del 18.05.2010 R.G.C.A. 2511/09 R.G. Trib 1246/05 + 5045/05 + 1079/08 Rgnr 14525/01 Annotazioni Avviso – art. 151 C.P.P. il
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI
GENOVA
Terza Sezione Penale
Composta dagli Ill.mi Signori:
Dott. Salvatore Sinagra
Presidente
Dott. Francesco Mazza Galanti
Consigliere
Dott. Giuseppe Diomeda
Consigliere rel
ha pronunziato
la seguente
S E N T E N Z A
Nel procedimento penale
contro
1)
Luperi Giovanni, nato alla
Spezia il 03/01/1950, difeso dall’avv. Carlo Di Bugno del Foro di Lucca e
dall’avv. prof. Enrico Marzaduri del foro di Lucca,
elettivamente domiciliato presso l’avv. Carlo Di
Bugno, studio in via S. Croce 64 Lucca
LIBERO CONTUMACE
2)
Gratteri Francesco, nato a
Taurianova il 25/02/1954, difeso dagli avv. Nico D’Ascola del Foro di Reggio
Calabria e dall’avv. Marco Valerio Corini del foro della Spezia,
elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco
Valerio Corini, studio in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia
LIBERO CONTUMACE
3)
Caldarozzi Gilberto, nato a
Roma il 20/03/1957 ed ivi residente in via G. Valmarana 63, difeso dall’avv.
Marco Valerio Corini del foro di La Spezia e dall’avv. Gilberto Lozzi del foro
di Torino,
elettivamente domiciliato presso
l’avv. Marco Valerio Corini, studio in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia
LIBERO CONTUMACE
4)
Ferri Filippo nato a
Firenze l’11/01/1968, residente in Pontremoli (MS), via Ricci Armani 7, difeso
dall’avv. Marco Valerio Corini del foro della Spezia e dall’avv. Gilberto Lozzi
del foro di Torino,
elettivamente
domiciliato presso l’avv. Marco Valerio Corini, studio in viale S. Bartolomeo
169 La Spezia
LIBERO CONTUMACE
5)
Ciccimarra Fabio, nato a
Napoli il 14/12/1970, difeso dell’avv. Marco Valerio Corini del foro della
Spezia e dall’avv. Carlo Di Bugno del Foro di Lucca
domicilio dichiarato in Napoli, via Nicolari 52
LIBERO CONTUMACE
6)
Dominici Nando, n. a
Napoli il 07/03/1951, residente in Brescia, viale Europa 78, difeso dell’avv.
Romano Raimondo del Foro di Genova e dall’avv. Maurizio Mascia del Foro di
Chiavari, elettivamente domiciliato presso l’avv. Romano Raimondo, in salita S.
Caterina 1/5 Genova
LIBERO CONTUMACE
7)
Mortola Spartaco, nato a
Parma il 23/04/1959, difeso dall’avv. Alessandro Gazzolo del foro di Genova e
dall’avv. Piergiovanni Junca del Foro di Genova; elettivamente domiciliato
presso l’avv. Piergiovanni Junca, in via XII Ottobre 2/131 sc. B Genova
LIBERO PRESENTE
8) Di Sarro Carlo, nato a Campobasso il 24/07/64, difeso dall’avv. Giuseppe Michele
Giacomini del Foro di Genova e dall’avv. Piergiovanni Junca del Foro di Genova,
elettivamente domiciliato presso l’avv. G.M.
Giacomini, in viale Padre Santo 5/11 Genova
LIBERO PRESENTE
9) Mazzoni Massimo, nato a Roma il 28/11/1964, res. Roma Via Chiabrera 57, difeso dall’avv.
Sergio Usai del foro di Roma, presso il quale è elettivamente domiciliato in Largo
della Gancia 5 Roma
LIBERO CONTUMACE
10) Cerchi Renzo, nato a La Spezia il 9/2/1961, res. Beverino (SP) Via Lorenzo Costa 28,
difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del foro di La Spezia,
elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco
Valerio Corini, in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia
LIBERO CONTUMACE
11) Di Novi Davide, nato a Genova il 17/8/1961, res. a La Spezia Via Bragarina 82, difeso
dall’avv. Marco Valerio Corini del foro di La Spezia e dall’avv. Giovanna
Daniele del Foro di La Spezia
elettivamente domiciliato presso l’avv. Marco
Valerio Corini, in viale S. Bartolomeo 169 La Spezia
LIBERO CONTUMACE
12) Canterini Vincenzo, nato a
Roma il 20/02/1947, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del Foro di Chiavari e
dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova,
elettivamente domiciliato presso l’avv. Silvio
Romanelli, in Genova, via Galata 36/9
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha eletto nuovo domicilio presso la
residenza in Pisa, Via San Francesco 3
LIBERO CONTUMACE
13) Fournier Michelangelo nato a Roma il 29/7/1963 difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro di
Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova
domicilio dichiarato in Roma, via Alfredo Casella 11
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha eletto nuovo domicilio c/o Mario
Fournier in Roma, Via Nerola 16
LIBERO PRESENTE
14) Basili Fabrizio nato a Roma il 9/3/1966, res. in Roma Via Ardea 27, difeso dall’avv. Silvio
Romanelli del foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova
elettivamente domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo
difensore l’Avv. Domenico Battista del foro di Roma, eleggendo nuovo domicilio
in Nettuno (Roma), Via della Liberazione 163
LIBERO CONTUMACE
15) Tucci Ciro, nato a Napoli il 28/9/1954, res. in Roma Via Portuense 1680/4 A c/o 1°
Reparto Mobile di Roma, Polizia di Stato, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del
foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova elettivamente
domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo
difensore l’Avv. Domenico Battista del foro di Roma, eleggendo nuovo domicilio
in Roma, Via del Risaro 191
LIBERO CONTUMACE
16) Lucaroni Carlo nato a
Ronciglione (VT) il 19/11/1954, res. in Roma Via Portuense 680/4 A c/o 1°
Reparto Mobile di Roma, Polizia di Stato, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del
foro di Chiavari e dall’avv. Rinaldo Romanelli del Foro di Genova elettivamente
domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo
difensore l’Avv. Gaetano Pecorella del foro di Milano, eleggendo nuovo
domicilio in Capranica (VT), Via degli Anguillara 16
LIBERO PRESENTE
17) Zaccaria Emiliano, nato a Terracina (LT) il 3/9/1974, res. a Priverno (LT) Via Marittima II
nr. 153, difeso dall’avv. Piero
Porciani del Foro di Milano e dall’Avv. Costantino Cardiello del foro di
Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34 Milano
LIBERO PRESENTE
18) Cenni Angelo, nato a Roma il
18/5/1959, res. in Roma Viale Leonardo Da Vinci 280, difeso dall’avv. Piero
Porciani del foro di Milano e dall’Avv. Franco Cardiello del foro di Salerno, presso
il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34 Milano
LIBERO PRESENTE
19) Ledoti Fabrizio, nato a
Tivoli (Roma) il 15/6/1973, res. in Cineto Romano (Roma) Via Adua 40,
difeso dall’avv. Piero Porciani del Foro di Milano e dall’Avv. Costantino Cardiello
del foro di Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno
34 Milano
LIBERO PRESENTE
20) Stranieri Pietro, n. a York (Canada) il 13/7/1972, res. a Roma Via Calmiera 127, difeso
dall’avv. Piero Porciani del foro di Milano e dall’Avv. Franco Cardiello del
foro di Salerno, presso il primo elettivamente domiciliato in viale Majno 34
Milano
LIBERO CONTUMACE
21) Compagnone Vincenzo, nato a Ceccano (FR) il 12/1/1958, res. in Roma Via Portuense 1680/4 A
c/o 1 Reparto Mobile di Roma, Polizia di Stato, difeso dall’avv. Silvio
Romanelli del foro di Chiavari e dall’Avv. Rinaldo Romanelli del foro di Genova,
elettivamente domiciliato presso il primo in Genova, via Galata 36/9
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo
difensore l’Avv. Gaetano Pecorella del foro di Milano, eleggendo nuovo
domicilio in Roma, c/o I° Reparto Mobile di Roma, Via Portunese 1680/4
LIBERO CONTUMACE
22) Nucera
Massimo, nato a Roma 11/02/73, difeso dall’avv.
Silvio Romanelli del foro di Chiavari, presso il quale è elettivamente
domiciliato in Genova, via Galata 36/9
successivamente alla lettura della sentenza in data
21/07/2010 ha confermato la nomina
dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha nominato, in sostituzione dell’Avv. Rinaldo Romanelli, nuovo
difensore l’Avv. Piero Longo del foro di Padova, eleggendo nuovo domicilio in
Roma, Via Virginia Agnelli 58
LIBERO CONTUMACE
23) Panzieri Maurizio, nato a Vicenza il 16/06/54, difeso dall’avv. Silvio Romanelli del foro
di Chiavari, domicilio dichiarato
presso la residenza in Caserta Via Barducci 8; successivamente alla
lettura della sentenza in data 21/07/2010 ha confermato la nomina dell’Avv. Silvio Romanelli ed ha
nominato nuovo difensore l’Avv. Piero Longo del foro di Padova, eleggendo nuovo
domicilio in Caserta, Via Barducci – Parco Primavera 8
LIBERO CONTUMACE
24) Troiani Pietro, nato a Roma il 15/12/65, difeso dall’avv. Alfredo Biondi del foro di
Genova e dall’avv. Giorgio Zunino del Foro di Genova, elettivamente domiciliato
presso il primo, in via Assarotti 7/6
Genova
LIBERO CONTUMACE
25) Burgio Michele, nato ad Alassio (SV) il 10/3/1968, ivi res. in Via Virgilio 45/2, difeso
dall’avv. Alessandro Cibien del foro di Savona, domicilio dichiarato in Via
Virgilio 45/2 Alassio (SV); domiciliato presso il difensore ex art. 161, 4°
comma c.p.p.
LIBERO CONTUMACE
26) Gava Salvatore, n. a
Roma il 21/7/1970, difeso dall’avv. Marco Valerio Corini del Foro di La
Spezia e dall’avv. Enrico
Marzaduri del foro di Lucca, elettivamente domiciliato presso il primo in viale
S. Bartolomeo 169 La Spezia
LIBERO CONTUMACE
27) Fazio Luigi, nato a Savelli
(CE) il 25/2/1952, difeso dall’avv. Gianfranco Pagano del foro di Genova e
dall’avv. Giovanni Destito del foro di Roma, domicilio eletto in Roma, via
Vincenzo Diamare 1
LIBERO CONTUMACE
28) Di Bernardini Massimiliano, nato a Roma il 31/01/1966, difeso dall’avv. Massimo Lauro del Foro di
Roma e dall’avv. Massimo Biffa del foro di Roma, elettivamente domiciliato
presso il primo, in Via Ludovisi 35 Roma
LIBERO CONTUMACE
IMPUTATI
1) GRATTERI
Francesco
2) LUPERI
Giovanni
A) del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479
c.p. perché, partecipando, con funzioni di controllo e comunque, per la qualità
rivestita, di responsabilità di comando, all’organizzazione e alla conseguente
esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18
giugno 1931 n. 773 (TULPSS) dell’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in
Genova, Via Battisti, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti
appartenenti a vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si
concludeva con l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento
all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, al
fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti
arrestati e, quindi, per commettere i reati di cui al capo d’accusa sub b) ed
e), nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi
arrestati in occasione dell’irruzione all’interno dell’istituto e la causazione
di lesioni (molte delle quali gravi) alla quasi totalità di costoro e,
pertanto, per assicurare l’impunità dei reati commessi ai pubblici ufficiali
che avevano posto in essere tali condotte, in concorso tra loro e con il
Prefetto La Barbera Arnaldo, direttore dell’Ucigos, nonché con gli Ufficiali ed
Agenti di P.G., materiali redattori e/o sottoscrittori degli atti trasmessi
all’A.G. in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue
persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere
finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico
ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (relazioni di
servizio, verbali d’arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia
di reato), attestavano fatti e circostanze non corrispondenti al vero.
(Nella
fattispecie, costituendo per posizione gerarchica assunta il livello apicale di
riferimento per i diversi reparti ed uffici della Polizia di Stato,
concretamente presenti ed impiegati nell’operazione predetta ed esercitando, di
fatto, i poteri connessi a tale funzione gerarchica superiore:
-
di dirigente superiore e vice direttore dell’Ucigos Luperi, da
considerarsi riferimento per gli operatori appartenenti alle Digos,
-
di dirigente superiore e
direttore del S.C.O Gratteri, da considerarsi riferimento per quanti
appartenevano alle Squadre Mobili ed al Reparto Prevenzione e Crimine;
essendo
presenti sui luoghi mentre si svolgevano le operazioni di irruzione all’interno
dell’edificio scolastico oggetto della programmata perquisizione, durante le
successive operazioni di raccolta degli oggetti e materiali che venivano
appresi per essere sottoposti a sequestro, nonché durante la collocazione, sempre
all’interno del medesimo istituto, del reperto costituito da due bottiglie
incendiarie c.d. Molotov, avendo quindi constatato:
-
l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle
persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante
l’operazione, anche per le modalità stesse con le quali la perquisizione era
stata condotta;
-
l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso
delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne
verrà attestato il rinvenimento, consegnate in loro presenza mentre si
trovavano unitamente ad altri funzionari nel cortile antistante l’edificio;
-
infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in
flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro,
soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni
a pubblico ufficiale, tentato omicidio ed associazione per delinquere
finalizzata alla devastazione ed al saccheggio;
consapevoli
pertanto di quanto nella realtà accaduto, determinavano e inducevano gli Agenti
ed Ufficiali di PG presenti, alcuni dei quali loro diretti sottoposti,
materiali redattori e sottoscrittori degli atti sopra indicati, ad attestare
falsamente, e comunque ne rafforzavano e agevolavano il proposito, non
opponendosi, avendone l’obbligo ed il potere, a che attestassero falsamente:
di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti
consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre
dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;
di aver
incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli
occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia,
armati di coltelli ed armi improprie;
che quanto
rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze, bastoni, picconi,
assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato come arma impropria
dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti
e comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati;
di aver
rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto
perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così
attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli
occupanti l’edificio;
In Genova
nella notte del 21 e 22 luglio 2001
(così
rettificato all’udienza del 23.09.04)
B) del delitto di cui agli artt.110, 368, comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p.
perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di
commettere il reato di cui sub e) nonché per assicurare l’impunità del delitto
di cui sub h), nelle medesime qualità di cui al precedente capo ed in concorso
con i soggetti ivi menzionati, nonché con le persone di cui al capo o), facendo
emergere, con le condotte ivi descritte, gli elementi di responsabilità
evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas
ed altri novantadue indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data
22.7.2001, incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per
i delitti loro ascritti (i.e.
associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza
aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi
improprie), simulando tracce od
elementi materiali di prova a carico delle stesse persone incolpate, procedendo al sequestro come corpi di
reato di numerosi oggetti (fra cui 16 coltellini multiuso ed a serramanico,
attrezzi provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso l’istituto,
barre metalliche costituenti supporti di zaini estratte nell’occasione)
strumentalmente descritti e qualificati come armi improprie utilizzate dagli
indagati o nella loro disponibilità,oltre che di due bottiglie Molotov,
provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque diverso da quello ove ne
verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto, non
riconducibili pertanto ai predetti indagati singolarmente o collettivamente
considerati,nonché di vari capi di abbigliamento di colore nero o scuro,nella
consapevolezza della impossibilità, anche dolosamente preordinata, di poterne
parimenti attribuire ad alcun soggetto il possesso ovvero, determinando,inducendo e comunque
consentendo le false attestazioni
indicate nel capo di accusa che precede, circa gli atti di resistenza armata e di massa o condotte di
resistenza attiva e violenta, tali
da giustificare l’uso della forza da parte degli operatori di Polizia che
avevano proceduto alla irruzione nell’edificio e il conseguente elevatissimo
numero di feriti presenti tra gli arrestati;
in Genova
22.7.2001
3)
CALDAROZZI Gilberto
4) MORTOLA
Spartaco
5) DOMINICI
Nando
6) FERRI
Filippo
7)
CICCIMARRA Fabio
8) DI SARRO
Carlo
9) MAZZONI
Massimo
10) DI NOVI
Davide
11) CERCHI
Renzo :
C) Del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479
c.p. perchè, partecipando all’organizzazione (Caldarozzi, Ferri, Mortola,
Dominici, Ciccimarra e Di Bernardini) e alla conseguente esecuzione di una
perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773
(TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova Via Battisti,
con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti appartenenti a vari Reparti ed
Uffici della Polizia di Stato, operazione che si concludeva con l’arresto in
flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo
edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, al fine di costruire un
compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per
commettere i reati di cui ai capo d’accusa sub d) ed e), nonché per
giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati in
occasione della irruzione
all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali
gravi) a ottantasette di costoro e, pertanto, per assicurare l’impunità dei
reati commessi ai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali condotte,
in concorso tra loro, ciascuno come sottoscrittore dei verbali di arresto e/o
perquisizione (Mortola e Dominici anche della comunicazione notizia di reato) e
con altro ignoto operatore sottoscrittore del verbale di arresto, nonché con
gli altri funzionari dirigenti della Polizia di Stato indicati al capo a) e con
la persona di cui al capo f), negli atti trasmessi alla A.G. il 22.7.2001, in
relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che
venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata
alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (verbali di arresto,
perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato), attestavano fatti e
circostanze non corrispondenti al vero.
(Nella
fattispecie, nelle rispettive qualità e ruoli operativi :
Caldarozzi di
primo dirigente, vice direttore del Servizio Centrale Operativo
Mortola di
primo dirigente, dirigente della Digos della Questura di Genova,
Dominici di
primo dirigente, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Genova,
Ferri di vice
questore aggiunto, dirigente della Squadra Mobile della Questura di La Spezia,
aggregato alla Questura di Genova,
Ciccimarra, di
vice questore aggiunto, in servizio presso la Squadra Mobile di
Napoli,aggregato alla Questura di Genova,
Di Bernardini, di vice questore aggiunto
in servizio presso la Squadra Mobile di Roma, aggregato alla Questura di
Genova;
Di Sarro, di
vice Questore aggiunto in servizio
presso la Digos della Questura di Genova
Mazzoni, di
ispettore capo in servizio presso il Servizio Centrale Operativo;
Di Novi, di ispettore superiore della
Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di La
Spezia, aggregato alla Questura di Genova
Cerchi, di
sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile
della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova essendo presenti
sui luoghi mentre si svolgevano le operazioni di irruzione all’interno
dell’edificio scolastico oggetto della programmata perquisizione, durante le
successive operazioni di raccolta degli oggetti e materiali che venivano
appresi per essere sottoposti a sequestro,nonché durante la collocazione,
sempre all’interno del medesimo istituto, del reperto costituito da due
bottiglie incendiarie c.d. Molotov, avendo quindi constatato:
-
l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle
persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante
l’operazione, anche per le modalità stesse con le quali la perquisizione era stata condotta;
-
l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso
delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne
verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto;
-
infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in
flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro,
soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni
a pubblico ufficiale, associazione a delinquere finalizzata alla devastazione
ed al saccheggio;
attestavano
falsamente (Ciccimarra, Ferri e Di Bernardini, anche come materiali estensori
del verbale di arresto, Mazzoni del verbale di perquisizione e sequestro
):
-
di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti
consistita in un fittissimo lancio di pietre e oggetti contundenti dalle
finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;
-
di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da
parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di
polizia, armati di coltelli ed armi improprie;
-
che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze,
bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato
come arma impropria dagli stessi
occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e
comunque indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati;
-
di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra
dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile
a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a
tutti gli occupanti l’edificio;
e comunque,
benché consapevoli della non corrispondenza dei fatti descritti nei verbali di
arresto e di perquisizione e sequestro e nelle informative di reato a quanto
nella realtà accaduto,non si opponevano in tutto o in parte alla falsa
rappresentazione in tali atti contenuta;
infine i
sottoscrittori del verbale di perquisizione falsamente attestavano la
circostanza che durante tale operazione “gli occupanti erano stati resi edotti
della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”.
In Genova
22.7.2001
D) delitto p. e p. dagli artt.110, 368, comma I e II, 61 n.2 c.p., 81 cpv
c.p. perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine
di commettere il delitto di cui sub e) nonché per assicurare l’impunità del
delitto di cui sub h), in concorso con i soggetti menzionati al capo b), nella
medesima qualità di cui al precedente capo, facendo emergere, anche con la
condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella
comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92
indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpavano,
sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro
rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla
devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), simulando tracce od elementi
materiali di prova a carico delle stesse persone incolpate, procedendo al
sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti strumentalmente descritti e
qualificati come armi improprie utilizzate dagli indagati o nella loro
disponibilità (fra cui coltellini multiuso ed a serramanico, attrezzi
provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso l’istituto, barre
metalliche costituenti supporti di zaini estratte nell’occasione), nonché di due
bottiglie molotov, provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque diverso
da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e
di arresto, non riconducibili pertanto ai predetti indagati singolarmente o
collettivamente considerati,ovvero ancora sequestrando capi di abbigliamento di
colore nero o scuro, nella consapevolezza della impossibilità, anche
dolosamente preordinata, di poterne parimenti attribuire ad alcuno un possesso,
infine attraverso le false attestazioni indicate nel capo di accusa che
precede, circa gli atti di
resistenza armata e di massa o condotte di resistenza attiva e violenta, tali da giustificare l’uso della forza
da parte degli operatori di Polizia, che avevano proceduto alla irruzione
nell’edificio e il conseguente elevatissimo numero di feriti presenti tra gli
arrestati;
in Genova 22.7.2001
Luperi
Gratteri
Caldarozzi
Ciccimarrra
Ferri
Mazzoni
Cerchi
Di Novi
Di Sarro
Mortola
Dominici
E) Delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p., perché,
nelle rispettive qualità e ruoli descritti ai precedenti capi di accusa e nello
svolgimento delle loro funzioni, all’esito della operazione di polizia,
richiamata nei medesimi capi, nel
corso della quale veniva eseguita una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art.
41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini,
sito in Genova, Via Battisti, in dolosa violazione di norme di legge (artt. 13
e 27 Cost., 380, 381, 382, 389 c.p.p.), in concorso tra loro, pervenivano alla
decisione e, conseguentemente, eseguivano l’indiscriminato arresto in flagranza
di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo edificio o
ritenute comunque occupanti lo stesso,
per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione
ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di
congegni esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza di elementi che giustificassero l’adozione
di tale misura nei confronti di ciascuna delle predette persone, pur indicando
titoli di reato che astrattamente avrebbero consentito l’arresto ad iniziativa
della P.G., così intenzionalmente cagionando alle stesse un danno ingiusto
consistito nella privazione della libertà personale. (Nella fattispecie, anche
avvalendosi delle condotte descritte nei precedenti capi di accusa, veniva
eseguito l’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone, tutte senza
distinzione denunciate come responsabili dei delitti loro ascritti in concorso
(i.e. associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al
saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni
esplosivi ed armi improprie), senza disporre per ognuno di loro di concreti
elementi su cui fondare una responsabilità personale, in particolare:
- deliberatamente omettendo di attribuire
a ciascuno il possesso dei vari reperti che venivano posti in sequestro e considerati elementi di prova
a carico di tutti gli arrestati;
-
strumentalmente qualificando reperti come armi improprie in possesso
illegale degli arrestati;
-
deliberatamente omettendo di specificare le circostanze concrete dell’arresto
di Mark Covell, fermato e
gravemente ferito da operatori di Polizia non identificati all’esterno dell’edificio, in fase
addirittura antecedente alla irruzione e quindi alla commissione dei reati di
resistenza aggravata e violenza a pubblico ufficiale, ovvero le circostanze in
cui altri soggetti venivano arrestati, alcuni al di fuori dell’edificio, altri
colti nel sonno, comunque nella evidente situazione di estraneità quantomeno ad
azioni di resistenza;
-
dolosamente omettendo di
considerare circostanze in fatto concretamente valutabili e quelle sopra
indicate, che avrebbero comportato
comunque l’obbligo di disporre l’immediata liberazione degli arrestati in particolare l’assoluta non
riferibilità a tutti ed a ciascuno della flagrante commissione dei reati
contestati .
In Genova
22.7.2001
12) CANTERINI Vincenzo :
F) Del reato di cui agli artt., 110, 61 n. 2, 479
c.p. per avere, in concorso con le persone menzionate ai capi a), c), partecipando in veste di comandante del VII
Nucleo Sperimentale appartenente al I Reparto Mobile di Roma della Polizia di
Stato, all’organizzazione e alla conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa
autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico
A.Diaz-Pertini, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti appartenenti a
vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si concludeva con
l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del
medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso,al fine di costruire
un compendio probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per
commettere il reato di cui al capo d’accusa sub g), nonché per giustificare la
violenza usata nei confronti dei medesimi arrestati durante le fasi d’ingresso
all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi)
a ottantasette di costoro, inferte in massima parte da appartenenti al Reparto
di cui aveva il diretto comando e,
pertanto, per assicurare a se stesso e ad altri pubblici ufficiali l’impunità
dei reati così commessi, attestato fatti o circostanze non corrispondenti al
vero nella relazione di servizio diretta al Questore di Genova ed allegata agli
atti trasmessi all’A.G. in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altri
92, che venivano denunciati per i delitti di associazione per delinquere
finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico
ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (verbali di
arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato).
(Nella
fattispecie, nella relazione personalmente sottoscritta ed allegata al verbale
di arresto trasmesso alla A.G., attestava falsamente che gli appartenenti al
Nucleo e Reparto dal medesimo comandato:
-
incontravano violenta resistenza da parte degli occupanti, consistita in
un fittissimo lancio di pietre e bottiglie dalle finestre dell’istituto per
impedire l’ingresso delle forze di polizia;
-
incontravano resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte
degli occupanti, che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di
polizia, armati di coltelli, bastoni ed armi improprie, alcune delle quali
rinvenute in tali circostanze;
in Genova
22.7.2001
G) delitto p. e p. dagli artt.110, 368, comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p.
perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di
conseguire o far conseguire ad altri l’impunità per i delitti di cui al capo
h), in concorso con tutte le persone menzionate al capo sub b) e nella medesima
qualità di cui al precedente capo, facendo emergere, anche con la condotta ivi
descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia
di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto,
diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno
dei predetti indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e.
associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio,
resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed
armi improprie), formando le false attestazioni indicate nel capo di accusa che
precede circa gli atti di
resistenza armata e di massa o condotte di resistenza attiva e violenta tali da giustificare l’uso della forza
da parte degli operatori di Polizia che avevano proceduto alla irruzione
nell’edificio e il conseguente elevatissimo numero di feriti presenti tra gli
arrestati;
in Genova
22.7.2001
CANTERINI Vincenzo
13) FOURNIER Michelangelo
14) BASILI Fabrizio
15) TUCCI Ciro
16) LUCARONI Carlo
17) ZACCARIA Emiliano
18) CENNI Angelo
19) LEDOTI Fabrizio
20) STRANIERI Pietro
21) COMPAGNONE Vincenzo
H) Delitto p. e p. dagli arrt. 110, 40, 81 cpv., 61
n. 9, 582, 585, 583 c.p. perchè, nelle rispettive qualità di comandante,vice
comandante e capi squadra del VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma, nel
corso di una operazione di perquisizione ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773
( TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova Via Battisti,
in concorso con altri Ufficiali ed Agenti appartenenti al medesimo e ad altri
reparti ed uffici della Polizia di Stato, parimenti impegnati nella predetta
operazione per ordine di servizio (in particolare appartenenti al Servizio
Centrale Operativo, alle Squadre Mobili di Genova, Roma, L’Aquila, Napoli,
Padova, Parma, La Spezia, Nuoro alle Digos di Genova, Torino, Firenze, Napoli,
Padova) nonché con altro personale della Polizia di Stato, non meglio
identificato e comunque intervenuto all’interno del predetto edificio
scolastico, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,
cagionavano lesioni personali varie, anche gravi, alle persone presenti
all’interno del predetto edificio, colpite con sfollagente in dotazione o con
altri atti di violenza, commettendo il fatto direttamente o comunque agevolando o non impedendo ad altri
tale condotta, dolosamente eccedente, nel contesto operativo, i limiti del legittimo uso di mezzi di
coazione fisica eventualmente occorrenti e che pertanto avevano, nella qualità e nel ruolo
rivestiti, l’obbligo giuridico di impedire, così abusando della qualifica di pubblico ufficiale (nella
fattispecie, gli operatori di
Polizia appartenenti ai vari reparti e, fra questi, in prima posizione il VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di
Roma in cui agivano inquadrati, facevano irruzione in massa all’interno
dell’edificio da perquisire, ove al loro
sopraggiungere si trovavano ospitati gli occupanti e irrompevano, dapprima in gran parte in un
ampio locale al piano terra, temporaneamente adibito a dormitorio, ove erano presenti numerose persone e, in rapidissima successione, si portavano ai piani
superiori dell’edificio, raggiungendo altre persone ivi rifugiate, in particolare al piano
primo, in ogni occasione colpendo con violenza le persone predette,tutte in palese atteggiamento di non
offensività e di resa, in talune occasioni infierendo più volte sulle stesse
già colpite, a terra, sanguinanti e ferite, utilizzando i manganelli
rispettivamente in dotazione o sferrando calci ed in particolare
cagionando lesioni a :
Albrecht
Thomas Daniel, colpito con manganellate alla testa e in tutto il corpo e con calci al
petto e alle gambe (trauma cranico epidurale, ferite lacero contuse multiple,
in regione parietale sinistra, occipitale sinistra e coronarica destra,
contusione emitoracica sinistra, ricoverato dal 22/7 al 01/08/01, con
operazione di craniotomia frontale sinistra);
Aleinikovas
Tomas,
colpito con manganellate (contusione spalla destra e sinistra, contusione alla
piramide nasale);
Allueva
Fortea Rosana, colpita con manganellate e con mobilia scagliata dagli agenti
(contusione piramidale nasale, contusione alla spalla sinistra, ginocchio e gomito
destri, ematoma alla coscia
sinistra) ;
Bachmann
Britta Agnes, colpita mentre si trovava a terra con manganellate (contusione al
gomito e avambraccio destro, vasto ematoma alla coscia e al gluteo destro);
Balbas Ruiz
Aitor,
colpito con manganello, con calci e pugni e attinto da una sedia scagliatagli
addosso (contusione ecchimotica alla caviglia sinistra, alla coscia sinistra e
all’avambraccio sinistro, contusione in regione dorsale e spalla sinistra,
escoriazione sottoascellare sinistra)
Baro Wolfgang
Karl,
colpito con calci e manganellate (frattura cranica in sede parietale superiore, ematoma del vertice, emorragia
intratoracica, vertigini postraumatiche, contusioni multiple con suggellazione
parzialmente estesa ed ematomi su tutte le quattro estremità, costole, fianchi,
viso e schiena, sospetta infrazione dell’esterno superiore del femore
sinistro);
Barringhaus
Georg,
colpito con numerosi colpi di manganello e con un calcio al volto (trauma
cranico facciale con ferita lacero contusa al naso, trauma tibiale anteriore
destro con ferita lacero contusa);
Bartesaghi
Gallo Sara,
colpita con manganello alla testa, alle gambe alla spalla e al braccio sinistri
(trauma cranico, con ferita lacero contusa, contusione alla coscia destra);
Bertola
Matteo,
colpito con manganello alla testa al dorso e alla fronte (trauma cranico,
ferita sopracciglio destro e cuoio capelluto, dorsalgia);
Blair
Jonathan Norman, colpito con manganellate mentre era a terra coperto dal corpo di altra
persona (ematomi vari, contusione escoriata al ginocchio sinistro)
Bodmer
Fabienne Nadia, colpita con manganellate e calci alla schiena, alle mani, alle braccia
e alle costole (frattura del dito indice della mano sinistra, frattura IX
vertebra destra, contusioni varie alla schiena, contusione dito medio e anulare
mano destra);
Baumann
Barbara,
colpita con manganellate e un calcio al fianco (trauma cranico, con ferita lacero contusa, contusioni
multiple, contusioni ecchimotiche in regione dorsale ed emitorace sinistro,
ematoma in regione lombare destra, contusione ed ematoma alla mano sinistra,
flc in regione parietale sinistra)
Bruschi
Valeria,
percossa con manganellate (ecchimosi varie, ematoma all’avambraccio sinistro,
gluteo sinistro e polpaccio destro)
Buchanan
Samuel,
colpito con manganellate alle braccia, alla testa e alle gambe (contusione in
sede sovratemporale sinistra escoriata con ematoma, contusione escoriata al
vertice, contusione con ecchimosi al braccio, spalla e avambraccio sinistro)
Cederstrom
Ingrid Thea,
colpita con manganello (contusione ecchimotica in regione dorsale);
Cestaro
Arnaldo,
colpito con manganellate alla testa, al braccio e alla gamba (frattura
scomposta con distacco osseo del III distale dell’ulna destra, distacco del
processo stiloideo, frattura lievemente scomposta del II distale del perone
destro, fratture costali multiple a destra, ricoverato dal 23 al 27/7/01,
lesioni gravi con conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni
per oltre 40 gg, nonché indebolimento permanente dell’organo della prensione e
della deambulazione);
Chmielewski
Michael,
colpito con manganellate (trauma cranico, ferita da taglio al padiglione auricolare sinistro,
escoriazioni multiple);
Coelle
Benjamin,
colpito con manganellate prima in testa e poi, caduto a terra, all’anca, sulle
gambe, al volto (frattura doppia di mandibola e condilo sinistri, frattura
zigomatica destra, ricoverato dal
22 al 30/7/01, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle
normali occupazioni per oltre 40 gg, indebolimento permanente dell’organo della
masticazione);
Cunningham
David John,
colpito ripetutamente con manganellate e calci (trauma cranico in
politraumatizzato);
Digenti
Simona,
colpita con manganello alla testa e alla schiena (contusioni ecchimotiche alla base
posteriore del collo, alla spalla destra e sinistra, regione scapolare, regione
dorsale, escoriazione all’arcata sopraccigliare sinistra, ematoma dorso mano
destra) ;
Doherty
Nicola Anne,
colpita con manganello in più parti del corpo (trauma cranico, frattura
distale radio destra, ematoma
gluteo sinistro, contusioni viso e braccio destro, lesioni gravi per la
conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg,
con postumi da valutare ulteriormente);
Dreyer
Jeannette Sibille, colpita con manganello alla mano destra e al braccio sinistro
(frattura composta III metacarpo mano destra, contusione avambraccio sinistro);
Duman Mesut, colpito con calci e manganellate alle
spalle, alle braccia, alla schiena e alle gambe (contusione ecchimotica coscia
destra, frattura dell’ulna sinistra,
lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali
occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);
Felix
Marcuello Pablo, colpito con manganello, con calci e pugni, alla testa, alla schiena e
alla gamba destra (trauma cranico con ferita lacero contusa in regione
occipitale;)
Galloway
Ian Farrel,
colpito ripetutamente con manganello (trauma cranico non commotivo, contusioni
multiple, contusione emitorace sinistro e regione retroauricolare sinistra,
contusione ecchimotiche multiple al dorso e regione lombare,escoriazione
ginocchio sinistro);
Gieser
Michael Roland, colpito con calci e manganellate (policontusioni in sede occipitale
zigomo sinistro, labbro superiore, braccio e dorso mano sinistra, fianco
sinistro, glutei, caviglia sinistra e gamba sinistri
Giovannetti
Ivan Michele, colpito ripetutamente con manganellate e calci (trauma cranico, ferita
lacero contusa al cuoio capelluto, contusioni alla schiena e arti superiori,
ematomi plurimi ai glutei, coscia destra e faccia);
Gol Suna, colpita con manganellate
e calci alla testa, alla schiena e alla gamba (trauma cranico, contusione
spalla destra, contusioni toraciche, glutei e polpaccio destri);
Guadagnucci
Pancioli Lorenzo, colpito con manganellate (frattura dello scafoide, contusioni
addominali e toraciche, ferita lacero contusa all’avambraccio destro e
ginocchio sinistri);
Hager
Morgan Catherine, colpita con un calcio al volto e successivamente con manganellate (trauma cranico, trauma colonna
cervicale, nonché spalle, emitorace sinistro, mani e polsi, ginocchio destro,
frattura metacarpo destro, I falange V dito destro, frattura costale X costa
sinistra, contusione ecchimotica in sede lombare, glutei, coscia, gamba e piede
sinistro);
Haldimann
Fabian, colpito con manganelli e calci (trauma
cranico con ferita lacero contusa, contusione ecchimotica emitorace destro e
lombare sin., ritenzione acuta di urina, infrazione ulnare sinistra, contusione
lombare, stato di stress postraumatico, lesioni gravi con conseguente
incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg) ;
Heglund
Cecilia,
colpita con manganello (ematoma al braccio destro);
Herrero
Villamor Dolores, colpita con manganellate al braccio destro e occipite sinistro (trauma
cranico, frattura scomposta distale ulna destra);
Hermann
Jochen, colpito con manganellate alla testa al
volto e al braccio (trauma cranico commotivo, frattura ossa nasali, trauma
contusivo mascellare superiore, ferita lacero contusa al capo, contusione
ecchimotica diffusa emitoracica sinistra);
Hermann
Jens, colpito con manganellate e numerosi
calci alle mani, alla testa, al torace (trauma cranico, ferita lacero contusa
in regione frontale, danno all’apparato uditivo destro reversibile, contusioni
multiple al torace, vasto ematoma alla spalla destra e braccio destro, al
braccio sinistro, alla coscia sinistra, al ginocchio destro, al gluteo laterale
destro);
Hinrichmeyer
Thorsten,
percosso con manganello al petto, alla schiena, al bacino, alle gambe e alle
mani (contusioni spalle, fianco sinistro, coscia sinistra, fianco destro);
Jonasch
Melanie,
colpita con manganellate alla testa e in varie parti del corpo, presa a calci
nel petto, nella pancia già ferita alla testa e sanguinante, nuovamente
colpita, a terra immobilizzata, con calci alla testa (trauma cranico cerebrale,
con frattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, policontusioni
al dorso, spalla e arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra,
ematomi alla schiena e alle natiche, ricoverata in prognosi riservata dal 22/7
al 1/8 del 2001);
Kerkmann
Dirk,
colpito ripetutamente con manganello
al volto, alla schiena e ai reni (ferita sanguinante alla guancia e in
regione occipitale, contusioni alla schiena ed ai reni);
Kress
Holger,
percosso con manganellate e calci (trauma cranico, ferita lacero contusa alla
fronte e filtro nasale, trauma facciale,contusione alla spalla sinistra, ferita
lacero contusa al labbro superiore e contusione escoriata alla regione
tibiale);
Kutschkau
Anna Julia,
colpita con manganellate e ripetutamente con calci (frattura margine anteriore del mascellare, trauma
cranico facciale, perdita traumatica dentale 13 e 21, sublussazione 12, 11,
lesioni gravi per il conseguente indebolimento permanente dell’organo della
masticazione, con postumi da valutare ulteriormente);
Lanaspa
Claver Antonio, percosso con manganellate
(contusione spalla sinistra, avambraccio e polso sinistri con piccolo
distacco processo stiloideo ulnare);
Lelek
Stella,
colpita con manganellate e un calcio (contusioni in regione dorsale e
addominale);
Luthi
Nathan Raphael, colpito ripetutamente sulla testa, spalle e alle costole (contusione
regione scapolare destra diagnosticata);
Martensen
Niels colpito
con manganellate, colpito ripetutamente a calci già a terra e ferito e
investito dal getto di polvere di estintore sulle ferite sanguinanti (ferita
lacero contusa al mento, contusione cranio facciale, contusione spalla e gamba
destra, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali
occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);
Martinez
Ferrer Ana,
colpita con manganellate e attinta da una sedia scagliatale addosso (frattura
IV metacarpo mano sinistra, policontusioni, ricoverata dal 22 al 26/7/01, lesioni gravi per la
conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg,
con postumi da valutare ulteriormente);
Massò
Guillelmo,
colpito con manganellate e calci alla testa, al collo, alle spalle e alle mani
(trauma cranico commotivo, contusione cervicale, ricoverato dal 22 al 23/7/01)
Mc Quillian
Daniel,
colpito ripetutamente con manganellate (trauma cranico, ferita lacero contusa
al cuoio capelluto, frattura processo stiloideo ulna sinistra, contusioni
multiple)
Mirra
Christian,
colpito con manganello e con calci alle braccia, alle gambe e alla testa
(trauma cranico, ferita lacero contusa al cuoio capelluto e sopracciglio
destro, ricoverato dal 22 al 24.7.01),
Moret
Fernandez David, colpito ripetutamente con manganello (frattura del III dito della mano
sinistra, frattura del condilo del
gomito destro, trauma cranico, ematoma al fianco destro, gluteo e coscia
destri, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali
occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);
Moth
Richard Robert, colpito con manganellate e calci (trauma cranico, ferite al cuoio
capelluto e gamba destra)
Nathrat
Achim,
colpito con manganello (contusione
al braccio e fianco destro)
Nogueras
Corral Francho, colpito con manganellate e con mobilia scagliata addosso (trauma
cranico, infrazione perone destro, contusioni multiple al braccio e avambraccio
sinistri, spalla, fianco e caviglia
sinistri, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle
normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);
Olsson
Hedda Patarina, colpita con manganello (contusione regione dorsale);
Ottovay
Katarin Daniela, colpita con manganello, al collo, gola, alle braccia e alla schiena
(contusione escoriata regione mentoniera, frattura scomposta al IV distale ulna
sinistra, escoriazione al mento, mialgia cervicale, ricoverata dal 24 al
29.7.01 );
Patzke Jan, colpito con manganello
alla schiena e alla nuca e al fianco destro (contusione escoriata cavo
ascellare destro, spalla destra, dorso e spalla sinistra, base del collo
posteriormente);
Patzke
Julia,
colpita con manganello (trauma cranico, contusione mano sinistra, contusione
coscia e dorso destro);
Perrone
Vito, colpito
con manganello alle braccia, spalle e testa (trauma cranico, traumi contusivi
alla spala sinistra, emitorace, arto superiore sinistro e mano destra);
Petrone
Angela,
colpita con manganello ad una gamba (contusione coscia sinistra);
Pollok
Rafael Johann, percosso con manganello, calci e pugni su tutto il corpo (trauma
cranico, frattura III distale ulna destra, contusione toracica, contusioni
multiple, ferita lacero contusa al cuoio capelluto, alla gamba destra,
ricoverato dal 22 al 23.7.01);
Primosig Federico, colpito con manganellate
e calci in particolare alle gambe e alla testa (trauma cranico, ferite lacero
contuse multiple al cuoio capelluto, escoriazioni multiple agli arti e al
tronco e al gluteo sinistro, frattura della falange prossimale del V dito,
distorsione polso sinistro, ricoverato dal 22.7 al 1.8.01);
Provenzano
Manfredi,
ripetutamente percosso con manganello alla testa e alla schiena (trauma
cranico, sospetta infrazione del processo stiloideo ulnare, trauma facciale,
ferita lacero contusa alla fronte e filtro nasale, padiglione auricolare
destro, trauma contusivi multipli al dorso, ricoverato dal 22 al 25.7.01);
Reichel
Ulrich,
colpito con manganello e calci alla testa, alle mani, braccia, spalla, fianco e
gamba destra (trauma cranico, ferita lacero contusa cuoio capelluto, dorso
naso, infrazione distale del radio-frattura del II e IV dito della mano destra,
frattura ossa proprie del naso, multiple contusioni alla scapola destra, arcata
costale e coscia destra);
Resche Kai
Manfred,
colpito con manganello alla schiena e con un pugno allo stomaco (diagnosticato
trauma contusivo in regione posteriore del torace, contusioni in regione
scapolare, spalla destra e dorso);
Samperiz
Francisco Javier, colpito con manganello
(contusione spalla e omero destro, ferita lacero contusa al ginocchio
sinistro, contusione toracica);
Sanz
Mandrazo Francisco Javier, colpito con manganello (contusioni escoriate agli arti inferiori,
contusione ecchimotica in regione occipitale, ematoma braccio e costato destro,
ferita lacero contusa alla gamba e cresta tibiale sinistra);
Scala
Roberta,
colpita con manganello e con una sedia scagliata al braccio destro (contusione
alla gamba destra, in regione dorsale e avambraccio destro);
Schleiting
Mirco,
colpito con manganellate e calci alla testa, alla schiena e alle gambe (diagnosticati trauma cranico, ferita
lacero contusa in regione frontale, contusioni alle braccia );
Schmiderer
Simon,
colpito con manganellate alla testa e agli arti superiori (trauma cranico con
ferita lacero contusa, contusioni multiple);
Sibler
Steffen
colpito con manganellate (trauma cranico con ferita lacero contusa, ferita sanguinante alla tibia destra ed
ematomi sparsi su tutta la parte destra del corpo);
Sicilia
Heras Jose Luis, colpito con manganellate alla testa e benché sanguinante ancora
colpito allo stesso modo e con calci
(trauma cranico, trauma contusivo emitorace sinistro con vasto ematoma
sottocutaneo parete posteriore, contusioni multiple, frattura di archi costali
VIII e IX destri, ferita lacero contusa al cuoio capelluto, ricoverato dal 22
al 26.7.01, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle
normali occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);
Sievewright
Kara,
colpita con calci e manganellate (trauma cranico, contusione alla gamba
sinistra, ematomi multipli alla coscia, anca e braccio sinistri);
Sparks
Sherman David, colpito con manganellate e calci
(trauma cranico con ferita lacerocontusa al cuoio capelluto, contusione
all’emitorace sinistro, contusioni multiple, trauma testicolare destro);
Tomelleri
Enrico,
colpito con manganello e con una sedia scagliata allo zigomo sinistro (trauma
facciale e gamba destra);
Von Unger
Moritz,
colpito con manganellate alla nuca, alla spalla e al gomito sinistro e con
calci alle gambe (contusioni gomito sinistro e gamba);
Wiegers
Daphne,
colpita con manganellate e con calci
(ferita lacero contusa al sopracciglio superiore sinistro, trauma cranio
facciale, frattura stiloideo ulnare sinistra, frattura scomposta ossa nasali
proprie, lesioni gravi per la conseguente incapacità di attendere alle normali
occupazioni per oltre 40 gg, con postumi da valutare ulteriormente);
Zapatero
Garcia Guillermina, colpita con manganellate (contusione alla spalla destra ed ematoma
spalla destra);
Zehatschek
Sebastian,
colpito con manganellate (trauma cranico orbita destra,spalla destra e torace);
Zeuner Anna
Katharina,
colpita con manganello (escoriazione labbro superiore e contusione al braccio
destro);
Zuhlke Lena, percossa ripetutamente
con manganellate alla testa e alle spalle, caduta a terra percossa con calci
alla schiena e al petto, presa per i capelli e sollevata, calciata in mezzo
alle gambe, sbattuta contro un muro, manganellata ancora e presa a calci al
petto e al ventre, successivamente trascinata per i capelli lungo alcune rampe
di scale, colpita ancora da tutti i lati con manganelli (trauma
toraco-addominale, fratture costali con pneumotorace a destra e contusione
polmonare – trauma cranico – contusioni multiple, ricoverata dal 22 al 31/7/01,
lesioni gravi per il conseguente
indebolimento del 30% della funzione respiratoria e della locomozione del
braccio e collo, con postumi da valutare ulteriormente);
in Genova
nella notte del 21 e 22 luglio 2001
22)
NUCERA Massimo
I) Del delitto di cui agli artt. 479, 110, 61 n.
