili in danno di Cestaro Arnaldo, Coelle Benjamin, Doherty Nicola Anne, Duman Mesut,  Haldimann Fabian, Jonasch Melanie, Kutschkau Anna Julia, Martensen Niels, Martinez Ferrer Ana, Moret Fernandez David, Nogueras Corral Francho, Sicilia Heras Jose Luis, Wiegers Daphne, Zuhlke Lena) contestate ai capi C) e H) a CANTERINI Vincenzo, determinata la pena base per il più grave reato di falso ideologico in atto fidefacente in anni tre di reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato in mesi 3 e l’aumento di pena per la continuazione in giorni 45 per ciascuno dei 14 episodi di lesioni gravi (pari ad un totale di mesi 21), giungendosi così alla pena finale di anni 5 di reclusione.

-               Per le lesioni gravi contestate al capo H) a BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo, determinata la pena base ex art. 585 c.p. in  anni 3, mesi 1 e giorni 5 di reclusione, l’aumento per le altre 13 lesioni gravi in continuazione è determinato in giorni 25 ciascuna (misura inferiore rispetto a quella stabilita per il superiore gerarchico Canterini, maggiormente responsabile), pari all’aumento complessivo di giorni 325, giungendosi così alla pena finale di anni 4 di reclusione.

-               Per i falsi in atto fidefacente aggravato dal nesso teleologico contestati ai capi I) ed M) a Nucera e Panzieri, determinata la pena base in anni tre di reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato in mesi 2 e l’aumento di pena per la continuazione interna fra i tre fatti di falso (la rispettiva relazione di servizio, il verbale di perquisizione e sequestro e il verbale di arresto) è quantificato in mesi 1 ciascuno, giungendosi così alla pena finale per ciascun imputato di anni 3 e mesi 5 di reclusione.

-               Per i reati di falso in atto pubblico fidefacente contestato nel PROC. riunito N. 1079/08 DIB e di detenzione e porto di arma da guerra contestato nel capo P) a Troiani Pietro, quantificata per il reato più grave di falso la pena base in anni 3 di reclusione, l’aumento per la continuazione interna (contestazione di concorso nella falsificazione di due atti, il verbale di perquisizione e sequestro e quello di arresto) è quantificato in mesi 3 di reclusione, e l’aumento per la continuazione con la detenzione ed il porto delle armi in mesi 6, giungendosi così alla pena finale di anni 3 e mesi 9 di reclusione.

-               Per il reato di falso in atto fidefacente contestato a Gava Salvatore, considerata la particolare gravità della condotta, inescusabile sotto alcun punto di vista posto che l’imputato non essendo neppure entrato nella scuola Pertini non poteva neanche per errore ritenere dovuta la sua sottoscrizione in calce al verbale di perquisizione e sequestro, la pena è determinata in anni 3 e mesi 8 di reclusione.

Alle suddette condanne consegue la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici nei confronti di GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo e TROIANI Pietro.

Tutti i predetti imputati devono essere condannati al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, e GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore al pagamento anche delle spese di giudizio di primo grado.

Ai sensi della legge 241/2006 le pene inflitte sono dichiarate condonate nella misura di anni 3 di reclusione

LE STATUIZIONI CIVILI

-               In via preliminare deve rilevarsi che l’affermazione di responsabilità degli imputati in primo grado prosciolti ne comporta la condanna, in solido con quelli già condannati ove concorrenti, ed in solido con il Ministero dell’Interno quale responsabile civile, nei confronti delle parti civili che si sono rispettivamente costituite nei loro conforti, ai risarcimenti dei danni da liquidarsi in separati giudizi civili, ed al pagamento delle provvisionali già liquidate dal Tribunale. Non ritiene la Corte che l’aumento del numero dei condebitori solidali possa determinare un aumento delle provvisionali, la cui determinazione è rimessa a prudente prognosi sommaria, in relazione alla quale la Corte non  ha elementi per disporre modifiche in aumento.