2 c.p. perché, in qualità di agente in servizio
presso il VII Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma della Polizia di Stato, in concorso con l’ispettore capo
Panzieri Maurizio, aggregato al
medesimo Nucleo e con il comandante Canterini Vincenzo, nonchè con gli
Agenti e Ufficiali di PG sottoscrittori e redattori degli atti trasmessi alla
A.G. relativi all’arresto di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati (verbale di
arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato) e con le
persone di cui al capo sub a),
redigendo annotazione di servizio in cui descriveva il proprio operato
durante l’intervento di irruzione all’interno dell’edificio scolastico Diaz Pertini sito in Genova
Via Battisti, oggetto di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41
R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS),
falsamente attestava di essere stato attinto da ignoto aggressore con
una coltellata vibrata all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla
giubba della divisa indossata e al corpetto protettivo interno, cosi
avvalorando quanto descritto negli atti di arresto e di perquisizione e
sequestro circa il comportamento di resistenza armata posta in essere dagli
arrestati e le altre false
attestazioni menzionate nel capo sub f), essendo altresì formale sottoscrittore
dei predetti verbali; fatto aggravato perché commesso al fine di costruire un compendio
probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere il
reato di cui al capo d’accusa sub l), nonché per giustificare la violenza usata
nei confronti dei medesimi arrestati durante le fasi d’ingresso all’interno
dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a
ottantasette di costoro, inferte in massima parte da appartenenti al proprio
Reparto e, pertanto, per
assicurare a se stesso o ad altri
pubblici ufficiali l’impunità dei reati così commessi.
In Genova il
21 ed il 22.7.01
L) Del delitto di cui agli artt. 368, comma I e II, 110, 81 c.p.v , 61 n. 2 c.p. perché, con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire o far conseguire ad altri
l’impunita per i delitti di cui al capo h), in concorso con le persone di cui
al capo sub b) e nella qualità di cui al precedente capo , facendo emergere,
anche con la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati
nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92
indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpava,
sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro
rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla
devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie) ed in particolare nella
annotazione di servizio a sua firma, trasmessa in allegato alla predetta
comunicazione di notizia di reato, incolpava, sapendola innocente, persona non
identificata ma compresa tra i predetti indagati, del delitto di tentato omicidio
in suo danno, commesso con le modalità in tale atto descritte, nonché simulava
tracce ed elementi materiali di prova a carico della stessa persona incolpata,
provocando lacerazioni da taglio agli indumenti nell’occasione indossati
(corpetto protettivo e giacca della divisa di ordinanza) o facendo da altri
compiere la predetta operazione, con un coltello che veniva poi sequestrato in
quanto corpo del reato ed il cui possesso era attribuito al presunto
aggressore.
In Genova il
21 ed il 22.7.01
23) PANZIERI Maurizio :
M) Del delitto di cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2
c.p. perché, in qualità di
ispettore capo, aggregato al VII
Nucleo del 1° Reparto Mobile di Roma
della Polizia di Stato, in concorso con l’agente Nucera, in forza al
medesimo Nucleo e con il comandante Canterini Vincenzo, nonchè con gli Agenti e
Ufficiali di PG sottoscrittori e redattori degli atti trasmessi alla A.G.
relativi all’arresto di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati (verbale di
arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato) e con le
persone di cui al capo sub a), redigendo annotazione di servizio in cui
descriveva il proprio operato
durante l’intervento di irruzione all’interno dell’edificio scolastico Diaz Pertini sito in Genova
Via Battisti, oggetto di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41
R.D. 18 giugno 1931 n. 773
(TULPSS), falsamente
attestava di aver assistito ad un
episodio in cui l’agente Nucera, entrato assieme a lui e ad altro personale in
una stanza posta al secondo piano dell’edificio in questione, “avanzava e fronteggiava una persona munita di un
oggetto, con il quale ingaggiava una colluttazione”, ed inoltre che “a seguito
dell’intervento dell’altro personale componente la squadra” tale soggetto
“veniva accompagnato nel punto di raccolta”, essendo successivamente venuto a
conoscenza che “il summenzionato giovane era munito di arma da taglio” con la
quale aveva posto in essere l’aggressione ai danni dell’agente, cosi
avvalorando quanto descritto nei verbali di arresto e di perquisizione e
sequestro circa il comportamento di resistenza armata posta in essere dagli
arrestati e le altre false
attestazioni menzionate nel capo sub f), essendo altresì formale sottoscrittore
dei predetti verbali; fatto aggravato perché commesso al fine di costruire un compendio
probatorio a carico di tutti i predetti arrestati e, quindi, per commettere il
reato di cui al capo d’accusa sub n), nonché per giustificare la violenza usata
nei confronti dei medesimi arrestati durante le fasi d’ingresso all’interno
dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali gravi) a
ottantasette di costoro, inferte in massima parte da appartenenti al proprio
Reparto e, pertanto, per
assicurare a se stesso o ad altri
pubblici ufficiali l’impunità dei reati così commessi.
In Genova il
21 ed il 22.7.01
N) Del delitto di cui agli artt. 368, comma I e II, 110, 81 cpv, 61 n. 2 c.p. perché, con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire o far conseguire ad altri
l’impunita per i delitti di cui al capo h), nella qualità di cui al precedente
capo ed in concorso con le persone ivi menzionate, facendo emergere, anche con
la condotta ivi descritta, gli elementi di responsabilità evidenziati nella
comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92
indagati in stato di arresto, diretta alla A.G in data 22.7.2001, incolpava,
sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i delitti loro
rispettivamente ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla devastazione
ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di
congegni esplosivi ed armi improprie) ed in particolare nella annotazione di
servizio a sua firma, trasmessa in allegato alla predetta comunicazione di
notizia di reato, incolpava, sapendola innocente, persona non identificata ma
compresa tra i predetti indagati, del delitto di tentato omicidio in danno
dell’agente Nucera, commesso con le modalità in tale atto descritte, nonché,
simulava tracce ed elementi materiali di prova a carico della stessa persona
incolpata, provocando lacerazioni da taglio agli indumenti nell’occasione
indossati (corpetto protettivo e giacca della divisa di ordinanza) o facendo da
altri compiere la predetta operazione, con un coltello che veniva poi da lui
sequestrato in quanto corpo del reato ed il cui possesso era attribuito al
presunto aggressore
In Genova
22.7.2001
24) TROIANI Pietro
O) Del delitto di cui agli
artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. perché, in concorso con le persone indicate nel
capo di cui sub b) e con
l’assistente Burgio Michele, suo
diretto sottoposto, facendo emergere alcuni degli elementi di responsabilità
evidenziati nella comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas
ed altri 92 coindagati in stato di arresto, per i delitti di associazione per
delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata
a pubblico ufficiale, possesso di armi da guerra ed esplosivi,
diretta all'A.G. in data 22.7.01, incolpava, sapendolo innocente,
ciascuno dei predetti indagati, simulando tracce materiali costituenti elementi
di prova a carico di costoro. (Nella fattispecie, nella qualità di vice
Questore aggiunto, al comando di operatori appartenenti al Reparto Mobile della
Polizia di Stato non meglio identificati, fra cui l’Assistente Burgio, del I°
Reparto Mobile di Roma, essendo intervenuto con funzioni di supporto e comunque
per assicurare le condizioni di sicurezza esterne nei luoghi ove era in corso una perquisizione ad
iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 ( TULPSS) presso
l’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, consegnava, per il tramite
dell’assistente Burgio da lui all’uopo diretto, due bottiglie incendiarie del
tipo c.d. Molotov a colleghi e funzionari
di polizia superiori per grado, intenti alle operazioni di perquisizione
ed in particolare alla ricerca di armi che riconducessero agli occupanti
dell’edificio la responsabilità degli scontri avvenuti con le forze dell’ordine
nei giorni precedenti e l’appartenenza al gruppo definito “Black Bloc”, così
fornendo la prova sotto la specie del rinvenimento del corpo di reato a
carico degli occupanti l’edificio
in cui era in atto la perquisizione, o comunque consentendo che ne fosse evidenziata, nei verbali di arresto e di perquisizione e sequestro, la disponibilità in capo ai soggetti
perquisiti, nella consapevolezza della innocenza di costoro, avendo infatti egli stesso constatato o
esattamente appreso il rinvenimento delle medesime bottiglie da parte di altro
personale di polizia in luogo e contesto anche temporale assolutamente diversi).
In Genova, nella notte tra il 21
ed il 22.7.01
P) delitto p. e p. dagli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre
1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e 9 c.p.
per avere, al fine di commettere il delitto di cui al capo che precede e nella
qualità ivi menzionata, in concorso con l’assistente Burgio Michele, detenuto e
portato illegalmente in luogo pubblico due bottiglie incendiarie tipo
“molotov”, da considerarsi arma da guerra (nella fattispecie, operando senza
alcun legittimo titolo, portava le predette armi, rinvenute nel pomeriggio del
21.7.2001 in Genova, nelle adiacenze di Corso Italia e mai sottoposte
formalmente a sequestro quale corpo di reato per essere messo a disposizione
della A.G., a bordo di un automezzo
di servizio, trasportandole dalla Questura di Genova a Piazza Merani e
da lì all’istituto scolastico
Armando Diaz- Pertini, ove poi le consegnava ad altri colleghi e funzionari);
fatto commesso abusando delle qualità di pubblico ufficiale ed in violazione
dei doveri inerenti alla funzione esercitata.
In Genova il 21 e 22 .7. 2001
25) BURGIO Michele
Q) Del delitto di cui agli
artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. perché, in qualità di assistente della Polizia di
Stato in servizio presso il I° Reparto Mobile di Roma ed in concorso con Troiani Pietro, suo
diretto superiore gerarchico e con le persone indicate nel capo di cui sub b),
facendo emergere alcuni degli elementi di responsabilità evidenziati nella
comunicazione di notizia di reato a carico di Albrecht Thomas ed altri 92
coindagati in stato di arresto, per i delitti di associazione per delinquere
finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico
ufficiale, possesso di armi da guerra ed
esplosivi, diretta
all'A.G. in data 22.7.01, incolpava, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti
indagati, simulando tracce materiali costituenti elementi di prova a carico di
costoro. (Nella fattispecie,
agendo al comando del superiore Troiani, essendo intervenuto con altro
personale appartenente al I Reparto Mobile di Roma, non meglio identificato,
con funzioni di supporto e comunque per assicurare le condizioni di sicurezza
esterne nei luoghi ove era in
corso una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931
n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, consegnava due
bottiglie incendiarie del tipo c.d. Molotov a colleghi e funzionari di polizia superiori per grado, intenti
alle operazioni di perquisizione, in particolare alla ricerca di armi che
riconducessero agli occupanti dell’edificio la responsabilità degli scontri
avvenuti con le forze dell’ordine nei giorni precedenti e l’appartenenza al
gruppo definito “Black Bloc”, così fornendo la prova sotto la specie del
rinvenimento del corpo di reato a carico
degli occupanti l’edificio in cui era in atto la perquisizione, o
comunque consentendo che ne
fosse evidenziata, nei verbali di
arresto e di perquisizione e sequestro,
la disponibilità in capo ai soggetti perquisiti, nella consapevolezza
della innocenza di costoro, avendo
infatti egli stesso previamente ricevuto a bordo di un automezzo da lui
condotto le medesime bottiglie da parte di altro personale di polizia in luogo
e contesto anche temporale
assolutamente diversi).
In Genova, il 21 e 22. 7.01
R) del delitto di cui agli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre
1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e 9 c.p. perché, in concorso con Troiani Pietro, al
fine di commettere il delitto di cui al capo che precede, deteneva e portava
illegalmente in luogo pubblico due bottiglie incendiarie tipo “molotov”, da
considerarsi arma da guerra (nella fattispecie, operando senza alcun legittimo
titolo, portava le predette armi a bordo del proprio mezzo di servizio, quale
agente della Polizia di Stato, dalla Questura di Genova a Piazza Merani e da lì
le portava per un ulteriore tragitto fino a consegnarle a funzionari che si
trovavano nei pressi del complesso scolastico Armando Diaz); fatto commesso
abusando delle qualità di pubblico ufficiale ed in violazione dei doveri
inerenti alla funzione esercitata.
In Genova il 21 e 22.7. 2001
26) GAVA
Salvatore:
S) del reato di cui agli artt. 609,
615 c.p. , 61 n. 2 c.p. perché, al fine di commettere i delitti di cui sub u)
e v), – in qualità di Commissario
Capo della Polizia di Stato aggregato alla Questura di Genova al comando di più
reparti composti complessivamente da oltre cinquanta appartenenti alla Polizia
di Stato - eseguiva, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni ed al di
fuori dei presupposti di legge, la perquisizione locale del complesso scolastico denominato “Diaz – Pascoli“
sito in Via Cesare Battisti 6 in uso temporaneo al gruppo denominato “Genoa
Social Forum“ e la conseguente perquisizione personale di gran parte degli
occupanti l’edificio con contestuale arbitraria e violenta apprensione delle
cose mobile rinvenute (tra l’altro, apparecchi telefonici portatili, macchine
fotografiche, videocamere, rullini, videocassette, parti interne di personal
computers).
In
Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001
T) del reato di cui agli artt. 110,
40, 610, 61 n. 9 cp perché – durante le operazioni di perquisizione e nella
qualità di cui al capo A, in concorso con non identificati esecutori materiali
appartenenti ai reparti di cui al capo che precede o comunque non impedendo un evento che aveva l’obbligo
giuridico di impedire – costringeva con minaccia - consistita nell’urlare ordini in tal senso, brandendo i
manganelli in dotazione – gran parte degli occupanti l’edificio a sedersi,
inginocchiarsi o anche sdraiarsi a terra e a mantenere tale posizione
per almeno mezz’ora.
Con
l’aggravante di avere commesso il fatto con abuso dei poteri inerenti alle sue
funzioni.
In
Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001
U) del reato di cui agli artt. 110,
40, 635 c. 1 e c. 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7, 61 n. 9 c.p. perché –
durante le operazioni di perquisizione e nella qualità di cui al capo S, in
concorso con non identificati esecutori materiali appartenenti ai reparti di
cui al capo che precede o
comunque non impedendo un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire –
distruggeva e rendeva inservibili (spaccandoli a colpi di manganello e
scaraventandoli a terra) alcuni personal computers ed alcuni apparecchi
telefonici di proprietà del Comune di Genova ed in uso temporaneo all’interno del complesso scolastico
“Diaz – Pascoli “ ai gruppi denominati “Genoa Social Forum “ ed “ Associazione
Giuristi Democratici “.
Con
l’aggravante di avere commesso il fatto su cose esistenti in edifici pubblici
ed abusando dei poteri inerenti
alle sue funzioni.
In
Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001
(così
rettificato all’udienza del 23.09.2004)
V) del reato di cui agli artt. 110, 40, 314 c.p. perché –
all’esito delle operazioni di perquisizione e nella qualità di cui al capo S,
in concorso con non identificati appartenenti ai reparti di cui al capo che
precede o comunque non
impedendo un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire – si appropriava di parti interne (hard disk) di
alcuni personal computers di
proprietà del Comune di Genova ed
in uso temporaneo all’interno del complesso scolastico “Diaz – Pascoli “ al
gruppo denominato “Associazione Giuristi Democratici“, apprese nel corso della
perquisizione e delle quali quindi
aveva il possesso o comunque la disponibilità per ragioni del suo
ufficio.
In
Genova, nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001
(così
rettificato all’udienza del 23.09.2004)
28) FAZIO Luigi:
Z1) del reato di cui agli artt. 581, 61. n. 9 cp
perché – strattonandolo, piegandogli un braccio dietro la schiena e colpendolo
con delle manate al volto – percuoteva Huth Andreas.
Con
l’aggravante di avere commesso il fatto in qualità di Sovrintendente Capo della
Polizia di Stato e nel corso delle operazioni di perquisizione eseguite nella
scuola “Diaz-Pascoli“ di Genova e quindi con abuso dei poteri inerenti ad una
pubblica funzione.
In Genova,
nella notte tra il 21 ed il 22/7/2001
PROC. Riunito N. 5045/05 R.G. TRIB, N.
8341/04 GIP, n. 14525/01 NR
29) DI BERNARDINI
In
concorso con Caldarozzi Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri
Filippo, Ciccimarra Fabio, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide e
Cerchi Renzo
1)
(già capo C) della Richiesta di rinvio
a Giudizio – da qui in avanti R.r.g.)
Del delitto di
cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. perchè, partecipando all’organizzazione
(Caldarozzi, Ferri, Mortola, Dominici, Ciccimarra e Di Bernardini) e alla
conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41
R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini,
sito in Genova Via Battisti, con l’impiego di oltre duecento operatori, tutti
appartenenti a vari Reparti ed Uffici della Polizia di Stato, operazione che si
concludeva con l’arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento
all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, al
fine di costruire un compendio probatorio a carico di tutti i predetti
arrestati e, quindi, per commettere i reati di cui ai capo d’accusa sub d) ed
e) R.r.g., nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi
arrestati in occasione della irruzione
all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni (molte delle quali
gravi) a ottantasette di costoro e, pertanto, per assicurare l’impunità dei
reati commessi ai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali condotte,
in concorso tra loro, ciascuno come sottoscrittore dei verbali di arresto e/o
perquisizione (Mortola e Dominici anche della comunicazione notizia di reato) e
con altro ignoto operatore sottoscrittore del verbale di arresto, nonché con
gli altri funzionari dirigenti della Polizia di Stato indicati al capo a)
R.r.g. e con la persona di cui al capo f) R.r.g., negli atti trasmessi alla
A.G. il 22.7.2001, in relazione all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue
persone che venivano denunciate per i delitti di associazione per delinquere
finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico
ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie (verbali di
arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato),
attestavano fatti e circostanze non corrispondenti al vero.
(Nella
fattispecie, nelle rispettive qualità e ruoli operativi :
Caldarozzi di
primo dirigente, vice direttore del Servizio Centrale Operativo
Mortola di
primo dirigente, dirigente della Digos della Questura di Genova,
Dominici di
primo dirigente, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Genova,
Ferri di vice
questore aggiunto, dirigente della Squadra Mobile della Questura di La Spezia,
aggregato alla Questura di Genova,
Ciccimarra, di
vice questore aggiunto, in servizio presso la Squadra Mobile di
Napoli,aggregato alla Questura di Genova,
Di Bernardini, di vice questore aggiunto
in servizio presso la Squadra Mobile di Roma, aggregato alla Questura di
Genova;
Di Sarro, di
vice Questore aggiunto in servizio
presso la Digos della Questura di Genova
Mazzoni, di
ispettore capo in servizio presso il Servizio Centrale Operativo;
Di Novi, di ispettore superiore della
Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di La
Spezia, aggregato alla Questura di Genova
Cerchi, di
sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile
della Questura di La Spezia, aggregato alla Questura di Genova essendo presenti
sui luoghi mentre si svolgevano le operazioni di irruzione all’interno
dell’edificio scolastico oggetto della programmata perquisizione, durante le
successive operazioni di raccolta degli oggetti e materiali che venivano
appresi per essere sottoposti a sequestro,nonché durante la collocazione,
sempre all’interno del medesimo istituto, del reperto costituito da due
bottiglie incendiarie c.d. Molotov, avendo quindi constatato:
-
l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte ed a ciascuna delle
persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in sequestro durante
l’operazione, anche per le modalità stesse con le quali la perquisizione era stata condotta;
-
l’impossibilità di attribuire agli occupanti dell’edificio il possesso
delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo diverso da quello ove ne
verrà attestato il rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto;
-
infine la palese mancanza dei presupposti per operare un arresto in
flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non essendo, fra l’altro,
soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di resistenza aggravata, lesioni
a pubblico ufficiale, associazione a delinquere finalizzata alla devastazione
ed al saccheggio;
attestavano
falsamente (Ciccimarra, Ferri e Di Bernardini, anche come materiali estensori
del verbale di arresto, Mazzoni del verbale di perquisizione e sequestro
):
-
di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti
consistita in un fittissimo lancio di pietre e oggetti contundenti dalle
finestre dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia;
-
di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da
parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di
polizia, armati di coltelli ed armi improprie;
-
che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze,
bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato
come arma impropria dagli stessi
occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra descritti e comunque
indicato nella disponibilità e possesso degli arrestati;
-
di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra
dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile
a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a
tutti gli occupanti l’edificio;
e comunque,
benché consapevoli della non corrispondenza dei fatti descritti nei verbali di
arresto e di perquisizione e sequestro e nelle informative di reato a quanto
nella realtà accaduto,non si opponevano in tutto o in parte alla falsa
rappresentazione in tali atti contenuta;
infine i
sottoscrittori del verbale di perquisizione falsamente attestavano la
circostanza che durante tale operazione “gli occupanti erano stati resi edotti
della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”.
In Genova
22.7.2001
2) (già capo D) della R.r.g.)
Delitto p. e
p. dagli artt.110, 368, comma I e
II, 61 n.2 c.p., 81 cpv c.p. perchè, con più azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso, al fine di commettere il delitto di cui sub e) R.r.g. nonché
per assicurare l’impunità del delitto di cui sub h) R.r.g, in concorso con i
soggetti menzionati al capo b) R.r.g., nella medesima qualità di cui al
precedente capo, facendo emergere, anche con la condotta ivi descritta, gli
elementi di responsabilità evidenziati nella comunicazione di notizia di reato
a carico di Albrecht Thomas ed altri 92 indagati in stato di arresto, diretta
alla A.G in data 22.7.2001, incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti
indagati per i delitti loro rispettivamente ascritti (i.e. associazione a
delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata
a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie),
simulando tracce od elementi materiali di prova a carico delle stesse persone
incolpate, procedendo al sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti
strumentalmente descritti e qualificati come armi improprie utilizzate dagli
indagati o nella loro disponibilità (fra cui coltellini multiuso ed a
serramanico, attrezzi provenienti in larga parte dal cantiere esistente presso
l’istituto, barre metalliche costituenti supporti di zaini estratte
nell’occasione), nonché di due bottiglie molotov, provenienti da luogo esterno
all’istituto e comunque diverso da quello ove ne verrà attestato il
rinvenimento nei verbali di perquisizione e di arresto, non riconducibili
pertanto ai predetti indagati singolarmente o collettivamente
considerati,ovvero ancora sequestrando capi di abbigliamento di colore nero o
scuro, nella consapevolezza della impossibilità, anche dolosamente preordinata,
di poterne parimenti attribuire ad alcuno un possesso, infine attraverso le
false attestazioni indicate nel capo di accusa che precede, circa gli atti di resistenza armata e di massa o
condotte di resistenza attiva e violenta,
tali da giustificare l’uso della forza da parte degli operatori di
Polizia, che avevano proceduto alla irruzione nell’edificio e il conseguente
elevatissimo numero di feriti presenti tra gli arrestati;
in Genova
22.7.2001
In concorso
con Luperi Giovanni, Gratteri Francesco, Caldarozzi Gilberto, Mortola Spartaco,
Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di Sarro Carlo, Mazzoni
Massimo, Di Novi Davide, Cerchi Renzo
3) (già capo E) della R.r.g.)
Delitto p. e
p. dagli artt. 110, 323 c.p., perché, nelle rispettive qualità e ruoli
descritti ai precedenti capi di accusa e nello svolgimento delle loro funzioni,
all’esito della operazione di polizia, richiamata nei medesimi capi, nel corso della quale veniva eseguita
una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773
(TULPSS) all’edificio scolastico A.Diaz-Pertini, sito in Genova, Via Battisti,
in dolosa violazione di norme di legge (artt. 13 e 27 Cost., 380, 381, 382, 389
c.p.p.), in concorso tra loro, pervenivano alla decisione e, conseguentemente,
eseguivano l’indiscriminato arresto in flagranza di tutte le persone trovate al
momento all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo
stesso, per i reati di
associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio,
resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed
armi improprie, in macroscopica assenza di elementi che giustificassero l’adozione di tale misura nei
confronti di ciascuna delle predette persone, pur indicando titoli di reato che
astrattamente avrebbero consentito l’arresto ad iniziativa della P.G., così
intenzionalmente cagionando alle stesse un danno ingiusto consistito nella
privazione della libertà personale. (Nella fattispecie, anche avvalendosi delle
condotte descritte nei precedenti capi di accusa, veniva eseguito l’arresto di
Albrecht Thomas ed altre novantadue persone, tutte senza distinzione denunciate
come responsabili dei delitti loro ascritti in concorso (i.e. associazione per
delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata
a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), senza
disporre per ognuno di loro di concreti elementi su cui fondare una
responsabilità personale, in particolare:
- deliberatamente omettendo di attribuire
a ciascuno il possesso dei vari reperti che venivano posti in sequestro e considerati elementi di prova
a carico di tutti gli arrestati;
- strumentalmente
qualificando reperti come armi improprie in possesso illegale degli arrestati;
-
deliberatamente omettendo di specificare le circostanze concrete dell’arresto
di Mark Covell, fermato e
gravemente ferito da operatori di Polizia non identificati all’esterno dell’edificio, in fase
addirittura antecedente alla irruzione e quindi alla commissione dei reati di
resistenza aggravata e violenza a pubblico ufficiale, ovvero le circostanze in
cui altri soggetti venivano arrestati, alcuni al di fuori dell’edificio, altri
colti nel sonno, comunque nella evidente situazione di estraneità quantomeno ad
azioni di resistenza;
- dolosamente
omettendo di considerare circostanze in fatto concretamente valutabili e quelle
sopra indicate, che avrebbero
comportato comunque l’obbligo di disporre l’immediata liberazione degli arrestati in particolare l’assoluta non
riferibilità a tutti ed a ciascuno della flagrante commissione dei reati
contestati .
In Genova
22.7.2001
PROC. riunito N. 1079/08 DIB, n. 6115/05 GIP,
2774/04 NR
TROIANI PIETRO
del delitto di
cui agli artt. 110, 479 c.p. perché, in concorso con le persone indicate nel
capo di cui sub b) nel procedimento connesso 14525/01 per cui si procede
separatamente, nella qualità di vice Questore aggiunto, al comando di operatori
appartenenti al Reparto Mobile della Polizia di Stato non meglio identificati,
fra cui l’Assistente Burgio, del 1° Reparto Mobile di Roma, essendo intervenuto
con funzioni di supporto e comunque per assicurare le condizioni di sicurezza esterne
nei luoghi ove era in corso una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41
R.D. 18.06.1931 n. 773 (TULPSS) presso l’edificio scolastico A. Diaz-Pertini,
con la condotta di cui al capo o) del procedimento sopra richiamato, avendo
consegnato, per il tramite dell’assistente Burgio da lui all’uopo diretto, due
bottiglie incendiarie del tipo c.d. Molotov a colleghi e funzionari di polizia
superiori per grado, intenti alle operazioni di perquisizione ed in particolare
alla ricerca di armi che riconducessero agli occupanti dell’edificio la
responsabilità degli scontri avvenuti con le forze dell’ordine nei giorni
precedenti e l’appartenenza al gruppo definito “Black Bloc”, consentiva che ne
fosse evidenziata, da parte degli estensori e sottoscrittori dei verbali di
arresto e di perquisizione e sequestro, la disponibilità in capo agli occupanti
l’edificio in cui era in atto la perquisizione, con la falsa attestazione nei
predetti atti del rinvenimento delle bottiglie incendiarie nel contesto
descritto, all’interno della scuola perquisita o nelle pertinenze della stessa,
avendo invece egli stesso constatato o esattamente appreso il rinvenimento
delle medesime bottiglie da parte di altro personale di polizia in luogo e
contesto anche temporale assolutamente diversi.
In Genova,
nella notte tra il 21 ed il 22.07.01.
GAVA Salvatore:
del reato di
cui all’art. 479 c.p. per avere in qualità di Commissario Capo della Polizia di
Stato aggregato alla Questura di Genova, attestato, in maniera non conforme al
vero, sottoscrivendo il relativo verbale di perquisizione e sequestro,
trasmesso alla A.G. il 22.07.2001, in relazione all’arresto di Albrecht Thomas
ed altre novantadue persone che venivano denunciate per i delitti di
associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio,
resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni esplosivi ed
armi improprie, di aver “proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei
locali della scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro
di armi, strumenti di offesa ed altro materiale”;
In Genova,
21-22.07.01
CON LE PARTI CIVILI:
1. ALBERTI MASSIMO, nato a Brescia il 07/04/1978
C.F. = LBR MSM 78D 157R
Residente a Brescia, Via Cerca 12
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Manlio VICINI del Foro di Brescia,
procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
2. ALBRECHT
DANIEL THOMAS, nato a DRESDEN (RFT) il 9/11/1979
C.F. = LBR DLT 79S 09Z 112Z
Residente a Berlino,
Koepenickerstrasse n. 93
Domiciliato presso lo studio del
difensore di fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore
speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
3. ALEINIKOVAS TOMAS, nato a SIAULIAI (Lituania)
il 3/2/1981
C.F. = LNK TMS 81B 03Z 146P
Residente a Siauliai in Lituania,
Darbininku g. 37
Domiciliato presso lo studio del
difensore di fiducia avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza dibattimentale del
19/05/2005 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
4. ALLUEVA FORTEA ROSANA, nata a TERUEL (E) il
16/09/1980
C.F. = LLV RSN 80P 56Z 131H
Residente in Monreal del Campo, Calle Saragoza n.
1 (Spagna)
Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Emanuele
TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 nel procedimento nr.
5045/05 DIB poi riunito al presente
5. ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI DI GENOVA
C.F. = 95105040109
In persona del legale rappresentante pro tempore,
con sede in Genova, Salita Salvatore Viale 5/8 s
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Emilio ROBOTTI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
6. BACHMANN BRITTA AGNES, nata a RHEINFELDEN (Germania) il 15/07/1977
C.F. = BCH BTT 77L
55Z 112A
Residente a Berlino
(Germania) Weserstrasse 56
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04
GIP poi riunito al presente
7. BACZAK GRZEGORZ, nato a NOWY TOMYSL (Polonia)
il 3/3/1982
C.F. = BCZ GZG 82C 03Z 127H
Residente in Szczelin (Polonia) Vl Jasna 95/7
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gianluca VITALE del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
8. BALBAS RUIZ AITOR, nato a PAMPLONA (ES) IL
9/10/1970
C.F. = BLB TRA 70R 09Z 131I
Residente in Pamplona, Travercia de Acella 6
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Ezio MENZIONE
del Foro di Pisa, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente
9. BARO WOLFGANG KARL, nato a GIENGEN AN DER BRENZ
(RFT) il 27/11/1970
C.F. = BRA WFG 70S 27Z 112I
Residente a Berlino (RFT) Liegnitzerstrasse 10
Domiciliato presso lo studio dell’Avv. Carlo
MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza dibattimentale del
06/04/2005
10. BARRINGHAUS GEORG, nato a Recklinghausen (GERMANIA) il 26/11/1981
C.F. = BRR GRG 81S 26Z 112V
Residente a Colonia (Germania) Nussbaumer Strass
252
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Raffaella MULTEDO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento
nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
11. BARTESAGHI ENRICA (madre di Bartesaghi Gallo
Sara) nata a Mandello del Lario (Lc) il 15/11/1954
C.F. = BRT NRC 54S 55E 879W
Residente ad Abbadia Lariana, Via
Parrocchiale 22
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004,
all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito
al presente e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
12. BARTESAGHI GALLO SARA, nata a Lecco 7/5/1980
C.F. = BRT SRA 80E
47E 507K
Residente ad
Abbadia Lariana, Via Parrocchiale 22
Domiciliata presso
lo studio del difensore di fiducia avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano,
procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente, all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento
nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel
procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente
13. BERTOLA MATTEO, nato a Lecco il 4/7/1971
C.F. = BRT MTT 77L
04E 507R
Residente in Lecco,
Via dell’Eremo 28d
Domiciliato presso
lo studio del difensore di fiducia Avv. Mirko MAZZALI del Foro di Milano,
procuratore speciale
Costituitosi
all’udienza preliminare del 26/06/2004
14. BIANCO PAOLA nata a Torino il 12/04/1963
C.F. = BNC PLA 63D 52L 219G
Residente in Torino, Lungodora Savona 16
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Maria D’ADDABBO del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
15. BLAIR JONATHAN NORMAN, nato a NEW PORT (GB) il
31/3/1963
C.F. = BLR JTH 63C 31Z 114G
Residente a Londra (Gb) 37 Honover Road
Procuratore
speciale avv. Richard Parry di Londra
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Maria D’ADDABBO del Foro di Roma
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza dibattimentale
del 29/06/05 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr.
5045/05 DIB poi riunito al presente
16. BODMER FABIENNE NADIA, nata a ZURIGO (Svizzera) il 26/10/1979
C.F. = BDM FNN 79R 66Z 133T
Residente a Zurigo (Svizzera),
Trichtenhausenstrasse 144
Domiciliata presso
lo studio del difensore di fiducia Avv. Lorenzo TRUCCO del Foro di Torino,
procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
17. BRAUER STEFAN, nato a Berlino (Germania) il 24/07/1971
C.F. = BRR SFN 71L 24Z 112D
Residente a Berlino (Germania) Fehrbelliner
Strasse 6
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia
avv. Fausto GIANELLI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza dibattimentale del
06/04/2005
18.
BRIA FRANCESCA nata a Roma l’11/11/1977
C.F. = BRI FNC 77S 51H 501U
Residente a Roma in Via Cortina d’Ampezzo 60
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
19. BROERMANN GROSSE MIRIAM, nata a FRANKFURT AM
MAIN (Germania) l’8/11/1979
C.F. = BRR MRM 79S 48Z 112T
Residente a
Berlino, Lichtenrader Strasse 11
Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Laura
TARTARINI del Foro di Genova,
procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
20. BRUSCHI VALERIA, nata a FERRARA il 26/2/1975
C.F. = BRS VLR 75B 66D 548X
Residente a Berlino (Germania) Mulacksrasse 18
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Emanuele TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004
e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi
riunito al presente
21. BRUSETTI RONNY nato a Milano il 10/03/1976
C.F. = BRS RNY 76C 10F 205N
Residente a Seregno (Mi), Via B. Brecht 18
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
22. BUCHANAN SAMUEL, nato a PARAPARAUMU (Nuova
Zelanda) il 2/06/1965
C.F. = BCH SML 65H 02Z 719Q
Residente in Peakakariki (Nuova Zelanda) 34 Ocean Road
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
23. CEDERSTROM INGRID THEA HELENA, nata a
JONKOPING (Svezia) il 29/11/1976
C.F. = CDR NRD 76S 69Z 132F
Residente in Malmo (Svezia) in Amiralsgatan 1
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Sandro CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
24. CESTARO ARNALDO, nato ad AGUGLIARO (Vi)
l’11/5/1939
C.F. = CST RLD 39E 11A 093A
Residente in Agugliaro (Vi) Via Roma 1
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Aurelio DI RELLA del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
03/07/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
25. CHMIELEWSKI MICHAL, nato a OSTROW
WIELKOPOLSKI (POLONIA) il 25/10/1979
C.F. = CHM MHL 79R 25Z 127H
Residente a Lewkow (Polonia) ul. Kwiatkowska 4/10
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
26. CIRIO DANIELE nato a Firenze l’01/11/1978
C.F. = CRI DNL 78S 01D 612G
Residente in Firenze, Via Vittorio Emanuele 126
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Federico MICALI del Foro di Firenze, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004
27. COBAS (CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE)
Nella persona del legale
rappresentante e Presidente Domenico Teramo nato a Roma il 16/01/1962
C.F. = TRM DNC 62A 16H 501Y
Corrente in Via Sannio 61 - Roma
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Simonetta CRISCI del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza dibattimentale del
06/04/2005 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
28. COELLE BENJAMIN, nato a FILDERSTADT (Germania)
il 3/2/1980
C.F. = CLL BJM 80B 03Z 112H
Residente a Berlino (Germania)
Auguststrasse 91
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Fabio TADDEI
del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04
GIP poi riunito al presente e
all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al
presente
29. CORDANO ENRICO nato a Genova il 25/06/1948
C.F. = CRD NRC 48H 25D 969W
Residente in Genova, Salita Superiore San Gerolamo
55 A/1
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
30. COSTANTINI MASSIMO nato a Savona il 29/06/1956
C.F. = CST MSM 56H 29I 480C
Residente in Genova Piazza Boccanegra 1/6
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
31. COVELL MARK WILLIAM, nato a Londra (GB) il
17/8/1967
C.F. = CVL MKW 67M 17Z 114D
Residente a Londra (Gb) 98 Queen’s Park Court
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Massimo PASTORE del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
32. CUNNINGAM DAVID JOHN, nato a Stratford-Ontario
(CANADA) il 4/7/1978
C.F. = CNN DDJ 78L 04Z 401Z
Residente in 406-251 Union Street, Vancouver
(Canada)
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Fausto GIANELLI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza dibattimentale del
19/05/2005
33. DIGENTI
SIMONA, nata a DIELSDORF (Svizzera) il 9/3/1980
C.F. = DGN SMN 80C 49Z 133W
Residente in Rumlang (Svizzera) Obermattenstrasse
25
Domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Emanuele
TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
34. DI PIETRO ADA ROSA, nata a Brescia il
21/10/1976
C.F. = DPT DRS 76R 61B 157V
Residente in Darfo Boario Terme (Bs) Vicolo S.
Gaudenzio 10
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Patrizia MALTAGLIATI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 14/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
35. DOHERTY NICOLA ANNE, nata a ELGIN (Scozia) il
24/7/1974
C.F. = DHR NLN 74L 64Z 114Z
Residente a Londra (Gb) Mercers Road 97B
Procuratore speciale avv. Matthew Isaac Foot di
Londra
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza dibattimentale 6/4/05 e all’udienza dibattimentale
12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
36. DREYER JEANNETTE SYBILLE, nata a WEINHEIM
(Germania) il 19/01/1970
C.F. = DRY JNT 70A 59Z 112P
Residente a Weinheim (Germania) Stettinerstrasse
18
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
37. DUMAN MESUT, nato a KIEL (Germania) il
19/11/1975
C.F. = DMN MST 75S 19Z 112N
Residente in Schopfheim (Germania) Haupstrasse n.
120/d
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gianluca VITALE del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
38.ENGEL
JAROSLAW JACEK, nato a WROCLAW (Polonia) il 5/7/1972
C.F. = NGL JCK 72L 05Z 127E
Residente in Wroclaw (Polonia), via Pilawska 8/7
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
39. FASSA LILIANA (madre di Di Pietro Adarosa) nata a Brescia il
15/02/1949
C.F. = FSS LLN
49B 55B 157A
Residente in Darfo Boario Terme
(Bs) Vicolo S. Gaudenzio 10
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Alessio CONTI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza dibattimentale del
06/04/2005 e all’udienza dibattimentale 14/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
40. FLETZER ENRICO nato a Treviso il 22/10/1956
C.F. = FLT NRC 56R 22L 407C
Residente in Venezia, San Marco 1776
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004
41. FNSI (FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA
ITALIANA)
C.F. 01407030582
Nella persona del legale rappresentante pro
tempore
Corrente in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n.
349
Difesa da avv. Bruno DEL VECCHIO del Foro di Roma,
procuratore speciale
Domiciliata presso lo studio dell’avv. Laura
Tartarini del Foro di Genova
Costituitasi all’udienza dibattimentale del
19/05/2005
42.
FORTE MAURO nato a Portici (Na) il 03/09/1966
C.F. = FRT MRA 66P 03G 902X
Residente a Napoli in Via Monteoliveto 86
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Luca MOSER del Foro di Modena
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
43. GALANTE STEFANIA, nata a Padova il 09/01/1972
C.F. = GLN SFN 72A 49G 224B
Residente a Padova in Via Germiniani 7
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Aurora D’AGOSTINO del Foro di Padova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
44.
GALEAZZI LORENZO nato a Milano il 25/11/1977
C.F. = GLZ LNZ 77S 25F 205X
Residente a Bologna, Via della Salita 21
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Francesco ROMEO del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
45.GALLOWAY IAN FARREL, nato a BALTIMORA (USA) il
21/3/1975
C.F. = GLL NRR 75C 21Z 404K
Residente in
1/2 W. Marchall Street Richmond VA
(USA) 7PN
Domiciliato presso
lo studio del difensore di fiducia Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, procuratore
speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
23/09/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
46. GANDINI ETTORINA nata ad Albenga (Sv) il
22/11/1945
C.F. =
GND TRN 45S 62A 145Z
Residente in Cornaredo (Mi) Via Colombo 90
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano
Costituitasi il 10/03/2005 con deposito in
cancelleria e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
47. GATERMANN CHRISTIAN, nato ad AMBURGO il
13/10/1971
C.F. = GTR CRS 71R 13Z 112F
Residente in Amburgo (Germania) Borselstrasse 11
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
48. GENOA SOCIAL
FORUM
Nella persona del suo portavoce e presidente
pro-tempore Vittorio Agnoletto, nato a Milano il 06/03/1958
C.F. = GNL VTR 58C 06F 205S
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costitutitosi all’udienza dibattimentale del
06/04/2005 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
49. GIESER MICHEL ROLAND nato a Solentuna (Svezia)
il 12/11/1965
C.F. = GSR MHL 65S 12Z 132W
Residente a Brugge in Belgio, Diksmuidse Heerweg
328
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Massimo PASTORE del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
50. GIOVANNETTI IVAN, nato a Milano l’1/12/1977
C.F. = GVN VMC 77T 01F 205C
Residente in Cornaredo (Mi) in via C. Colombo 90
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gianluca SACCO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
51. GÖL SUNA, nata a ICEL (Turchia) il 16/5/1965
C.F. = GLO SNU 65E 56Z 243D
Residente ad Allshwill, Basilea (Svizzera)
Bettenstrasse 10
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Massimo PASTORE del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
52. HAGER MORGAN KATHERINE, nata a Portland in
Oregon (USA) 12/5/1981
C.F. = HGR KHR 81E 52Z 404B
Residente a Portland in
Oregon (USA) 9211 S.W. 36th
Procuratore speciale Susan Hager (madre)
Domiciliata presso lo studio del difensore avv. Laura TARTARINI del Foro
di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
53. HALDIMANN FABIAN, nato a Basilea (CH) il
20/04/1979
C.F. = HLS FBN 79D 20Z 133U
Residente ad Arisdorf (Ch) Hauptstrasse 38
Domiciliato presso lo studio
del difensore di fiducia avv. Piero AGUSTONI del Foro di Genova, procuratore
speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
54. HEGLUND CECILIA, nata a STOCCOLMA il
29/01/1975
C.F. = HGL CCL 75A 69Z 132Y
Residente a Bandhagen - Stockholm (Svezia),
Läggestavägen 23 - C.A.P. 12431.
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Nicola CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/04
e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi
riunito al presente
55. HEIGL MIRIAM, nata a MONACO di BAVIERA (Germania) il 17/11/1975
C.F. = HGL MRM 75S 57Z 112Q
Residente
Monaco di Baviera (Germania) Semmeringstrasse 7
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
56. HERRERO VILLAMOR DOLORES, nata a MADRID (E) il
31/1/1937
C.F. = HRR DRS 37A 71Z 131R
Residente a Brema (Germania) Berlinerstrasse 4
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi
riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr.
6115/08 GIP poi riunito al
presente
57. HERRMANN JENS, nato a WEHRDA (RFT) il
13/10/1972
C.F. = HRR JNS 72R 13Z 112Z
Residente a Berlino (RFT) Brunnenstrasse 183
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
58. HERRMANN JOCHEN, nato a RUSSELHEIM (Germania)
il 8/09/1981
C.F. = HRR JHN 81P 08Z 112Y
Residente a Bensheim (RFT) Darmstaedterstrasse 245
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
59. HINRICHSMEYER THORSTEN, nato ad AMBURGO
(Germania) il 4/6/1973
C.F.
= HNR TRS 73H 04Z 112E
Residente ad Amburgo (Germania) Ludwigstrasse 8
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Marco CAFIERO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente
60. HUBNER TOBIAS, nato a MONACO (Germania) il
12/1/1976
C.F. = HBN TBS 76A 12Z 112G
Residente a Monaco (Germania) Georgenstrasse 102
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Liana NESTA del Foro di Napoli, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
61. HUTH ANDREAS nato a Magdeburgo (Germania) il
28/03/1973
C.F. = HNT NRS 73C 28Z 112E
Residente in Berlino (germania) Schwedter Strasse
262
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Francesca COSTA del Foro di Genova
Costituitosi all’udienza dibattimentale del
06/04/2005
62. JAEGER
LAURA, nata a LAUTERBACH (Germania) il 15/02/1981
C.F. = JGR LRA 81B 55Z 112T
Residente in Calle Marina 132, Barcellona (Spagna)
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Claudio NOVARO del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/04,
all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al
presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente
63. JONASCH MELANIE, nata a KEMPTEN ALLGAU (RFT) il
12/01/1973
C.F. = JHS MLN 73A 52Z 112B
Residente a Berlino (RFT) Brunnenstrasse 7
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
64. KRESS HOLGER, nato a PUERTO ORDAZ (Venezuela) il
25/7/1979
C.F. = KRS HGR 79L 25Z 614J
Residente ad Amburgo (Germania) Hebebrandstrassen 2a
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Filippo GUIGLIA
del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
65. KUTSCHKAU ANNA JULIA, nata a BERLINO
(Germania) il 23/6/1980
C.F. = KTS NJL 80H 63Z 112C
Residente a Berlino (Germania)
Reichenbergerstrasse 125
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Riccardo PASSEGGI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi
riunito al presente e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente
66. LELEK STELLA nata a Herne in Germania il
28/09/1981
C.F. = LLK SLL 81P 68Z 112Z
Residente a Oer Erkenschwick 45739 (Germania),
Johannesstrasse 30
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
67. LUPPICHINI MANOLO nato a Roma il 25/10/1963
C.F. = LPP MNL 63R 25H501W
Residente a Roma in Lungo Tevere dei Mellini 30
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
68. LUTHI NATHAN RAPHAEL, nato a WOHLEN (Svizzera)
il 25/8/1978
C.F. = LHT NHN 78M 25Z 133U
Residente a Zurigo in Svizzera, Brauedstrasse 9
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Lorenzo TRUCCO del Foro di Torino, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
69. MARCUELLO FELIX PABLO, nato a SARAGOZZA (E) il
5/11/1965
C.F. =MRQFXP65S05Z131D
Residente in Saragozza, Calle Josè De Ancheta 1
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Alessandro GAMBERINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
70. MARTENSEN NIELS, nato a KAPPELN (Germania)
l’8/1/1977
C.F. = MRT NLS 77A 08Z 112D
Residente ad Amburgo (Germania) Ebertalle 30
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Francesca COSTA del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente
71 .MARTINEZ FERRER ANA, nata a BARCELLONA (E) il 20/10/1975
C.F. = MRT NAA 75R 60Z 131Y
Residente in Tarazona, Fueros De Aragon 54, 2/a
(Spagna)
Procuratore speciale avv. Laia Serra Perellò di
Barcellona
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Emanuele TAMBUSCIO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza dibattimentale del 6/4/05 e all’udienza dibattimentale
12/10/05 nel procedimento nr.
5045/05 DIB poi riunito al presente
72. MASSO’ PAZ GUILLERMO, nato a FERROL (ES) il
28/9/1976
C.F. = MSS GLR 76P 28Z 131U
Residente in Saragozza, Via Ateca 38/3°
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Emanuele
TAMBUSCIO, Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
e all’udienza preliminare 3/12/07 nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente
73. MASU ANDREA nato a Cremona il 02/08/1970
C.F. = MSA NDR 70M 02D 150T
Residente a Bologna in Via Alessandrini 13
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Luca MOSER del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del 26/06/2004
74. MC QUILLAN DANIEL MARC THOMAS nato a NORTHAMPTON (GB) il 23/9/1963
C.F. = MCQ DLM 63P 23Z 114I
Residente a Londra (Gb) 69 Tower Garden Road N17
7PN
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Gilberto PAGANI del Foro di Milano , procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
75. MESSUTI RAFFAELE nato a Maratea (Pz) il 18/06/1979
C.F. = MSS RFL 79H 18E 919R
Residente a Nemoli (Pz) in Via Lago Sirino 101
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
76. MIRRA CHRISTIAN, nato a BENEVENTO il 14/6/1977
C.F. = MRR CRS 77H 14A 783Y
Residente a Benevento, Via Manfredi di Svevia 15
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
77. MORET FERNANDEZ DAVID, nato a LLEIDA (E) il
7/11/1971
C.F. = MRT FNN 71S 07Z 131G
Residente in Lleida (Spagna) C/Rambla de Ferran 52, 5°-3^
Procuratore speciale avv. David Burgos Marco di
Saragozza
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Ermanno DALLORTO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza dibattimentale 6/4/05 e all’udienza dibattimentale
14/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
78. MOTH RICHARD ROBERT, nato a PORTSMOUTH (GB) il
9/11/1968
C.F. = MTH RHR 68S 09Z 114O
Residente in 97b Mercers Road, Londra
Procuratore speciale avv. Matthew Isaac Foot di Londra
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simonetta CRISCI del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
79. NANNI MATTEO nato a Genova il 28/12/1970
C.F. = NNN MTT 70R 28D 969N
Residente a Freiburg Germania, Neubergweg 2
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
80. NATHRATH ACHIM, nato a MONACO DI BAVIERA (Germania)
il 31/12/1969
C.F. = NTH CHM 69T 31Z 112D
Residente a Monaco di Baviera (Germania) in Waldhornstrasse 101
Difeso da avv. Michael Hofmann del Foro di Monaco di Baviera (D),
procuratore speciale, di concerto
con l’avv. Dario ROSSI del Foro di Genova, ex art. 6 lett. B legge 31/1982
Domiciliato presso lo studio dell’Avv. Dario ROSSI del Foro di Genova
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
81. NOGUERAS CHABIER FRANCHO CORRAL, nato a
SARAGOZZA (E) il 14/02/1965
C.F. = NGR FNC 65B 14Z 131P
Residente in Saragoza (Spagna) Anselmo Gascon de
Gotor 9/3 izda
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Antonio LERICI del foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente
82. OLSSON
HEDDA KATARINA, nata a
AKKHLGONA (SVEZIA) il
1/5/1981
C.F. = LSS HDK 81E 41Z 132U
Residente a Malmo (Svezia) in Amiralsgatan 1
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Nicola CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
83. OTTOVAY KATHRIN, nata a MUNCHEN (GERMANIA) il
9/11/1978
C.F. = TTV KHR 78S 49Z 112Y
Residente a Berlino in Urbanstrasse 67 - Germania
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Andrea VERNAZZA del Foro di Chiavari, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
84. PANCIOLI GUADAGNUCCI LORENZO, nato a PESCIA (PT) il 3/12/1963
C.F. = PNC LNZ 63T 03G 491K
Residente in Firenze via Ugo Foscolo 11
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia Avv. Alfredo GALASSO
del Foro di Palermo, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 nel procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
85. PATZKE JULIA, nata a DANNENBERG ELBE (RFT)
il 5/7/1980
C.F. = PTZ JLU 80L 45Z 112T
Residente a Langendorf, Elbuferst 5 29484
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05 DIB poi riunito al presente
86. PAVARINI FEDERICO nato a Parma il 18/02/1977
C.F. = PVR FRC 77B 18G 337U
Residente a Guidonia Montecello (Roma) Via del
Cigno 11
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Francesco ROMEO del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
87. PERRONE VITO, nato a FOGGIA il 20/12/1977
C.F. = PRR VTI 77T 20D 643L
Residente in Foggia, Via Papa Leone XIII n. 79
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Felicia (detta Licia) D’AMICO del Foro di Roma, procuratore
specale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 12/10/05 del procedimento nr. 5045/05
DIB poi riunito al presente
88. PETRONE ANGELA, nata a FOGGIA il 19/6/1980
C.F. = PTR NGL 80H 59D 643E
Residente a a Foggia in Via Borrelli 47
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Mino CAVALLO del Foro di Taranto, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
89. PODOBNICH GABRIELLA nata a Trieste il
18/06/1959
C.F. = PDB GRL 59H 58L 424V
Residente in San Pietro in Casale (Bo) Via
Massumatico 4121B
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simone SABATTINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
90. POLLOK
RAFAEL, nato a Klausberg/Beuthen (Polonia) il 3/1/1976
C.F. = PLL RFL 76A 03Z 127
Residente a Berlino (Germania) Boxhagenerstrasse
22
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente e all’udienza preliminare del 3/12/07 nel procedimento
nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente
91. PRIMOSIG FEDERICO, nato a ROMA il 28/12/1978
C.F. = PRM FRC 78T 28H 501D
Residente a Roma, Via A. D. Gabbiani 60
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Giuseppe Maria NADALINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
92. PROVENZANO MANFREDI, nato a PALERMO il
28/3/1982
C.F. = PRV MFR 82C 28G 273O
Residente in Roma,Via Monte delle Gioie n. 24
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Paolo Angelo SODANI del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 nel procedimento nr.
5045/05 DIB poi riunito al
presente
93. RADIO ONDA D’URTO ASSOCIAZIONE CULTURALE
C.F. = 02084620174
Con sede in Brescia, Via Luzzago 2/b, nella
persona del Presidente pro tempore
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Manlio Vicini del Foro di Brescia, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
94. RESCHKE
KAI MANFRED, nato a DETTELBACH (GERMANIA) il 26/2/1982
C.F. = RSC KNF 82B 26Z 112F
Residente a Mannheim in Germania, Werftstrasse n. 19
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Carlo MALOSSI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
95. SAMPERIZ BENITO FRANCISCO JAVIER, nato a
SARAGOZZA il 14/5/1976
C.F. = SMP FNC 76E 14Z 131U
Residente a Saragozza (E) Calle Maria Zambrano
10/3b
Procuratore speciale avv. Riccardo Passeggi del
Foro di Genova
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Ermanno DALLORTO del
Foro di Genova
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04
GIP poi riunito al presente
96. SANZ MADRAZO FRANCISCO JAVIER, nato a PINEL DE
ABAJO (ES) il 3/12/1963
C.F. = SNZFNC63T03Z131M
Residente in Saragozza (Spagna) Calle Fueros de
Aragò 54
Procuratore speciale avv. Ramon Campos Garcia di
Saragozza
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Andrea VERNAZZA del Foro di Chiavari, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale 6/4/05
97. SCALA ROBERTA, nata a CAPRINO VERONESE (VE) il
19/11/1974
C.F. = SCL RRT 74S 59B 709E
Residente a CAPRINO VERONESE Via Gamberon 1/a,
domicilio dichiarato
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Andrea SANDRA del Foro di Udine, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
98. SCHIAVI GLORIA nata a Clusone (BG) il
03/06/1955
C.F. = SCH GLR 55H 43C 800W
Residente a Torino Via S. Ottavio 56
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Maria D’ADDABBO del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
99. SCHLEITING MIRCO, nato a DUISBURG (GERMANIA)
il 25/5/1976
C.F. = SCH MRC 76E 25Z 112B
Residente in Kettelerstrasse 26 – Oberhausen -
Germania
Domiciliato presso lo studio dell’Avv. Andrea
SANDRA del Foro di Udine, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
100. SCHMIEDERER SIMON, nato a OBERKIRCH
(GERMANIA) il 28/06/1978
C.F. = SCH SMN 78H 28Z
112S
Residente a Berlino in Germania, in Rigaerstrasse
83
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia avv. Stefano BIGLIAZZI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04
GIP poi riunito al presente
101. SCRIBANI GIUSEPPE, nato a Genova il
16/10/1972
C.F. = SCR GPP 72R 16D 969K
Residente a Genova, Vico San Luca 2/4
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
102. SIBLER STEFFEN, nato a BERLINO
(GERMANIA) il 31/01/1978
C.F. = SBL SFF 78A 31Z 112J
Residente a Berlino in Germania, Gorlitser Strasse
37
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Fabio TADDEI del Foro
di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
103. SICILIA JOSE’ LUIS, nato a BUENOS AJRES
(ARGENTINA) il 17/11/1959
C.F. = SCL JLS 59S 17Z 600M
Residente in Saragozza, Cores De Aragon 24/6c
Procuratore speciale avv. Michela Miraglia del
Foro di Genova
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Alessia VASSALLO del Foro di Genova
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
104. SIEVEWRIGHT KARA nata a Vancouver-British
Columbia in CANADA il 10/8/1977
C.F. = SVW KRA 77M 50Z 401Z
Residente a Vancouver in 657 East 12th Street
(Canada)
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Fausto GIANELLI del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitasi parte civile all’udienza
dibattimentale del 19/05/2005
105. SOC. COOP LABORATORIO 2001
Nella persona del procuratore speciale sig.ra
MORANDO Daniela
C.F. = MRN DNL 69D 69H 501L
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Simonetta CRISCI del Foro di Roma, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 del procedimento nr.
5045/05 DIB poi riunito al presente
106. SVENSSON JONAS TOMMJ, nato a Tofteryd
(SVEZIA) il 12/10/1971
C.F. = SVN JNS 71R 12Z 32J
Residente a Malmo (Svezia) in Amiralsgatan 1
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Nicola CANESTRINI del Foro di Rovereto, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza dibattimentale del 12/10/05 del procedimento nr.
5045/05 DIB poi riunito al presente
107. SZABO JONAS, nato a NURNBERG (GERMANIA) il
24/2/1980
C.F. =
SZB JNS 80B 24Z 112P
Residente a Nurnberg (Germania) in Knauerstrasse 3
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza dibattimentale 06/04/05
108. TOMELLERI ENRICO, nato a ISOLA DELLA SCALA
(VR) il 16/1/1979
C.F. =TML NRC 79A 16E 349C
Residente a Buttapietra, ViaCarducci 1
Domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia
Avv. Andrea SANDRA del Foro di Udine, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
109. TREIBER THERESA, nata a MONACO di BAVIERA
(GERMANIA) il 9/8/1967
C.F. = TRB TRS 67M 49Z 112Q
Residente in Kirchenstraβe 26, 81675 Monaco di
Baviera (Germania)
Procuratore speciale avv. Michael Hofman del Foro di Monaco di Baviera
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Giorgio BONAMASSA del Foro di Milano
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
110. URGEGHE MARTA nata a Genova il 21/5/1981
C.F. = RGG MRT 81E 61D 969Y
Residente a Roma in Via G. Solino 13/4
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Ezio MENZIONE del Foro di Pisa, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
111. VALENTI MATTEO MASSIMO nato a Erice (Tp) il
10/05/1976
C.F. = VLN MTM 76E 10D 423E
Residente a Bologna in Via Procaccino 13
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Alessandro GAMBERINI del Foro di Bologna, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
112. VON UNGER MORITZ KASPAR KARL, nato ad
HANNOVER (GERMANIA) il 9/5/1974
C.F. = VNN MTZ 74E 09Z 112U
Residente a Berlino, Sredzkistrasse 44
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Raffaele CARUSO del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP
poi riunito al presente
113. WAGENSCHEIN KIRSTEN nata a HILDESHEIM
(GERMANIA) il 12/5/1968
C.F. = WGN KRS 68E 52Z 112B
Residente a Berlino in Germania in Graefestrasse
16
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Elena FIORINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del 26/06/2004
114. WEISSE TANJA, nata ad AMBURGO il 23/9/1978
C.F. = WSS TNJ 78P 63Z 112Q
Residente ad Amburgo (Germania) Emil Jansen
Strasse 17
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Luca MOSER del Foro di Modena, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente
115. WIEGERS DAPHNE nata ad ASSEN (OLANDA) il
15/12/1973
C.F. = WGR DHN 73T 55Z 126H
Residente a Berlino in Germania in Cuvrystrasse 32
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004
116. ZAPATERO GARCIA GUILLERMINA nata a MADRID (E)
il 9/3/1974
C.F. = ZPT GLR 74C 49Z 131C
Residente a Berlino in Germania, Ackerstrasse 149
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004, all’udienza dibattimentale 6/4/05 e all’udienza preliminare 3/12/07
nel procedimento nr. 6115/05 GIP poi riunito al presente
117. ZEHATSCHEK SEBASTIAN nato a NEU-ULM (GERMANIA) il 23/1/1981
C.F. = ZHT SST 81A 23Z 112Y
Residente a Berlino (Germania) Hermannstrasse 226
Domiciliato presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitosi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04
GIP poi riunito al presente
118. ZEUNER ANNA KATHARINA nata a BERLINO il
4/9/1978
C.F. = ZNR NKT 78P 44Z 112U
Residente a Berlino (Germania) Habelschwerdter
Allee 10
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Laura TARTARINI del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004
119. ZÜHLKE LENA nata ad Amburgo (GERMANIA) il
14/2/1977
C.F. = ZNL LNE 77B 54Z 112I
Residente ad Amburgo in Germania, Ebertalle 30
Domiciliata presso lo studio del difensore di
fiducia Avv. Filippo GUIGLIA del Foro di Genova, procuratore speciale
Costituitasi all’udienza preliminare del
26/06/2004 e all’udienza preliminare del 9/5/05 nel procedimento nr. 8341/04 GIP poi riunito al presente
.-.-.-.
APPELLANTI
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Genova e il Procuratore Generale;
gli imputati TROIANI Pietro, CENNI Angelo, LEDOTI
Fabrizio, STRANIERI Pietro, ZACCARIA Emiliano, CANTERINI Vincenzo, FOURNIER
Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, COMPAGNONE Vincenzo,
NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, FAZIO Luigi e BURGIO Michele;
il responsabile civile MINISTERO
DELL’INTERNO
le parti civili:
HINRICHSMEYER Thorsten, MARTENSEN
Niels, HUTH Andreas, GALANTE Stefania, WAGENSCHEIN Kirsten, BACHMANN BRITTA
Agnes, GATERMANN Christian, KRESS Holger, VILLAMOR HERRERO Dolores, ZEHATSCHEK
Sebastian, ZUHLKE Lena, BERTOLA Matteo, BARRINGHAUS Georg, GALEAZZI Lorenzo,
PAVARINI Federico, ALEINIKOVAS
Tomas, CHMIELEWSKI Michal, CÖELLE Benjamin, MIRRA Christian, POLLOK Rafael
Johann, SIBLER Steffen, ALLUEVA FORTEA Rosana, BRUSCHI Valeria, DIGENTI Simona, MARTINEZ FERRER Ana,
MASSO’ PAZ Guillermo, BROERMANN Miriam Grosse, ENGEL Jaroslaw Jacek, HAGER
MORGAN Katherine, HEIGL Miriam, SZABO Jonas, WIEGERS Daphne,
ZAPATERO GARCIA Guillermina, ZEUNER Anna Katharina, SCRIBANI Giuseppe,
CORDANO Enrico, COSTANTINI Massimo, NANNI Matteo, KUTSCHKAU Anna Julia,
SCHMIEDERER Simon, GALLOWAY Jan Farrel, NATHRATH Achim, PETRONE Angela, TREIBER
Teresa HUBNER Tobias, CESTARO Arnaldo, MORITZ VON UNGER Karl Kaspar, WEISSE
Tanya, COVELL William Mark, GOL Suna, BACZAK Grzegorz, DUMAN Mesut, BALBAS
Aitor Ruiz,
ALBRECHT Thomas Daniel, BARO Karl
Wolfgang, DREYER Sybil Jeannette, HERRMANN Jens, HERRMANN Jochen, JONASCH
Melanie, RESCHKE Manfred Kai, LUTHI Nathan Raphael, BODMER Fabienne Nadia,
SVENSSON Jonas Tommy, OLSSON Katarina Hedda, HEGLUND Cecilia, CEDERSTRÖM Ingrid
Thea Helena, OTTOVAY Kathrin, JAEGER Laura, VALENTI Matteo Massimo, FORTE
Mauro, MASU Andrea, BRIA
Francesca, FLETZER Enrico, PODOBNICH Gabriella, LUPPICHINI Manolo, MESSUTI
Raffaele, MARCUELLO Felix, PATZKE Julia, BARTESAGHI GALLO Sara, BARTESAGHI
Enrica, BRUSETTI Ronny, BUCHANAN Samuel, DOHERTY Nicola Anne, GANDINI Ettorina,
MC QUILLAN Daniel, GENOA SOCIAL FORUM, URGEGHE Marta, ASSOCIAZIONE GIURISTI
DEMOCRATICI DI GENOVA, Moret Fernandez David, SAMPERIZ Benito Francisco Javier,
GIOVANNETTI Ivan Michele, PROVENZANO Manfredi, NOGUERAS CHABIER Francho Corral;
in via incidentale dalla parte
civile FASSA Liliana
avverso la sentenza del Tribunale
di Genova 13 novembre 2008 che così decideva:
“Visti gli artt
533 e 535 c.p.p.,
dichiara
CANTERINI
Vincenzo, responsabile dei reati sub F) e G), limitatamente a quanto attestato
in ordine alla resistenza all’interno dell’edificio, nonché del reato di cui al
capo H), esclusa l’imputazione in danno di Heglund Cecilia, tutti unificati
sotto il vincolo della continuazione e ritenuto più grave il primo;
FOURNIER
Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano,
CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e COMPAGNONE Vincenzo
responsabili del reato continuato di cui al capo H), esclusa l’imputazione in
danno di Heglund Cecilia e ritenuto più grave il fatto nei confronti di Lena
ZHULKE;
TROIANI Pietro e
BURGIO Michele responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti, riuniti
sotto il vincolo della continuazione e
ritenuto più grave il reato di porto d’armi;
FAZIO Luigi
responsabile del reato ascrittogli;
concesse a tutti
le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate per
FOURNIER, TROIANI e BURGIO ed equivalenti per gli altri, li condanna alle
seguenti pene:
- CANTERINI Vincenzo, anni quattro di
reclusione;
- BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo,
ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e COMPAGNONE
Vincenzo, anni tre di reclusione, ciascuno;
- FOURNIER Michelangelo: anni due di reclusione;
- TROIANI Pietro: anni tre di reclusione ed €
650,00 di multa
- BURGIO Michele: anni due e mesi sei di
reclusione ed € 650,00 di multa;
- FAZIO Luigi: mesi uno di reclusione;
condanna i
suddetti imputati in solido al pagamento delle spese processuali comuni nonché
delle altre in solido tra i concorrenti nel reato cui la condanna si riferisce.
Visti gli artt.
28 e 31 c.p.,
dichiara
FAZIO temporaneamente interdetto dai pubblici
uffici per la durata di anni uno e tutti gli altri per la durata delle rispettive pene.
Visti gli artt.
163 e 175 c.p.,
concede
i benefici della
non menzione della condanna e della sospensione condizionale della pena a FAZIO
Luigi e a FOURNIER Michelangelo, sotto le comminatorie di legge.
Visto l’art. 1
della Legge 31.7.2006, n. 241
dichiara
condonate
interamente le pene inflitte a BASILI, TUCCI, LUCARONI, ZACCARIA, CENNI,
LEDOTI, STRANIERI, COMPAGNONE, TROIANI e BURGIO e nella misura di anni tre di reclusione la pena
inflitta a CANTERINI.
Visti gli art.
538 e segg. c.p.p.,
condanna
in solido fra
loro e con il responsabile civile, Ministero dell’Interno, in persona del
Ministro pro tempore, gli imputati CANTERINI, FOURNIER, BASILI, TUCCI,
LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI e COMPAGNONE al risarcimento di
tutti i danni patiti dalle seguenti parti civili, costituite in relazione al
capo d’imputazione sub H):
Albrecht Thomas
Daniel, Aleinikovas Tomas, Allueva Fortea Rosana, Bachmann Britta Agnes, Balbas
Ruiz Aitor, Baro Wolfgang Karl, Barringhaus Georg, Bartesaghi Gallo Sara,
Bertola Matteo, Blair Jonathan Norman, Bodmer Fabienne Nadia, Bruschi Valeria,
Buchanan Samuel, Cederstrom Ingrid Thea, Cestaro Arnaldo, Chmielewski Michal,
Coelle Benjamin, Cunningam David John, Digenti Simona, Doherty Nicola Anne,
Dreyer Jeannette Sibille, Duman Mesut, Felix Marcuello Pablo, Galloway Jan Farrel, Gieser Michael
Roland, Giovannetti Ivan, Gol Suna, Guadagnucci Lorenzo, Hager Morgan
Katherine, Haldimann Fabian, Herrmann Jens, Herrmann Jochen, Hinrichs Meyer
Thorsten, Jonasch Melanie, Kress Holger, Kutschkau Anna Julia, Lelek Stella,
Luthi Nathan Raphael, Martensen Niels, Martinez Ferrer Ana, Massò Guillermo
Paz, Mc Quillan Daniel, Mirra Christian,
Moret Fernandez David, Moth Richard Robert, Nathrath Achim, Nogueras
Chabier Francho Corral, Olsson Hedda Katarina, Ottovay Kathrin, Patzke Julia,
Perrone Vito, Petrone Angela, Pollok Rafael, Primosig Federico, Provenzano
Manfredi, Reschke Kai Manfred, Samperiz Francisco Javier, Sanz Madrazo
Francisco Javier, Scala Roberta, Schleiting Mirco, Schmiederer Simon, Sibler
Steffen, Sicilia Heras Josè Luis, Sievewright Kara, Tomelleri Enrico, Villamor
Herrero Dolores, Von Unger Moritz Kaspar Karl, Wiegers Daphne, Zapatero Garcia
Guillermina, Zehatschek Sebastian, Zeuner Anna Katharina e Zhulke Lena;
danni da
liquidarsi in separato giudizio, concedendo loro le seguenti provvisionali:
- € 50.000,00 a Albrecht, Coelle, Jonasch e
Zulke;
- € 30.000,00 a Baro, Cestaro, Doherty, Dreyer,
Duman, Hager, Hermann Jochen, Kutschkau, Martinez, Mc Quillan, Moret, Nogueras,
Ottovay, Pollok, Provenzano, Villamor Herrero e Wiegers;
-
€ 15.000,00 a Chmielewski, Guadagnucci, Haldimann, Mirra e Sicilia;
- € 5.000 ad Aleinikovas, Allueva, Bachman,
Balbas, Barringhaus, Bartesaghi Gallo, Bertola, Blair, Bodmer, Bruschi, Buchanan,
Cederstrom, Cunningham, Digenti,
Felix Marcuello, Galloway, Gieser, Giovannetti, Gol, Hermann Jens,
Hinrichs Meyer, Kress, Luthi,
Martensen, Massò, Moth, Nathrath, Olsson, Patzke Julia, Perrone, Petrone,
Primosig, Rescke, Samperiz, Sanz Madrazo, Scala, Schleiting, Shmiederer,
Sibler, Sievewright, Tomelleri, Von Unger, Zapatero, Zehatschek e Zeuner;
condanna
CANTERINI in
solido con il responsabile civile a risarcire tutti i danni patiti dalle parti
civili costituite in relazione al reato di cui al capo G), ad eccezione di Fassa Liliana, e pertanto a tutte
quelle sopra indicate, con esclusione di Gieser e Lelek, nonché a Baczak
Grzegorz, Brauer Stefan, Broermann Miriam Grosse, Covell Mark William, Di Pietro
Ada Rosa, Engel Jaroslaw Jacek,
Galante Stefania, Gatermann Christian, Heglund Cecilia, Heigl Miriam, Hubner
Tobias, Jaeger Laura, Svensson Jonas,
Szabo Jonas, Treiber Teresa, Wagenschein Kirsten e Weisse Tanja;
danni da
liquidarsi in separato giudizio, concedendo a ciascuna di loro una provvisionale
di € 2.500,00;
condanna
altresì BURGIO e
TROIANI in solido tra loro e con il responsabile civile a risarcire tutti i
danni, da liquidarsi in separato giudizio, patiti in relazione ai reati di cui
ai capi O) e Q) dalle parti civili già indicate in riferimento al capo G),
concedendo a ciascuna di loro una provvisionale di € 2.500,00;
condanna
FAZIO Luigi, in
solido con il responsabile civile, al risarcimento di tutti i danni patiti da
Huth Andreas, che liquida in € 1.000,00.
Visto l’art. 541
c.p.p.,
condanna
in solido fra
loro e con il responsabile civile, gli imputati CANTERINI, FOURNIER, BASILI,
TUCCI, LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI, COMPAGNONE, TROIANI e
BURGIO a rifondere alle parti
civili le spese di costituzione rappresentanza e difesa, che liquida nelle
somme sotto specificate, comprensive delle spese forfettarie, oltre a C.P.A.,
I.V.A. ed a quelle oggetto di liquidazione a carico dello Stato da parte del
GUP:
Albrecht, €
1.639,50
Aleinikovas, €
15.334,76
Allueva Fortea, € 16.872,29
Bachmann, €
10.883,62
Balbas Ruiz, € 4.428,22
Baro, € 3.808,39
Barringhaus, € 24.421,50
Bartesaghi Gallo, € 2.757,45
Bertola, € 7.682,33
Blair, €
2.504,90
Bodmer, € 5.288,62
Bruschi, € 11.565,90
Buchanan, € 1.943,56
Cederstrom, € 3.501,00
Cestaro, € 12.672,00
Chmielewski, € 10.817,25
Coelle, € 11.431,76
Cunningam, € 2.344,12
Digenti, € 16.872,29
Doherty, € 1.943,56
Dreyer, € 3.808,39
Duman, € 4.399,31
Felix Marcuello, € 14.849,30
Galloway, € 7.305,74
Giovannetti, € 6.844,21
Gol, €
7 .347,38
Guadagnucci, €
6.716,25
Hager, € 12.286,50
Haldimann, € 9.902,81
Herrmann Jens, €
1.639,50
Herrmann Jochen, €
3.808,39
Hinrichsmeyer, €
7.017,75
Jonasch, € 3.808,39
Kress, € 13.963,39
Kutschkau, €
29.629,12
Luthi, € 5.288,62
Martensen, € 27.165,93
Martinez, € 16.872,29
Masso, € 11.565,90
Mc Quillan, € 2.757,45
Mirra, € 15.546,93
Moret, € 22.027,82
Moth, € 1.851,01
Nathrath, € 9.692,64
Nogueras Chabier, € 18.167,62
Olsson, € 3.885,65
Ottovay, € 13.366,35
Patzke, € 7.537,35
Perrone, € 6.259,21
Petrone, € 4.789,68
Pollok, € 11.431,76
Primosig, € 5.644,68
Provenzano, € 6.728,90
Reschke, € 3.808,39
Samperiz, € 15.851,02
Sanz Madrazo, € 18.515,80
Scala, € 2.140,95
Schleiting, € 1.213,27
Schmiederer, € 23.980,50
Sibler, € 15.546,93
Sicilia Heras, € 9.469,68
Sievewright, € 2.344,12
Tomelleri, € 2.140,95
Villamor Herrero, € 10.883,62
Von Unger, €
22.325,62
Wiegers, € 12.286,50
Zapatero, € 12.286,50
Zehatschek, €
10.883,62
Zeuner, € 12.286,50
Zhulke, € 13.963,39
condanna
CANTERINI,
TROIANI e BURGIO, in solido fra loro e con il responsabile civile, a rifondere
alle parti civili nei loro confronti costituite, le spese di costituzione
rappresentanza e difesa, che liquida, nelle somme sotto specificate,
comprensive di spese forfettarie, oltre a C.P.A., I.V.A. ed a quelle oggetto di
liquidazione a carico dello Stato da parte del GUP:
Baczak, € 4.399,31
Brauer, € 1.875,30
Broermann, €
12.286,50
Covell, € 4.541,77
Di Pietro, €
15.016,50
Engel, € 12.286,50
Galante, € 3.467,81
Gatermann, €
13.963,39
Heglund, € 3.885,65
Heigl, €
12.286,50
Hubner, € 5.677,02
Jaeger, € 6.023,25
Svensson, € 3.885,65
Szabo, € 12.286,50
Treiber, € 4.851,56
Wagenschein, €
4.181,62
Weisse, € 2.169,30
condanna
FAZIO Luigi, in
solido con il responsabile civile, a rifondere a Huth Andreas, le spese di
costituzione rappresentanza e difesa, che liquida, nella somma di € 19.454,17,
comprensiva di spese forfettarie, oltre a C.P.A., I.V.A. ed a quelle oggetto di
liquidazione a carico dello Stato da parte del GUP;
condanna
in solido fra
loro e con il responsabile civile, CANTERINI, FOURNIER, BASILI, TUCCI,
LUCARONI, ZACCARIA, CENNI, LEDOTI, STRANIERI e COMPAGNONE, a rifondere alle
parti civili Gieser e Lelek le
spese di costituzione rappresentanza e difesa, che liquida, rispettivamente in
€ 7.347,38 ed in € 9.692,64, comprensive di spese forfettarie, oltre a C.P.A.
ed I.V.A.
Visto l’art.
110, comma 3, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115,
dispone
il pagamento in
favore dello Stato delle somme liquidate a titolo di rimborso per le parti
civili ammesse al patrocinio a carico dello Stato.
Visto l’art. 93
c.p.c.,
distrae
le spese, come
sopra liquidate, in favore dei patroni di parte civile, che ne hanno fatto
richiesta dichiarandosi antistatari.
Visto l’art.
530, comma 1 e 2, c.p.p.,
assolve
CANTERINI
Vincenzo dai reati di cui ai capi F) e G), limitatamente alle contestazioni per
le quali non è intervenuta condanna, perché il fatto non sussiste;
CANTERINI
Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo,
ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e COMPAGNONE
Vincenzo dal reato di cui al capo H), limitatamente alle lesioni in danno di
Heglund Cecilia;
LUPERI Giovanni,
GRATTERI Francesco, NUCERA Massimo e PANZIERI Maurizio dai reati loro ascritti,
perché il fatto non sussiste;
CALDAROZZI
Gilberto, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DOMINICI Nando, MORTOLA Spartaco, DI
SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, CERCHI Renzo, DI NOVI Davide dal reato di cui al
capo C) perché il fatto non costituisce reato e da quelli di cui ai capi D) ed
E), perché il fatto non sussiste;
DI BERNARDINI
Massimiliano dal reato di cui al capo 1), già capo C), perché il fatto non
costituisce reato e da quelli di cui ai capi 2), già capo D) e 3), già capo
E), perché il fatto non sussiste;
GAVA Salvatore
dai reati di cui al capo S) e da quello di falso perché il fatto non
costituisce reato nonché da quelli di cui ai capi T), U) e V) per non aver
commesso il fatto;
FABBROCINI
Alfredo dal reato di cui al capo X) perché il fatto non sussiste e da quelli di
cui ai capi Y), W) e Z) per non aver commesso il fatto.
Visto l’art. 240
c.p.,
ordina
salvi i
provvedimenti concorrenti, la restituzione degli oggetti in sequestro a coloro
già identificati come aventi diritto e la confisca degli altri, nonché la
vendita di quelli commerciabili e la distruzione dei rimanenti.
Visto l’art. 544
c.p.p,
riserva il
termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.”
.-.-.-.-.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
In occasione del
vertice dei Capi di Stato denominato G8 tenutosi a Genova nel luglio del 2001 si
verificarono numerosi episodi di sconvolgimento dell’ordine pubblico e fatti
delittuosi di diversa natura ed origine, che diedero vita a molteplici
procedimenti penali.
Quello che ci
occupa si riferisce alla irruzione eseguita dalla Polizia di Stato nel plesso
scolastico di Genova denominato “Diaz”, consistente in due edifici che si
fronteggiano su Via Cesare Battisti, uno adibito a sede della scuola Pertini,
l’altro a sede della scuola Pascoli.
La sentenza di
primo grado oggi appellata è strutturata nel seguente modo:
dapprima il
Tribunale ha riportato il contenuto delle deposizioni testimoniali utilizzate
per la decisione raggruppandole per temi secondo l’evoluzione temporale dei
principali avvenimenti;
poi ha riferito
l’esito delle indagini condotte da periti e consulenti di parte;
quindi ha
riportato il contenuto degli esami e delle dichiarazioni spontanee degli
imputati.
Sulla base di
tali premesse istruttorie ha poi sviluppato la sezione dedicata alla
ricostruzione dei fatti e quella dedicata alla valutazione delle
responsabilità. A seguire sono state decise le questioni civili.
La parte
argomentativa in fatto e diritto della sentenza, collocabile fra le pagine 241
e 339, si può sintetizzare nei seguenti termini.