-               Relativamente alla questione del diritto al risarcimento dei danni anche in conseguenza delle condanne per il delitto di falso, osserva la Corte che il tema è stato mal posto dalle parti civili e dal Tribunale. Non si tratta, infatti, di valutare l’esistenza di uno o più fatti lesivi ciascuno generatore di danno, con il possibile rischio di duplicazione paventato dal Tribunale, o di decurtazione lamentata dalle parti civili, perché nel caso in esame si verte in una tipica ipotesi di concorso formale, in cui con una sola azione si commettono più reati. La falsificazione dei verbali di P.G. ha contestualmente intergrato i reati di falso ideologico in atto fidefacente e di calunnia. Il fatto illecito generatore di danno dal punto di vita civilistico è uno solo, ed integra una sola causa petendi dell’invocato diritto al risarcimento dei danni. Ciò non vuol dire che sia irrilevante la violazione della norma penale che punisce il falso ideologico, il quale come ricordato dallo stesso Tribunale integra una fattispecie plurioffensiva che vede anche il privato destinatario del falso parte offesa. È infatti evidente che un conto è subire una calunnia da un privato cittadino con una denuncia privata, un’altro, ben più grave per le maggiori difficoltà di difendersi, è subire una calunnia confezionata da un pubblico ufficiale in un verbale di polizia giudiziaria, ma la rilevanza di tale duplice violazione di norme penali si manifesta sotto il profilo della gravità del fatto e dell’entità dell’unico danno subito dalla parte lesa. Spetterà, quindi, al giudice civile liquidare il danno tenendo conto che il fatto lesivo, benché unico, è costituito dalla violazione di due norme penali, e come tale è potenzialmente idoneo a causare danno maggiore.

-               L’appello proposto dal GENOA SOCIAL FORUM deve essere respinto perché tale associazione, nata con l’oggetto sociale specifico di organizzare le manifestazioni di dissenso al vertice G8 in questione, si è estinta per esaurimento dello scopo sociale con la conclusione del vertice stesso, e non esiste più come centro di imputazione di rapporti giuridici. La circostanza è stata ammessa dallo stesso Agnoletto in allora legale rappresentante del GSF, il quale ha dichiarato nella deposizione testimoniala del 10/10/07 “Il GSF attualmente non esiste più, è andato avanti fino al 2002. Io recupero il ruolo di portavoce quando le associazioni che ne facevano parte devono assumere orientamenti in relazione agli eventi del G8, ma una struttura ufficiale di GSF non c’è più”.

-               L’appello proposto dall’ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI è fondato, non quanto ai danni alle attrezzature che il Comune le aveva consegnato, ma per l’accertata sussistenza dei reati di perquisizione abusiva e violazione di domicilio con riferimento ai locali a sua disposizione. Rileva la Corte che seppure sia vero che anche il detentore qualificato ha titolo al risarcimento dei danni inferti alle cose condotte in locazione o comodato gratuito, occorre tuttavia pur sempre la deduzione e la dimostrazione dell’esistenza del danno, anche sub specie di risarcimento a sua volta pagato dal detentore a favore del proprietario. Nel caso in esame nulla ha dedotto e tanto meno provato l’Associazione circa un effettivo danno subito dalla rottura dei computers di proprietà del Comune, per cui sotto tale profilo l’appello è infondato.

Viceversa essendo stata accertata l’esistenza dei reati ascritti a Gava di perquisizione abusiva e violazione di domicilio, reati compiuti anche e soprattutto nei locali affidati all’Associazione giuristi, sussiste il diritto al risarcimento dei danni conseguenti, da liquidarsi in separato giudizio. Nulla, invece, è dovuto per la violenza privata, posto che le vittime non sono state individuare in base alla loro affiliazione all’associazione, ma hanno subito le violenze al pari di tutti gli altri presenti all’interno della scuola Pascoli senza alcun particolare movente legato alla loro appartenenza all’Associazione.

-               L’appello proposto dalle parti civili Bartesaghi Enrica e Gandini Ettorina, madri di parti lese dei reati giudicati in questo processo, è infondato.

In tema di risarcimento del danno in favore dei parenti per lesioni subite dai prossimi congiunti la Suprema Corte civile, fin da Sez. 3, Sentenza n. 10816 del 08/06/2004, ha sancito che “Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale, a condizione che si tratti di lesioni seriamente invalidanti, giacché lesioni minime o prive di postumi non rendono configurabile una sofferenza psicologica inquadrabile nella nozione di danno morale.” E ancora più recentemente (Sez. 3, Sentenza n. 8546 del 03/04/2008) ha stabilito che “In tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. In tal caso, costituendo il danno morale un patema d'animo e, quindi, una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti dell'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità” (fattispecie di gravissime lesioni permanenti in danno di figlio minorenne). I casi in cui la giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del c.d. danno riflesso o “di rimbalzo” riguardano ipotesi di gravissime lesioni permanenti che per la loro notevole incidenza invalidante e per lo stretto legame familiare che unisce la vittima ai parenti, ingenera nella vita di questi ultimi un profondo sconvolgimento sotto tutti gli aspetti delle relazione interpersonali (necessità di prestare cure e attenzioni alla vittima, limitazioni alla sfera delle attività praticabili, frustrazioni delle aspettative nutrite sul futuro della vittima) tale da determinare un danno permanente e significativo anche “di riflesso” sul parente della vittima diretta delle lesioni. Ma nel caso in esame le vittime primarie, maggiorenni ed indipendenti, hanno subito lesioni temporanee che non hanno lasciato conseguenze invalidanti di alcuna natura nelle loro vite, e tanto meno possono averne determinate in quelle delle madri. Non sussiste, pertanto, alcun danno risarcibile in capo alle appellanti.

-               Il motivo di appello relativo alla liquidazione delle spese di costituzione e rappresentanza delle parti civili è parzialmente fondato. La valutazione dell’attività defensionale compiuta dal Tribunale è stata certamente riduttiva. Il processo, per gravità dei fatti, numero delle parti, durata nel tempo, natura e complessità degli adempimenti è stato certamente connotato da particolare difficoltà ed ha costituito, insieme con gli altri grandi filoni processuali della vicenda G8 che ha funestato Genova, un evento straordinario nell’esperienza giudiziaria del distretto negli ultimi anni. Non risponde al vero che l’attività defensionale delle parti civili si sia allineata e appiattita sulle argomentazioni della procura; la consonanza di posizioni che discende ex se dalla struttura del processo non consente di ignorare i contributi anche originali e significativi che le parti civili hanno dato all’accertamento della verità, ad esempio con la consulenza sulla collocazione temporale dei fatti immortalati nei materiali audiovisivi, ampiamente discussa e illustrata anche oralmente, o con gli utili contributi forniti nella ricostruzione dei passaggi più articolati e problematici del processo, come la vicenda delle bombe molotov.

La Corte reputa che la liquidazione degli onorari per la partecipazione personale alle udienze nella misura minima sia stata decisamente insufficiente, e stima equo procedere ad una rivalutazione di tutte le liquidazioni di tali voci mediante l’applicazione del coefficiente del 100%.

Non ritiene la Corte, viceversa, che il criterio seguito dal Tribunale per liquidare gli onorari in caso di sostituzione processuale all’udienza (attuato mediante l’applicazione della percentuale del 20% sull’importo di tariffa) sia errato. Non solo tale criterio è stato proposto da alcune parti civili nelle rispettive note spese, ma, non sussistendo divieto di applicazione analogica delle norme in questione, non è arbitrario equiparare la posizione del difensore che in udienza, sostituendo più colleghi, difende più parti in posizione processuale omologa, a quella del difensore che difende direttamente più parti sue clienti, ipotesi per la quale l’onorario è del 20% per ciascuna parte rappresentata ex art. 3 D. M. 127/2004 (che in questo caso diviene 20% in favore di ciascun difensore sostituito).

-               Infine è fondato l’appello dei difensori ammessi al patrocinio a spese dello Stato, che lamentano come la liquidazione delle spese a carico degli imputati condannati e del responsabile civile sia stata effettuata dal Tribunale nella stessa misura ridotta ex lege prevista per la liquidazione a carico dello Stato. I due piani, infatti, sono distinti e non  consentono commistioni. Come ha riconosciuto Cass. Pen.  Sez. 4,  Sentenza  n. 42844 del 2008  la difficoltà, anche dal punto di vista pratico, di coordinare le due liquidazione, per la necessità di un provvedimento a favore del difensore e per la assenza di ogni previsione normativa che stabilisca che il giudice penale debba uniformarsi al criterio di cui all'art. 82 del T.U. … può essere evitata riconoscendo l'autonomia delle due liquidazioni, secondo un principio che è stato già affermato da questa Corte, con la recentissima sentenza del 2 luglio 2008 n. 26663, che ha ritenuto che la disposizione dell'art. 541 c.p.p., comma 1, è intesa a regolare il regolamento delle spese processuali tra imputato e parte civile, e la condanna concerne il primo in favore esclusivamente del secondo. L'onorario e le spese di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 afferiscono invece al rapporto tra il difensore e la parte difesa e vanno liquidati dal magistrato competente ai sensi del precitato testo normativo, con i criteri indicati dal cit. art. 82 e quindi con valutazione autonoma di tale giudice rispetto a quella che afferisce al diverso rapporto tra imputato e parte civile.” Aderendo a tale prospettazione, ritiene la Corte che nella liquidazione degli onorari in favore delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato non sussistano i limiti quantitativi di cui all’art. 82 D.P.R. 115/2002, e che la tutela del diritto dello Stato al recupero di quanto anticipato alla parte civile nella sua funzione di garanzia tipica del sistema del patrocinio per i non abbienti, venga salvaguardato disponendo che i condannati al rimborso delle spese di lite corrispondano direttamente allo Stato la quota parte di quanto liquidato da questo giudice corrispondente alla liquidazione disposta nella competente sede ex D.P.R.115/2002, e che per la differenza provvedano al pagamento direttamente in favore delle parti civili.