Il Tribunale
esordisce inquadrando i fatti oggetto del presente processo - avvenuti nella
notte tra il 21 ed il 22 luglio, quando ormai tutte le manifestazioni di
protesta contro il vertice G8 erano praticamente terminate ed i manifestanti si
accingevano a ritornare nelle loro città - nel contesto dei numerosi gravi
episodi precedentemente verificatisi in città, quali:
1) la morte di
Carlo Giuliani, attinto da un colpo di pistola, il fatto più tragico
verificatosi nel pomeriggio del venerdì 20;
2) i gravi
disordini avvenuti nei giorni precedenti e nello stesso sabato 21, in parte
oggetto di un altro procedimento penale per i reati di devastazione e
saccheggio.
Il giorno 20,
secondo diverse testimonianze apprezzate dal Tribunale, un gruppo di giovani
individuabili dall’abbigliamento e dal comportamento quali appartenenti al c.d. black - bloc si era avvicinato
al complesso scolastico Diaz cercando di entrare negli edifici; la presenza
nella zona prossima al complesso scolastico Diaz di giovani riferibili al c.d.
black bloc o comunque non pacifici nelle giornate di venerdì e sabato risultava
altresì, secondo il primo giudice, dalle numerose telefonate giunte al 113
della Questura di Genova da parte di diversi cittadini ivi residenti.
Per quanto
attiene agli avvenimenti del sabato 21, il Tribunale esordisce richiamando la
deposizione del teste Prefetto Ansoino Andreassi, vice capo vicario della
Polizia, che aveva riferito: “La giornata
del sabato si annunciava difficile in particolare per quanto accaduto il giorno
prima. I problemi iniziarono già al mattino quando un elicottero vide un
furgone che distribuiva mazze e bastoni ai manifestanti. Mi arrivò poi una
telefonata dal capo della polizia che mi disse di affidare al dr. Gratteri (del
Servizio Centrale Operativo) l’incarico di dirigere la perquisizione alla
scuola Paul Klee, nel corso della quale vennero rinvenuti anche pezzi di
autoradio della polizia e vennero arrestate circa una ventina di persone”. “La direttiva di affidare l’incarico al dr. Gratteri preludeva a mio
parere a voler passare ad una linea più incisiva con arresti, per cancellare
l’immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e
devastazione. In questa linea, a mio parere, si pone anche l’invio del Pref. La
Barbera per dirigere le operazioni. La manifestazione era ormai terminata quando arrivò La Barbera verso le
ore 16. Ufficialmente il suo incarico era quello di contattare gli ufficiali di
collegamento stranieri per identificare gli arrestati stranieri, ma per questo
era già presente Luperi. Io pensai quindi che fosse stato inviato nell’ambito
della direttiva di cui ho detto. Il capo della polizia voleva che venissero
fatti dei pattuglioni, affidati non alla polizia locale, ma a funzionari della
squadra mobile e dello SCO. I
pattuglioni erano diretti a trovare ed arrestare i black - bloc. Io avevo molte
perplessità anche perché ritenevo che ormai le manifestazioni erano terminate e
che la popolazione era stufa di disordini, mentre i pattuglioni potevano
soltanto portare ad ulteriori disordini. Non manifestai peraltro le mie
perplessità, ma disposi in conformità”.
Ricorda il
Tribunale che anche il teste Antonio Manganelli, allora Direttore centrale
della Polizia Criminale, ha riferito le medesime circostanze.
Nel tardo
pomeriggio vennero quindi disposti i c.d. “pattuglioni”.
Enucleando un
primo tema oggetto di indagine istruttoria definito
Aggressione alla pattuglia in via Battisti
il Tribunale prosegue
riferendosi ancora alla deposizione del teste Andreassi:
“I pattuglioni vennero subito organizzati; quello
affidato al dr. Di Bernardini passò davanti alla Diaz e venne fatto oggetto di
un fitto lancio di bottiglie ed altri oggetti da parte di un numero consistente
di black – bloc, di persone cioè vestite di nero che gridavano: “Sono pochi,
diamogli addosso". Secondo quanto riferito dal dr. Di Bernadini e dal dr.
Caldarozzi, tale aggressione era stata talmente violenta che gli operatori
dovettero allontanarsi velocemente per non essere sopraffatti. Ricordo che un
mezzo era stato danneggiato; se a suo tempo esclusi di aver sentito qualcosa in
proposito, probabilmente il ricordo di oggi dipende da qualche evento
successivo”.
Argomenta al
riguardo il Tribunale che tale episodio, posto poi a fondamento della decisione
di procedere alla perquisizione della scuola Diaz (secondo quanto affermato
dagli imputati e dai testi presenti alle successive riunioni che si svolsero in
Questura), viene descritto da numerosi testi, ma in modo poco preciso e spesso
discordante.
Ed infatti, a
dire del Tribunale, tanto le dichiarazioni rese dai manifestanti, quanto quelle
degli agenti che si trovavano sui mezzi della polizia e di coloro che,
trovandosi sul posto, vi assistettero sono piuttosto confuse e in parte contraddittorie in ordine sia all’ora in cui sarebbe
avvenuto il passaggio della pattuglia, sia alla sua composizione, sia al numero
e alle reazioni dei presenti. Peraltro ritiene il Tribunale che “dal complesso delle dichiarazioni rese dai
testi, nonostante le già accennate divergenze e imprecisioni, può ritenersi
accertato che in effetti al passaggio della pattuglia della polizia, composta
da quattro veicoli di cui i primi due privi di insegne d’istituto, avvenuto
nella prima serata, vi fu una reazione piuttosto accesa da parte dei giovani
che si trovavano su via Battisti davanti alla Diaz, non solo verbale, con
grida, minacce e insulti, ma anche
con il lancio di almeno una bottiglia e qualche spinta e colpo al Magnum”. Conclude
al riguardo il primo giudice che tali fatti possono aver
indotto i dirigenti delle forze dell’ordine a ritenere che all’interno della
scuola non si trovassero soltanto manifestanti pacifisti, no global, vicini al
Genoa Social Forum, ma anche facinorosi e appartenenti al c.d. black bloc.
Il successivo tema di indagine è identificato dal
Tribunale come
Decisione di intervenire presso la scuola Diaz
A tale proposito
il Tribunale richiama le deposizioni del teste Colucci, all’epoca Questore di
Genova, del Pref. Andreassi e del Dott. Costantino, incaricato del supporto al
Pref. Andreassi: in una prima riunione alla presenza di Colucci, Andreassi, La
Barbera, Gratteri, Murgolo e forse Luperi, il dr. Caldarozzi ed il dr. Di
Bernardini dissero di essere stati aggrediti con un lancio di sassi durante il
passaggio della pattuglia davanti al complesso scolastico Diaz. I suddetti
dirigenti si interrogarono sul da farsi, e incaricarono il dr. Mortola, Capo
della DIGOS genovese, di recarsi sul posto per verificare la situazione al fine
di decidere se intervenire. Il dr. Mortola si recò sul posto in motocicletta,
passando davanti all’edificio e al suo ritorno disse che sul posto vi era una
situazione pesante: persone vestite di nero e con aspetto poco raccomandabile
ed aggressivo. Il dr. Mortola su indicazione di Colucci telefonò anche a Kovac,
che era il referente del GSF a cui il Comune aveva affidato la struttura
scolastica; Kovac disse telefonicamente che avevano abbandonato quella sede
perché era iniziato il deflusso e che non sapeva chi vi fosse entrato. Ciò
Kovac disse telefonicamente al dr. Mortola, che mentre parlava al telefono alla
presenza del Colucci ripeteva a voce alta il contenuto delle frasi pronunciate
dall’interlocutore.
Secondo il teste
Colucci proprio in base a tale risposta i partecipanti alla riunione decisero
l’intervento; se Kovac avesse detto che la scuola era ancora a loro
disposizione non sarebbero intervenuti, perché sarebbe stato un atto politicamente
controproducente. Nessuno espresse perplessità se non il dr. Mortola che temeva
le conseguenze dell’operazione, anche tenuto presente che ormai la
manifestazione era terminata. Nella riunione si decise quindi in pieno accordo
di intervenire per identificare gli aggressori e l’eventuale presenza di armi e
quindi di effettuare una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS).
Certamente Colucci era piuttosto condizionato dalla presenza dei vertici della
polizia; capì che l’intervento era ben gradito, ma ritenendosi da parte di
tutti che in effetti sussistessero i presupposti per disporlo, così venne
deciso.
Il Tribunale
esamina, quindi, la deposizione del teste Kovac coordinatore del GSF, il quale ha
confermato di aver ricevuto verso le 21,30 - 22 una telefonata dal dr. Mortola,
ma ha negato di aver detto che la situazione all’interno della scuola Pertini
(quella adibita ad accoglienza dei manifestanti per trascorrere la notte) non
fosse più sotto controllo. In particolare il teste affermava: “Coordinavo
l’organizzazione del GSF. Nella serata di sabato, mentre ero in piazzale
Kennedy, ricevetti verso le 21,30 - 22 una telefonata dal dr. Mortola, che mi
chiese come erano utilizzate le due scuole e chi vi si trovasse; dopo la mia
risposta, alla mia domanda di che cosa stesse succedendo, mi disse che un paio
di volanti erano state oggetto di un lancio di bottiglie vuote; insospettito,
gli dissi: “Non fate cazzate!” ed egli mi rispose: “Stai tranquillo”. Non ho
mai detto che la situazione all’interno della scuola Pertini non era più sotto
controllo; sul posto vi erano praticamente quasi tutti i rappresentanti e portavoce
del GSF, tra questi Massimo Morettini. Riferii anche che diverse persone che si
trovavano nei posti più colpiti dalla piogge, stadio Carlini, via Albaro,
Sciorba, si erano trasferite nella scuola Pertini. Cercai a lungo di capire se
nella prima telefonata con il dr. Mortola potessi aver detto qualcosa che
avesse potuto influire su quanto accaduto; mi sentivo responsabile per la mia
inazione dopo la telefonata, per non aver avvisato che poteva arrivare una
perquisizione; potevamo far venire giornalisti e parlamentari; mi rimproverai
di essermi fidato della parola del dott. Mortola”.
Valorizzando la
risposta “non posso…” data da Kovac
alla domanda del P.M. se poteva escludere di aver dichiarato a Mortola che la
situazione alla scuola Pertini non fosse più sotto il controllo del GSF, il Tribunale
argomenta sostanzialmente sulla inattendibilità del teste sostenendo che ben
difficilmente, dopo quanto accaduto, avrebbe ammesso in udienza di aver
manifestato a Mortola riserve sulla identificazione delle persone presenti
nella scuola; inoltre per il Tribunale il rincrescimento manifestato dal Kovac
per il dubbio di avere in qualche modo contributo involontariamente a
giustificare l’irruzione confermerebbe che qualche sua frase poteva essere stata
legittimamente interpretata dal Mortola come conferma che il GSF aveva perso il
controllo della scuola, come del resto desumibile anche dalla circostanza che
nell’edificio erano confluiti altri manifestanti provenienti da diverse zone della
città divenute inagibili per le piogge.
Ma per il
Tribunale rileva principalmente il fatto che la telefonata sia avvenuta, atteso
che la stessa non avrebbe potuto avere altro scopo logico e plausibile se non
quello di accertare se all’interno della Pertini si trovassero persone estranee
al GSF e da questo non controllate, verifica che, a detta del primo giudice,
doveva condurre a risposta positiva.
Nella riunione
in Questura viene dunque deciso l’intervento presso la Diaz, fortemente voluto
dal Pref. La Barbera e nonostante, assai probabilmente, le perplessità del
Questore Colucci e del dr. Mortola. Si telefonò a Donnini che disse che era disponibile la squadra speciale
del reparto mobile di Roma.
Intervenne, quindi, una seconda riunione con gli operativi; erano presenti Canterini,
comandante del I° Reparto Mobile di Roma in seno al quale era stato costituito
il VII° Nucleo Sperimentale Antisommossa, ed i Carabinieri, oltre ai
partecipanti alla prima riunione, ad eccezione del Pref. Andreassi. Secondo la
strategia elaborata in tale riunione, dovevano formarsi due colonne che
sarebbero giunte davanti alla scuola da opposte direzioni (una da nord e l’altra
da sud, con manovra “a tenaglia”); prima sarebbe intervenuto il VII Nucleo del dr.
Canterini per “mettere in sicurezza” l’edificio e quindi la Digos avrebbe eseguito
la perquisizione. I Carabinieri avevano il compito di controllare la zona con
idonea cinturazione. Il dr. Murgolo
aveva il compito di coordinare i diversi reparti.
Sempre secondo
quanto riferito dal teste Colucci, Canterini avrebbe voluto usare i lacrimogeni
per fare uscire tutti dalla scuola, ma il pref. La Barbera e lo stesso Colucci esclusero
tale opzione, indicando l’opportunità di un intervento più “tranquillo”.
Segue la
descrizione da parte del Tribunale della fase definita
Arrivo
delle forze dell’ordine presso il complesso scolastico Diaz
che viene
ricostruita nei seguenti termini:
Vengono formate
le due colonne che dovevano raggiungere la scuola. Secondo quanto riferito
dall’imputato Mortola (v. verbale s.i.t. 10/8/2001), le due colonne giunsero
insieme fino in via Saluzzo, da dove presero direzioni diverse: la prima si
diresse in via Trento e piazza Merani e la seconda in via Nizza, raggiungendo
quindi via Battisti rispettivamente da monte e da mare.
Le due colonne
si ricompattano davanti alla scuola: le persone che erano in cortile si
rifugiano all’interno, viene chiuso il cancello che invano la polizia cerca di
sfondare a spinta.
Nella fase di
avvicinamento al cancello del cortile della scuola Diaz - Pertini avvengono i primi
fatti violenti in danno di Francesco Frieri, consigliere comunale di Modena, ed
in particolare del giornalista inglese Mark Covell. Il Tribunale riporta passi
della deposizione di Covell “Abbiamo
cercato di rientrare nella Pascoli e così siamo usciti di corsa dalla Pertini:
venni circondato; io urlavo “stampa”, ma un poliziotto, sventolandomi davanti
il manganello, mi disse in inglese “tu non sei un giornalista, ma un black bloc
e noi ammazzeremo i black bloc…. Venni colpito ripetutamente da quattro poliziotti
con gli scudi, che mi spinsero indietro verso il muro di cinta della Pertini.
Cercai di correre verso il lato sud della strada ma non c’era modo di fuggire.
Venni colpito con i manganelli sulle ginocchia e caddi a terra. Un poliziotto
mi colpì alla spina dorsale e mi diede alcuni calci; quindi altri poliziotti si
unirono a picchiarmi provocandomi la frattura di otto costole e della mano. I
poliziotti ridevano e mi sembrava di essere un pallone da football a cui a
turno i poliziotti dovessero dare dei calci. Vidi un poliziotto che arrivava da sud e mi colpì nuovamente, questa
volta in faccia: persi diversi denti; subii poi un colpo sulla testa e svenni.”
Osserva il primo
giudice che tale violenta aggressione oltre ad essere stata filmata dal teste
Hamish Campbell viene descritta anche da altri testi, per cui non sussistono
dubbi sull’accaduto e sulle gravi lesioni riportate da Covell. Osserva peraltro
il Tribunale che dalle deposizioni dello stesso Covell e dei testi che hanno
assistito al fatto non è dato comprendere se l’aggressione sia stata compiuta
dalla Polizia, ed in tal caso da quale reparto, o dai Carabinieri.
L’arrivo delle
forze dell’ordine in via Battisti, le violenze nei confronti di Frieri e di
Covell, lo sfondamento del cancello, del portone centrale e poi di quello
laterale sinistro dell’edificio e l’ingresso dei primi agenti all’interno della
scuola risultano documentati nei filmati Rep. 234 e 239 p. 3, rispettivamente
ripresi dai testi Vincenzo Mancuso e Hamish Campbell.
Ma secondo il
Tribunale tali reperti non sono utili a verificare uno dei profili di accusa di
falso, quello incentrato sulla affermazione compiuta dai verbalizzanti secondo
la quale sarebbe intercorso un fittissimo lancio di oggetti.
Analizza il
Tribunale la deposizione del teste Aldo Mattei, consulente del P.M., il quale ha
affermato in proposito:
“Sono in servizio presso il RIS di Parma e
comando la sezione impronte e fotografie. … Abbiamo analizzato anche le scene
delle fasi dell’ingresso nella scuola, per verificare se vi sia stato lancio di
oggetti nei confronti del personale operante … Abbiamo focalizzato l’attenzione
sul personale nel cortile e su eventuali soggetti che potessero lanciare
oggetti dalle finestre. Vi sono dei limiti derivanti dalla distanza della ripresa,
oggetti di piccole dimensioni come monete e sassi non avremmo potuto vederli.
Dalle immagini non si vede lancio di oggetti di dimensioni maggiori. Non
abbiamo potuto vedere persone che lanciavano oggetti dalle finestre.
Dall’analisi del materiale a disposizione non è stato possibile vedere persone
che lanciavano oggetti, oggetti lanciati e soggetti colpiti da tali oggetti, né
se vi siano stati lanci. Abbiamo analizzato anche tutti i comportamenti di
soggetti evidenziabili presenti all’interno della scuola, non solo nel cortile,
ma sulla facciata, sulle varie finestre illuminate o meno per cercare di
evidenziare comportamenti che potessero essere testimonianza visiva di
comportamenti lesivi. Nella fase finale dell’ingresso si vedono gli scudi
levati in alto dagli operanti; in tale scena abbiamo evidenziato ogni
comportamento delle forze di polizia che potesse essere sintomo di lesioni
ricevute. Non abbiamo avuto esito, con le nostre tecniche non abbiamo
apprezzato oggetti che arrivassero su tale personale”.
Secondo il Tribunale
“Certo è che dalle immagini riprodotte
nei filmati e nelle foto appare evidente che soltanto dopo un certo periodo di tempo gli agenti
che si trovavano nel cortile in attesa di entrare attraverso il portone
principale, alzarono gli scudi e che gli operatori, che da detto portone si
portavano verso quello di sinistra, alzavano gli scudi sopra la testa
abbassandosi, come se la necessità di ripararsi si fosse in effetti determinata
nel corso dell’operazione. Tali immagini dunque, valutate
unitamente alle dichiarazioni di coloro che hanno affermato di aver visto il
lancio di oggetti, confermano che, anche se assai probabilmente non si trattò
di un lancio “fittissimo”, qualche oggetto dovette in effetti essere stato
lanciato contro le forze dell’ordine”. Il Tribunale
valorizza anche la deposizione del teste Galanti,
infermiere intervenuto alla guida della prima ambulanza giunta sul posto, il
quale ha riconosciuto la propria voce nella chiamata al 118 nella quale
avverte: “Stanno buttando giù tutto”.
E’ certo, dunque, per il Tribunale che tale affermazione, pronunciata
spontaneamente proprio mentre il fatto stava avvenendo e prima del sorgere di
ogni polemica e discussione in proposito, debba ritenersi del tutto
attendibile, anche se forse in parte ampliata dall’agitazione e dalla
preoccupazione del momento.
Prosegue il
primo giudice nella ricostruzione dei fatti osservando che le forze
dell’ordine, entrate nel cortile della scuola Diaz, si dirigono quindi verso i
due portoni, centrale e di sinistra, della scuola, entrambi chiusi, e di fronte
a quello centrale, barricato all’interno, si ammassano principalmente gli
agenti del VII Nucleo.
La descrizione
di questa fase è rimessa alle dichiarazioni rese dall’imputato Fournier, comandante
del VII nucleo, il quale ha riferito: “Quando
arrivammo stavano forzando il cancello del cortile della Diaz con un automezzo.
Vi era un gran numero di poliziotti; la situazione fu per me una sorpresa anche
perché io ritenevo si trattasse di irrompere in un magazzino o simile e non in
una scuola. La catena di comando si interruppe proprio per la confusione ed il
numero delle forze di polizia. Venne dato un ordine collettivo di procedere
all’apertura dei portoni. Venne quindi forzata un’anta del portone e i poliziotti
dei diversi reparti si accalcarono per entrare.
Vi erano numerosi dirigenti della Digos e di altri
reparti. Quale comandante della forza ritenni di entrare per verificare che
tutto procedesse regolarmente anche se formalmente la forza dipendeva dal funzionario.
Fu piuttosto difficile entrare per il numero delle persone che si accalcavano
all’ingresso. Penso che trascorse qualche minuto. Comunque entrai tra i primi,
ma probabilmente non come dissi settimo od ottavo. Mi pare che venne aperto
prima il portone centrale. Non so dire chi avesse il comando delle operazioni:
vi erano diversi funzionari che dirigevano: il pref. La Barbera, il dr. Luperi,
il dr. Gratteri, il dr. Murgolo.
Il nostro compito era praticamente di conquistare
l’edificio ed in particolare i piani alti, come avviene di regola in ogni
irruzione in immobili; non dovevamo partecipare all’operazione di cui non
conoscevamo gli scopi”.
Fatta questa
premessa, il Tribunale affronta il tema della sincronizzazione dei numerosi
materiali video ed audio raccolti la notte in questione, e della loro corretta
collocazione nel tempo; delle tre elaborazioni tecniche effettuate una dai RIS
per conto della Procura della Repubblica, una dal Dott. Roberto Ciabattoni per
conto delle parti civili, e la terza presentata dal difensore Avv. Corini, il
Tribunale privilegia le prime due, (sostanzialmente coincidenti) rispetto alla
terza, che sposta in avanti di 7 minuti tutti gli eventi ripresi. In base alle
prime due relazioni tecniche, il Collegio colloca l’arrivo delle forze di
polizia in Via Cesare Battisti alle ore 23.57.00, lo sfondamento del cancello
del cortile alle ore 23.59.10, e l’apertura del portone principale di ingresso
alla scuola Diaz-Pertini alle ore 00.00.19.
Segue la fase
denominata
Irruzione
nella scuola Diaz Pertini
Dopo aver richiamato
le deposizioni dei presenti all’interno della scuola (già precedentemente
esposte) il Tribunale deduce che: “Tali dichiarazioni,
sostanzialmente conformi, rese da soggetti di diverse nazionalità e lingue, in
situazioni che escludono la possibilità di un preventivo accordo e riscontrate
altresì dai certificati medici emessi da strutture pubbliche circa le lesioni
dai medesimi riportate, devono ritenersi del tutto attendibili, almeno in
ordine al complessivo comportamento delle forze dell’ordine, come del resto già
affermato dal GIP nel decreto di archiviazione emesso nei loro confronti. Le
divergenze riscontrabili in tali dichiarazioni, peraltro relative a particolari
secondari, sono sicuramente giustificabili con ricordi imprecisi dovuti
principalmente all’agitazione e alla tensione del momento. Deve in proposito
ricordarsi che si tratta pur sempre di persone o direttamente vittime delle
violenze o comunque a queste vicine e che una simile situazione, con numerosi
feriti che si lamentavano e macchie di sangue sparse su pareti e pavimenti, non
poteva non incidere sulla lucidità dei presenti e quindi sulla precisione dei
loro ricordi.”
Prosegue però il
Tribunale “Non può d’altra parte neppure
escludersi con assoluta certezza che qualche episodio di resistenza attiva sia
in effetti avvenuto. A parte invero le dichiarazioni rese in proposito dagli
imputati capi squadra e l’episodio narrato dall’Agente Nucera, di cui si dirà
in seguito, resta il fatto che diversi operatori delle forze dell’ordine
riportarono in effetti lesioni, seppure non gravi, come risulta dai certificati
del Pronto Soccorso.”
Aggressione
all’Agente Nucera
L’episodio di
resistenza più grave e più discusso riguarda l’aggressione con un coltello che
avrebbe subito l’agente Nucera, secondo quanto dal medesimo riferito.
In base alla
prima versione contenuta nella relazione di servizio in data 22/7/2001 il
Nucera riferiva:
“… Dopo aver sfondato la porta al grido di
“fermi polizia”, unitamente all’ispettore capo Panzieri, entravo per primo di
slancio nella stanza buia e mi trovavo improvvisamente di fronte ad un giovane
dell’altezza di circa m.1.70, del quale posso riferire solo che indossava una
maglia scura, il quale con urla indistinte mi
affrontava impugnando un coltello con la mano destra puntandomelo con il
braccio teso verso la gola. Servendomi dello sfollagente in dotazione, riuscivo
ad allontanare l’aggressore colpendolo al torace con la punta dello stesso ed a
farlo indietreggiare. Quest’ultimo tuttavia, con una mossa fulminea, mi colpiva
vigorosamente al torace facendo nel contempo un rapido salto all’indietro. I
colleghi che mi seguivano dappresso, tra cui lo stesso ispettore Panzieri,
intervenivano in mio ausilio e bloccavano lo sconosciuto dopo averlo atterrato.
Il medesimo veniva quindi immediatamente preso dagli altri colleghi e portato
al piano terra al punto di raccolta. Immediatamente dopo che la persona era
stata accompagnata fuori, grazie al riflesso della luce proveniente dal
corridoio, mi avvedevo, prima di uscire dalla stanza, che sul pavimento in
corrispondenza del punto dove si sono svolti i fatti sopra narrati, era
presente il coltello impugnato dalla persona che mi aveva affrontato e pertanto
lo raccoglievo.”
Nella seconda
versione dei fatti, resa nell’interrogatorio in data 7.10.2002, Nucera riferiva:
“… mi sono diretto al II° piano
dell’edifico, seguito da circa 4 o 5 colleghi che erano alla mie spalle.
Percorso il corridoio rapidamente ed osservate tutte le aule mi sono trovato di
fonte all’ultima aula, dopo una rientranza sulla destra, vicino ai bagni. La
porta era chiusa, si trattava di una porta di legno a due battenti. L’ho
sfondata io con un calcio e sono entrato per primo seguito a breve distanza dai
colleghi. Mi sono trovato in un’aula completamente buia. Nel corridoio invece
c’era abbastanza luce, nel senso che erano accese alcune lampadine, ma la gran
parte penetrava dall’esterno. All’interno dell’aula, a distanza di circa 2
metri, mi sono trovato di fonte una persona alta circa 1,70 m, di cui non sono
riuscito a distinguere bene il viso, sia perché era buio, sia perché indossavo
il casco protettivo che limita molto la visuale. Questa persona cominciò ad
urlare ma non sono riuscito ad intendere cosa perché forse parlava una lingua straniera
che non ho riconosciuto, nello stesso tempo tendeva il braccio destro verso di
me. A quel punto io l’ho affrontato colpendolo al torace con il corpo proteso
in avanti e impugnando il tonfa all’impugnatura con la mano destra e nella
parte lunga con il braccio sinistro. Ho avuto la sensazione però di essere
stato colpito anche io, forse proprio perché mi ero proteso troppo con il corpo
in avanti. La persona indietreggiando sempre con il braccio teso in avanti
stava per perdere l’equilibrio ed ha cercato a questo punto di aggrapparsi a
me, al mio braccio, senza riuscirvi, nel frattempo riuscendo però a sferrare un
altro colpo che mi raggiungeva sempre nella parte frontale. Cadeva infine a
terra e io nell’impeto l’ho scavalcato, dopodiché i miei colleghi lo hanno
immobilizzato, trascinandolo via e lo allontanavano del tutto. Avanzavo ancora
per qualche metro, esplorando la stanza che però si rivelava vuota, e ritornavo
indietro. Uscendo proprio nei pressi della porta, riuscivo ad individuare nel
luogo illuminato un coltello che era a terra; a questo punto ho pensato che
fosse l’oggetto con cui ero stato colpito”
L’Ispettore
Panzieri nel corso dell’interrogatorio reso in data 24/07/2003 non ha
confermato le sue precedenti dichiarazioni rese il 12/12/01, quale persona
informata dei fatti, ed ha dichiarato:
“ … Dopo aver controllato che su quel piano
tutto fosse in sicurezza, mi sono
diretto ai piani superiori, giungendo, ma non posso neppure questa volta
essere sicuro, al secondo piano, ovvero ad un piano superiore. Ricordo che con
me c’era Nucera ed un altro collega del reparto mobile che mi camminava a
fianco, ma non era del VII nucleo perché ricordo bene il suo cinturone bianco.
A questo piano è successo l’episodio che riguarda l’aggressione riferito da Nucera.
In sostanza, giunti a quel piano abbiamo percorso un lungo corridoio e in fondo
a questo … ci siamo trovati di fonte ad una porta a due battenti chiusa. In contemporanea, io e il Nucera
abbiamo dato un calcio alla porta aprendola e, appena entrati nella stanza lui
e il collega, ricordo di aver visto che si è fatta avanti puntando un braccio, ricordo una specie
di pugno, un’ombra che non saprei descrivere. Oltre a ciò non so riferire direttamente, perché sono
rimasto sulla soglia della porta, proprio sullo stipite, e mi sono allontanato
lasciando i colleghi, non ritenendo necessaria la mia presenza e presumendo
evidentemente che avessero avuto ragione dell’aggressore. Io mi sono recato
immediatamente ad un piano ancora superiore perché avevo sentito grida e rumori metallici ... Mi sono quindi
recato fuori dall’edificio ove il reparto era inquadrato sulla destra. Nei
pressi dell’ingresso, vicino alle scale, ho incontrato l’agente Nucera che
stava raccontando quanto gli era accaduto ad un caposquadra che non so
identificare. Mi sono avvicinato ed ho notato che aveva un vistoso taglio alla
giubba della divisa. Gli ho detto ‘ma guarda come ti sei combinato’ e lui mi
raccontò della aggressione subita e mostrò anche il coltello che aveva
rinvenuto. Non ricordo di aver visto il Nucera senza divisa in quella
circostanza né so se se la sia levata subito dopo”.
Al fine di
accertare la compatibilità tra i tagli rinvenuti sul giubbotto e la descrizione
del fatto resa dall’Agente Nucera, si era proceduto con incidente probatorio ad
effettuare una perizia, affidata al Prof. Torre, che aveva concluso affermando
la compatibilità dei tagli con la seconda versione dei fatti resa dal Nucera.
Sentito in dibattimento in contraddittorio con i consulenti del P.M. e delle
parti civili, il Prof. Torre confermava la sua valutazione.
Il Tribunale
argomentava che “Le conclusioni del
perito, ampiamente e logicamente motivate, appaiono fondate e non si ha dunque
alcun motivo per dubitare della loro fondatezza. Il Prof. Torre ha inoltre
risposto a tutte le contestazioni rivolte al suo operato sempre con logicità e
chiarezza ed ha altresì spiegato la mancata uniformità delle tracce sul
corpetto e sul giaccone, posta a fondamento delle contestazioni dei consulenti
di parte, con il fatto che i due indumenti non erano tra loro solidali, con la
conseguente possibilità che dette tracce non risultassero tra loro precisamente
corrispondenti”. A spiegazione della divergenza fra le due versioni, il
Tribunale opina che la prima versione resa dal Nucera venne da lui redatta
assai sommariamente nell’immediatezza del fatto, quando ancora poteva essere
confuso per quanto accadutogli e non del tutto consapevole della necessità di
essere particolarmente preciso nella descrizione dei fatti, data anche la sua
inesperienza in attività di polizia giudiziaria e di redazione di atti; e se il
mancato arresto e identificazione dell’aggressore potrebbero far ritenere
inveritiero l’episodio, tuttavia l’invenzione di una falsa aggressione, per di
più eseguita con un coltello e creandone anche le tracce, è apparsa al
Tribunale scarsamente logica e razionale: i due avevano scarso interesse
personale a creare false prove di una resistenza violenta, si sarebbe dovuto
ritenere che il Nucera fosse già in possesso del coltello poi sequestrato e che
nel breve tempo dell’irruzione, mentre numerosi suoi colleghi procedevano
nell’operazione, con la partecipazione del Panzieri o comunque alla sua
presenza, abbia avuto il tempo di colpirsi o farsi colpire, con i rischi anche
fisici che ciò poteva comportare, ovvero di togliersi la giacca ed il corpetto,
risistemarli insieme sul pavimento o su un tavolo, in posizione tale da
simulare che gli stessi fossero regolarmente indossati, e quindi di colpirli
con il coltello. In tale situazione secondo il Tribunale “non appare dunque possibile
ritenere provata con la dovuta certezza né la falsità dell’aggressione in esame
né il suo reale accadimento, mentre le conclusioni della perizia valgono soltanto ad affermare che detta
versione dei fatti non risulta smentita da elementi obiettivi.
La fase
successiva è denominata dal Tribunale
ed è ricostruita
nei seguenti termini:
Terminata la
“messa in sicurezza” dell’edificio ad opera degli appartenenti al VII nucleo,
iniziavano le operazioni di perquisizione da parte degli agenti con funzioni di
polizia giudiziaria. Tali operazioni sono descritte da coloro che si trovavano
all’interno della scuola come assai confuse, principalmente dirette a cercare
indumenti di colore nero ed eseguite senza in alcun modo avvertire i presenti
di quanto stava avvenendo nonché dei loro diritti e comunque con modalità tali
da non consentire il collegamento di quanto rinvenuto ai singoli proprietari; la conformità delle dichiarazioni rese da tutti i testi induce a
ritenerle sostanzialmente attendibili, come già ritenuto dal Tribunale circa le
violenze subite.
All’esito della
perquisizione vennero comunque sottoposti a sequestro numerosi reperti tra cui,
a parte le due bottiglie molotov di cui si dirà in seguito, diversi coltelli,
sia di tipo svizzero (dieci), sia a serramanico (sette), sia da cucina
(quattro), sia multiuso (due), due mazze da carpentiere, tre mazze di ferro, un
piccone, un tubo Innocenti ricurvo, maschere antigas (quattro complete di protezione
per gli occhi ed undici prive di tale protezione), otto maschere da sub,
tredici occhialetti da piscina, tre caschi da motociclista e due da cantiere,
cinque passamontagna ed un cappello di lana neri, sei parastinchi, quattro
ginocchiere, undici protezioni fisiche artigianali di plastica resistenti, uno
striscione nero con scritte inneggianti alla resistenza globale seguite da una
stella a cinque punte, sessanta magliette nere di cui diverse con scritte
inneggianti alla resistenza e alla violenza contro lo Stato, quindici
pantaloni, sedici giacche, diciassette giubbotti, cinque sciarpe, quattro
cappelli tipo zuccotto, tutti di colore nero. Per quanto attiene agli attrezzi
di tipo edile, il Tribunale dava atto che l’edificio scolastico era in
ristrutturazione e che in un locale chiuso a chiave erano in effetti custoditi
diversi attrezzi, come riferito dai testi Del Papa e Gaburri i quali peraltro
non avevano riconosciuto come a loro appartenenti tutti gli attrezzi
sequestrati.
Quindi viene
introdotto il capitolo
che riveste
fondamentale importanza nel processo.
I reperti di
maggior rilievo menzionati nei verbali di sequestro e di arresto sono
costituiti da due bottiglie molotov, rinvenute per il primo verbale “nella sala d’ingresso ubicata al piano
terreno” e per il secondo verbale “al
piano terra in prossimità dell’entrata”, ma in realtà trovate dal Vice
Questore Pasquale Guaglione nei pressi di corso Italia, durante la
manifestazione e gli scontri avvenuti nel pomeriggio del 21. Viene riportata la
deposizione del Dott. Guaglione “I due
ordigni li trovai quasi alla fine del servizio in corso Italia, mi pare
all’altezza di via Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione… Riconosco in quelle visibili nella foto (All. 2 Rogatoria Firenze)
quelle che io ritrovai… il collo era incappucciato
da una pellicola trasparente che lo copriva; odorandole emettevano un forte
odore di benzina. La prima persona a cui feci vedere le molotov fu il mio
autista, Vito Giandomenico, a cui
dissi, non so perché: ‘Queste mi faranno perdere la promozione!’; poi per
quanto ricordo le feci vedere al dr. Piccolotti e quindi al dr. Donnini a cui
le consegnai e che le pose sul suo fuoristrada”.
Rileva il primo
giudice che le dichiarazioni del dr. Guaglione hanno trovato conferma in quelle
rese dai testi Vito, Piccolotti e Donnini.
Le due bottiglie
molotov, consegnate al dr. Donnini, vengono dunque riposte sul sedile
posteriore all’interno del Magnum, il cui autista, secondo quanto da
quest’ultimo riferito, era Burgio:
su tale identificazione dell’autista il Tribunale è certo sia per il
riconoscimento operato dal Donnini al dibattimento, sia per il fatto che il Magnum in questione risultò in quel giorno
affidato al Burgio. Il Magnum ed il suo autista Burgio vengono filmati in piazza
Merani praticamente dall’inizio dell’operazione presso la scuola Diaz sino
circa a mezzanotte e trenta; i fotogrammi estrapolati dal filmato ad opera del
RIS eliminano ogni possibile dubbio circa l’identificazione del Burgio
nell’agente con il casco visibile nei pressi del portone centrale sulla
sinistra. Per il Tribunale, dunque, se si tiene presente che le bottiglie
molotov erano state riposte sul Magnum condotto dal Burgio, che detto veicolo
era affidato al Burgio e non poteva quindi essere utilizzato da altri, appare
evidente che il Burgio era l’unica persona che avrebbe potuto trasportare le
predette bottiglie dal Magnum al cortile della Diaz. Osserva ancora in
proposito il Tribunale che il Burgio non avrebbe avuto altri motivi, e comunque
non ne ha indicato alcuno, per recarsi nel cortile della Diaz, abbandonando il
veicolo di cui aveva la responsabilità e dal quale dunque non avrebbe dovuto in
alcun caso allontanarsi.
Successivamente
il Tribunale passa in rassegna le dichiarazioni rese dall’imputato dott.
Troiani:
1) dichiarazioni rese il 1/7/2002, quale persona informata dei fatti, e
integralmente richiamate e confermate nel successivo interrogatorio del
9/7/2002: l’autista Michele Burgio, mi si avvicina e mi dice che in macchina o
nelle immediate vicinanze o per terra vicino alle macchine sono state trovate,
non si sa da chi, due bottiglie molotov; io ho portato queste bottiglie subito
a Di Bernardini che si trovava nel cortile e me ne sono subito andato via … io
a Di Bernardini ho detto che i miei le avevano trovate nel cortile della scuola
o sulle scale d’ingresso del portone. Mi rendo conto della mia leggerezza; ma il mio problema in quel momento
era solo quello di “liberarmi” di quelle bottiglie e riferire a chi avrebbe
dovuto redigere atti di PG;
2) Nell’interrogatorio del 9/7/2002 precisava: ritengo invece che sia stato
Burgio a portarmele. Io ricordo di essere stato nel cortile, dove c’erano anche
alcuni funzionari … Prendo altresì atto che Burgio avrebbe dichiarato alla AG
di aver ricevuto una mia telefonata con la quale gli avrei richiesto
testualmente di “portare quelle cose”. Nego di aver rivolto questo invito;
ammetto di averlo chiamato per telefono … confermo di aver detto a Burgio di
portarmi le bottiglie … quello che ora posso ricordare meglio è che io dissi a
Di Bernardini che sul mezzo c’erano queste bottiglie, cioè che mi avevano
riferito dell’esistenza di queste bottiglie e Di Bernardini mi disse allora di
portargliele, credo ci fosse anche Caldarozzi davanti. Quando le ho portate e mi ha chiesto dove fossero state trovate ho detto
che erano state trovate nel cortile o nell’immediatezza delle scale d’ingresso.
Questa è stata la mia leggerezza, e me ne rendo conto, per volermene sbarazzare
e non fare un verbale di sequestro
3) Il 30/7/2002 il Troiani si avvaleva della facoltà di non rispondere ed
infine il 31/5/2003 dichiarava:“… Le
bottiglie le porta Burgio, arrivando a piedi, con il sacchetto in mano … Dissi
al dott. Di Bernardini che mi era stato riferito dai miei uomini che tra la
strada ed il cortile e comunque in quei pressi, più o meno nel cortile, erano
state rinvenute delle bottiglie. Mai ho fatto riferimento alla possibilità che
fossero state rinvenute all’interno della scuola”
Secondo il Tribunale
le dichiarazioni, in verità piuttosto confuse ed in parte contraddittorie, rese
da Troiani provano comunque la sua partecipazione al trasporto e all’arrivo
delle bottiglie molotov alla scuola Diaz; tali dichiarazioni, così come quelle
rese dagli altri prevenuti, secondo quanto disposto dall’art. 513, comma 1,
c.p.p., non sono peraltro utilizzabili nei confronti né del Burgio né degli
altri imputati, che non hanno prestato il loro consenso all’utilizzo nei loro
confronti dei verbali precedenti acquisiti a seguito del rifiuto del Troiani di
sottoporsi ad esame dibattimentale.
Quindi per il
Tribunale la ricostruzione del percorso compiuto dalle bottiglie molotov e di
quanto compiuto in proposito da coloro che vennero in contatto con le stesse
risulta assai difficoltoso e non accertabile con la dovuta sicurezza. In base
alle dichiarazioni rese da Di Bernardini, Caldarozzi, Mortola e Gratteri, in
parte imprecise e contraddittorie, può soltanto ritenersi provato che dette
bottiglie giunsero infine a Luperi, il quale venne infatti filmato, in gruppo
con Caldarozzi, Canterini, Mortola, Murgolo e Gratteri, mentre teneva in mano
un sacchetto di colore azzurro, evidentemente contenente le bottiglie in
questione. Il Luperi a sua volta ha riferito di aver avuto le bottiglie da Caldarozzi
e di essere stato informato da Mortola che il ritrovamento era avvenuto all’interno
della scuola; quindi avrebbe affidato le molotov alla dott.ssa Mengoni della
Digos di Firenze perché provvedesse a custodirle data la loro pericolosità; smentisce
il dott. Fiorentino secondo il quale egli avrebbe riferito di averle consegnate
ad un agente della polizia scientifica. La Mengoni conferma la consegna da
parte del Luperi, dice che non sapeva come custodire le molotov, di aver perso
i contatti con i propri colleghi e di aver il cellulare scarico; incontra un
collega della DIGOS di Napoli del quale non ricorda il nome e, poggiato il
sacchetto con le molotov a terra subito dopo l’ingresso a sinistra, chiede al
collega di rimanere a presidiare il sacchetto mentre lei si allontanava a cercare
i suoi collaboratori. Tornata non trovava più né il collega né le molotov, e rivede
poi le bottiglie posizionate sullo striscione nero allestito con tutti i
reperti sequestrati; in prossimità
dello striscione c’era il dr. Pifferi che fece quindi raccogliere tutti i
reperti, dicendo a tutti di allontanarsi, perché la situazione all’esterno
stava diventando insostenibile.
Il Tribunale
giudica tali dichiarazioni imprecise e forse anche in parte illogiche,
considerato che la Mengoni aveva avuto l’incarico di custodire reperti
pericolosi e che il Dott. Pifferi ha riferito che la posa dello striscione ove
collocare i reperti era avvenuta con l’aiuto della Mengoni stessa, ma conclude
osservando che “Non sussistono peraltro
elementi concreti che possano provare l’assoluta inattendibilità di quanto
riferito dalla teste, anche tenuto presente lo scarso interesse da parte sua ad
elaborare una versione dei fatti non veritiera e le incerte motivazioni che
potrebbero averla indotta a farlo. Non può del resto neppure escludersi, in
assenza di prove contrarie concrete, che il contrasto con quanto riferito dal
dr. Pifferi sia attribuibile ad un erroneo ricordo, dell’uno o dell’altra, e
che l’eccezionalità della situazione in cui si trovava e l’agitazione del
momento abbia potuto in effetti indurre la dr.ssa Mengoni ad affidare le
bottiglie molotov ad un funzionario da lei conosciuto soltanto di vista”; e ancora
“Non è comunque
chiaro come tali bottiglie siano giunte e siano state infine disposte, peraltro prive del sacchetto di plastica
azzurrino, sullo striscione.” Infine il Tribunale richiama
la successiva vicenda della sparizione e distruzione delle molotov, oggetto di
valutazione in altro procedimento, sostenendo che non può assumere alcun
rilievo nel presente giudizio, atteso che detti reperti erano stati ampiamente
fotografati ed esaminati cosicché la loro materiale disponibilità non appariva in
alcun modo necessaria ai fini della loro individuazione e riconoscimento.
Il Tribunale
passa quindi a descrivere la fase della
Redazione
atti di perquisizione e di arresto
Dopo il
trasferimento dei reperti presso i locali della Questura, ne inizia la
catalogazione e nello stesso tempo inizia altresì la redazione dei verbali di
perquisizione e sequestro e di arresto nonché della notizia di reato da
trasmettere alla Procura.
L’imputato
Dominici ha riferito in proposito: “…
Mortola mi riferì che il dr. Caldarozzi per redigere il verbale di arresto
aveva mandato a Bolzaneto Ciccimarra, Gava e Ferri, i quali avevano bisogno di
notizie sulle persone portate agli ospedali. Gli agenti della Digos e dello SCO
nel frattempo stavano redigendo i verbali di perquisizione negli uffici della
Digos e vi era anche il problema di redigere la notizia di reato da trasmettere
al magistrato; telefonai quindi al dr. Schettini dicendogli di preparare
insieme al dr. Gallo la notizia di reato, rivolgendosi per redigerla alle
persone che materialmente avevano partecipato all’operazione”.
Tali operazioni
sono descritte dai testi Gallo ,Schettini ,Conte e Riccitelli.
Il teste
Salvemini ha dichiarato:
“Abbiamo identificato i nove firmatari del
verbale di perquisizione e sequestro: Panzieri, Nucera, Gava, Ferri, Aniceto,
Cerchi, Di Novi, Mazzoni e Di Bernardini. Gli stessi hanno sottoscritto anche
il verbale di arresto: sono state identificate altre cinque firme, Mortola,
Dominici, Di Sarro, Caldarozzi e Ciccimarra, mentre resta non identificata la
quindicesima”.
Il compito di
redigere materialmente la notizia di reato venne dunque affidato dal dr.
Dominici a Gallo e Schettini; gli imputati Ferri, Gava e Ciccimarra compilarono
a Bolzaneto il verbale di arresto
mentre presso la Questura l’imputato Mazzoni redigeva almeno in parte il
verbale di perquisizione e sequestro.
Un capitolo ulteriore del processo è rappresentato
dalla
Irruzione nella scuola Pascoli
essendo pacifico
che forze di polizia fecero ingresso anche nell’edificio adibito alla scuola Pascoli,
che fronteggia la scuola Pertini.
Tale edificio,
concesso dal Comune al Genoa Social Forum, era strutturato nel modo seguente:
Al piano
seminterrato aveva sede, nella palestra, la sala stampa;
Al primo piano
erano situati l’infermeria, e le aule ove erano sistemati il Mediacenter, sede della redazione
dei giornali e della carta stampata, nonché la sala avvocati;
Al secondo piano
erano collocati gli uffici di Radio Gap e la redazione de “Il Manifesto”,
“Carta”, “Liberazione”.
Al terzo piano
aveva sede Indymedia.
Nella notte tra
il 21 ed il 22 luglio 2001 l’ingresso delle forze dell’ordine all’interno della
Scuola Pascoli ebbe luogo poco dopo l’irruzione nella Scuola Pertini.
Il teste dr.
Salvemini, che svolse indagini successive, accertò che alcuni uomini che fecero
ingresso nell’edificio appartenevano a diverse Squadre Mobili: otto di Genova
al comando del dr. Dominici, venti di Roma al comando del dr. Di Bernardini,
quattro di La Spezia al comando del dr. Ferri, sette di Nuoro al comando del
dr. Gava. Il gruppo di Nuoro entrò per ultimo e non incontrò ostacoli perché i
colleghi già entrati in precedenza avevano fatto sistemare i presenti lungo le
pareti; quando la parlamentare Mascia intervenne per far sospendere
l’operazione parlò con il responsabile che era il Dott. Gava.
La tesi sostenuta
dalle difese è che l’ingresso nella scuola Pascoli sia avvenuto per sbaglio, in
quanto tale edificio non era interessato all’operazione di perquisizione: il
personale intervenuto non conosceva il luoghi, seguiva i colleghi di Genova,
non sapeva neppure che ci fossero due scuole, poteva essere stato tratto in
inganno dalla targa sulla scuola Pascoli con scritto “Scuola elementare Armando
Diaz”. Secondo testi presenti gli agenti battevano i manganelli sui tavoli per
spaventare, rifiutavano di dare spiegazioni della condotta o dicevano di non
aver bisogno di mandati: fecero preparare i documenti di identità che però poi
non esaminarono.
Secondo i testi
a difesa non avvenne alcuna perquisizione, i residenti furono lasciati
tranquilli e liberi di usare i cellulari, alcuni continuarono a cenare anche
offrendo il pranzo ai poliziotti, in un clima di serenità che il Tribunale
sostiene confermato da un filmato agli atti. Venne invitato il giornalista di TG
3 Chartroux: notò gran confusione, “evidenti segni di una attività che aveva provocato rovesciamento, caduta, rottura di varie cose”, computer a terra, computer e dischi “fracassati”, ma non assistette ad atti di coercizione ad opera delle Forze dell’Ordine.
A nessuno fu vietato, al suo cospetto, di muoversi; i presenti erano seduti
lungo il corridoio, non sembravano soddisfatti di trovarsi in quella posizione,
ma non veniva loro intimato di non muoversi. Fu permesso di parlare con la
troupe della RAI.
Fra le persone
che si trovavano al secondo piano, soltanto il teste Fletzer, giornalista
pubblicista, in quei giorni collaboratore de “Il Manifesto”, ha dichiarato di
essere stato vittima della violenza della Polizia. Si era portato in una stanza
all’inizio delle scale, erano quindi arrivati i poliziotti, che, rimasti
indifferenti dinanzi al cartellino ed alla casacca gialla, in dotazione ai giornalisti,
gli lanciarono una panca sul capo e lo colpirono con i manganelli, gettandolo a
terra. Il cellulare cadde e si aprì, ma Fletzer riuscì a ricomporlo ed a
proseguire le concitate conversazioni con i vari interlocutori, fra cui il
presidente dell’Ordine dei giornalisti di Genova, Lugli, ed altre persone cui
raccontava quanto stava accadendo. Il giornalista venne nuovamente colpito
dagli stessi uomini in divisa blu scuro.
In ordine a tali
violenze non è stata formulata alcuna imputazione, perché gli autori non furono
identificati.
Dopo circa 30 - 40
minuti intervenne l’on. Mascia quindi Gratteri, accortosi dell’erronea presenza
nella scuola, tramite Ferri disse a Gava di abbandonare l’edificio.
Diversa fu
invece la condotta tenuta da appartenenti alla Polizia di Stato nei locali in
uso al Mediacenter ed agli avvocati, sempre al primo piano della Pascoli.
Bria Francesca
racconta che, mentre assisteva dalla finestra all’avanzata della Polizia verso
la Pertini, sentì rumori provenire dal basso, poi irruppero alcuni poliziotti,
taluni in uniforme, altri in borghese con pettorine. Urlavano: “Giù per terra! faccia a terra!”. La
teste li vide rompere un computer e
colpirne altri. Fu percossa con un
manganello. I presenti vennero poi condotti nel corridoio ed obbligati a
rivolgersi verso il muro. Dopo una decina di minuti fu ordinato di sedersi per
terra. Arrivarono infine gli On. Mascia e Morgantini che protestarono,
chiedendo se la Polizia fosse autorizzata ad entrare nella scuola.
Stesso racconto
ha reso Galvan Fabrizio, il quale fu colpito da una cassa acustica, mentre i
poliziotti sfasciavano i computer, e Lenzi Stefano, il quale non trovò più il
suo telefono, quando rientrò nell’aula. Più drammatica è la ricostruzione dei
fatti di Minisci Alessandro, perché, oltre a descrivere con maggiori dettagli i
gesti di devastazione che attribuisce ad un numero da cinque a otto poliziotti,
dichiara che essi chiedevano
urlando dove fossero armi e droga. Riferisce inoltre di un colpo inferto da uno
di loro ad un giovane. Minisci stesso venne schiaffeggiato da un poliziotto.
All’On.
Morgantini, che si trovava sempre al primo piano, fu consentito di telefonare.
Quando uscì nel corridoio vide giovani in ginocchio rivolti verso il muro. Si
recò nella stanza dei legali ove notò che tutti i computer sulla sinistra erano
rotti.
Appartenenti
alla Polizia di Stato salirono anche al terzo piano, ove aveva sede Indymedia;
secondo il teste Trotta Marco i poliziotti
battevano con i manganelli; quando entrarono, intimarono ai presenti di
disporsi nel corridoio con le parole: “Tutti
a terra!”; zittivano chi, qualificandosi giornalista, ne chiedeva la
ragione. In particolare uno di loro puntò il manganello contro un giovane, di
cui successivamente il teste apprese il nome: Huth Andreas. Alle sue proteste,
lo portò via. Perquisirono le aule, raccogliendo materiale in scatoloni che
lasciarono nel corridoio. Ha raccontato
Hayton che, colto dal panico, scese forse al primo piano, ove vide la Polizia
trattare bruscamente alcune persone e colpire con un manganello una che
protestava; il collega Neslen protestò,
fu picchiato con un manganello e portato via; Neslen cercò di confortare una
giovane colta da crisi d’asma, ma fu redarguito dall’urlo di un poliziotto che
lo prese per il collo e lo trascinò lungo le scale. Lo colpì al fianco col
manganello. Alla domanda del perché, Neslen fu nuovamente colpito.
Luppichini e Valenti erano nella sala video del
terzo piano con Raffaele Vizzuti, Andrea Masu e Sara Menafra, giornalista del
Manifesto, quando videro la Polizia arrivare in via Battisti, sfondare il
cancello della Pertini, colpire le persone. Effettuarono riprese filmate, che
dovettero interrompere quando arrivò la Polizia nella Pascoli. La Polizia raggiunse il terzo piano, intimò loro di uscire nel corridoio
e sedersi per terra. Quando si allontanò, Valenti rientrò nella stanza, ritrovò
la sua telecamera priva della videocassetta contenente le riprese filmate. Non
ebbe notizia del sequestro. Riconobbe la videocassetta come propria durante le
indagini preliminari.
Forte e Messuti
videro poliziotti che portavano alcune videocassette; la teste Halbroth ebbe l’impressione che la Polizia portasse via
videocamere o macchine fotografiche. Gli agenti Bassani, Pantanella e Garbati della Digos di Genova, che
avevano visto qualcuno effettuare riprese, non riuscirono ad identificare il
soggetto ma presero i filmati, che portarono in Questura e consegnarono a loro
colleghi insieme ad altro materiale.
Plumecke e Huth
erano insieme in una stanza al terzo piano e stavano seguendo alla finestra
quanto accadeva in via Battisti: un poliziotto, armato di manganello, ordinò di andare in corridoio con
atteggiamento minaccioso; Huth reagì,
osservando che erano giornalisti. L’altro lo minacciò col manganello,
pronunciando parole in lingua italiana. Sopraggiunse un altro poliziotto,
afferrò Huth, lo colpì tre volte al viso, pronunciò parole di minaccia, lo
spinse verso le scale, gli torse un braccio provocandogli dolore, lo costrinse
in un angolo appartato dove nessuno poteva vedere, lo scosse e gli strappò la
pettorina gialla. Infine lo condusse nel seminterrato, ove lo obbligò ad
inginocchiarsi e si allontanò. Le indagini volte all’identificazione
dell’appartenente alla Polizia di Stato, autore delle percosse nei confronti di
Huth, portarono alla sua identificazione: Huth indicò con certezza Fazio Luigi.
La ricognizione di persona, eseguita con le forme dell’incidente probatorio, ha
dato altresì esito assolutamente positivo, poiché il riconoscimento da parte
della persona offesa è stato del tutto certo.
Atti di
turbolenza avvennero altresì nella stanza avvocati del primo piano ed
isolatamente altrove ebbero luogo anche condotte violente nei confronti delle
persone presenti nell’edificio scolastico.
Le immagini catturate
con fotografie e video costituiscono ulteriore conferma dei danneggiamenti alle
apparecchiature informatiche. La dr.ssa Spagnolli, dirigente del Comune di
Genova, ha dichiarato che tali apparecchiature furono acquistate dall’ente
pubblico al prezzo complessivo di circa 500 milioni ed erano state messe a
disposizione del GSF all’interno della scuola elementare. La domenica
successiva a mezzogiorno il funzionario comunale suddetto si recò nella scuola
Pascoli per prenderne visione e riscontrò che i computer in funzione al primo
piano erano stati gravemente danneggiati: sembrava fossero stati colpiti “a
randellate” Non sono state identificate
le persone fisiche autrici degli atti vandalici sul materiale informatico,
compiuti soltanto nella sala avvocati del primo piano della scuola Pascoli.
Ritiene il Tribunale:
“Benché alcuni testimoni abbiano riferito
di avere sentito o anche visto appartenenti alla Polizia di Stato accanirsi su
tali apparecchiature e quindi possa ritenersi che almeno qualche gesto sia loro
attribuibile, si può dubitare che una programmata attività di distruzione e
soprattutto di asportazione di pezzi possa essere ricondotta soltanto alla
brutale e dissennata azione dei poliziotti. La rimozione degli hard - disk è
infatti un’operazione che richiede competenza, attrezzi idonei e tempo
sufficienti e non può avvenire semplicemente distruggendo il “case”. Non si
comprende inoltre perché la violenza distruttiva si sia accanita proprio e solo
sui computer in uso agli avvocati, nella cui memoria è presumibile fossero
immagazzinati dati delicati, che le Forze dell’Ordine, impegnate nella ricerca
di pericolosi sovversivi, non avrebbero invece avuto interesse a sopprimere….Resta
dunque il dubbio che semplici agenti o sottufficiali di Polizia abbiano potuto repentinamente e
precipitosamente procurare tutti i danni riscontrati al materiale informatico
ovvero impossessarsi degli hard – disk, anche tenuto presente che ben
difficilmente avrebbero potuto sapere quali fossero i computer in uso ai legali…”
.-.-.-.-.-
In relazione ai
fatti come sopra riassunti dal Tribunale, le imputazioni formulate dalla
pubblica accusa, e compiutamente formalizzate nei capi di cui all’intestazione,
possono essere sintetizzati per semplificazione nel seguente modo:
GRATTERI Francesco e LUPERI Giovanni
CAPO A): falso
aggravato perché partecipando con funzioni di controllo e di comando in
concorso tra loro e con il Prefetto La Barbera Arnaldo, direttore dell’Ucigos,
nonché con gli Ufficiali ed Agenti di P.G., materiali redattori e/o sottoscrittori
degli atti trasmessi all’A.G. (relazioni di servizio, verbali d’arresto,
perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato) in relazione
all’arresto di Albrecht Thomas ed altre novantadue persone che venivano
denunciate per i delitti di associazione per delinquere finalizzata alla
devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, attestavano fatti e circostanze
non corrispondenti al vero: in concreto determinavano e inducevano gli Agenti ed Ufficiali di PG presenti,
alcuni dei quali loro diretti sottoposti, materiali redattori e sottoscrittori
degli atti sopra indicati, ad attestare falsamente:
di aver
incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita in un
fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre dell’istituto
per impedire l’ingresso delle forze di polizia;
di aver
incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte degli
occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia,
armati di coltelli ed armi improprie;
che quanto
rinvenuto all’interno dell’istituto - e costituito da mazze, bastoni, picconi,
assi, spranghe ed arnesi da cantiere - era stato utilizzato come arma impropria
dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di resistenza sopra
descritti, e comunque che era nella disponibilità e possesso degli arrestati;
di aver
rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto
perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, così
attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli
occupanti l’edificio;
CAPO B) artt.110, 368,
comma I e II, 61 n. 2, 81 cpv c.p. perché incolpavano, sapendolo innocente, ciascuno dei predetti indagati per i
delitti loro ascritti (i.e. associazione a delinquere finalizzata alla
devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie), simulando tracce od elementi materiali di prova a carico
delle stesse persone incolpate,
procedendo al sequestro come corpi di reato di numerosi oggetti (fra cui
16 coltellini multiuso ed a serramanico, attrezzi provenienti in larga parte
dal cantiere esistente presso l’istituto, barre metalliche costituenti supporti
di zaini estratte nell’occasione) strumentalmente descritti e qualificati come
armi improprie utilizzate dagli indagati o nella loro disponibilità, oltre che
di due bottiglie Molotov provenienti da luogo esterno all’istituto e comunque
diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento nei verbali di
perquisizione e di arresto.
.-.-.-.-.
CALDAROZZI Gilberto MORTOLA Spartaco DOMINICI
Nando FERRI Filippo CICCIMARRA Fabio DI SARRO Carlo MAZZONI
Massimo DI NOVI Davide CERCHI Renzo:
CAPO C) Del delitto di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. falso aggravato in
relazione alle attestazioni così come descritte al capo A), e comunque, benché
consapevoli della non corrispondenza dei fatti descritti nei verbali di arresto
e di perquisizione e sequestro e nelle informative di reato a quanto nella
realtà accaduto, non si opponevano in tutto o in parte alla falsa
rappresentazione in tali atti contenuta;
infine i
sottoscrittori del verbale di perquisizione falsamente attestavano la
circostanza che durante tale operazione “gli occupanti erano stati resi edotti
della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”.
CAPO D) delitto p. e
p. dagli artt.110, 368, comma I e
II, 61 n.2 c.p., 81 cpv c.p. così come formulato al capo B).
.-.-.-.-.
Luperi, Gratteri,
Caldarozzi, Ciccimarrra, Ferri, Mazzoni, Cerchi, Di Novi, Di Sarro, Mortola, Dominici
CAPO E) Delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p., perché pervenivano alla decisione e, conseguentemente, eseguivano
l’indiscriminato arresto in flagranza di tutte le persone trovate al momento
all’interno del medesimo edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, per
i reati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al
saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni
esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza di elementi che giustificassero l’adozione
di tale misura nei confronti di ciascuna delle predette persone, pur indicando
titoli di reato che astrattamente avrebbero consentito l’arresto ad iniziativa
della P.G., così intenzionalmente cagionando alle stesse un danno ingiusto
consistito nella privazione della libertà personale:
- deliberatamente omettendo di
attribuire a ciascuno il possesso dei vari reperti che venivano posti in sequestro e
considerati elementi di prova a carico di tutti gli arrestati,
- strumentalmente qualificando reperti come
armi improprie in possesso illegale
degli arrestati;
- deliberatamente omettendo di specificare le circostanze concrete
dell’arresto di Mark Covell, fermato e gravemente ferito da operatori di
Polizia non identificati
all’esterno dell’edificio, in fase addirittura antecedente alla
irruzione e quindi alla ipotizzata commissione dei reati di resistenza
aggravata e violenza a pubblico ufficiale, ovvero le circostanze in cui altri
soggetti venivano arrestati, alcuni al di fuori dell’edificio, altri colti nel
sonno, comunque nella evidente situazione di estraneità quantomeno ad azioni di
resistenza;
- dolosamente omettendo di considerare circostanze in fatto concretamente
valutabili e quelle sopra indicate che avrebbero comportato comunque l’obbligo
di disporre l’immediata liberazione degli
arrestati in particolare l’assoluta non riferibilità a tutti ed a
ciascuno della flagrante commissione dei reati contestati.
.-.-.-.-
CANTERINI
Vincenzo:
CAPO F) Del reato di
cui agli artt., 110, 61 n. 2, 479 c.p. perché, in concorso con le persone
menzionate ai capi A), C),
partecipando in veste di comandante del VII Nucleo Sperimentale appartenente al
I° Reparto Mobile di Roma della Polizia di Stato, all’organizzazione e alla
conseguente esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma ex art. 41
R.D. 18 giugno 1931 n. 773, nella relazione personalmente sottoscritta ed
allegata al verbale di arresto trasmesso alla A.G. attestava falsamente che gli
appartenenti al Nucleo e Reparto dal medesimo comandato:
-
incontravano violenta resistenza da parte degli occupanti, consistita in
un fittissimo lancio di pietre e bottiglie dalle finestre dell’istituto per
impedire l’ingresso delle forze di polizia;
-
incontravano resistenza opposta anche all’interno dell’istituto da parte
degli occupanti, che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di
polizia, armati di coltelli, bastoni ed armi improprie, alcune delle quali
rinvenute in tali circostanze;
CAPO G) delitto p. e
p. dagli artt.110, 368, comma I e
II, 61 n. 2, 81 cpv c.p. così come formulato al capo B)
.-.-.-.-.-
CANTERINI Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI
Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI
Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo
CAPO H) Delitto p. e
p. dagli arrt. 110, 40, 81 cpv., 61 n. 9, 582, 585, 583 c.p. perché, nelle
rispettive qualità di comandante, vice comandante e capi squadra del VII Nucleo
del 1° Reparto Mobile di Roma, nel corso della operazione di perquisizione procuravano
lesioni personali, anche gravi, a 79 degli arrestati
.-.-.-.-.-
NUCERA
Massimo
CAPO I) Del delitto di
cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2
c.p. perché redigendo
annotazione di servizio in cui descriveva il proprio operato durante
l’intervento di irruzione all’interno dell’edificio scolastico Diaz Pertini sito in Genova Via Battisti
falsamente attestava di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata
vibrata all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della
divisa indossata e al corpetto protettivo interno
CAPO L) Del delitto di
cui agli artt. 368, comma I e II,
110, 81 c.p.v , 61 n. 2 c.p. come
descritta al Capo B) realizzata in particolare nella annotazione di servizio a
sua firma, trasmessa in allegato alla predetta comunicazione di notizia di
reato, nella quale incolpava, sapendola innocente, persona non identificata ma
compresa tra i predetti indagati, del delitto di tentato omicidio in suo danno
.-.-.-
PANZIERI
Maurizio
CAPO M) Del delitto di
cui agli artt. 479, 110, 61 n. 2 c.p. in qualità di ispettore capo, aggregato al VII Nucleo del I° Reparto
Mobile di Roma della Polizia di Stato, in concorso con l’agente Nucera falsamente attestava di aver
assistito ad un episodio in cui l’agente Nucera sarebbe stato
accoltellato
CAPO N) Del delitto di
cui agli artt. 368, comma I e II, 110,
81 cpv, 61 n. 2 c.p. come al capo L.
.-.-.-
TROIANI Pietro
CAPO O) Del delitto di
cui agli artt. 110, 368 c. 1 e 2 c.p. perché, in concorso con le persone
indicate nel capo B) e con l’assistente Burgio Michele commetteva la calunnia
descritta al capo B) mediante la consegna ai colleghi che cercavano armi delle
bottiglie molotov che sapeva essere state ritrovare altrove.
CAPO P) delitto p. e
p. dagli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre 1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e 9 c.p. per avere, al fine di commettere
il delitto di cui al capo che precede e nella qualità ivi menzionata, in
concorso con l’assistente Burgio Michele, detenuto e portato illegalmente in
luogo pubblico due bottiglie incendiarie tipo “molotov”, da considerarsi arma
da guerra
.-.-.-
BURGIO Michele
CAPO Q) Del delitto
di cui agli artt. 110, 368 c. 1 e
2 c.p. come la al capo O)
CAPO R) Del delitto di
cui agli artt. 2 e 4 L. 2 ottobre 1967 n. 865, 110, 61 n. 2 e 9 c.p. come al
capo P)
.-.-.-
GAVA Salvatore
CAPO S) del reato di
cui agli artt. 609, 615 c.p., 61 n. 2 c.p. per aver eseguito perquisizione
arbitraria domiciliare e personale nel complesso scolastico denominato “Diaz –
Pascoli“ con contestuale arbitraria e violenta apprensione delle cose mobile
rinvenute (tra l’altro, apparecchi telefonici portatili, macchine fotografiche,
videocamere, rullini, videocassette, parti interne di personal computers).
CAPO T) del reato di
cui agli artt. 110, 40, 610, 61 n. 9 cp perché, in concorso con soggetti
non identificati e non impedendo l’evento, costringeva con
minaccia - consistita nell’urlare
ordini in tal senso, brandendo i manganelli in dotazione - gran parte degli
occupanti l’edificio a
sedersi, inginocchiarsi o anche
sdraiarsi a terra e a mantenere tale posizione per almeno mezz’ora.
CAPO U) del reato di
cui agli artt. 110, 40, 635 c. 1 e c. 2 n. 3 in relazione all’art. 625 n. 7, 61
n. 9 c.p. perché, in concorso con soggetti non identificati e
non impedendo l’evento, distruggeva e rendeva inservibili
(spaccandoli a colpi di manganello e scaraventandoli a terra) alcuni personal
computers ed alcuni apparecchi telefonici di proprietà del Comune di Genova.
CAPO V) del reato di
cui agli artt. 110, 40, 314 c.p. perché, in concorso con
soggetti non identificati e non impedendo l’evento, si appropriava degli hard-disk dei personal computers di proprietà del
Comune di Genova
.-.-.-
FAZIO Luigi
CAPO Z1) del reato di
cui agli artt. 581, 61. n. 9 cp perché – strattonandolo, piegandogli un braccio
dietro la schiena e colpendolo con delle manate al volto – percuoteva Huth
Andreas
.-.-.-
nel PROC. Riunito N. 5045/05
R.G. TRIB, N. 8341/04 GIP, n. 14525/01 NR
DI BERNARDINI
1)
(già capo C) della Richiesta
di rinvio a Giudizio: del delitto di
cui agli artt. 110, 61 n. 2, 479 c.p. falso come descritto al CAPO C);
2) (già capo D) della Richiesta di rinvio a Giudizio: del delitto p. e p. dagli artt.110, 368, comma I e II, 61 n.2 c.p., 81 cpv
c.p. calunnia come descritta al CAPO B);
3) (già capo E)
della Richiesta di rinvio a Giudizio: del delitto p. e p. dagli artt. 110, 323 c.p per l’indiscriminato arresto in
flagranza di tutte le persone trovate al momento all’interno del medesimo
edificio o ritenute comunque occupanti lo stesso, per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla
devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie, in macroscopica assenza
di elementi che giustificassero
l’adozione di tale misura
.-.-.-
PROC. riunito N.
1079/08 Dib, n. 6115/05 GIP, 2774/04 NR
TROIANI PIETRO
del delitto di cui agli artt. 110, 479 c.p. perché, avendo consegnato per il tramite
dell’assistente Burgio da lui all’uopo diretto due bottiglie incendiarie del
tipo c.d. Molotov, consentiva che ne fosse evidenziata da parte
degli estensori e sottoscrittori dei verbali di arresto e di perquisizione e
sequestro la disponibilità in capo agli occupanti l’edificio in cui era in atto
la perquisizione, con la falsa attestazione nei predetti atti del rinvenimento
delle bottiglie incendiarie nel contesto descritto, all’interno della scuola
perquisita
GAVA Salvatore:
del reato di cui
all’art. 479 c.p. per avere in qualità di Commissario Capo della Polizia di
Stato aggregato alla Questura di Genova, attestato, in maniera non conforme al
vero, sottoscrivendo il relativo verbale di perquisizione e sequestro di aver
“proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della scuola Diaz
sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi, strumenti di
offesa ed altro materiale”;
.-.-.-.-.
Pur avendo già
anticipato alcuni giudizi e valutazioni del materiale probatorio raccolto, il
Tribunale prosegue la redazione della sentenza con il capitolo intitolato
VALUTAZIONE DELLE RESPONSABILITÀ
Operazione presso la scuola Diaz Pertini
Il Tribunale
esclude la tesi radicale sostenuta da alcune Parti civili secondo la quale i
fatti oggetto del processo sarebbero la conseguenza di una ben precisa scelta operativa
assunta dai vertici della Polizia, qualificabile come una sorta di “spedizione
punitiva”.
Quanto alla tesi
della pubblica accusa secondo la quale “le
giustificazioni addotte dagli imputati circa il contesto di guerra evocato
dalle immagini degli atti vandalici operati da gruppi di contestatori avrebbero
reso esplicita una logica del nemico che ha caratterizzato l’agire delle forze
di polizia e che colora di rappresaglia i propositi investigativi e repressivi
concepiti alla base della disgraziata operazione, sia pur in astratto legittimi”,
la stessa, secondo il Tribunale, potrebbe trovare fondamento nel fatto che “le violenze all’interno ed anche all’esterno
della scuola Diaz risultano compiute non da sporadici operatori spinti da
attacchi d’ira momentanei, bensì da un gran numero di agenti, appartenenti non
solo al VII nucleo di Roma ma anche ad altri reparti” “sia nelle dichiarazioni di diverse vittime circa la sistematicità delle
violenze e dei colpi inferti, sia in particolare in quanto riferito dal Pref.
Andreassi circa l’intervenuto mutamento della situazione e la volontà di
“passare ad una linea più incisiva, con arresti, per cancellare l’immagine di
una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e devastazione”.
Ma, osserva il
Tribunale, “la sistematicità nelle
violenze poste in essere dagli operatori potrebbe anche essere attribuita alla
sensazione riportata dalle vittime che, colpite più volte e con notevole forza,
come risulta dalle gravi ferite riportate da alcune di loro, potrebbero in
effetti aver avuto la concreta e certamente giustificata percezione di
un’attività violenta sistematica, anche nel caso in cui in realtà si fosse
trattato invece di sequenze di colpi non programmate con precise finalità e
modalità.”
“E’ certo che lo svolgimento di tutta l’operazione
e le violenze poste in essere possono costituire, come già rilevato, un indizio
quanto meno del carattere di “rappresaglia” dell’operazione, ma deve anche
riconoscersi che un indizio anche grave non può valere quale valida prova di un
fatto.”
Secondo il primo
giudice i dirigenti non avrebbero convocato i giornalisti, ciò che invece hanno
fatto in quanto convinti che l’operazione avrebbe avuto successo e avrebbe
portato all’arresto di black-bloc (ed in tale ottica il primo giudice considera
irrilevante la vicenda relativa all’imputazione per falsa testimonianza a
carico di Colucci conseguente al cambio di versione circa l’iniziativa di
convocare Sgalla, Direttore dell’Ufficio Pubbliche Relazioni; se anche fosse
stato il Capo della Polizia De Gennaro a disporne la convocazione, come
riferito da Colucci in un primo tempo, ciò sarebbe stato determinato “dalla convinta generale aspettativa del suo
successo con l’individuazione e l’arresto dei responsabili delle devastazioni e
saccheggi dei giorni precedenti.”)
Secondo il
Tribunale alla luce delle denunce dei cittadini, del sopralluogo di Mortola, della
telefonata a Kovac e dell’aggressione al pattuglione, del tutto
giustificatamente venne ritenuto che nella scuola si potessero trovare
appartenenti al black bloc, responsabili delle devastazioni e saccheggi
avvenuti nei giorni precedenti, e quindi che vi potessero essere anche le armi,
proprie o improprie, dai medesimi utilizzate. Quindi, reputa il primo giudice, la perquisizione venne
disposta in presenza dei presupposti di legge. Ciò che invece avvenne non solo
al di fuori di ogni regola e di ogni previsione normativa ma anche di ogni
principio di umanità e di rispetto delle persone è quanto accadde all’interno
della Diaz Pertini.
Si interroga il
Tribunale su quale tipo di resistenza violenta avrebbero potuto porre in essere
ad esempio Elena Zuhlke (che riportò, tra l’altro, la frattura di diverse
costole con pneumotorace) di corporatura certamente assai esile, di fronte agli
agenti di ben più notevole corporatura ed in divisa antisommossa e, che
probabilmente con un solo braccio avrebbero potuto immobilizzarla, o su quale
resistenza attiva e violenta avrebbe potuto porre in essere Arnaldo Cestaro (di
anni 62) per costringere gli operatori a reagire, provocandogli la frattura
dell’ulna e del perone; e conclude che risulta evidente, come del resto
dichiarato da tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola Diaz
Pertini, che la violenza posta in essere dalle forze dell’ordine non fosse,
almeno nella maggioranza dei casi, diretta a superare specifici atti di
resistenza; rileva il Tribunale come non vi è in atti alcuna prova di generali
e diffusi atti di resistenza violenta posti in essere nei confronti delle forze
dell’ordine, ma semmai soltanto di alcuni isolati episodi, quale quello che
vide coinvolto l’agente Nucera o quelli riferiti dai capi squadra e da qualche
operatore.
Anche tali
singoli atti violenti comunque non avrebbero potuto giustificare l’uso della
forza in modo indiscriminato nei confronti di quasi tutti coloro che si
trovavano nella scuola, ma nei soli confronti di coloro che si fossero
violentemente opposti alle forze dell’ordine.
Quanto avvenuto
in tutti i piani dell’edificio scolastico con numerosi feriti, di cui diversi
anche gravi, tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la
situazione ad una “macelleria messicana”,
appare al Tribunale di notevole gravità sia sotto il profilo umano sia sotto
quello legale.
La scelta della
pubblica accusa circa la richiesta archiviazione delle imputazioni nei
confronti dei possibili esecutori materiali delle violenze, evidentemente
determinata dalle difficoltà incontrate nella loro individuazione, secondo il
primo giudice non ha sicuramente favorito l’accertamento delle singole
responsabilità.
Fatto questo
inquadramento generale in ordine alle violenze compiute all’interno della
scuola Diaz Pertini nelle immediatezze dell’irruzione, passando ad esaminare il
capo di imputazione H) relativo alle lesioni, il Tribunale ritiene:
“ non del tutto incredibile che l’inconsulta esplosione di
violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia
quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da
provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo
all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale
nonché dell’addestramento ricevuto; deve d’altra parte anche riconoscersi che
una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso
nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell e di Frieri, sia
immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori
salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione
plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna
conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi
che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece
certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea,
presupponga la consapevolezza da
parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque
non li avrebbero denunciati. Il fatto che nessuno non
solo dei capi squadra, ma anche dei singoli operatori presenti all’interno
della Diaz mentre erano in corso le violenze, abbia denunciato quanto avvenuto,
pur avendone l’obbligo come espressamente previsto dall’art. 361 c.p., conferma
la validità di quanto osservato.”
Prosegue il
Tribunale: ”dunque coloro che con
responsabilità di comando avessero assistito anche solo ad alcune delle
violenze poste in essere dagli agenti, avrebbero dovuto necessariamente essere
ben consapevoli che il loro comportamento omissivo non solo consentiva la
prosecuzione delle violenze, ma confermando la validità dell’accordo di non
denunciare gli eccessi di violenza posti in essere dai loro sottoposti, ne
rafforzava la convinzione dell’impunità e di conseguenza il proposito
criminoso.
Non va altresì dimenticato che tra gli operatori del
VII Nucleo era attivo un collegamento radio mediante un “laringofono”, cosicché
tutti ed in particolare i capi squadra, presenti con i loro uomini ad ogni
piano, avevano in ogni momento la possibilità di parlare con i colleghi. Il
loro silenzio costituiva dunque un’evidente acquiescenza a quanto stava
accadendo e veniva certamente percepito come tale da tutti coloro che erano
radiofonicamente collegati.
Gli imputati pertanto, che, entrati nell’edificio
durante il periodo in cui le violenze vennero poste in essere, ebbero la
possibilità di rendersi conto di quanto stava accadendo, vanno ritenuti
responsabili in concorso tra loro del reato di lesioni in danno di tutte le
vittime di tali violenze, senza alcuna distinzione tra i fatti cui avevano
assistito direttamente e quelli avvenuti in altre parti della scuola, dato che
sia l’accordo di cui si è detto sia il loro comportamento omissivo valsero
certamente a rinforzare il proposito criminoso e ad agevolare il comportamento
violento di tutti.”
In ordine agli
altri fatti accaduti all’interno della scuola, il Tribunale ritiene:
il lancio di oggetti
e l’aggressione all’agente Nucera non si possono escludere;
quanto alla falsità
relativa alla presenza delle molotov, gli elementi valorizzati dell’accusa
(incongruenze e reticenze, presenza del sacchetto in mano al Luperi alla
presenza di altri, la comparsa dei reperti senza il sacchetto, la mancata
menzione degli stessi nella
conferenza stampa di Sgalla, le differenti collocazioni dei reperti nei verbali
di arresto, perquisizione e notizia di reato) costituiscono pur sempre semplici indizi per di più non univoci. La confusione e
l’agitazione di quei momenti, secondo il primo giudice, ha reso i ricordi di singoli avvenimenti e dei particolari imprecisi, confusi e
lacunosi Circa il colloquio avvenuto
nel cortile deve d’altra parte riconoscersi che la presenza di alcuni imputati
riuniti a parlare con Luperi, mentre quest’ultimo tiene in mano il sacchetto
con le bottiglie molotov, non può sicuramente valere a provare con la dovuta
certezza che in tale momento si stesse concordando di affermarne il falso
ritrovamento all’interno della scuola, pur conoscendone la provenienza da altro
luogo. L’omissione di qualsiasi
riferimento alle bottiglie molotov nella conferenza stampa del dr. Sgalla, può
a sua volta apparire in effetti piuttosto strana, trattandosi di un reperto
assai significativo e decisivo, come già rilevato, ma non può evidentemente
essere ascritta con certezza alla consapevolezza della sua non genuinità.
Prosegue il Tribunale ritenendo poco probabile che tutti i partecipanti al
colloquio si siano messi d’accordo; le prove false avrebbero potuto essere
formate in Questura e non presso la Diaz ove era più pericoloso; il Luperi non
avrebbe girato con il sacchetto in mano con il rischio, verificatosi, di venire
ripreso dai cineoperatori presenti.
In conclusione,
sebbene il Tribunale si renda conto che è difficile attribuire tutto al solo
Troiani, tuttavia opina che in assenza di qualsiasi diversa concreta prova non
sia consentito avanzare altre ipotesi, che, pur certamente possibili,
resterebbero comunque prive di riscontri probatori certi, e debba quindi
accettarsi quanto riferito in proposito dallo stesso dr. Troiani.
.-.-.
Passando
all’esame delle imputazioni di falso, il Tribunale osserva:
La prima
relazione circa i fatti avvenuti presso la scuola Diaz venne inviata dal dr.
Canterini al Questore e venne da lui redatta circa due ore dopo (si tratta
dell’atto che Canterini stesso ha qualificato “due righe al Questore”): secondo
il Tribunale non contiene le espressioni indicate nel capo di imputazione: la resistenza incontrata viene definita “vigorosa” e non “violenta”, viene
indicato che “dall’alto piovevano oggetti contundenti ed in particolare
bottiglie di vetro” e non che vi fu un “fittissimo lancio di pietre e
bottiglie”; si afferma che gli operatori salendo ai piani superiori avevano
incontrato “ugualmente resistenza” ma non si indicano “violente
colluttazioni” da parte degli
occupanti. Comunque rileva il Tribunale “Il
dr. Canterini dunque nel redigere la relazione in esame non descrisse quanto
realmente avvenuto e comunque a sua conoscenza, ma nell’omettere alcuni fatti e
nel riportarne altri in modo generico ed anche sviante per chi la leggeva,
forniva una rappresentazione degli eventi del tutto difforme dalla realtà, con
l’evidente finalità di favorire gli agenti che avevano commesso gli eccessi e
le violenze, cercando di assicurarne l’impunità, secondo l’accordo tra loro
esistente, più sopra posto in evidenza, e per un malinteso senso dell’onore
dell’istituzione”
Diversa la
decisione invece per gli imputati che sottoscrissero la notizia di reato ed i
verbali di perquisizione e sequestro e di arresto. Per il Tribunale non risulta in alcun modo provato che gli imputati dei
reati di falso e di calunnia, ad eccezione di Canterini, siano entrati nella
Diaz durante l’operazione di “messa in sicurezza”, ma soltanto in pratica dopo
che Fournier aveva richiamato i suoi uomini per radunarli nel cortile, come
risulta dalle dichiarazioni delle stesse vittime delle violenze; prosegue,
pertanto, ”Non può dunque escludersi, e
comunque non risultano acquisite prove certe di diverso tenore, che i citati
imputati non si siano resi conto di quanto in effetti era accaduto”. “È certo che il numero dei
feriti e la gravità di alcuni di loro avrebbe dovuto almeno suscitare qualche
perplessità circa quanto accaduto ed indurre ad approfondire i fatti, ma è
anche vero che la situazione che si era determinata dopo giorni di violenze e
sostanzialmente di “guerriglia urbana” con lanci di molotov e numerosi feriti,
era ormai tale che nulla era più in grado di stupire o di essere giudicato
secondo criteri logici e normali”; ed ancora “non può escludersi che i redattori degli
atti in esame ed i sottoscrittori, fossero convinti dell’esistenza di un certo
legame ed accordo tra tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola,
già resisi responsabili di atti di resistenza nell’opporsi all’ingresso della
polizia, e di conseguenza dell’attendibilità dei colleghi, per di più pubblici
ufficiali, che descrivevano quanto avvenuto, nonché del fatto che l’elevato
numero dei feriti potesse in effetti essere determinato dai violenti atti di
resistenza avvenuti all’interno della scuola”
Quanto al CAPO
E) relativo all’abuso d’ufficio, anche riqualificato come arresto illegale ex
art. 606 c.p., come richiesto dal P.M., il Tribunale ritiene che “non risulta comunque provato con la dovuta
certezza l’abuso da parte degli imputati dei poteri inerenti alle loro funzioni,
atteso che come si è già rilevato, non può escludersi, in base agli elementi
probatori acquisiti, che ritenessero in effetti sussistente un certo legame ed
accordo anche associativo tra tutti coloro che si trovavano all’interno della
scuola”.