-               Le spese di rappresentanza e costituzione di questo grado sono liquidate in dispositivo, e ne è disposto il pagamento diretto in favore dei difensori antistatari che hanno reso le dichiarazioni di legge.

P.Q.M.

Visto l’art. 591 c.p.p.

dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dalla parte civile FASSA Liliana, e compensa integralmente le spese di lite fra la stessa e gli imputati e il responsabile civile;

Visti gli artt. 531, 592 e 605 c.p.p.

in parziale riforma della appellata sentenza:

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti di GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni in ordine al reato loro ascritto al capo B) per essere estinto per prescrizione;

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti di GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo per il fatto loro contestato al capo E), e nei confronti di DI BERNARDINI Massimiliano per il fatto contestato al capo 3), qualificati alla stregua dell’art. 606 c.p., in quanto estinti per prescrizione;

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti di FOURNIER Michelangelo in ordine ai reati ascrittigli al capo H) perché estinti per prescrizione;

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti di CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo in ordine ai reati di lesioni personali semplici loro ascritti al capo H) perché estinti per prescrizione;

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti di GAVA Salvatore in ordine ai reati ascrittigli ai capi S), T) ed U) in quanto estinti per prescrizione;

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti di FAZIO Luigi in ordine al reato ascrittogli al capo Z1) in quanto estinto per prescrizione;

Visto l’art. 530 cpv c.p.p.

ASSOLVE

BURGIO Michele dal reato ascrittogli al capo Q) per non aver commesso il fatto e dal reato ascrittogli al capo R) perché  il fatto non sussiste;

ASSOLVE

TROIANI Pietro dal reato ascrittogli al capo O) per non aver commesso il fatto,

ASSOLVE

GAVA Salvatore dal reato ascrittogli al capo V) per non aver commesso il fatto.

.-.-.-.-.-.

Ridetermina le pene, escluse le attenuanti generiche, nei confronti di:

CANTERINI Vincenzo per il reato di falso in continuazione con le lesioni gravi di cui al capo H), nella misura di anni cinque di reclusione;

BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo, per i reati di lesioni gravi di cui al capo H) nella misura di anni quattro di reclusione ciascuno;

TROIANI Pietro per i reati di falso e quelli di cui al capo P) uniti dal vincolo della continuazione in anni tre e mesi nove di reclusione;

DICHIARA

GRATTERI Francesco e LUPERI Giovanni colpevoli del reato loro ascritto al capo A), e condanna ciascuno alla pena di anni quattro di reclusione;

DICHIARA

CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo colpevoli del reato loro ascritto al capo C), e DI BERNARDINI Massimiliano colpevole del reato ascrittogli al capo 1), e condanna ciascuno alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione;

DICHIARA

NUCERA Massimo colpevole del reato ascrittogli al capo I), e PANZIERI Maurizio colpevole del reato ascrittogli al capo M), e condanna ciascuno alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione;

DICHIARA

GAVA Salvatore colpevole del reato di falso contestatogli, e lo condanna alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione.

.-.-.-.-.

Visto l’art. 29 c.p.

DICHIARA

GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo e TROIANI Pietro interdetti per anni cinque dai pubblici uffici.

Condanna tutti i predetti imputati al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, e GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore al pagamento anche delle spese di giudizio di primo grado.

Vista la legge 241/2006 dichiara condonate nella misura di anni 3 di reclusione le pene inflitte.

Visti gli artt. 538 e segg. c.p.p.

CONDANNA

GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo e TROIANI Pietro in solido con il responsabile civile Ministero dell’Interno, a risarcire i danni conseguenti ai reati di falso, di calunnia, arresto illegale, e GAVA Salvatore anche per i reati di cui ai capi S), T) ed U) in favore delle parti civili che si sono costituite in relazione alle predette imputazioni, ponendo le provvisionali determinate dal primo giudice a carico solidale di tutti i predetti.

Condanna altresì GAVA Salvatore in solido con il responsabile civile Ministero dell’Interno a risarcire in danni causati all’ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI di Genova, da liquidarsi in separato giudizio;

conferma le statuizioni civili della impugnata sentenza relative ai capi H) e Z1.

.-.-.

Ridetermina le spese di lite liquidate in primo grado a favore di:

MORET, SAMPERIZ, KUTSCHKAU, GALLOWAY, NATHRATH, HUBNER, CESTARO, COVELL, GOL, BACZAK, DUMAN, ALBRECHT, BARO, DREYER, HERRMANN Jens HERRMANN Jochen, RESCHKE, LUTHI, BODMER, GALANTE, WAGENSCHEIN, BACHMANN, GATERMANN, KRESS, VILLAMOR, ZEHATSCHEK, ZUHLKE, BERTOLA, BARRINGHAUS, PAVARINI, GALEAZZI, ALLUEVA, BRUSCHI, DIGENTI, MARTINEZ, MASSÒ, BROERMANN, ENGEL, HAGER, HEIGL, SZABO, WIEGERS, ZAPATERO, ZEUNER, SCRIBANI, CORDANO, COSTANTINI, NANNI, BARTESAGHI GALLO Sara, BUCHANAN, DOHERTY, MC QUILLAN, BRUSETTI, PROVENZANO, BRIA, PATZKE, FLETZER, PODOBNICH, LUPPICHINI, MESSUTI, VALENTI, MARCUELLO, JAEGER, mediante l’aumento nella misura del 100% degli onorari per la partecipazione alle udienze;

pone le spese di costituzione e difesa di primo grado liquidate a favore delle parti civili a carico di GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo e TROIANI Pietro in solido fra loro e con il Ministero dell’Interno.

Liquida le spese di primo grado a favore della ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI di Genova in € 13.000,00, oltre spese forfettarie IVA e CPA, condannando al pagamento in solido GAVA Salvatore ed il Ministero dell’Interno.

Condanna gli imputati GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo e TROIANI Pietro in solido fra loro e con il Ministero dell’Interno a rifondere alle parti civili le spese di costituzione e rappresentanza di questo grado che liquida:

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. AGUSTONI Piero in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. BIGLIAZZI Stefano in € 8.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. BONAMASSA Giorgio in € 4.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. CAFIERO Marco in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. CANESTRINI Nicola in € 7.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. CANESTRINI Sandro in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. CARUSO Raffaele in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. CAVALLO Mino in € 4.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. COSTA Francesca in € 6.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. CRISCI Simonetta in € 1.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. D’ADDABBO Maria in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. D’AGOSTINO Aurora in € 3.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. DALLORTO Ermanno in € 6.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. D’AMICO Felicia in € 2.695,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. DI RELLA Aurelio in € 3.400,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. FIORINI Elena in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. GALASSO Alfredo in € 2.695,00;

 in favore delle parti rappresentate dall’Avv. GAMBERINI Alessandro in € 7.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. GIANELLI Fausto in € 6.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. GIANNANTONIO Domenico in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. GUIGLIA Filippo in € 9.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. LERICI Antonio in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. MALOSSI Carlo in € 10.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. MALTAGLIATI Patrizia in € 7.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. MAZZALI Mirko in € 3.200,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. MENZIONE Ezio in € 5.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. MOSER Luca in € 7.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. MULTEDO Raffaella in € 6.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. NADALINI Giuseppe in € 2.400,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. NESTA Liana in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. NOVARO Claudio in € 9.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. PAGANI Gilberto in € 9.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. PASSEGGI Riccardo in € 8.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. PASTORE Massimo in € 6.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. ROBOTTI Emilio in € 5.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. ROMEO Francesco in € 6.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. ROSSI Dario in € 6.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. SABATTINI Simone in € 10.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. SACCO Gianluca in € 4.900,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. SANDRA Andrea in € 7.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. SODANI Palo Angelo in € 4.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. TADDEI Fabio in € 10.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. TAMBUSCIO Emanuele in € 12.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. TARTARINI Laura in € 16.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. TRUCCO Lorenzo in € 6.000,00 complessivamente;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. VASSALLO Alessia in € 6.000,00;

in favore delle parti rappresentate dall’Avv. VERNAZZA Andrea in € 5.000,00 complessivamente;

Dispone per le parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato il pagamento diretto in favore dello Stato per la quota corrispondente alla liquidazione effettuata ai sensi del D.P.R. 115/2002, e per la differenza a favore delle parti stesse;

dispone il pagamento delle spese in favore degli avvocati antistatari che hanno reso la dichiarazione di legge.

Conferma nel resto l’impugnata sentenza.

Fissa il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.

Genova, 18/05/2010

Il Consigliere est.                                                                          Il Presidente



[1] Ciò è tanto vero, che basta ascoltare i commenti ad alta voce di alcuni privati cittadini mentre effettuavano le riprese dell’arrivo della Polizia in Via Battisti: la prima considerazione è stata “la Polizia ha deciso di attaccare la scuola”.