In ordine al
profilo di falsità relativo alla affermazione che durante l’operazione “gli
occupanti” sarebbero “stati edotti della facoltà di farsi assistere da altre
persone di fiducia”, il Tribunale rileva che si tratta certamente di una
espressione normalmente presente in tutti i verbali del tipo in esame, assai
probabilmente di stile e preventivamente predisposta, e di cui certamente i
redattori non si sono curati di accertare l’effettiva rispondenza al vero,
ritenendola non essenziale e di scarso rilievo, anche tenuto presente che nella
situazione concreta gli agenti non erano tenuti a dare tale avvertimento. Infatti
secondo il primo giudice erano già in corso atti di resistenza cosicché gli
agenti agivano in flagranza di reato e, come affermato dalla Suprema Corte, “l'avviso al soggetto sottoposto a
perquisizione domiciliare della facoltà di farsi assistere o rappresentare è
previsto ove la perquisizione sia effettuata dall'autorità giudiziaria, mentre
tale formalità non è richiesta per le perquisizioni operate dalla polizia
giudiziaria nella flagranza del reato, salva la facoltà del difensore di
assistervi senza diritto di essere preventivamente avvisato” (Cass. Sez.
VI, n. 2001 del 22/05/1995 - dep. Il 26/07/1995, Mazzanti, in CED Cass.
Rv. N. 202590). La presenza di una simile affermazione, secondo il Tribunale, “può dunque ritenersi dovuta ad una semplice
leggerezza o disattenzione e non può pertanto assumere alcun rilievo in ordine
al contestato reato di falso.”
Compiute tali
valutazioni di ordine generale, il Tribunale passa a valutare le
SINGOLE POSIZIONI
Secondo la tesi
accusatoria avrebbe rivestito insieme con il dr. Gratteri funzioni di comando
quale funzionario di grado più elevato presente sul posto dopo il Pref. La
Barbera, dunque “figura apicale del
comparto della polizia di prevenzione cui fanno capo gli operatori della DIGOS
territoriali”.
L’imputato nel
corso delle sue dichiarazioni spontanee ha contestato la posizione
attribuitagli ed ha affermato che era stato nominato alla Direzione della
Prevenzione come Consigliere ministeriale aggiunto con compiti specifici di
studio e ricerca.
Esclusa
l’ipotesi di un “complotto”, per il Tribunale non può ritenersi provato che Luperi
abbia assistito alla fase iniziale dell’aggressione e agli atti di violenza e
non può escludersi che, come da lui stesso dichiarato, possa aver ritenuto che
gli agenti stessero terminando una legittima operazione volta a superare un
atto di resistenza. Non può altresì
neppure ritenersi provato che Luperi si sia accorto della presenza di Covell in
terra sulla destra del cancello, perché c’era confusione.
Quanto alla vicenda
delle bottiglie molotov il Collegio richiama quanto in precedenza osservato circa
l’impossibilità di ritenere provato con la dovuta certezza che Luperi fosse
consapevole della provenienza di dette bottiglie e del fatto che non fossero
state rinvenute all’interno della scuola.
In tale
situazione probatoria l’imputato, in base al disposto dell’art. 530, comma 2,
c.p.p., è stato assolto dai reati ascrittigli con la formula “perché il fatto
non sussiste”.
Gratteri Francesco
Anche nei
confronti di Gratteri per il primo giudice valgono le stesse osservazioni sopra
riportate per Luperi, nonché quanto già osservato in ordine ai reati a
quest’ultimo ascritti.
Il Tribunale non
ritiene possibile, in base agli elementi acquisiti, provare con la dovuta
certezza che il dr. Gratteri abbia potuto rendersi conto di quanto era
realmente avvenuto all’interno della scuola Diaz nei minuti precedenti al suo
ingresso, né che fosse a conoscenza delle reali modalità dell’aggressione
subita da Covell, della provenienza delle molotov e dell’innocenza degli
arrestati. Anche tale imputato viene dunque assolto in base al disposto
dell’art. 530, comma 2, c.p.p. dai reati ascrittigli con la formula “perché il
fatto non sussiste”.
Circa la sua
responsabilità in ordine ai reati ascrittigli (falso, calunnia e lesioni) il
Tribunale richiama le valutazioni già espresse in precedenza: l’imputato entrò
nella scuola quando ancora le violenze erano in corso e cioè prima che Fournier
intimasse di smettere e non solo non intervenne in alcun modo per farle
cessare, né denunciò quanto aveva visto, ma omise anche qualsiasi accenno in
proposito nella sua relazione. Tale comportamento omissivo costituisce conferma
dell’esistenza di una sorta di accordo tra i dirigenti e gli agenti del VII
nucleo, volto a garantire l’impunità di questi.
In ordine al
capo d’imputazione sub H) viene esclusa la responsabilità dell’imputato in
ordine alle lesioni in danno di Heglund Cecilia, che ha affermato di non essere
stata colpita.
In ordine ai
capi F) e G) il primo giudice esclude la responsabilità dell’imputato in ordine
a quanto da lui riferito circa gli atti di resistenza avvenuti mentre la
polizia si trovava all’esterno dell’edificio scolastico nonché in ordine alla
contestazione relativa al possesso di congegni esplosivi da parte di coloro che
si trovavano nella scuola, richiamando quanto rilevato in precedenza, e cioè
che qualche oggetto dovette essere stato lanciato contro gli agenti che si
trovavano nel cortile della Diaz, cosicché quanto riferito dal dr. Canterini
circa il lancio di oggetti contundenti e di bottiglie, anche se rinforzato
dall’espressione “piovevano”, non può ritenersi connotato da assoluta falsità.
Infine rileva il Tribunale che nella relazione in esame il dr. Canterini non ha
riferito alcunché circa le bottiglie molotov (ma, si deve osservare, nessuna
contestazione al riguardo è stata formulata nei confronti di Canterini).
Considerato reato
più grave il falso, ritenute le attenuanti generiche per l’incensuratezza e la
situazione di stress, circostanze valutate equivalenti alla contestata
aggravante, la pena base è stata determinata dal Tribunale in anni 1 e mesi 4
di reclusione, aumentata per la continuazione con i reati di calunnia e lesioni,
a loro volta implicanti continuazione interna con riferimento ai plurimi reati
in danno di ciascuna delle parti lese, alla misura finale di anni 4 di
reclusione, massima misura applicabile in forza del vincolo del triplo imposto
dall’art. 81 c.p..
Tale pena è
stata dichiarata condonata nella misura di anni 3; alla condanna è conseguita
la pena accessoria della interdizione temporanea dai Pubblici uffici.
Secondo il Tribunale
l’imputato, comandante del VII Nucleo, entrò nella scuola Diaz attraverso il
portone centrale, subito dopo il suo sfondamento, per cui non è possibile che,
una volta all’interno della scuola, non si sia reso conto di quanto stava
accadendo e delle violenze che avvenivano al piano terreno nel locale adibito a
palestra; se si tiene conto della complessiva durata di dette violenze, e cioè
del tempo trascorso tra l’ingresso delle forze dell’ordine ed il grido “Basta,
basta”, pur ammettendo che l’imputato sia entrato non tra i “primissimi” ma
comunque tra i primi, non è invero possibile che nei minuti trascorsi non abbia
visto ciò che stava avvenendo. Lo stesso
Fournier ha ammesso di aver notato, seppure “con la coda dell'occhio in quei momenti di trambusto”, che al piano terreno “c'era una persona anziana che era stata
picchiata.” Fournier, dunque, diede ai suoi uomini l’ordine di uscire e
gridò: “Basta!” soltanto dopo aver visto le gravi condizioni in cui versava la
Jonasch, che gli fecero temere la possibilità di eventi di particolare gravità.
Osserva ancora il primo giudice che l’ordine di uscire dall’edificio venne
sentito ed eseguito da tutti i suoi uomini, circostanza che conferma il
costante collegamento tra gli appartenenti al VII Nucleo ed il fatto che il
precedente silenzio da parte di Fournier, mentre le violenze venivano commesse
in tutti i piani della scuola, non poteva valere che come conferma dell’accordo
esistente di non denunciare eventuali eccessi commessi durante l’operazione.
Viene, pertanto,
affermata la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli sub
H), sempre con l’eccezione circa le lesioni in danno di Heglud Cecilia, che ha
escluso di essere stata colpita. Ritenute sussistenti circostanze attenuanti generiche,
prevalenti sulle contestate aggravanti, sia per la incensuratezza sia in
considerazione della situazione di stress e di stanchezza in cui maturarono i
fatti sia perché Fournier fu l’unico ad intervenire per far cessare le
violenze, anche se poi omise di denunciarle, la pena base è stata determinata
in anni 1 per le più gravi lesioni in danno di Lena Zhulke, ridotta di un terzo
ex art. 62 bis c.p. ed aumentata sino al triplo per la continuazione, giungendo
alla misura finale di anni 2 di reclusione; alla condanna è conseguita la pena
accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena.
Infine sono stati concessi i doppi benefici.
I Capi Squadra e Basili Fabrizio
Dalle stesse
dichiarazioni rese dagli imputati e dalle loro relazioni di servizio, osserva
il primo giudice, risulta che in effetti gli agenti del VII Nucleo entrarono
tra i primi, partecipando altresì direttamente allo sfondamento dei portoni centrale e laterale e si distribuirono quindi in
tutto l’edificio salendo ai piani superiori. Pertanto non è possibile che detti imputati non si siano almeno resi conto di
quanto realmente stava accadendo e delle violenze che venivano poste in essere
nei confronti di coloro che si trovavano all’interno della scuola; diversi imputati riferirono di aver assistito in effetti ad episodi di
violenza compiuti da personale diverso dal VII Nucleo, precisando di avere essi
stessi aiutato alcuni dei giovani, ma ciò secondo il Tribunale è irrilevante in
quanto era loro preciso obbligo intervenire immediatamente per fare cessare
ogni violenza ingiustificata.
Nessun dubbio
dunque nutre il Tribunale circa la responsabilità di detti imputati in ordine
al reato loro ascritto.
Agli stessi sono
riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante in considerazione
sia della incensuratezza, sia della situazione di stress e di stanchezza in cui
maturarono i fatti, e la pena base di
anni uno di reclusione per il più grave reato di lesioni in danno di Lena
Zhulke, aumentata sino al triplo per la continuazione, conduce alla pena finale
per ciascuno di anni 3 di reclusione; tale pena è stata interamente condonata;
infine è stata applicata la pena accessoria della interdizione dai pubblici
uffici per la durata della pena.
Troiani Pietro – Burgio Michele
Ribadisce il Tribunale
che l’unico fatto emerso con la dovuta certezza in ordine alle bottiglie
molotov in oggetto, oltre alla loro provenienza, è il loro trasporto ad opera
di Burgio dal Magnum a lui affidato alla scuola Diaz su indicazione di Troiani.
Reputa il collegio di primo grado che l’ordine rivolto a Burgio da Troiani
sarebbe stato così evidentemente illegittimo da poter essere percepito come
tale da chiunque, e che di conseguenza Burgio non avrebbe in alcun modo dovuto
eseguirlo. Quale logica conseguenza osserva il Tribunale che il falso
ritrovamento delle bottiglie molotov presso la scuola Diaz comportava
necessariamente l’attribuzione del loro possesso a coloro che si trovavano
all’interno dell’istituto, come in effetti avvenne; gli imputati erano quindi
perfettamente consapevoli di incolpare questi ultimi di un reato di cui
sapevano che erano innocenti. Troiani e Burgio,
dunque, sono stati riconosciuti responsabili dei reati loro rispettivamente
ascritti, uniti sotto il vincolo della continuazione, attesa l’evidente unicità
del disegno criminoso. Ritenute sussistenti circostanze attenuanti generiche,
valutate prevalenti sulle contestate aggravanti, in considerazione della
incensuratezza, della situazione di stress e di stanchezza in cui gli imputati agirono
nonché in particolare della sostanziale confessione di Troiani e del fatto che
Burgio in definitiva eseguì quanto richiesto dal predetto, ritenuto reato più
grave il porto di armi da guerra, la pena base è stata determinata in anni 2 di
reclusione ed € 750,00, quindi ridotta di 1/3 per le attenuanti generiche, aumentata
per la continuazione con la detenzione di armi di mesi 2 ed € 150,00, per la
continuazione con la calunnia di anni 1, giungendo così alla misura finale di anni
3 di reclusione ed € 650,00 di
multa ciascuno; alla condanna è conseguita la interdizione temporanea dai
pubblici uffici, mentre la pena è stata dichiarata interamente condonata.
Nucera Massimo – Panzieri Maurizio
La posizione di
tali imputati era già stata trattata dal Tribunale nella “Ricostruzione dei fatti”, ove era giunto alla
conclusione della impossibilità, in base alle prove acquisite, nonché alla
perizia ed alle consulenze di parte, di stabilire con la dovuta certezza se
l’aggressione descritta da Nucera e Panzieri fosse realmente avvenuta. Pertanto
ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.,
entrambi gli imputati sono stati assolti dai reati loro ascritti con la formula
“perché il fatto non sussiste”
Sottoscrittori della notizia di reato e dei verbali di perquisizione e
arresto
Valutando
unitariane le posizioni di tutti gli imputati di falso, il Tribunale ricorda
che la comunicazione di notizia di reato, materialmente redatta dal dr. Gallo e
dal dr. Schettini, venne sottoscritta dagli imputati Mortola e Dominici nelle
rispettive qualità di dirigenti della Digos il primo, e della Squadra Mobile il
secondo; il verbale di perquisizione e sequestro, redatto almeno in parte da Mazzoni, venne sottoscritto da
Panzieri, Nucera, Gava, Ferri, Aniceto, Cerchi, Di Novi, Mazzoni e Di Bernardini,
i quali, insieme a Mortola, Dominici, Di Sarro, Caldarozzi, Ciccimarra e ad un
altro funzionario non identificato, sottoscrissero anche il verbale di arresto,
materialmente compilato da Ferri, Gava e Ciccimarra.
Gli elementi
probatori acquisiti, a detta del Tribunale, non consentono di affermare con la
dovuta certezza che i predetti imputati fossero consapevoli di riportare negli
atti a loro firma circostanze non corrispondenti al vero. La relazione del dr.
Canterini, del resto, forniva una ricostruzione degli eventi sostanzialmente
corrispondente al contenuto degli atti in esame, ed induceva quindi certamente
i sottoscrittori di detti atti, che, non avendo assistito direttamente ai fatti
nella stessa descritti, non avevano alcun motivo per dubitare della sua
attendibilità, a ritenere del tutto fondato quanto veniva riportato nei verbali
di perquisizione e di arresto e a non valutarlo criticamente.
Per quanto
attiene all’indicazione nei citati verbali di Mark Covell tra coloro che si
trovavano all’interno della Diaz e la mancata specificazione dell’aggressione
dal medesimo subita, il Tribunale rileva che non risulta in alcun modo provato
che gli imputati fossero a conoscenza di quanto avvenuto.
Conseguentemente
ex art 530, comma 2, c.p.p., tali imputati sono stati assolti dai reati loro
ascritti con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Accusato di
avere sottoscritto il verbale di atti da lui non compiuti, il primo giudice
osserva che è pacifico che quella notte Gava non entrò nella scuola Pertini,
mentre fece ingresso nella Pascoli. Richiesto di spiegare perché firmò un atto
senza averne titolo, Gava ha risposto di avere agito nel convincimento
dell’opportunità della sua sottoscrizione anche sul verbale di perquisizione e
sequestro, che altri aveva redatto, poiché aveva dato un contributo
all’operazione, provvedendo all’identificazione delle persone perquisite ed
arrestate. Secondo il Tribunale sarebbe nota la prassi comune di sottoscrivere atti
come quelli in questione ad opera di tutti coloro che in qualche modo abbiano
partecipato alle operazioni, cosicché non appare al primo giudice inverosimile
che in effetti Gava, avendo ricevuto l’incarico di procedere alla perquisizione
in questione, essendosi recato sul posto, seppure sbagliando obiettivo, ed
avendo poi proceduto all’identificazione dei soggetti coinvolti, senza cui il
predetto atto non avrebbe potuto essere redatto, si sentisse in qualche modo
partecipe di tale operazione.
Pur valutando la
sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato la sentenza del GUP di
non luogo a procedere sulla imputazione coatta disposta dal GIP a carico del Gava
per l’ipotesi di falso in esame, il Tribunale argomenta che Gava sottoscrisse il
verbale di perquisizione e sequestro presso la scuola Pertini non per agevolare
o sostenere la condotta dei colleghi, ma perché convinto di dover sottoscrivere
in quanto compartecipe della successiva attività di identificazione degli arrestati,
necessaria alla redazione dell’atto in questione.
L’assenza di
prove circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dunque, ha
indotto il Tribunale a pronunciare l’assoluzione dell’imputato perché il fatto
non costituisce reato.
Per i fatti commessi
all’interno della scuola Pascoli (illegale perquisizione, violenza privata, danneggiamento e peculato),
richiamato l’assunto dell’ingresso per errore seguendo altro personale già
entrato e della insussistenza di una vera e propria perquisizione, il Tribunale
ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., ha assolto l’imputato Gava dai reati
di cui al capo S) della rubrica con la formula “perché il fatto non costituisce
reato”, attesa la carenza di prove circa la sussistenza dell’elemento
soggettivo di detti reati, non potendosi escludere che il dr. Gava abbia agito
nella convinzione di eseguire l’ordine ricevuto.
Inoltre secondo
il Tribunale non risulta in alcun modo provato che detto imputato ed i suoi
uomini abbiano usato violenza o comunque costretto alcuno dei presenti
all’interno della scuola Pascoli a “inginocchiarsi o anche a sdraiarsi a terra
e a mantenere tale posizione per almeno mezzora”. Per la stessa motivazione non può neppure rispondere delle altre condotte coercitive tenute da
appartenenti non identificati della Polizia di Stato, che usarono prepotenza e
violenza nei confronti degli occupanti l’edificio. Non esistono, infine, per il Tribunale elementi di prova per sostenere
che il dr. Gava debba rispondere
della condotta di chi vi entrò, distrusse le apparecchiature informatiche e si
appropriò di parti dei computer quali gli hard - disk.
L’imputato
dunque è stato assolto anche dai reati sub T), U) e V) con la formula “per non
aver commesso il fatto”.
L’imputato è
stato riconosciuto con sicurezza da Huth Andreas nel corso dell’incidente
probatorio disposto a tal fine. Ritenute le attenuanti generiche equivalenti
all’aggravante, la pena è stata determinata in 1 mese di reclusione, cui è
conseguita l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un anno; sono
stati con cessi i doppi benefici.
.-.-.-.-
STATUIZIONI CIVILI
Passando al tema
del risarcimento dei danni in favore delle parti civili, esordisce il Tribunale
argomentando che l’accertata responsabilità per il reato di falso non comporta
il riconoscimento di danno risarcibile. Richiamata la decisione della Corte di
Cassazione SSUU n. 46982 del 25/10/2007 che ha riconosciuto la natura
plurioffensiva del reato di falso ed il diritto della persona offesa a proporre
opposizione alla richiesta di archiviazione, il primo giudice ha ricordato
anche come la medesima pronuncia abbia ribadito la distinzione fra persona
offesa e persona danneggiata, ed abbia richiamato la più volte ribadita osservazione
secondo la quale il falso è molto spesso un mezzo per conseguire un altro scopo;
conseguentemente per il Tribunale poiché nel caso in esame il fine perseguito con
il falso è costituito dalla calunnia il risarcimento riconosciuto per tale
reato esclude ogni altra liquidazione per il falso, in quanto ciò avrebbe
comportato una indebita duplicazione.
In secondo luogo
il Tribunale sostiene che non può essere riconosciuto alcun risarcimento alle
parti civili Bartesaghi Enrica, Gandini Ettorina e Fassa Liliana, madri di
persone offese vittime di lesione o calunnia.
Queste parti
civili, pur non rivestendo la qualifica di persone offese dai reati in esame, secondo
il Tribunale potrebbero comunque vantare un diritto al risarcimento dei danni
da loro patiti per effetto delle lesioni riportate dai propri figli, come anche
recentemente riconosciuto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, che hanno
affermato che “ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di
fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il
risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare
situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art.
1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel
fatto dannoso e che di conseguenza in tal caso il congiunto è legittimato ad
agire "iure proprio" contro il responsabile” (Cass. Civ. Sez. Un. n.
9556 del 01/07/2002).
Tuttavia,
prosegue il primo giudice, le lesioni subite dal congiunto debbono essere
“seriamente invalidanti, giacché lesioni minime o prive di postumi non rendono
configurabile una sofferenza psicologica inquadrabile nella nozione di danno
morale” (Cass. Civ. n. 10816 dell’8/06/2004) e che “la mera titolarità di un
rapporto familiare non può essere considerata sufficiente a giustificare la
pretesa risarcitoria del prossimo congiunto dell'offeso, in termini di
automatismo o anche solo di "notorio", occorrendo, di volta in volta,
verificare l'intensità - all'attualità - del legame affettivo, oltre al livello
di incidenza della lesione subita dalla vittima primaria sulla relazione con il
congiunto (se essa sia stata, cioè, tale da comprometterne lo svolgimento)”
(Cass. Civ. Sez. III, n. 10986 del 14/07/2003).
Ciò premesso,
osserva il Tribunale che “Nella fattispecie, dunque, tenuto conto dell’entità
delle lesioni e delle conseguenze lamentate dai figli maggiorenni delle sopra
citate parti civili (asseritamente di un certo rilievo per la sola Sara
Bartesaghi, ma comunque non certamente tali da potersi ritenere “seriamente
invalidanti” nell’accezione indicata dalla Suprema Corte), nonché dell’assenza
di specifiche prove circa l’incidenza negativa delle stesse nella vita e nei
rapporti familiari, non può riconoscersi il richiesto risarcimento.” In ogni
caso, prosegue il primo giudice, “i danni patrimoniali, per spese per viaggi e
cure mediche, tempo dedicato alla ricerca della verità e alla difesa
dell’onorabilità dei figli, non sono stati dimostrati e rientrano semmai tra
quelli liquidabili direttamente alle persone offese, maggiorenni e costituite,
a loro volta, parti civili”. Ed ancora “Palesemente non meritevoli della tutela
risarcitoria invocata a titolo di danno esistenziale sono i pregiudizi
consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di
insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che
ciascuno conduce nel contesto sociale. Non vale, per dirli risarcibili,
invocare diritti, umanamente riconoscibili, ma giuridicamente “immaginari”,
come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla
serenità: in definitiva il diritto a essere felici. Inoltre il diritto
costituzionale inviolabile deve essere inciso oltre una certa soglia”.
Ulteriore
osservazione riguarda la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e il Genoa
Social Forum, persone giuridiche che secondo il primo giudice non possono vantare
alcun diritto al risarcimento non risultando, all’esito del dibattimento, alcun
danno in capo ai due organismi derivante dai delitti accertati, soprattutto in
considerazione del fatto che gli imputati dei fatti accaduti nella scuola
Pascoli sono stati prosciolti.
Quanto all’Associazione
Giuristi Democratici di Genova, costituita parte civile in proprio lamentando,
in particolare, le conseguenze derivanti dai danneggiamenti perpetrati ai
computer in sua dotazione, il Tribunale osserva che queste attrezzature erano
di proprietà dell’amministrazione comunale, e che nulla è dovuto per la perdita
dei dati presso la scuola Pascoli, i cui responsabili non sono stati
individuati con certezza, né per i fatti della Pertini, perpetrati nei confronti
dei diretti lesi, senza frustrazione dello scopo precipuo dell’Associazione.
Relativamente
alla liquidazione dei danni, il Tribunale ha proceduto alla quantificazione del
danno morale subito da Huth Andreas condannando l’imputato Fazio, in solido con
il responsabile civile, al pagamento della somma di € 1.000,00. Quanto alle altre parti civili ha pronunciato
condanna generica rimettendo la quantificazione a separati giudizi civili, e
liquidando le seguenti provvisionali:
per il delitto
di calunnia € 5.000,00 per ciascuna parte civile, ponendo tale importo per metà
a carico di Canterini e per metà a carico di Troiani e Burgio;
per i delitti di
lesioni importi diversi da un minimo di € 5.000,00 ad un massimo di €
50.000,00, in relazione all’entità delle
lesioni subite.
Passando,
infine, al tema delle liquidazioni delle spese di lite, il Tribunale ha
indicato quali criteri seguiti per la quantificazione “la natura dell’impegno
professionale, comunque condiviso tra i difensori delle numerose parti civili,
i quali si sono spesso sostituiti a vicenda, nonché la quasi costante adesione
delle stesse alle scelte processuali del Pubblico Ministero”; il Tribunale ha
“rilevato dai verbali il numero delle udienze cui il singolo difensore ha
partecipato personalmente o tramite sostituto, riconoscendo, per ciascuna di esse
e indipendentemente dalla durata della presenza, talvolta modesta, la voce
relativa all’esame e studio e alla partecipazione, nonché, per le sole udienze
cui ha partecipato personalmente il difensore, quella per l’attività
difensiva”; “L’importo per ogni udienza è stato ridotto al 20%, in analogia a
quanto previsto dall’art. 3 delle tariffe citate, quando il sostituto si
occupava anche di altre posizioni. Si è poi aggiunta la voce relativa all’esame
e studio dei decreti che dispongono il giudizio, quella per le conclusioni e le
discussioni finali, in udienza preliminare e a dibattimento, nonché, ove
presenti, quella per le memorie e le ordinanze dibattimentali”. Per le parti
ammesse al patrocinio a spese dello Stato il Tribunale ha richiamato per
relationem i decreti di liquidazione del compenso ex DPR 115 del 2002, mentre
per le altre parti ha applicato un aumento del 25% in considerazione
dell’assenza del limite di cui all’art. 82 del DPR citato.
.-.-.-.-
Avverso tale
sentenza hanno proposto appello
il Procuratore
Generale;
il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale;
gli imputati TROIANI
Pietro, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, ZACCARIA Emiliano,
CANTERINI Vincenzo, FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro,
LUCARONI Carlo, COMPAGNONE Vincenzo, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, FAZIO
Luigi e BURGIO Michele;
il responsabile
civile MINISTERO DELL’INTERNO;
le parti civili HINRICHSMEYER
Thorsten, MARTENSEN Niels, HUTH Andreas, GALANTE Stefania, WAGENSCHEIN Kirsten,
BACHMANN BRITTA Agnes, GATERMANN Christian, KRESS Holger, VILLAMOR HERRERO
Dolores, ZEHATSCHEK Sebastian, ZUHLKE Lena, BERTOLA Matteo, BARRINGHAUS Georg,
GALEAZZI Lorenzo, PAVARINI Federico,
ALEINIKOVAS Tomas, CHMIELEWSKI Michal, CÖELLE Benjamin, MIRRA Christian,
POLLOK Rafael Johann, SIBLER Steffen, ALLUEVA FORTEA Rosana, BRUSCHI
Valeria, DIGENTI Simona, MARTINEZ
FERRER Ana, MASSO’ PAZ Guillermo, BROERMANN Miriam Grosse, ENGEL Jaroslaw
Jacek, HAGER MORGAN Katherine, HEIGL Miriam, SZABO Jonas, WIEGERS Daphne, ZAPATERO GARCIA Guillermina, ZEUNER
Anna Katharina, SCRIBANI Giuseppe, CORDANO Enrico, COSTANTINI Massimo, NANNI
Matteo, KUTSCHKAU Anna Julia, SCHMIEDERER Simon, GALLOWAY Jan Farrel, NATHRATH
Achim, PETRONE Angela, TREIBER Teresa HUBNER Tobias, CESTARO Arnaldo, MORITZ
VON UNGER Karl Kaspar, WEISSE Tanya, COVELL William Mark, GOL Suna, BACZAK
Grzegorz, DUMAN Mesut, BALBAS Aitor Ruiz, ALBRECHT Thomas Daniel, BARO Karl
Wolfgang, DREYER Sybil Jeannette, HERRMANN Jens, HERRMANN Jochen, JONASCH
Melanie, RESCHKE Manfred Kai, LUTHI Nathan Raphael, BODMER Fabienne Nadia,
SVENSSON Jonas Tommy, OLSSON Katarina Hedda, HEGLUND Cecilia, CEDERSTRÖM Ingrid
Thea Helena, OTTOVAY Kathrin, JAEGER Laura, VALENTI Matteo Massimo, FORTE
Mauro, MASU Andrea, BRIA
Francesca, FLETZER Enrico, PODOBNICH Gabriella, LUPPICHINI Manolo, MESSUTI
Raffaele, MARCUELLO Felix, PATZKE Julia, BARTESAGHI GALLO Sara, BARTESAGHI
Enrica, BRUSETTI Ronny, BUCHANAN Samuel, DOHERTY Nicola Anne, GANDINI Ettorina,
MC QUILLAN Daniel, GENOA SOCIAL FORUM, URGEGHE Marta, ASSOCIAZIONE GIURISTI
DEMOCRATICI DI GENOVA, Moret Fernandez David, SAMPERIZ Benito Francisco Javier,
GIOVANNETTI Ivan Michele, PROVENZANO Manfredi, NOGUERAS CHABIER Francho Corral;
la parte civile
FASSA Liliana ha proposto appello incidentale.
APPELLO del Procuratore Generale
In via
preliminare il Procuratore Generale ha posto una questione di rito in tema di utilizzabilità
“erga alios” delle dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati che
hanno rifiutato di sottoporsi ad esame.
Il presupposto
in fatto sul quale poggia la questione è costituito dalla asserita coartazione
della libertà degli imputati che avrebbe comportato il rifiuto di sottoporsi all’esame
dibattimentale, desumibile dalle seguenti circostanze:
a) il prefetto
Andreassi era vice-capo della Polizia, ed il teste Giovanni Calesini, vice
questore a Genova, ha affermato che “la presenza di Andreassi, vice capo
vicario della PS, anche se non vi era un provvedimento espresso, significava
che dava lui gli ordini. È persona di grande responsabilità che usa
autorevolezza e non autoritarietà, ma era evidente che i servizi venivano
effettuati se lui era d’accordo” (pag. 194 della sentenza);
b) era quindi
impossibile per tutti e ciascuno degli imputati parlare solo di sé stessi e delle proprie azioni
(illegittime) senza parlare anche delle azioni (parimenti illegittime) dei
propri superiori gerarchici;
c) al portavoce
responsabile del GSF (pag. 153 della sentenza) il pref. Andreassi disse
addirittura “che l’azione era stata decisa a Roma e che non poteva essere
interrotta”;
d) nella sua
sofferta testimonianza Guaglione Pasquale, all’udienza 5/4/07, ha detto
testualmente: “ufficialmente non ho ricevuto nessuna pressione o
discriminazione, ma sono stato l’unica testa caduta per questo procedimento”,
perché è l’unico ad aver ammesso (dovuto ammettere) la falsità e la calunnia
inerente il trasporto della bottiglie molotov nella scuola Diaz;
e) il dott. Di
Bernardini solo di fronte all’evidenza dei fatti è stato costretto ad
ammettere, in contrasto con le originarie affermazioni già rese (secondo cui le
bottiglie Molotov erano state trovate “nello stanzone” della scuola e pertanto
attribuibili a tutti gli occupanti) di aver effettivamente incontrato il dott.
Troiani che lo aveva chiamato dall’esterno, consegnandogli o comunque
facendogli visionare il reperto che era stato così messo a sua disposizione;
f) anche
l’artificiere Melis, da indagini svolte in procedimento collegato risulta
essere sottoposto a pressioni per la redazione della relazione allegata alla
nota del Questore e pervenuta al Tribunale in ordine all’”erronea” distruzione
delle bottiglie molotov trasportate all’interno della scuola Diaz per
costituire falsa prova nei confronti degli occupanti;
g) nei confronti
dei dott. Colucci e Mortola risulta esercitata l’azione penale per il reato di
falsa testimonianza commesso all’udienza del 3.05.2007;
h) “appare poco
plausibile che la quasi totalità degli agenti, appositamente addestrati, si
siano improvvisante lasciati andare a comportamenti dettati da rancore ed ira,
tipici invece di reazioni individuali” (pag. 314 della sentenza);
i) “non va
altresì dimenticato che tra gli operatori del VII nucleo era attivo un
collegamento radio mediante un laringofono, cosicché tutti ed in particolare i
capi squadra avevano in ogni momento la possibilità di parlare con i colleghi,
il loro silenzio costituiva
un’evidente acquiescenza” (pag. 315 della sentenza);
j) nessuno dei
colleghi della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a
posteriori, il poliziotto dalle caratteristiche fisiche assai peculiari
(acconciatura dei capelli a “coda di cavallo”) che è stato ripreso mentre
infieriva nella scuola Diaz su una
persona ferma, inerme ed arresa (che riporterà gravi lesioni);
k) nessuno dei
colleghi della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a
posteriori, il poliziotto che ha firmato con la sigla i verbali di arresto di
cui all’imputazione (e che quindi sarebbe stato chiamato a rispondere dei
delitti di falso);
l) lo stesso
Tribunale di Genova ha - contraddittoriamente – riconosciuto (pag. 314 della
sentenza) che “se non può escludersi che le violenze abbiano avuto inizio
spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così
diffusa e pressoché contemporanea, presuppone la consapevolezza degli operatori
di agire in accordi con i loro superiori, che comunque non li avrebbero
denunciati”;
m) ancora, lo
stesso Giudice di prime cure ha rilevato che “il fatto che nessuno non solo dei
capi squadra, ma anche dei singoli operatori … abbia denunciato quanto
avvenuto, pur avendo l’obbligo come espressamente previsto dall’art. 361 c.p.,
conferma la validità di quanto osservato”;
n) “l’omissione
dal dott. Canterini di qualsiasi accenno alle violenze …, il fatto che il dott. Fournier a sua volta non
abbia neppure pensato di denunciare quanto lo aveva successivamente portato a
dire che la situazione richiamava alla mente una macelleria messicana …
costituiscono ulteriori, precise conferme della sussistenza di una sorta di
accordo, tacito od anche espresso, in proposito”;
o) vi è stato
anche ai massimi livelli un significativo
“dietro front”, quando si trattava di chiamare in causa i massimi responsabili
della Polizia. Il teste Colucci all’udienza del 3.5.2007 ha ritrattato le sue
affermazioni del 16.12.2002 (ben più vicine ai fatti, e quindi di per sé
maggiormente credibili) secondo le quali vi era stato l’ordine di avvisare
dell’”ottimo” esito operazione Diaz il dott. Sgalla, direttore dell’ufficio
pubbliche relazioni della Polizia. E mentre dapprima il teste ha affermato che l’ordine era
partito dal capo della Polizia (all’epoca il dott. De Gennaro), quindi
pienamente informato sui fatti, all’udienza ha detto che l’iniziativa è stata …
la propria.
Sulla base di
tale assunto, il P.G. - premesso che gli elementi di cui sopra sono più che
sufficienti a rendere operativo “il meccanismo «recuperatorio» previsto dal
comma 4 dell'art. 500 c.p.p., richiamato anche dall'art. 513 comma 1 c.p.p., che
non richiede una vera e
propria prova delle intimidazioni e/o delle subornazioni subite, analoga a quella
richiesta per pronunziare una sentenza di condanna per i reati di minaccia,
violenza o subornazione nei confronti di specifici responsabili, quanto piuttosto la sussistenza di
«elementi» indicativi di siffatte situazioni illecite, non necessariamente
riconducibili all'imputato, purché caratterizzati da sufficiente concretezza” -
deduce che una interpretazione restrittiva e letterale del comma 2 dell'art.
513 c.p.p. che sostenga il divieto di acquisizione dei verbali contenenti le
precedenti affermazioni anche in caso di illecito condizionamento del
coimputato dichiarante che determini l’esercizio della facoltà di non
rispondere, sarebbe di certo costituzionalmente illegittima e manifestamente
illogica se raffrontata con la disciplina – risultante dall’intervento di Corte
Costituzionale n. 361/1998 – vigente per gli imputati di reato connesso
separatamente giudicati di cui all’art. 210, 1° comma c.p.p., disciplina
secondo la quale se i predetti si rifiutino in tutto o in parte di rispondere
alle singole domande a causa di illecito condizionamento sarebbe operativo il
meccanismo di acquisizione delle precedenti dichiarazioni predibattimentali ai
sensi dell’art. 500, comma 4 c.p.p..
Ove questa Corte
non dovesse condividere la proposta interpretazione, viene sollecitata a
sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 513 comma 2 c.p.p.,
per contrasto con gli artt. 3 e 111 commi 4 e 5 Cost., nella parte in cui non
prevede che il giudice, in assenza di accordo delle parti, possa disporre la
lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni di cui al comma 1 del medesimo
articolo, rese dalle persone indicate dall'art. 210 comma 1 c.p.p., qualora
queste si avvalgano della facoltà di non rispondere, nel caso in cui ricorrano
i presupposti di cui all'art. 500 comma 4 c.p.p..
In secondo luogo
il P.G. lamenta che il Tribunale di Genova ha dichiarato non utilizzabile il
materiale dichiarativo riportato nei verbali dei lavori del Comitato paritetico
parlamentare che aveva svolto una indagine conoscitiva in epoca immediatamente
successiva ai fatti occorsi durante il vertice G8 a Genova. Sul punto rileva che
invece detta prova, non espressamente disciplinata dalla legge, è pienamente
ammissibile ai sensi dell’art. 189 c.p.p., non è coperta da segreto e non
influisce sulla libertà morale degli indagati. Chiede, pertanto, che la Corte
d'Appello di Genova ne disponga l’acquisizione, essendo documenti rilevanti per
la decisione anche per l’accertamento dei fatti (avvenuti con i poteri
dell’autorità giudiziaria, ex art. 82 comma 2 Cost.) che vi è contenuto.
I FATTI E LE RESPONSABILITA’ INDIVIDUALI
A) La fase antecedente
all’irruzione nella scuola Diaz – Pascoli e la sua giustificazione ufficiale.
A parere del P.G.
la scelta di procedere all’irruzione, al sequestro di vario materiale, al
pestaggio di praticamente tutti coloro che dormivano nella scuola, alla
costruzione di false prove contro questi ultimi (episodio delle bottiglie
molotov), all’arresto di tutti gli occupanti, aveva l’intento di reagire alle
provocazioni ed agli episodi – questi sì illegittimi e violenti – che nei
giorni precedenti si erano
verificati a Genova; e vi era la volontà di dimostrare l’efficienza e
l’efficacia delle azioni di polizia dopo gli episodi di devastazione e
saccheggio perpetrati dai cc.dd. black-bloc
Ma – rileva l’appellante
– nell’operazione Diaz-Pascoli non vi è nessun arresto, nessuna individuazione
di alcun appartenente ai black-bloc; neppure della presenza fisica di alcun appartenente
ai black-bloc al momento di fatti vi è prova alcuna. Oggettivamente, ed al contrario di quanto ha sempre
sostenuto la polizia e di quanto sostengono le difese degli imputati, tutte le
prove acquisite in dibattimento hanno dimostrato senza possibile dubbio non
solo che i fatti materiali di lancio di bottiglie e di insulti al passaggio del
“pattuglione” in Via Battisti nella prima serata ebbero portata modestissima,
mai legittimando – anche dal punto di vista dell’opportunità - l’irruzione; ma anche che nessun
appartenente ai black-bloc si trovava all’interno della scuola Diaz.
- L’asserito attacco alle
auto della Polizia:
urla ed insulti
ve ne furono tanti, ma aggressioni, violenze o resistenze assolutamente nessuna. Tra le numerosissime, il P.G. ricorda
le testimonianze di Albrecht, Moret, Perrone, Di Pietro, che riferiscono di un
passaggio lento delle auto, di urla (“assassini” e simili) ma non di lancio di
oggetti qualsiasi né – tantomeno – di resistenza attiva, nonché quella
fondamentale perché ritenuta assolutamente attendibile per la terzietà del
teste resa dal dott. Costantini, che assistette alla scena dalla finestra della
infermeria allestita nella scuola Pascoli.
Osserva, poi, il
P.G. che dalle deposizioni assunte emerge univocamente che il passaggio è
avvenuto in un orario compreso tra le ore 20.00 e le 21.00, nonostante il falso
contenuto nei rapporti trasmessi all’Autorità Giudiziaria, e quindi ben tre ore
prima l’irruzione “doverosa e necessitata” della polizia.
Contesta, quindi
, il P.G. appellante l’assunto del Tribunale secondo il quale “non appare
necessario accertare con assoluta precisione l’entità dell’aggressione … ma
esclusivamente il fatto che fossero stati posti in essere nei confronti della
pattuglia atti ostili e minacciosi, che possano avere indotto le forse
dell’ordine a ritenere che nella scuola vi trovassero anche facinorosi
appartenenti ai black-bloc”: al contrario, sarebbe stato del tutto necessario
non solo accertare con assoluta precisione l’entità dell’aggressione, ma anche
valutare oggettivamente i fatti per sconfessare ciò che lo stesso prefetto
Andreassi ha detto circa le reali motivazioni dell’irruzione e soprattutto ciò
che emerge dagli atti, ma a tale proposito il P.G. lamenta che il primo giudice
abbia omesso di considerare:
a) “le perplessità del questore Colucci e
del dott. Mortola” (pag. 250 della sentenza) verso tale tipo di operazione, e
la reale necessità e motivazioni della stessa;
b) lo “stupore”
dello stesso imputato Canterini, nei pressi della Questura di Genova, di fronte
ad “un apparato immenso formato da diversi corpi” (pag. 252 della sentenza), e
quindi del tutto incongruo per un’operazione di mera “messa in sicurezza e
perquisizione”, secondo quanto hanno invece sostenuto le difese;
c) i primi
pestaggi, che iniziarono ben prima e finirono ben dopo l’irruzione vera e
propria all’interno della scuola (vittime Frieri, consigliere comunale di
Modena, e Covell, giornalista inglese). A quest’ultimo venne detto “sei un
black-bloc, e non ammazzeremo i black-bloc”, e venne selvaggiamente colpito
finché svenne (pag. 255): l’eloquente videoripresa (rep. 239) è in atti;
d) che la
“rappresaglia”, riguardò anche la scuola Pascoli, ove – giocoforza - nessuno
dei black-bloc poteva soggiornare, data la continuativa presenza non solo di
persone legate al Genoa Social Forum, ma anche di organizzazioni pacifiste, di
partiti politici, di testate giornalistiche;
e) soprattutto
nella Pascoli, ma anche all’esterno degli edifici scolastici, furono sempre
ricercate, reperite e distrutte tutte le attrezzature idonee alla registrazione
e videoregistrazione degli avvenimenti (avendosi quindi piena e previa
coscienza della loro illegittimità).
Analizzando le
singole fasi il P.G. osserva:
B)
L’irruzione nella scuola Diaz
La prova di quanto è
materialmente avvenuto durante l’irruzione della polizia nella scuola Diaz
emerge “oggettivamente” dalle video riprese; dalle numerose testimonianze che
non possono non essere ritenute credibili, per essere del tutto concordi e rese
anche da testi imparziali ed anche da coloro che subirono l’arresto illegittimo
e l’espulsione immediata con accompagnamento coatto alla frontiera (ciò che ha
comunque impedito loro, giovani di diversa nazionalità che neppure si
conoscevano, ogni possibile accordo sulla versione da dare).
L’esame dei filmati fa
escludere del tutto il “fittissimo” lancio di oggetti addotto a giustificazione
dell’accusa di resistenza. E per il P.G. la circostanza è esclusa anche – e
soprattutto – dalle riprese successive, che dimostrano che nel cortile
antistante il portone d’ingresso non vi sono affatto quei materiali che il
“fittissimo” lancio avrebbe invece inevitabilmente lasciato sul terreno.
Anche le testimonianze e
le valutazione tecniche di “terzi” (secondo l’impostazione del Tribunale),
sconfessa la tesi del fittissimo lancio di oggetti: cita, in proposito, il P.G.
quanto riferito dal teste Mattei, che ha affermato: “Sono in servizio presso il
RIS di Parma e comando la sezione impronte e fotografie. Con le nostre tecniche
non abbiamo apprezzato oggetti che arrivassero su tale personale.”
La ragione della “levata”
di scudi a testuggine è stata ricondotta dall’agente Gabriele Ivo ad una
manovra tecnica usuale nell’avvicinamento ad un edificio.
Quanto al teste Galanti,
infermiere intervenuto alla guida della prima ambulanza giunta sul posto, che
avrebbe “riconosciuto la sua voce nella chiamata al 118 (00.01.18), nella quale
avverte: “Stanno buttando giù tutto”, e alle altre considerazioni difensive
svolte dagli imputati, rileva il P.G. che il Tribunale ha omesso di considerare
che
a) l’ora della telefonata
del teste Galanti indicata nelle 00.01.18 va corretta come gli altri orari
proprio nei termini sostenuti dall’accusa e riconosciuti esatti dallo stesso
Tribunale, vale a dire nel caso in esame deve essere riportata alle ore
00.05.01, quando ormai tutti gli agenti intervenuti erano entrati nella scuola
“Diaz”; consegue che situazione riferita dal teste non può essere quella del momento iniziale
quanto gli agenti erano ancora tutti ammassati nel cortile prima di entrare
nella scuola, fase in cui sarebbe avvenuta la resistenza mediante il “fittissimo
lancio di oggetti”.
b) non si apprezzano ombre
o immagini di qualsivoglia oggetto, grande o piccolo, lanciato dalle finestre
della scuola Diaz all’indirizzo degli agenti e di una caduta al suolo o sui
soggetti che si trovano nel cortile;
c) le finestre della
scuola, eccetto forse una, erano chiuse;
d) non si nota la presenza
di persone affacciate alle finestre dell’edificio che possano pertanto
effettuare i “fittissimi” lanci (o anche soltanto radi) di cui si legge nel verbale di arresto;
e) nessuno degli agenti
che fanno irruzione nel cortile prima e si ammassano davanti ai due portoni poi
compie gesti o movimenti che possano far pensare ad un lancio di oggetti
contundenti nei loro confronti;
f) non si vede cadere il
maglio di cui riferisce il Dr. Mortola nel corso del suo esame, anche perché
avendo questi indicato il punto ed il momento precisi della caduta (a sinistra
del portone principale, perpendicolare e prossimo al muro esterno
dell’edificio, poco prima che venisse sfondato il portone stesso) si può
costatare dal filmato che un oggetto di quelle dimensioni non è sicuramente
caduto e che Mortola, in quel momento, stava uscendo dal cancello esterno della
scuola Diaz dando le spalle all’edificio e, quindi, in una posizione che
neppure gli avrebbe consentito di vedere la caduta del maglio;
g) non si vede cadere la
sedia che, secondo quanto affermato da un agente lo avrebbe colpito al naso. In
questo, come nel precedente caso del piccone, si parla di oggetti di dimensioni
tali da escludere che potessero sfuggire all’occhio delle telecamere;
h) il confronto tra i
filmati che riprendono il cortile libero da persone, cioè prima che le forze
dell’ordine sfondassero il cancello esterno e dopo che tutti gli agenti e gli
ufficiali di P.G. erano entrati nell’edificio, consente di evidenziare come non
vi fossero a terra oggetti tipo sedie, scrivanie, picconi, magli et similia e
come in generale ciò che si percepisce esistente sul suolo ed in particolare
nei pressi del portone principale di accesso alla scuola è sostanzialmente ciò
che vi è dopo;
i) lo stesso dott.
Canterini smentisce di avere visto lui stesso un fittissimo lancio.
.-.-.-.-
Richiamata la
testimonianza di Andrisano circa il fatto che all’interno della scuola Diaz-Pertini,
sostanzialmente adibita a dormitorio, gli occupanti, raggruppatisi per
nazionalità, si stavano apprestando a dormire, il P.G. descrivendo l’irruzione
nella scuola Diaz osserva come dalle testimonianze assunte sia emerso che lo
sfondamento del portone della scuola e poi l’irruzione sorprese e atterrì tutti
i presenti; in quello stato nessuna reazione violenta avrebbe potuto essere
comunque efficacemente opposta; e del resto la stragrande maggioranza degli
occupanti della scuola alzò subito le mani in segno di resa, anche se poi - quasi tutti ed indipendentemente da
qualsiasi loro atteggiamento aggressivo o sottomesso - furono malmenati,
minacciati, ingiuriati ed infine arrestati.
Per il P.G. è
significativo lo stesso esame di Canterini, il quale ha ammesso di non aver
assistito ad alcun “forte contrasto
opposto dagli occupanti agli agenti operanti" e di averne fatto
menzione solo in quanto “frutto di una logica deduzione”.
Del resto, si chiede il
P.G., per quale motivo se "piovevano oggetti" o, come scritto nel
verbale di arresto avvenne un "fittissimo lancio di oggetti di ogni
genere" il dr. Canterini se ne stava in prima linea con i suoi uomini
addirittura senza casco e senza scudo”; la versione difensiva "di
ripiego" secondo cui ad un certo punto egli si sarebbe riparato sotto uno
scudo altrui non trova alcun riscontro nel filmato in atti che documenta
proprio le fasi di ingresso degli agenti attraverso il portone di sinistra
dell'edificio.
Quanto alla
situazione all’interno dell’istituto
scolastico, il P.G. rileva che:
- all’atto dell’irruzione la stragrande maggioranza degli occupanti della
scuola alzò subito le mani in segno di resa;
- le testimonianze e le videoregistrazioni dimostrano che, comunque, tutti
i poliziotti, irrompendo, iniziarono subito il pestaggio con manganelli
e calci nei confronti di chiunque si presentasse loro davanti: e ciò avvenne e
continuò anche alla presenza di persone “in borghese, in giacca e cravatta, che
apparivano dirigenti”. Infatti anche qualcuno di costoro si lasciò andare
direttamente a pestaggi e violenze in genere; e ciò fecero anche gli altri
poliziotti in borghese e pettorina della polizia (come da testimonianza di
Guadagnucci).
- la grave degenerazione della situazione è dimostrata non solo dal grave
ferimento di Melanie Jonasch (inerme, ferma, zitta, ma ciononostante picchiata
e quindi rimasta a terra priva di sensi con abbondante perdita ematica a
seguito di frattura cranica nella regione temporale sinistra); ma anche dalla
stessa, tardiva ma eloquente reazione del vice-comandante Fournier, che - solo
allora - ha ordinato agli agenti,
con le urla udite e riferite dalla quasi totalità dei presenti, la cessazione
di ogni azione ed il ritiro (“ora basta! basta!”).
In definitiva, il
P.G. ritiene che non si possa dubitare anzitutto:
- a) che nessuna forma di resistenza fu posta in essere da parte degli
occupanti, e che nessun fittissimo lancio di oggetti ha preceduto né
accompagnato l’ingresso della Polizia nella scuola Diaz;
- b) che infatti, nonostante la sorpresa, la paura, la soverchiante forza
della polizia, a nessuno degli arrestati è stato possibile attribuire il
possesso delle armi improprie pure descritte nel verbale di perquisizione e
sequestro ed asseritamente utilizzate per resistere;
- c) che le violenze perpetrate non solo furono illegittime e inaudite, ma
soprattutto immediate, precedenti, contestuali e successive all’irruzione;
- d) che perciò è del tutto illogica e contraddittoria l’affermazione del
Tribunale di Genova secondo la quale non sarebbe “del tutto incredibile
(!) che l’inconsulta esplosione di violenza abbia avuto un’origine spontanea…”
(pag. 314 della sentenza); specie considerando che poche righe più sopra il
Tribunale ha riconosciuto che “appare poco plausibile che la quasi totalità
degli agenti, appositamente addestrati, si siano improvvisante lasciati andare
a comportamenti dettati da rancore ed ira, tipici invece di reazioni
individuali”;
- e) che insanabilmente contrastante con l’origine “spontanea” delle
violenze è anche lo stesso abbigliamento predisposto per i poliziotti: tutti
indossavano i caschi o i foulard d’ordinanza per nascondere il volto
(come risulta nelle videoriprese in atti).
Osserva ancora il P.G. che non vi è prova
alcuna che le armi sequestrate fossero effettivamente presenti nel vano
palestra e/o negli altri piani dell’edificio e/o nelle aule dove stavano
dormendo gli occupanti della scuola; né alcuna prova od alcun elemento preciso
è stato fornito in merito al luogo specifico del loro rinvenimento, fatto inspiegabile alla luce dei doveri e
della competenze specifiche dei reparti (e dei capi dei reparti) di polizia che
agirono.
Nel verbale di
perquisizione, redatto negli uffici della Questura alle ore 4.00 del 22 luglio
2001, gli ufficiali ed agenti di P.G. sottoscrittori del verbale stesso ed
identificati in Panzieri Maurizio, Nucera
Massimo, Gava Salvatore, Ferri Filippo, Aniceto Leone, Cerchi Renzo, Di Novi
Davide, Mazzoni Massimo e Di Bernardini Massimiliano, hanno dato atto
che alle ore 23.30 del 21 luglio avevano proceduto a perquisizione esponendo
circostanze false in quanto:
a)
la perquisizione ha avuto inizio
alla mezzanotte;
b)
le bottiglie molotov non sono
state trovate nella sala di ingresso al piano terreno e neppure in qualsiasi
altro locale della scuola Diaz, bensì sono state rinvenute da altri ufficiali
di P.G. in altro luogo ed appositamente portate presso la scuola Diaz al fine
di includerle nel materiale sequestrato;
c)
le “mazzette ricurve in
alluminio” sono in realtà stecche metalliche sfilate da zaini appartenenti a
soggetti che si trovavano all’interno della scuola e “contrabbandati” per
“mazzette ricurve in alluminio” allo scopo di farle apparire quali autonomi
oggetti idonei ad essere ritenuti armi improprie;
d)
lo zaino di proprietà di Szabo
Jonas era stato ritrovato nella scuola Pascoli, dove lo Szabo alloggiava e dove
l’aveva lasciato quella sera essendosi recato nella scuola Diaz solo per
ragioni contingenti e con l’intenzione di fare rientro alla Pascoli per
dormire;
e)
lo stesso Szabo, così come il
Brauer e la Jaeger, che si trovavano all’interno della scuola Diaz quando la
Polizia ha sfondato il cancello dell’istituto, erano riusciti a fuggire
attraverso le finestre e le impalcature esistenti sulla sinistra del caseggiato
ed erano stati arrestati successivamente all’esterno della struttura senza che
esistesse alcun elemento di prova che gli stessi si trovassero nella scuola e
che quindi gli oggetti sequestrati fossero a loro riconducibili;
f)
Mark William Covell non era
all’interno della scuola Diaz ed anzi è stato brutalmente ed immotivatamente
aggredito mentre transitava nella via Battisti ancor prima di dare inizio alla
perquisizione.
Contrariamente a
qualsiasi norma e disposizione – non di legge ma – di regolamento ed anche buon
senso, zaini, borse, non solo furono raggruppati, ma – insensatamente – furono del tutto svuotati a formare una catasta,
sì che poi non sarebbe stato possibile attribuire a nessuno tali eventuali
“armi”. Soprattutto, nessuno avrebbe potuto in alcun modo dimostrare la
propria innocenza, non solo perché a nessuno sarebbe stato possibile attribuire la specifica condotta di
reperimento e trasporto delle armi all’interno della scuola, ma anche perché,
nell’affermare falsamente che le armi “erano a disposizione di tutti”, tutti
sarebbero stati corresponsabili.
.-.-.-.-.
Quanto
all’episodio della asserita aggressione all’agente Nucera, il P.G. lo ritiene del
tutto sconfessato dagli elementi probatori acquisiti.
La prima volta
l’agente Nucera nella relazione a sua firma datata 22 luglio 2001 afferma che,
accompagnato dall’ispettore Panzieri e da altri colleghi della medesima
squadra, facendo ingresso all’interno di un’aula buia del secondo piano
dell’Istituto, viene fronteggiato da un individuo che urla e protende il
braccio destro armato di coltello, puntandoglielo all’altezza della gola.
Nucera lo colpisce con il “tonfa” al torace, facendolo indietreggiare;
l’attacco non impedisce all’aggressore di sferrare un colpo al petto
dell’agente e di fare anche un balzo indietro. L’ispettore Panzieri e gli altri
colleghi di Nucera a questo punto intervengono a bloccare l’individuo,
portandolo fuori della stanza; poco dopo l’agente trova sul pavimento il
coltello utilizzato dall’aggressore e lo raccoglie. Solo in un momento
successivo, Nucera asserisce di essersi reso conto di essere stato colpito, ma
a questo punto sarebbe accaduto l’incredibile: come pretendono di far credere
gli imputati, sarebbe già troppo tardi per identificare l’aggressore, il quale,
pure bloccato dai colleghi di Nucera, verrà “perso”, confuso tra i numerosi
individui presenti nel punto di raccolta al piano terra.
L’ispettore
Panzieri, nella propria relazione di servizio redatta nell’immediatezza dei
fatti, sostanzialmente conferma la versione del collega Nucera. Ma proprio il Panzieri
in epoca successiva inizia una sorta di retro marcia che diventa poi una fuga:
in un primo tempo risulterebbe essere stato presente sulla scena solo un altro
agente, ovviamente ignoto ed il ricordo sul comportamento del Nucera e del suo
aggressore diventa molto sfumato, poi addirittura sostiene di essersi
allontanato proprio nel momento in cui Nucera era in procinto di affrontare una
figura con un braccio alzato, quasi scappando.
Si chiede
retoricamente l’appellante se è credibile che di fronte all’asserita
aggressione ad opera di un black bloc un poliziotto sostenga di non essere
intervenuto in aiuto al collega che si trovava proprio davanti a sé ed anzi
neppure cerchi di identificare il soggetto in questione.
In ogni caso,
sentito in seguito in veste di indagato, il Panzieri lascia definitivamente
Nucera da solo a sostenere la sua versione con la conseguenza che non esiste
più neppure un teste che abbia assistito all’aggressione e che possa suffragare
quando scritto e dichiarato dal Nucera.
Ma è poi lo
stesso Nucera, successivamente, a cambiare versione, e solo a causa delle
risultanze della consulenza tecnica affidata dal P.M. a tecnici del R.I.S.
Carabinieri di Parma sui reperti in sequestro costituiti dalla giacca indossata
dall’agente Nucera, dal corpetto protettivo e dal coltello, per ricostruire la
possibile dinamica dell’azione. Nucera ha modificato la sua versione
soprattutto per giustificare il fatto che non fu uno solo il colpo di
coltello che ha tagliato la giacca. Nella nuova ricostruzione egli ha
infatti sostenuto di aver visto l’aggressore indietreggiare, perdere
l’equilibrio a causa del colpo ricevuto, tentare senza successo di aggrapparsi
a lui con la mano sinistra e sferrare una seconda coltellata dal basso verso
l’alto.
Secondo ilo P.G.
la rilevante modifica delle versioni fornite sia da Panzieri sia da Nucera, le
lacune e le incoerenze della ricostruzione dell’accaduto fornita solo dopo le
risultanze della consulenza tecnica e solo dopo la ricostruzione e la
valutazione di tutte le falsità emerse nell’intera vicenda relativa
all’irruzione nella scuola “Diaz”, assurgono a livello di veri e propri
indizi, precisi e concordanti, nel senso della falsità della relazione di servizio
dei due agenti e della inesistenza di un’aggressione come quella raccontata.
In relazione al
contrasto fra i periti, il P.G. censura la decisione del Tribunale di aderire
alle conclusioni del perito Torre, sia perché tale scelta è immotivata riducendosi
alla stereotipa formula “Le conclusioni del perito, ampiamente e logicamente
motivate, appaiono fondate e non si ha dunque alcun motivo per dubitare della
loro fondatezza”, sia perché tale perito ha omesso di rispondere ai seri
rilievi mossi dal consulente del P.M. Col. Garofano.
Del resto,
osserva il P.G., lo stesso Tribunale ha dovuto riconoscere che numerosissimi
elementi portano a ritenere inattendibili le versioni dei fatti fornite dal
Nucera, anche se poi ha finito per ritenere scarsamente logica e razionale
l’ipotesi della invenzione dell’episodio. Rileva il P.G. che non si comprende
come possa definirsi illogica ed irrazionale l’invenzione della falsa
aggressione, atteso che, unitamente alle altre invenzioni delle bombe molotov e
del fitto lancio di oggetti di ogni genere, tale aggressione costituisce uno
dei capisaldi delle motivazioni dell’arresto di 93 persone e della loro
denuncia per gravissimi reati in realtà inesistenti; quindi lamenta il P.G. che
il giudice di prime cure ha indebitamente frazionato e parcellizzato gli esiti
delle prove, che invece andavano – e vanno – letti anche nel loro insieme.
C) L’irruzione nella scuola Pascoli ed il falso
conseguente
Secondo il P.G. anche
l’irruzione da parte di molti operatori della Polizia di Stato nella scuola
Pascoli ha avuto sin dall’inizio tutte le caratteristiche tipiche della
perquisizione, e la tesi difensiva secondo cui l’accesso si sia verificato “per
errore” risulta del tutto smentita dal fatto che la scelta dell’ingresso anche
nella scuola Pascoli era determinata:
dalla presenza
nell’edificio degli appartenenti all’organizzazione del Genoa Social Forum
(ritenuta dalla Polizia collegata in qualche modo con le tute nere);
dalla (infondata
e generica) convinzione della polizia che in entrambi gli edifici Diaz-Pascoli
vi fossero i cc.dd. black-bloc;
dall’ingente predisposizione
di uomini e mezzi, del tutto eccessiva per la sola scuola Diaz, ed anche per
l’insieme delle operazioni “formalmente” organizzate;
dalla scelta di
mettere in sicurezza tutto il teatro delle operazioni mediante “cinturazione” e
controllo di tutta la zona.
E osserva il
P.G. che la conferma delle modalità tipiche della perquisizione è dimostrata:
a) dallo
spegnimento dello “streaming” delle trasmissioni radio ad opera della Polizia,
come riferito da Salvati Marino (ud. 12/04/06), Di Marco Vito (ud. 29/11/06);
b) dalle
dichiarazioni dell’assistente della Polizia Sascaro Davide e da quelle dell’On.
Mascia;
c) dall’ingresso
non di pochi uomini che garantissero il controllo del territorio, ma di
moltissimi appartenenti a varie squadre mobili ed al Reparto Prevenzione e
Crimine, come riferito da numerosissimi testimoni (richiama, in particolare,
l’appellante la deposizione del teste Colacicco - appartenente al Reparto
Prevenzione e Crimine -, secondo cui ...”noi siamo arrivati per la
cinturazione, loro (gli appartenenti alle squadre mobili) ci chiamarono dalla
scuola e mi ricordo che dissero al mio capo equipaggio che bisognava
controllare delle persone mentre loro avrebbero proceduto alla
perquisizione...”;
d) dalla
registrazione audio “miracolosamente” salvatasi e prodotta dal teste Trotta
Marco, nella quale si odono i comandi di mettersi a terra e contro il muro,
(del tutto coerenti con le operazioni iniziali di una perquisizione) e le urla
dei presenti (a tal proposito richiama il P.G. anche le dichiarazioni di Sascaro
ud. 30/01/2008 e di Colacicco sull’avere trovato persone sedute o accovacciate
vicino al muro, ud. 15/06/2006);
e) dalle
modalità di ingresso tipiche di un’operazione di Polizia. Sul punto rilevano secondo
l’appellante anche le precise e dettagliate dichiarazioni del teste Brusetti
Ronnie: “...i poliziotti sono arrivati di fronte alla porta della Pascoli...e
hanno cominciato a picchiare contro la porta del seminterrato... abbiamo capito
che la polizia era entrata dal portone del piano terra...sono arrivati dei
poliziotti correndo insomma molto velocemente, ci hanno lanciato la cattedra
addosso e hanno cominciato a picchiarci”
La tesi
dell’errore operativo è smentita anche dalle dichiarazioni rese dall’assistente
Mele Salvatore (facente parte del gruppo della Squadra Mobile di Nuoro al
comando di Gava) e dallo stesso Gava, che confermano una preventiva divisione
in due gruppi delle forze presenti nei pressi del complesso scolastico, uno che
doveva entrare nella Diaz Pertini e l’altro nella Pascoli (teste Mele, ud.
31/1/08).
Da ultimo rileva
il P.G. che la “perquisizione” si è protratta per un periodo di tempo
oscillante tra la mezz’ora e i quarantacinque minuti, lasso temporale del tutto
incompatibile, sul piano logico, con l’atteggiamento mentale di chi, accortosi
immediatamente dopo l’irruzione nell’edificio dello sbaglio operativo, se ne
dovrebbe subito allontanare
È poi
incontrovertibile, sempre per il P.G., che anche all’interno della scuola
Pascoli vi furono ingiustificate ed ingiustificabili violenze personali e verso
il materiale informatico di ogni genere. Anche alcuni poliziotti della Digos
hanno riferito dell’apprensione di quattro videocassette in una stanza del
terzo piano dell’edificio, senza fornire una spiegazione formalmente – e
legalmente – plausibile: il sovr. Bassani, riferendo della circostanza di avere
visto persone che filmavano dal terzo piano ha detto: “abbiamo trovato queste
cassette su un tavolo abbandonate e ho ritenuto opportuno acquisirle perché ho
detto magari possono servire per qualsiasi motivo, se ci sono delle indagini.
Lasciarle lì onestamente ... potevano essere cassette che riprendevano
l’operazione di Polizia, magari finiscono nelle mani di chiunque, non so..”; ma
poi ha ammesso di non avere redatto verbale “nella convinzione che si trattasse
di materiale da far confluire in altri verbali a conclusione
dell’operazione”. Analoghe
dichiarazioni ha reso l’ass. capo Pantanella Giovanni: “per me ho pensato
magari che ci fosse (nelle quattro videocassette) del materiale importante per
l’indagine… mi è stato detto che avrebbero fatto un altro verbale.”)
Esaminando il
tenore della sentenza di primo grado sul punto, osserva il P.G. che un primo travisamento
dei fatti è costituito dall’affermazione che il Gava sarebbe entrato nella
scuola Pascoli per ultimo, dietro ad altri reparti della Digos e della Squadra
Mobile. In realtà, osserva il P.G., risulta dalle stesse dichiarazioni
dell’imputato (interrogatorio del 13/2/02) esattamente il contrario
Il secondo
errore di interpretazione dei fatti in cui incorre la sentenza è quello di
descrivere e considerare il Gava come un dirigente che non dirige, che non
riesce a impartire ordini ai suoi collaboratori e che neppure si rende conto di
quanto succede nell’edificio .
In terzo luogo,
è la destinazione della scuola Pascoli a sede del Genoa Social Forum - a tutti nota – che fonda la
contestazione e la responsabilità per la violazione di domicilio; parimenti,
l’asportazione delle parti interne di personal computers, significativamente
non seguita da successiva verbalizzazione giustificativa del sequestro integra
gli estremi dell’appropriazione indebita e del falso.
- il falso relativo alla
perquisizione della scuola Pascoli (rectius Diaz-Pertini)
L’imputazione di
falso relativamente al verbale di perquisizione e sequestro a carico di Gava consegue
alla circostanza che egli ha firmato atti che danno conto di numerose attività
cui egli non ha partecipato. L’assunto in base al quale il Tribunale ha assolto
Gava è errato, secondo il P.G., sia in fatto, relativamente alla dedotta
attività di identificazione dei soggetti perquisiti, sia in diritto,
relativamente alla ritenuta assenza di dolo per aver Gava agito nella
convinzione di poter legittimamente formare il verbale di perquisizione e sequestro
solo in conseguenza dell’attività strumentale di identificazione predetta.
Il primo assunto
è smentito, secondo il P.G. appellante, dal tenore letterale dell’atto in cui tutti
i firmatari sono indicati come presenti all’interno della scuola Pertini ed
autori dell’attività di perquisizione e sequestro; il secondo assunto è errato
in diritto perché L’oggetto
giuridico tutelato è l’affidabilità degli atti pubblici, nel loro contenuto
rappresentativo di fatti o situazioni di cui essi siano destinati a provare la
verità, e l’obbligo di
documentazione della attività di polizia giudiziaria attraverso il verbale, non
con semplice annotazione, è stabilito dall’art. 357 c.p.p. soltanto per alcuni
tipi di atti ed operazioni, tra i quali la perquisizione e il sequestro.
Inoltre, e soprattutto, per il P.G. l’evidente illegittimità anche dal punto di
vista formale (si attestano fatti ai quali non si è assistito) degli atti che
si vanno compiendo, non può certo essere posta nel nulla da una ritenuta
sussistenza di eventuali prassi illegittime.
.-.-.-.-.
D)
La vicenda relativa al sequestro e riposizionamento delle bottiglie
molotov.
Premesso che
risulta incontestabile che le bottiglie molotov giunte alla scuola Diaz erano
state rinvenute in Via Medaglie D’Oro di Lunga Navigazione dal vice questore
aggiunto dott. Pasquale Guaglione nel pomeriggio del sabato 21 luglio 2001,
osserva il P.G. che Burgio ha lasciato la sua postazione (di custodia) del
mezzo blindato posteggiato al centro di Piazza Merani soltanto per recarsi nel
cortile della scuola Diaz e lasciarvi le bottiglie, non essendovi alcuna
plausibile giustificazione “operativa” di tale condotta; infatti, nessun
autista di qualsivoglia reparto deve abbandonare, né ha mai abbandonato, il proprio mezzo, come è regola
assoluta e come è testimoniato dagli appartenenti a tutti i reparti. E sono i
funzionari più alti in grado a ricevere in consegna le molotov (materialmente il
dott. Bernardini), fatto che secondo il P.G. dimostra la piena consapevolezza del rinvenimento delle
molotov in luoghi esterni all’edificio scolastico. La stessa Suprema Corte
nella sentenza resa nel procedimento riunito per l’imputazione di falso ha
chiarito che è semplicemente
“inconcepibile” che un alto funzionario di polizia non avesse la consapevolezza
che del rinvenimento delle Molotov si sarebbe dato conto attraverso un atto
ufficiale, cioè un verbale di sequestro, che avrebbe stabilito il collegamento fra
le molotov e i soggetti perquisiti sulla base dei presupposti che lo stesso
imputato aveva contribuito a creare.
Di Bernardini ha
dovuto ammettere, in contrasto con le originarie affermazioni già rese alla
A.G. (secondo cui le bottiglie Molotov erano state trovate “nello stanzone”
della scuola e pertanto attribuibili a tutti gli occupanti), di aver
effettivamente incontrato il dott. Troiani che lo aveva chiamato dall’esterno,
e di aver ricevuto in tale contesto le molotov; del tutto incredibili sono,
quindi, per l’appellante le
affermazioni del Di Bernardini di non aver avuto o richiesto notizie sulle
modalità e sul luogo del ritrovamento degli ordigni.
E la motivazione
della sentenza impugnata sul punto è perplessa, contraddittoria ed illogica
proprio laddove dapprima riconosce che “tali dichiarazioni possono apparire
imprecise e forse anche in parte illogiche, essendo … invero piuttosto strano
che (le molotov) siano state affidate ad un non meglio precisato ispettore di
Napoli, dalla Mengoni (che le deteneva) tanto conosciuto da non saperne
indicare nemmeno il nome” (pag. 296 della sentenza); ma poi afferma,
apoditticamente e contraddittoriamente, che “non sussistono peraltro elementi
che possano provare l’assoluta inattendibilità di quanto riferito, tenuto dalla
teste, tenuto presente lo scarso interesse da parte sua ad elaborare una
versione dei fatti non veritiera”.
Venendo all’analisi degli
elementi valorizzati dal Tribunale per motivare l’assoluzione, rileva il P.G:
a) quanto al
fatto che “dovrebbe ipotizzarsi l’esistenza di un vero e proprio complotto
organizzato in precedenza”, che è proprio quanto l’accusa ha dimostrato, con la
messe di prove sopra evidenziate;
b) quanto alla
“preventiva creazione di prove false”, che nessuno ha mai sostenuto che la
bottiglie molotov siano state create ad arte dalla Polizia (per quanto sospetti
siano le circostanze del ritrovamento e soprattutto la successiva fortuita
distruzione dei preziosi reperti…). Si è solo dimostrato, con testimonianze,
ammissioni e videoriprese, che - trovate
altrove le molotov – si decise di trasportarle nella Diaz per giustificare
l’irruzione violenta nelle scuole Diaz-Pascoli, e poi l’uso di simili violenze
contro gli occupanti delle scuole; e poi per fondare accuse calunniose nei
confronti degli occupanti stessi;
c) quanto al
“numero così rilevante di dirigenti, funzionari ed operatori di polizia” che
sarebbe stato necessario per creare le apparenze del reato di possesso di
ordigni incendiari, che nessuno ha mai sostenuto che l’operazione sia stata – né
dovesse essere – concordata con tante persone. In realtà bastava – ed è bastato – l’accordo di chi ha
rinvenuto le molotov, di colui che ne disponeva, di colui che le ha trasportate
e di colui che le ha poste nel cortile e poi all’interno della scuola Diaz:
oltre, naturalmente, ai funzionari direttamente interessati e – purtroppo - ai loro diretti superiori in grado,
di rango anche elevato. Trattasi in tutto di una dozzina di persone al massimo,
ma fidate, decise ed interessate al massimo esito dell’”operazione Diaz”.
E) LA CORRESPONSABILITA’ DI
TUTTI I PARTECIPANTI
Conclude il P.G.
che l’istruttoria ha dimostrato in fatto, e con pienezza, la corresponsabilità
di tutti e ciascuno dei funzionari e poliziotti intervenuti nelle irruzioni, e
quantomeno per le numerose e gravissime lesioni inferte agli occupanti delle
scuole e per i falsi ideologici
La
premeditazione di tutti emerge anche dal loro stesso abbigliamento, posto che
tutti indossavano i caschi o i foulards d’ordinanza per nascondere il volto.
E se i caschi potrebbero essere stati indossati per motivi di sicurezza
personale, tanto non può dirsi nemmeno astrattamente per i foulards. Ed infatti
proprio il nascondimento dei volti ha impedito il riconoscimento e la condanna
di tutti i responsabili materiali delle violenze.
Ad ulteriore
conferma il P.G. ricorda che nessuno dei colleghi della polizia ha voluto
concorrere a identificare, neppure a posteriori, il poliziotto dalle
caratteristiche assai peculiari (acconciatura dei capelli a “coda di cavallo”) che
è stato ripreso mentre infieriva su una
persona ferma, inerme ed arresa; ricorda anche che nessuno dei colleghi
della polizia ha voluto concorrere a identificare, neppure a posteriori, il
poliziotto che ha firmato con la sigla i verbali di arresto di cui
all’imputazione.
In questo quadro
ed in questa conformazione della forza, predisposta da coloro che avevano
funzioni di coordinamento e comando, consegue per il P.G. l’attribuzione anche
ai dirigenti di tutti i reati, e con più
grave responsabilità, a titolo di concorso morale e materiale, anche per
violazione dell’obbligo giuridico di impedire il fatto reato ai sensi dell’art.
55 c.p.p., per l’eventuale assistenza passiva al crimine da parte di superiori
gerarchici che rende ininfluente, in questo quadro, l’accertamento degli esatti
movimenti compiuti da ciascuno.
F) Responsabilità dei dott. Gratteri e Luperi
Secondo il P.G. sussiste evidente e piena la
responsabilità degli imputati Gratteri e Luperi per i reati loro ascritti: l’accordo
criminoso che il Tribunale ha ritenuto essersi formato sulla mancata denuncia
comporta non soltanto la tolleranza delle azioni illegittime, ma quantomeno
l’implicito assenso da parte (anche) degli imputati Gratteri e Luperi,
superiori gerarchici che erano a perfetta conoscenza dei fatti.
Ma anche limitandosi
all’ipotesi di responsabilità ex art. 40 c.p., richiamate sul punto le
osservazioni e le conclusioni in fatto rassegnate in primo grado dal PM, il
P.G. sottolinea, in diritto, che l'articolo sancisce l'assoluta equivalenza
casuale tra il non impedire l'evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire
ed il cagionarlo; e gli imputati Luperi e Gratteri hanno partecipato e condotto
le azioni della Polizia nelle rispettive posizioni apicali, e comunque erano
costantemente e tempestivamente a piena conoscenza degli avvenimenti per avervi
per la gran parte anche direttamente partecipato. Essi erano altresì provvisti
di diretto potere gerarchico nei confronti di tutti gli ufficiali ed agenti di
PG operanti.
Richiama il P.G.
la costante giurisprudenza che ha sempre ritenuto che l'obbligo di impedire la
perpetrazione dei reati discende per gli appartenenti alle Forze dell'ordine
dalle norme istituzionali dei vari corpi d'appartenenza (e pertanto li ha
sempre ritenuti responsabili ex artt. 40 e 110 c.p.), osservando come anche la
minoritaria dottrina che critica questa ricostruzione ritiene che gli
appartenenti alle forze dell'ordine
rispondano comunque, ed autonomamente, ex art. 40 c.p., non essendovi dubbi sull’obbligo giuridico
di impedire l'evento.
In definitiva i
comportamenti – quantomeno omissivi – dei dott. Gratteri e Luperi secondo il
P.G. hanno realmente e di fatto determinato la commissione sia dei reati di
falso sia del reato di calunnia, poiché l’istruttoria ha escluso l'intervento
di altri fattori alternativi con
elevato grado di credibilità razionale.
Anche volendo escludere una loro premeditazione in ordine ai reati di
falso, se la loro azione doverosa di controllo dei loro collaboratori fosse
stata compiuta (dalle loro corrispondenti “posizioni di controllo”, appunto),
essa avrebbe con certezza impedito l'evento. E per pacifica giurisprudenza
nella “responsabilità penale
correlata alla titolarità di una "posizione di garanzia" deve ritenersi che gli obblighi da questa derivanti,
lungi dall'attenuarsi, siano
rafforzati nel caso di attività complesse o pericolose.”
G) I falsi ideologici in
relazione ai fatti della scuola Diaz
Con riferimento
al verbale di perquisizione, il P.G. appellante evidenzia i seguenti aspetti di
falsità:
a)
la perquisizione ha avuto inizio
alla mezzanotte e non alle 23,30;
b)
le bottiglie molotov non sono
state trovate nella sala di ingresso al piano terreno e neppure in qualsiasi
altro locale della scuola Diaz, bensì sono state rinvenute da altri ufficiali
di P.G. in altro luogo ed appositamente portate presso la scuola Diaz al fine
di includerle nel materiale sequestrato;
c)
le “mazzette ricurve in
alluminio” erano in realtà stecche metalliche sfilate da zaini appartenenti a
soggetti che si trovavano all’interno della scuola e “contrabbandati” per
“mazzette ricurve in alluminio” allo scopo di farle apparire quali autonomi
oggetti idonei ad essere ritenuti armi improprie;
d)
lo zaino di proprietà di Szabo
Jonas era stato ritrovato nella scuola Pascoli, dove lo Szabo alloggiava e dove
l’aveva lasciato quella sera essendosi recato nella scuola Diaz solo per
ragioni contingenti e con l’intenzione di fare rientro alla Pascoli per
dormire;
e)
lo stesso Szabo, così come il
Brauer e la Jaeger, che si trovavano all’interno della scuola Diaz quando la
Polizia ha sfondato il cancello dell’istituto, erano riusciti a fuggire
attraverso le finestre e le impalcature esistenti sulla sinistra del caseggiato
ed erano stati arrestati successivamente all’esterno della struttura senza che
esistesse alcun elemento di prova che gli stessi si trovassero nella scuola e
che quindi gli oggetti sequestrati fossero a loro riconducibili;
f)
Mark William Covell non era
all’interno della scuola Diaz ed anzi è stato brutalmente ed immotivatamente
aggredito mentre transitava nella via Battisti ancor prima di dare inizio alla
perquisizione.
Con riferimento
al verbale di arresto, il P.G. evidenzia i seguenti elementi di falsità:
g) dopo che le forze dell’ordine avevano forzato il cancello che dà accesso
al cortile dell’edificio, le stesse “venivano fatte oggetto di un fittissimo
lancio di oggetti di ogni genere” Ciò “rafforzava vieppiù nel personale
operante il profondo convincimento
che effettivamente all’interno del predetto edificio i giovani
manifestanti detenessero armi di ogni genere”;
h) entrati gli agenti nella scuola “i giovani presenti all’interno
cercavano di resistere ulteriormente dapprima ingaggiando colluttazioni con i
procedenti ed in seguito disperdendosi per i vari piani dell’edificio anche per
garantirsi la possibilità di poter tendere inaspettatamente ogni sorta di
agguato”;
i) l’agente Nucera Massimo era stato “accoltellato al torace” senza
“ulteriori e drammatiche conseguenze solo grazie all’utilizzo da parte del
predetto operatore di polizia di un giubbotto protettivo”;
j) “nelle concitate fasi d’ingresso e durante la colluttazione, i giovani
in argomento provvedevano intenzionalmente a lanciare verso ogni luogo i propri
zaini, ciò evidentemente per rendere impossibili le operazioni di attribuzione
delle responsabilità penali relative all’eventuale rinvenimento e sequestro di
armi”;
k) nel rinvenimento degli oggetti già descritti nel verbale di sequestro,
fra cui le due bottiglie molotov che hanno determinato una delle due specifiche
imputazioni, e che erano state ritrovate “al piano terra dello stabile, in
prossimità dell’entrata, in luogo visibile ed accessibile a tutti”;
l) nel rinvenimento di uno zaino di proprietà di tale Szabo Jonas al cui
interno si trovavano alcuni fogli di carta su uno dei quali erano manoscritte
parole quali “Genova 2001 … omissis … tipo … omissis … rivolta” e che ciò
costituiva “conferma delle comuni finalità di rivolta e di devastazione che
l’organizzazione si prefigge anche attraverso la sua capillare divulgazione”;
il manoscritto, inoltre “descrive nei dettagli la preparazione di un giubbotto
speciale da utilizzarsi in occasione di eventuali contatti con le Forze
dell’ordine in occasione del vertice dei G8” e riporta altresì la frase: “di
fronte a me ci sono circa 200 persone che lavorano su questo tipo di armamento
passivo”.
Ciò premesso, rileva il P.G. in diritto che “tutti
i rapporti di polizia sono atti pubblici” (sent. Cassazione penale sez.
VI del 24 settembre 1987), e che, secondo giurisprudenza anche di merito,
costituisce falso ideologico in atto pubblico il fatto di chi appone la propria
sottoscrizione nel verbale stesso quando, invece, sia stato assente
all'effettuazione delle relative operazioni. E tanto vale non solo per il
verbale di arresto, ma anche per quello di sequestro, in quanto “atto
pubblico facente fede sino ad impugnazione di falso, ai sensi dell'art. 476 cpv. c.p. … nell'esercizio delle funzioni di
accertamento ed assicurazione del
corpo del reato. La compilazione di tale atto costituisce infatti manifestazione del potere di
documentazione fidefaciente
espressamente attribuito all'ufficiale di polizia giudiziaria” (Cassazione
penale, sez. V, 24 novembre 1983).
Quanto alla tesi di alcuni degli imputati secondo
la quale essi avrebbero “soltanto” apposto la firma in calce nei verbali di cui
all’imputazione, la veridicità dei quali non sarebbero stati chiamati ad
attestare, né comunque ne avrebbero conosciuto la non corrispondenza al vero, se
anche ciò fosse provato, e per il P.G. non lo è, deve rammentarsi che proprio
“la firma del pubblico ufficiale sul documento è ciò che attribuisce ad esso il
valore e l'efficacia della pubblica documentazione” (sent. Cassazione penale,
sez. V, 05 luglio 1990).
In definitiva, a prescindere dalla invocata circostanza
che alcuni sottoscrittori dei verbali non fossero a conoscenza della falsità
delle attestazioni ed a prescindere anche dalla loro partecipazione effettiva
all’irruzione della scuola Diaz ed ai sequestri del materiale, dal loro dovere
di attestare solo ed esclusivamente fatti dei quali erano a diretta conoscenza
ed ai quali avevano partecipato deriva la loro responsabilità penale. L’ufficiale
verbalizzante, infatti, attesta quel che sottoscrive facendo integralmente
proprio il contenuto dell’atto. principio che la Suprema Corte ha ribadito
anche nel presente procedimento, annullando la sentenza di non luogo a
procedere emessa dal GUP di Genova nei confronti dell’imputato Troiani,
“considerate le competenze di un funzionario di polizia, idoneo a distinguere
tra un atto a cui ha partecipato ed un atto a cui non ha preso parte e che non
deve sottoscrivere…”.
Osserva ancora il P.G. che vi è nel processo
positiva conferma della piena consapevolezza in capo agli ufficiali ed agenti
di P.G. della natura e della funzione delle sottoscrizioni in generale, come si
evince dall’episodio relativo all’agente Nucera il quale ha confermato che non
avrebbe voluto sottoscrivere i verbali di arresto e perquisizione, essendo a
conoscenza solo dell’accoltellamento che lo riguardava, e non di tutto il
restante contenuto degli atti; la giustificazione di aver firmato per obbedire ad
un ordine impartitogli da Mortola e da altro funzionario non scrimina, data la
manifesta illegittimità del’ordine, ed è poco credibile, secondo il P.G., visto
che il verbale di sequestro del giubbotto, del paraspalle e del coltello è
stato firmato dal Panzieri e non dal Nucera.
Né vale, secondo l’appellante, invocare il
principio “nemo tenetur se detegere”, sotto il profilo che redigere atti corrispondenti al vero
avrebbe implicato ammettere la propria responsabilità per i reati commessi
all’interno della Diaz, in quanto tale principio non opera in tema di falso in
atto pubblico, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione.
Infine il P.G. ricorda, quanto all’eventuale
prassi illegittima di firmare
verbali di attestazione di fatti ai quali non si è assistito (rimarcando come nessun
imputato sia mai giunto a dichiarare che tale prassi esiste), che “non può
invocarsi a discolpa l’esistenza di prassi illegittimamente tollerate se non
promosse” (Cass. 10720 del 04/12/2007 – 10/03/2008).
.-.-.-.
III –
LE PENE IRROGATE, LA CONCESSIONE DELLE CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE, IL
GIUDIZIO DI COMPARAZIONE DELLE CIRCOSTANZE.
Lamenta, infine,
il P.G. l’inadeguatezza delle pene inflitte, modeste in relazione alla gravità
dei fatti ed ai gravissimi danni fisici e morali arrecati non soltanto alle
pp.oo., ma perfino alla credibilità ed al prestigio internazionale dell’Italia.
Per l’appellante ingiustificata ed ingiusta pare la
concessione a tutti gli imputati delle circostanze attenuanti generiche, per di
più ritenute prevalenti o equivalenti alle gravissime aggravanti. Tali attenuanti non sono oggi giustificabili
con il mero stato di incensuratezza, mentre per il passato tale “status” deve
cedere di fronte alla gravità di condotte e reati come quelli di chi venga meno
non solo ai doveri di lealtà, correttezza ed imparzialità ai quali è
istituzionalmente tenuto, ma anche di minima “umanità”.
Conclude,
pertanto, il P.G. chiedendo la riforma della sentenza di primo grado con la
conseguente condanna degli imputati in ordine a tutti i reati rispettivamente
contestati; l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche e comunque la
modifica del giudizio di comparazione delle circostanze con l’irrogazione di pene
più gravi.
.-.-.-.-.-
APPELLO DEL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
Esordisce il
P.M. di primo grado lamentando che la sentenza non consente, su decisivi temi
di prova, alcun controllo della logicità e della coerenza del ragionamento
decisorio, per la semplice ragione che la motivazione è del tutto assente,
configurandosi così il più grave vizio dell’atto costituito dalla carenza
assoluta di motivazione.
La ricostruzione del fatto
è introdotta da un incipit
metodologico che anticipa l’elusione del vaglio critico delle dichiarazioni testimoniali. Il
Giudice si avventura nella esposizione di una regola di giudizio che attinge ad
un parametro pseudo scientifico presentato come di validità costante. Si evoca
una psicologia spicciola della testimonianza secondo la quale sarebbe “noto”
che i testi “sono di norma, anche
inconsciamente ed in perfetta buona fede, portati a ricordare, riferire,
sottolineare ed anche ampliare, prevalentemente i fatti e le circostanze
favorevoli ai loro amici, conoscenti, colleghi ed affini ideologicamente e che
con il trascorrere del tempo tale situazione si cristallizza sempre più,
determinando spesso la convinzione di aver assistito esclusivamente a tali
fatti” (pag. 241). Dubita il P.M. che ciò possa costituire una regola di
giudizio tale da essere addirittura esposta come premessa significativa; viceversa
per l’appellante sarebbe stato corretto avvalersi del criterio valutativo,
enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale “non
c'è nessun racconto (e, meno che mai, nessun racconto orale) che non abbia
falle, lacune, contraddizioni; quel che si può pretendere è che il narrante
riferisca i cc.dd. "fatti
indimenticabili", cioè quelli che, per la loro rilevanza sociale e/o
psicologica, sono ritenuti tali da non poter essere cancellati dalla mente e
che in essa vengono abitualmente "trattenuti", secondo la normale
meccanica mnemonica dell'uomo medio. In questo senso la giurisprudenza, come è
noto, parla di "nucleo essenziale" del dictum, vale a dire del
"nocciolo" del racconto: di quella parte dell'avvenimento ricordato e
riferito che non può essere stata - in tutto o in parte - dimenticata da chi
realmente tale avvenimento abbia vissuto o ad esso abbia assistito” (così
Cass. Sez. V nr. 32906 del 31.05.2007, Capriati).
La seconda premessa alla
ricostruzione dei fatti è valutata superficiale dal P.M.. Il Tribunale afferma
che occorre “tenere presente quanto
stabilito dall’art. 192 c.p.p. e la “ormai ampiamente nota elaborazione
giurisprudenziale di tale norma, che appare superfluo ripetere in questa sede”,
mentre osserva l’appellante che questa sarebbe stata proprio la sede naturale
per esporre le premesse giuridiche in tema di valutazione delle prove. E ciò
soprattutto perché l’art. 192
c.p.p. non contiene una sola norma, ma un insieme di disposizioni e più norme,
ognuna delle quali secondo il P.M. è stata ripetutamente violata. Richiama, ad
esempio, l’appellante come rilevate in causa una recente e consistente linea
giurisprudenziale secondo la quale, qualora chi si trovi nella condizione di
indagato in procedimento connesso assuma la qualità di persona offesa, è
quest’ultima veste processuale a prevalere e pertanto il soggetto è pienamente
capace di testimoniare (Cass. Sez. III nr. 357 del 15/11/2007,
Bulica).
Così come vi sono altre
rilevanti opzioni interpretative quali: a)
la non necessità dei riscontri alla testimonianza della persona offesa; b) il principio di frazionabilità delle
dichiarazioni; c) il principio del
riscontro incrociato con altre dichiarazioni, stabilito per le dichiarazioni
dei correi e a maggior ragione per gli altri dichiaranti. Se ha inteso
richiamare anche tale elaborazione giurisprudenziale, lamenta tuttavia il P.M. come il Giudice non l’abbia poi osservata.
La
ricostruzione del fatto.
Un primo elemento
processuale che il Giudice pare risolvere in termini di certezza è quello
relativo alla presenza di estremisti del black
bloc o simili, se non nella scuola Diaz, quantomeno “nella zona prossima al complesso scolastico”.
Il Giudice si affida in
primo luogo alla testimonianza del prefetto Andreassi, che secondo il P.M. ha
reso una deposizione fra le più coerenti ed esplicite, ma fra le più contestate
dalle Difese. Il teste riferisce di una decisa virata nella politica della
gestione dell’ordine pubblico, proveniente dal vertice del Dipartimento di
Pubblica Sicurezza: indica nella persona del dott. Gratteri, quale capo
dell’organismo centrale S.C.O., il nuovo centro di imputazione delle direttive
sul campo alle forze territoriali.
Il Tribunale affronta
quindi la ricostruzione dell’episodio di aggressione alla pattuglia davanti
alle scuole Diaz: la conclusione cui giunge il Giudice è quella della
difficoltà di accertamento dell’accaduto, ed il P.M. lamenta che in tal modo il
Tribunale rinuncia a prendere posizione limitandosi ad una mera registrazione
del contrasto fra le deposizioni. La considerazione dell’episodio diviene così
solo strumentale a dimostrare come l’ostilità mostrata nei confronti della
pattuglia legittimasse il sospetto della presenza di facinorosi “evidentemente provenienti dalla scuola Diaz
Pertini”.
Il Tribunale si basa
ancora sulla testimonianza del dott. Colucci per descrivere le fasi relative
alla preparazione della perquisizione e in particolare per le informazioni
raccolte anche con il sopralluogo del dott. Mortola. Giunto ad altro contrasto
tra due versioni dei fatti, quella resa dal teste Kovac e quella resa
dall’imputato Mortola, il Giudice, lamenta il P.M., non è in grado di
concludere e motivare sull’inattendibilità dell’una o dell’altra versione. La
scelta si basa infine su una illazione, in danno dell’unico teste, il Kovac,
che secondo l’appellante si era invece mostrato sempre coerente con le
dichiarazioni rilasciate in istruttoria e in sede di commissione parlamentare.
Rileva il P.M. che è stato travisato, nelle motivazioni della sentenza, il
fatto che Kovac non abbia escluso di aver detto all’imputato Mortola che la
situazione all’interno della Diaz fosse “fuori controllo” del G.S.F.: il Kovac
non si è sentito responsabile delle conseguenze dell’intervento violento per aver detto al Mortola che la
situazione all’interno dell’edificio era sfuggita al controllo del G.S.F., ma
per essersi fidato del Mortola che lo aveva tranquillizzato.
L’arrivo
delle forze dell’ordine al complesso scolastico Diaz
Il Tribunale riferisce gli
episodi di violenza in danno di Frieri e Covell, entrambi avvenuti a freddo -
prima dell’irruzione - nella pubblica via: il Giudice afferma che non è chiaro
chi lo ha colpito e chi era al comando dei reparti. In realtà, osserva il P.M.,
vi sono testi oculari che assistettero all’aggressione dalle finestre della
scuola Pascoli con diretta visione dell’accaduto, nonché le definitive
precisazioni e rettifiche fornite dalla stessa parte offesa sul punto ed infine
il reperto filmato 239, che inquadra almeno una delle ultime fasi della brutale
azione: per l’appellante il compendio di tali elementi fornisce prova della
univoca attribuibilità del fatto ad appartenenti alle forze di Polizia in quel
momento impegnate nell’irruzione. Ma ricorda il P.M. che vi sono state altre
manifestazioni di violenza tutte perpetrate dai reparti della Polizia di Stato
impegnati nell’operazione nei confronti di persone (i testi Tizzetti, Scribani
e Nanni) che, al momento dell’arrivo delle forze di polizia si trovavano in
strada e nell’atto di allontanarsi
da quei luoghi: la circostanza non menzionata dal Tribunale assume significato
al fine della ricostruzione del fatto e degli avvenimenti successivi. Si tratta
per il P.M. di violenza gratuita commessa da tutti i reparti sotto gli sguardi
ed il controllo dei più alti dirigenti (di ciò è prova l’esame dei documenti
filmati che riscontrano, come ammette il Giudice, le drammatiche testimonianze)
valutata dal GIP nel provvedimento di archiviazione nei confronti degli
arrestati, che fornisce riscontro di attendibilità alle dichiarazioni delle
parti lese anche con riferimento alle violenze subite al’interno della scuola, escludendo
i margini di dubbio anche a tale riguardo avanzati dal Tribunale.
Sul lancio
di oggetti e atti di resistenza verso le forze dell’ordine
La conclusione
cui perviene il Collegio in merito al verificarsi di lancio di oggetti contro i
poliziotti, come attestato nei verbali di p.g., che descrivono “fittissimo lancio di oggetti”, (conclusione
diametralmente opposta a quella del G.I.P. nel provvedimento menzionato), è ritenuta
dal P.M. frutto di travisamento dei fatti e sorretta da fallaci argomentazioni
logiche e giuridiche, che prescindono dalla valutazione del materiale
probatorio a disposizione. Sul punto le argomentazioni sono analoghe a quelle
sviluppate nell’appello proposto dal Procuratore Generale.
L’irruzione nella scuola Diaz Pertini. Ancora sulla
resistenza
Il quadro che
emerge dalle deposizioni secondo il P.M. è univoco. Le dichiarazioni delle
persone offese sono convergenti e riscontrate reciprocamente in ogni dettaglio,
trovano conforto nei certificati medici, nella tipologia delle lesioni patite,
da cui si desume l’omogeneità e la reiterazione delle modalità dei colpi
inferti, elementi che qualificano in maniera evidente le ferite come ferite
c.d. da difesa (traumi cranici ripetuti a dimostrazione della mira e
dell’obiettivo prescelto, braccia spezzate a protezione del capo, lesioni
traumatiche alle gambe e in parti del corpo attingibili soltanto con il
soggetto a terra). Ma ciò malgrado lamenta il P.M. che il Tribunale non se la
sente di dar piena patente di credibilità alle parti lese, per cui ritiene che
qualcosa deve pur essere avvenuto ed in particolare qualche colluttazione non
si può escludere “con assoluta certezza”.
Cita allora il Tribunale i 17 referti medici sulle lesioni riportate dai
poliziotti, ma per il P.M. basta il bilancio complessivo degli ottantasette
feriti su novantatre arrestati, e i trasporti in ambulanza per arrivare
all’ossimoro della “colluttazione unilaterale” descritta
dall’imputato Fournier.
L’aggressione all’agente Nucera
Su tale episodio
il P.M. registra un sostanziale non
liquet del primo Giudice.
Il Tribunale
dapprima riporta le dichiarazioni dell’agente Nucera e dell’ispettore Panzieri
senza alcuna valutazione della loro attendibilità intrinseca; all’esito
dell’accertamento tecnico disposto dal P.M., la versione resa dai due imputati
riceveva obiettiva smentita. La successiva versione dell’agente Nucera, veniva
quindi resa dopo aver conosciuto il dato obiettivo che smentiva la precedente
nel suo nucleo essenziale. Le due versioni quindi venivano poste a base del
quesito formulato al perito nella procedura di incidente probatorio richiesta
dal P.M.
La diversità
dell’ultima versione secondo il P.M. viene giustificata dal Giudice non solo in
maniera apodittica, ma in palese contrasto con i dati processuali; da un lato
fin da subito il Nucera riferì a terzi di aver ricevuto una sola coltellata, dall’altro
lato il teste Gallo, incaricato di redigere la comunicazione di notizia di
reato, ha riferito di aver chiesto al Nucera una dettagliata e precisa
relazione su quanto accaduto, invitandolo alla massima precisione e chiarezza in
quanto quello dell’accoltellamento era l’episodio più grave da inserire negli
atti. Risulta, così, smentita, a detta del P.M., la giustificazione adottata
dal Tribunale per spiegare la contraddizione fra le due versioni fornite dal
Nucera, incentrata sulla confusione e la non consapevolezza dell’importanza della
relazione richiestagli.
Ancora, lamenta
il P.M. che il Tribunale ha omesso di considerare il radicale cambio di
versione degli imputati ed in particolare del Nucera circa la presenza
all’episodio di altre persone che avrebbero potuto testimoniare in merito
all’aggressione; e che non ha considerato l’inverosimiglianza della mancata identificazione
dell’aggressore, sia pur colpito e immobilizzato a terra e che si sarebbe poi
confuso assieme agli altri arrestati.
Quanto agli
esiti della perizia sui tagli agli indumenti, svolte argomentazioni del tutto
simili a quelle sviluppate dal P.G., il P.M. lamenta che in sentenza non si
spende una sola parola per giustificare le seguenti eccezionalità ed
inverosimiglianze dell’azione concreta: a)
come è possibile che il secondo colpo, che per le tracce lasciate è quello sferrato con maggiore forza
cinetica, sia stato inferto mentre l’aggressore, colpito con il tonfa in pieno
petto dall’agente Nucera, era in caduta a terra? b) è ragionevole ipotizzare che, anche superata la legge
gravitazionale, l’aggressore abbia colpito il suo antagonista con precisione
millimetrica con un altro colpo che quasi si sovrappone al primo, sferrato in
altre condizioni e da altra differente posizione?
La perquisizione
Anche in questo
caso secondo il P.M. la motivazione è esangue.
L’appellante
contesta l’assunto sostenuto in sentenza secondo il quale le operazioni di
perquisizione sarebbero iniziate da parte degli agenti con funzione di polizia
giudiziaria al termine della “messa in sicurezza” dell’edificio, dopo che “gli
operatori del VII Nucleo” erano usciti e si erano radunati nel cortile. La
situazione descritta non risponde alle risultanze probatorie ed è funzionale,
secondo il P.M., alle conclusioni raggiunte dal Giudice in termini di
responsabilità per giustificare le assoluzioni.
Di fronte alla
evidenza delle numerose testimonianze, nonché delle riprese filmate, il
Tribunale ammette che la fase delle violenze, durante la messa in sicurezza
vede coinvolti anche operatori di tutti i reparti, quindi anche quelli dei
comparti di polizia giudiziaria, che iniziano senza soluzione di continuità l’attività
di perquisizione, condotta con le modalità serventi alla indiscriminata
denuncia in stato di arresto di tutti gli occupanti. Ricorda il P.M. che le dichiarazioni degli imputati
sottoscrittori dei verbali, utilizzabili contra
se sul punto in questione, confermano che la maggior parte di loro è
entrata nell’edificio mentre l’occupazione militare non era conclusa con la
neutralizzazione e sopraffazione violenta delle persone presenti e
contestualmente inizia la ricerca di oggetti da sottoporre a sequestro. Nel
verbale di arresto sottoscritto dagli imputati, sostiene l’appellante, vi è la
rappresentazione di un’inesistente condotta degli arrestati che avrebbero
provveduto “intenzionalmente a lanciare
verso ogni luogo i propri zaini evidentemente
per rendere impossibili le operazioni di attribuzione delle responsabilità
penali relative all’eventuale rinvenimento e sequestro di armi”: Questo
profilo di falsità in atti è attestato non nella relazione dell’imputato
Canterini o dalle dichiarazioni provenienti dagli uomini del VII Nucleo, ma
negli altri atti di p.g. ed è unicamente funzionale a giustificare la condotta
dei perquirenti, cioè dei reparti di polizia giudiziaria, con ciò
confermandosi, secondo il P.M., la impossibilità di distinguere le
responsabilità secondo la rigida scansione dell’operazione in due distinte fasi,
erroneamente istituita dal Tribunale.
Il Tribunale dà
atto che dalle dichiarazioni testimoniali degli occupanti della scuola emerge
la descrizione della perquisizione come confusa, diretta a cercare indumenti
neri, con modalità tali da non consentire la diretta attribuzione di paternità
degli oggetti e comunque irrispettosa dei diritti dei perquisiti, ma, osserva
il P.M., la riserva manifestata dal primo giudice sull’attendibilità dei testi qualificata
“sostanziale“ in virtù del richiamo
all’art. 197 comma 6 c.p.p. (che il P.M. appellante corregge in 197 bis
c.p.p.), ed il richiamo alla “comprensibile
animosità nei confronti delle forze di polizia” sono ingiustificati, non
tenendo conto della sussistenza dell’obbligo di dire la verità, e della
serenità e pacatezza con la quale tutte parti lese escusse hanno riferito i
fatti. Del resto, osserva il P.M., l’esternato sospetto è del tutto inutile,
essendo stata rispettata la regola dell’art. 192 comma 3 c.p.p., poiché le
testimonianze non solo si riscontrano reciprocamente e con genuinità, cioè come
il Tribunale ammette in altre parti, senza che ci sia stata la possibilità di
concordare versioni, ma sono anche riscontrate da inequivoche riprese filmate
che documentano le incredibili modalità di perquisizione, con poliziotti che
frugano e spargono alla rinfusa il materiale (immagini del rep.198.2.p.2. dal
min. 0.02.17 del contatore in avanti).
Altra grave omissione
nella sentenza è segnalata dal P.M. appellante nell’elencazione per ben undici
righe del materiale sequestrato, che a prima vista sembra riprodurre l’elenco
che compare nel verbale di sequestro, ma ad una lettura più approfondita, evidenzia
la mancanza di “sei mazzette in alluminio ricurve” (i sostegni metallici
estratti degli zaini), che secondo il P.M. è frutto di una delle più insidiose
azioni calunniose ai danni dei perquisiti. Osserva il P.M. che questa
estrazione dei telai metallici, quale deliberata azione compiuta da alcuni
poliziotti davanti agli occhi di tutti, è un segno inequivoco di quel patto tra
dirigenti e subordinati diretto a garantirsi l’impunità.
Ulteriore
circostanza oggetto di contestazione di falso ma trascurata dal Tribunale si
riferisce al sequestro di uno zaino attribuito a Michael Gieser e di alcuni
documenti oltre ad un coltello a serramanico e due multiuso a Szabo Jonas, in
relazione alla quale il P.M. ricapitola alcune circostanza sulle quali il
Tribunale ha omesso ogni valutazione:
a) quanto
sequestrato a Szabo Jonas è stato rinvenuto, secondo il verbale, nell’edificio
della scuola Diaz Pertini e ciò non corrisponde al vero, tanto che il Tribunale
usa l’espressione anodina “nel corso
della perquisizione”;
b) il sequestro
effettuato a Szabo Jonas è insieme con quello di Gieser il solo sequestro
nominativo, per la semplice ragione che lo zaino a lui pertinente è stato
rinvenuto nella scuola Pascoli, dove il proprietario l’aveva lasciato;
c) nello zaino
dello Szabo sono stati trovati documenti, descritti nel verbale come 8 fogli
dattiloscritti in lingua inglese sul retro di uno dei quali compariva uno
schizzo e alcune frasi che sono stati artificiosamente presentati come piani
strategici dell’associazione a delinquere di cui lo Szabo sarebbe stato componente
di spicco (in realtà trattavasi di brani di una biografia del rev. Jesse
Jackson su cui l’interessato elaborava una tesi e lo schizzo non rappresentava
alcun piano di battaglia, come ammesso dall’imputato Mortola);
d) Szabo Jonas,
benché fosse stato fermato nei pressi della scuola, veniva tratto in arresto per
tutte le imputazioni, compresa la resistenza, con il medesimo verbale che dava
atto della sua presenza all’interno dell’edificio;
e) lo Szabo ha
sempre negato la proprietà dei coltelli inverosimilmente attribuiti a lui e ha
denunciato, in tempi non sospetti, la mancata restituzione di una serie di
effetti personali come carte di credito e denaro;
f) i
documenti a lui attribuibili erano
detenuti nel suo zaino all’interno di una cartellina rossa che l’imputato
Mortola, ripreso dalle telecamere con tale cartellina, afferma di aver ricevuto
da non meglio identificati agenti del reparto mobile;
g) l’imputato
Mortola non poteva ricondurre la cartellina estratta dallo zaino allo Szabo se
non attraverso lo zaino stesso che conteneva i documenti di identità, quindi conosceva
il rinvenitore dello zaino in questione, cosa che non ha rivelato;
h) dallo zaino
di Michail Gieser sono stati estratte le barre metalliche a sostegno, poi
sequestrate come armi improprie;
i) al Gieser è
stata sequestrata una videocamera con relativa cassetta incorporata sulla quale
era stata effettuata una ripresa del primo piano della scuola appena terminate
le violenze e quando si trovavano ancora presenti i feriti ed i poliziotti,
cassetta del cui sequestro si dà atto nel verbale relativo, ma che non è mai
stata consegnata alla A.G. cui perveniva qualche giorno dopo una rettifica
dalla Questura che affermava trattarsi di un errore la menzione a verbale.
Le bottiglie Molotov
Anche in tal
caso il P.M. lamenta che l’analisi della vicenda è condotta dal Tribunale in
modo superficiale, senza affrontare alcuna tematica o nodo centrale del
contraddittorio.
Alla rilevate
contestazione circa la provenienza esterna delle molotov, indicate nei verbali
come presenti all’interno della scuola Pertini, si affianca, secondo il P.M.
con altrettanta importanza, l’episodio della sparizione dei reperti, emerso nel
corso del dibattimento. Censura il P.M. il giudizio di irrilevanza manifestato
dal Tribunale circa l’invocato approfondimento istruttorio su tale fatto, che
secondo l’appellante ha valenza indiziaria rilevante al pari di tutte le altre
circostanza relative agli ordigni; pertanto lamenta l’appellante che il primo
giudice ha omesso di pronunciarsi sulla nuova esplicita richiesta istruttoria
formulata nella propria memoria finale, ove venivano resi noti gli elementi emersi dalle indagini
attivate parallelamente dalla procura: in base a tali emergenze l’artificiere,
che avrebbe dovuto avere in consegna il reperto, ne avrebbe perso il possesso
per opera di “personale della D.I.G.O.S.” che si sarebbe portato via il corpo
di reato. Lo stesso artificiere sarebbe stato sottoposto a pressioni per
dichiarare di avere distrutto erroneamente gli ordigni, come emergeva da
intercettazioni telefoniche la cui acquisizione si sollecitava allo stesso
Tribunale nell’ambito dell’accertamento sul punto.
Per il P.M.
appellante è carente la motivazione anche nella parte in cui il Tribunale è
giunto a conclusione condivisibile, come l’accertamento di responsabilità di
Burgio e Troiani, in quanto a suo dire la svalutazione della condotta tenuta
dagli altri funzionari che hanno gestito le bottiglie molotov, i quali sono
stati assolti, e la conseguente separazione delle condotte di Burgio e Troiani
da quella degli altri coimputati, ha impedito di valutare unitariamente la fase
di ideazione e realizzazione del falso collocamento delle molotov all’interno
della scuola, inducendo, così, il Tribunale ad ancorare la decisione di
colpevolezza a circostanze di per sé scarsamente significative (ad esempio il
fatto che Troiani, pur conosciuto dai suoi colleghi, abbia girato le spalline
della divisa per occultare i gradi), obliterando le più consistenti tesi
accusatorie sviluppate all’esito del dibattimento (ad esempio il fatto che il
dott. Troiani e il suo assistente, i quali nella tesi accolta dal Tribunale
hanno portato le molotov con funzione ingannatoria, sono stati fatti
scomparire, non solo dai verbali che avrebbero dovuto indicarli come coloro che
avevano rinvenuto il reperto più significativo dell’intera operazione, ma anche
dagli elenchi degli operatori presenti, per ben due volte trasmessi dalla
polizia con assicurazione che erano esaustivi.) Osserva il P.M. che se
l’occultamento dei gradi è segno per il Tribunale di consapevolezza di azione
illecita, non si comprende come gli ingannati abbiano fatto sparire, dopo il
“lavoro sporco”, gli ingannatori, che a quel lavoro non avevano autonomo
interesse, .
Per il P.M.,
pertanto, è illogica e immotivata la condanna dei soli Burgio e Troiani senza alcuna
analisi da parte del Tribunale delle posizioni degli altri appartenenti al
gruppo e dei diversi soggetti che hanno avuto in consegna le molotov – in
particolare con riferimento alla loro presenza in loco, alla pacifica
detenzione degli ordigni, alla mancata richiesta di informazioni sull’origine degli
stessi, alla insufficienza ed incongruenza dei presunti soli moventi (quali?)
che avrebbero animato Burgio e Troiani, alla incompatibilità della incauta ed
ostentata condotta tenuta dal Troiani rispetto all’ipotizzato intento
ingannatorio dei vertici della Polizia.
Le dichiarazioni
degli imputati Di Bernardini, Caldarozzi, Mortola, Luperi, Canterini sono state
analizzate, come impongono le regole di esclusione in caso di rifiuto all’esame
dibattimentale, soltanto nella loro attendibilità intrinseca e nel loro
contrasto con elementi documentali obiettivi quali le riprese filmate secondo
la cronologia ritenuta affidabile dallo stesso Tribunale. Il risultato, secondo
il P.M., non è che sono “in parte
imprecise e contraddittorie” (come
sostenuto dal Tribunale a pag. 292 della sentenza), ma quello ben diverso che
sono state smentite e quindi sono false. Le amnesie ed imprecisioni attengono
non a dettagli, ma a momenti significativi e cruciali dell’operazione. La
valutazione delle dichiarazioni in parola, come effettuata dal G.i.P. che ha
ordinato la formulazione della imputazione di falso a carico di Troiani, ha
esplicitamente escluso, in quanto inverosimile, la tesi che il gruppo di
funzionari potesse essere stato ingannato da Troiani, proprio facendo leva
sulla macroscopicità del dato che nessuno avesse mai posto, secondo le versioni
rese, alcuna elementare domanda sulle bottiglie molotov.
Osserva il P.M.
che Tribunale ha omesso ogni valutazione, anche incidentale, sulle
dichiarazioni rese da Luperi, ripreso con in mano il sacchetto contenente le
molotov; sono state solo riportate le dichiarazioni rilasciate dal predetto
Luperi dopo la contestazione del filmato che smentiva le dichiarazioni rese in
precedenza, allorché, in una prima occasione, pur richiesto di fornire
informazioni sulle molotov e sulla attribuibilità agli arrestati, il Luperi non
aveva precisato le circostanze a lui note ed il contatto avuto con il reperto;
in una seconda versione, ancor prima della contestazione della provenienza
illecita delle bottiglie incendiarie, nuovamente richiesto di precisazioni
sulla perquisizione e sui sequestri effettuati, affermava di aver visto il
reperto, ma in mano ad altro soggetto che reggeva il sacchetto. Da ultimo, dopo
essersi avvalso della facoltà di non rispondere, alla visione del filmato che ritrae non altri, ma lui stesso
che maneggia il reperto, cerca di contestare la cronologia del filmato e
accreditare l’ipotesi di essere stato informato del ritrovamento
antecedentemente alla ripresa e a quel contesto di luoghi e persone. Ma la
possibilità di fissare con attendibilità scientifica la cronologia delle
riprese filmate consente secondo il P.M. di smentire questa versione: è lo stesso Tribunale che nella sua ricostruzione dei fatti accerta che
quel contesto, in cui Luperi è ritratto con il sacchetto delle molotov in mano
ed in cui sono ancora presenti sulla scena i latori degli ordigni, rappresenta
il momento in cui fanno la prima comparsa
le bottiglie.
Il fatto è che,
dopo l’esame del reperto da parte di tutti i funzionari apicali al comando dei
reparti impiegati, che avviene immediatamente dopo la consegna da parte di
Troiani e Burgio, il reperto stesso è collocato nella scuola in esposizione
insieme con gli altri oggetti sequestrati. Il percorso delle bottiglie e la
loro collocazione finale all’interno della scuola per il P.M. sono, a
differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, sufficientemente chiari per costituire
gli elementi indiziari definitivi in ordine alla consapevolezza della illecita
collocazione delle bottiglie molotov all’interno della scuola.
A supporto degli
elementi evidenziati, il P.M. richiama due deposizioni:
1) quella del dott. Fiorentino, che oltre a riconoscere la posizione di riferimento
gerarchico del Luperi sui luoghi della operazione, riferisce di essere stato
avvicinato da Luperi che, con grande esaltazione, gli mostrava le bottiglie nel
sacchetto, esprimendo la soddisfazione che tale ritrovamento rendeva finalmente
fruttuosa la perquisizione, i cui esiti fino a quel momento erano piuttosto
inconsistenti e rendeva, quindi, solida la decisione dell’arresto delle persone
occupanti la scuola. Questo aspetto della testimonianza, secondo il P.M., è in
assoluto contrasto, non solo con il ruolo di mero osservatore distratto e
distaccato che il Luperi si attribuisce, ma anche con la possibilità che la
vicenda del ritrovamento e quel momento di esperienza vissuta possano essersi
cancellati nella memoria del Luperi fino alla visione del filmato che lo ritrae
con il sacchetto contenente le molotov.
2) quella della dott.ssa Mengoni, riportata in sentenza, che pur ritenuta
dal Tribunale connotata da “profili di imprecisione e forse in parte di
illogicità” ed in contrasto con la deposizione del teste Pifferi, non è considerata
dal primo giudice elemento significativo per la ricostruzione della
consapevolezza in capo a Luperi e agli altri funzionari apicali dell’uso
fraudolento delle molotov.
.-.-.-.-.
Sulla redazione degli atti di perquisizione e sequestro
Osserva il P.M.
che il tema è affrontato dal Tribunale in poche righe. In primo luogo
l’appellante evidenzia come il Tribunale non abbia evidenziato l’anomalia di
affidare a Gallo e Schettini l’incarico di redigere la notizia di reato,
sebbene non avessero partecipato all’operazione. Ritiene il P.M. che la scelta
dei sottoscrittori non sia stata dovuta alla fretta o alla confusione, ma
appare ragionata e frutto di esplicita direttiva, come confermato dalla deposizione
dello stesso teste Gallo. Rileva l’appellante che al termine dell’istruttoria
dibattimentale è risultato impossibile individuare una qualsiasi fonte diretta
che abbia potuto testimoniare o dichiarare a Gallo e Schettini lo svolgimento
delle condotte e l’accadiemento dei fatti indicati nell’atto di sequestro e
perquisizione, pur ivi analiticamente descritti.
Secondo il P.M.
non è neppure certo che la prima relazione sia stata quella inviata al Questore
dal dott. Canterini; infatti la
relazione in questione, allegata al verbale di arresto e alla notizia di reato,
non era disponibile neppure la mattina dopo, tanto che i predetti testi Gallo e
Schettini non ne poterono tenere conto, malgrado fosse atto assolutamente
indispensabile perché costituente l’unica fonte di notizia circa la rappresentazione
delle resistenze poste in essere dagli occupanti. Non risponde al vero, per il
PM, che i redattori degli atti di perquisizione e sequestro e di arresto si
fossero riferiti alla relazione di Canterini, come sostenuto dal Tribunale per
argomentare la loro buona fede; alcuni di essi, in particolare Dominici e
Ciccimarra, essendo entrati per primi nella Diaz, avevano avuto diretta e
personale conoscenza dei fatti, per cui dovevano ritenersi consapevoli di
alcune falsità contenute negli atti in questione.
.-.-.-.-.-
La valutazione delle responsabilità
La premessa che le violenze all’interno e all’esterno della scuola Diaz sono state
compiute da un grande numero di agenti appartenenti non solo al VII nucleo,
ritenuta corretta dal P.M., si pone a suo
dire in contrasto con la decisione finale che concentra le condanne a senso
unico sul solo reparto del VII
Nucleo.
Tale premessa è tuttavia parzialmente modificata e contraddetta, secondo il P.M.,
dall’osservazione che la sistematicità nelle violenze “potrebbe anche essere attribuita alle sensazioni riportate dalle
vittime che, colpite più volte e con notevole forza..potrebbero in effetti aver
avuto la concreta e certamente giustificata percezione di un’attività violenta
sistematica, anche nel caso che in realtà si fosse trattato invece di sequenze
di colpi non programmate con precise finalità e modalità”; ma, contrappone
l’appellante, la sistematicità della violenze non si ricava dalle sensazioni
delle vittime bensì dal numero degli individui feriti (87 su 93), dalla
pluralità e gravità delle lesioni inferte anche alla stessa persona e
dall’accanimento degli agenti autori di tali lesioni.
Poiché l’unica
ragione alla base della operazione, espressa anche ufficialmente, è stata l’aggressione alla pattuglia
avvenuta davanti alle scuole e l’obiettivo dichiarato era quello della cattura
dei responsabili di quella aggressione, deduce il P.M. che è innegabile la
sproporzione tra l’episodio e l’imponente operazione e la strumentalità in
relazione ad un dispiego eclatante di forza muscolare e di efficacia
repressiva, veicolate attraverso l’uso dei poteri di perquisizione autonoma ex
art. 41 TULPS e non su mandato dell’Autorità Giudiziaria. Il tutto giustificato
dal fatto che occorreva appunto “reagire”, perché la polizia non poteva essere
così impunemente attaccata (come emerso dalla testimonianza del Questore
Colucci). In questo unico senso del termine “rappresaglia” da lui usato il P.M.
ritiene la circostanza provata al di là del ragionevole dubbio.
Viceversa non è decisiva
la circostanza della conferenza stampa tenuta da Sgalla per dimostrare la buona
fede degli imputati; infatti, osserva il P.M., in precedenza i giornalisti
erano stati allontanati e Sgalla formalmente aveva vietato le riprese video; ma
soprattutto Sgalla non ha riferito il fatto più eclatante del ritrovamento
delle molotov, e nella successiva intervista rilasciata alle ore 02,00 al TG24
della RAI, oltre a ridurre il numero dei feriti a circa una ventina, ha introdotto
la tesi che le ferite presentate dagli occupanti fossero pregresse, in quanto
riferibili agli scontri dei giorni precedenti.
Anche
l’affermazione del Tribunale secondo la quale occorre valutare la legittimità della
perquisizione è censurata dal P.M. in quanto trattasi a suo dire di circostanza
estranea al tema dell’accusa; oltretutto, lamenta il P.M., tale valutazione di
legittimità, che è anche inconferente rispetto alla perquisizione eseguita
presso la scuola Pascoli qualificata come illegittima nell’imputazione, è stata
effettuata dal Tribunale sulla base di materiale informativo acquisito
successivamente all’operazione.
Non solo, ma la
soluzione positiva al quesito sulla legittimità dell’operazione è argomentata
dal Tribunale con riferimento al giudizio di possibile presenza di black - bloc
all’interno della scuola, presupposto che originariamente neppure gli imputati
invocavano, avendo riferito quale episodio generatore dell’operazione esclusivamente
l’aggressione al convoglio di auto in Via Battisti.
Anche il
riferimento compiuto dal Tribunale alla pregressa operazione di perquisizione
alla scuola Paul Klee, citata come esempio di analoga operazione con “esito
positivo”, è contestato dal P.M., in quanto l’esito giudiziario di tale
operazione era stato fallimentare (su 23 arrestati, 21 erano stati
immediatamente rimessi in libertà dal P.M. per assoluta mancanza di indizi);
l’episodio in questione era stato introdotto dalla pubblica accusa a comprova
della utilizzazione della imputazione di associazione a delinquere come
fattispecie che nell’ottica della Polizia avrebbe consentito l’arresto in
flagranza di un considerevole numero di persone.
Affrontando il
tema delle responsabilità degli imputati il Tribunale stabilisce correttamente,
secondo il P.M., che l’obbligo di denuncia non è limitato agli operatori sotto
il proprio comando; ma come accerta la responsabilità di Canterini sulla base
delle sue dichiarazioni e dei filmati che attestano il suo ingresso nella Diaz
dopo il reparto, si interroga il P.M. perché ad identica conclusione il Tribunale
non sia giunto per gli altri imputati dei reati di falso, come ad esempio Ciccimarra
che è entrato ancor prima di Canterini, e ha quindi a maggior ragione potuto
rendersi perfettamente conto di cosa avveniva all’interno della scuola.
Rileva ancora il
P.M. che l’osservazione di un comportamento diffuso di omissione, dal quale il
Tribunale deduce logicamente l’esistenza di un vero e proprio accordo “di non denunciare gli eccessi di violenza”,
doveva necessariamente, e a maggior ragione, riferirsi anche agli altri
dirigenti ed in particolare a coloro che hanno organizzato, diretto e
partecipato alla redazione degli atti di polizia giudiziaria, naturali
compartecipi di un accordo di tale natura. Troppo palesi erano le tracce delle
violenze commesse e troppo articolata era stata la fase di “messa in sicurezza”
dell’edificio perché, secondo il P.M, tale accordo potesse essere riferito unicamente ai dirigenti
del VII Nucleo. In realtà dalla
generale diffusione delle violenze il P.M. deduce non solo un accordo diretto a
garantire l’impunità, ma un ruolo di incitamento trainante degli imputati capisquadra e comandanti, che
conformemente al loro ruolo e grado, guidavano alla carica e all’azione
violenta, accompagnata da grida di battaglia, un reparto che, per il suo
inquadramento compatto, agisce come un sol uomo e “colpisce alla cieca” ogni
sagoma presente all’interno dell’edificio (modalità di azione testimoniata per
ogni piano e locale), successivamente infierendo ed accanendosi sui corpi già
feriti.
Affrontando in
generale le condotte di falso e calunnia il P.M. appellante censura
l’affermazione del Tribunale secondo la quale vi è prova di alcuni isolati
episodi di resistenza a p.u., quale quello che vede coinvolto l’agente Nucera o
quelli riferiti dai capi squadra e da qualche operatore; rileva il P.M. che in
ordine al primo episodio lo stesso Tribunale aveva affermato di non poter dire
né che fosse falso né che si fosse effettivamente verificato, e che le
dichiarazioni di alcuni capisquadra, e di altri soggetti non identificati dal
Tribunale, configgono con le unanimi deposizioni dei testi parti offese. In
ogni caso trattasi di circostanze talmente limitate ed espresse in termini di
“non esclusione che si siano verificate”, da non poter giustificare le falsità
contenute nei verbali, quali “fittissimo
lancio di oggetti teso a contrastare l’ingresso degli operatori, resistenza
organizzata all’interno dell’edificio, sfociata in plurime colluttazioni, agguati, aggressioni ai
poliziotti con arme improprie, bastoni, mazze, coltelli”.
Affrontando
nuovamente la vicenda delle bottiglie molotov, il P.M. riconosce che il Tribunale
sintetizza gli elementi di accusa portati contro gli imputati Luperi e Gratteri
e i sottoscrittori dei verbali, enucleando una serie di elementi ritenuti significativi di una “certa reticenza”. Ma, lamenta il P.M., l’analisi
parcellizzata di tali elementi indiziari da parte del Tribunale ne determina la
svalutazione con il consueto ricorso all’evocazione di una non meglio precisata
“confusione ed agitazione” di quei momenti, mentre la corretta metodologia invocata
dal P.M. avrebbe richiesto un esame unitario ed organico di tutti gli elementi,
con il dovuto rilievo delle rispettive correlazioni ed apprezzamento del
conseguente significato probatorio complessivo che secondo il P.M. è coerente
con l’ipotesi accusatoria.
L’elemento
indiziante, secondo il P.M., non è la sola “presenza” degli imputati, ma la
serie di circostanze che convergono univocamente ad individuare in quel gruppo
il vertice di comando operativo artefice della decisione di utilizzare come
prova le bottiglie molotov arrivate dall’esterno dell’istituto che si stava
perquisendo da oltre 40 minuti. Ricorda l’appellante che il gruppo in questione
è in quella formazione prima delle riprese con il sacchetto e dopo si sposta
all’interno dell’edificio, potendo così disporre e constatare la stesura del
telo su cui vengono posate le bottiglie stesse. Consegue, secondo il P.M., che le dichiarazioni di Mortola,
Gratteri e Luperi sono in irriducibile contrasto con la documentazione filmata
e con ogni considerazione di logica operativa nel contesto. Il Tribunale,
lamenta ancora il P.M., non prende posizione sulle dichiarazioni mendaci di
Mortola, né su quelle di Luperi e sulle ragioni difensive delle loro modifiche,
e omette di rilevare che le bottiglie molotov hanno consentito la denuncia per
un titolo di reato che da solo legittima un arresto in flagranza, e che sono da
considerarsi l’unica vera arma e congegno esplosivo in una perquisizione
diretta ex art. 41 TULPS proprio alla ricerca di tali corpi di reato.
Rileva il P.M.
che il Collegio sminuisce il quadro indiziante nei confronti dell’imputato
Gratteri argomentando, dalla semplice visione del filmato rep. 199 min. 8.55,
che lo stesso dott. Gratteri non “appare
particolarmente partecipe al colloquio e interessato a quanto avveniva, come
sarebbe stato naturale qualora si stesse decidendo un’operazione di tale
rilievo e rischio”. A parte la soggettività di tale valutazione, osserva il
P.M. che il Tribunale omette di considerare che:
- il dott.
Caldarozzi, vice del dott. Gratteri è fra i partecipi più evidenti del
colloquio che in quel momento si sta svolgendo attorno a Luperi;
- il dott.
Gratteri è a contatto fisico con il dott. Troiani (in tesi il grande
ingannatore);
- il Troiani,
lungi dal dileguarsi dopo la consegna, si ferma vicino ai dirigenti
- il dott.
Gratteri, presente in quel contesto, ha dichiarato (prima della visione del
filmato) di aver visto le bottiglie senza sacchetto
e di presumere, ma solo per logica, di essere stato informato del loro
ritrovamento dal dott. Caldarozzi.
Anche la
localizzazione del colloquio all’esterno della scuola per il P.M. è segno della
provenienza esterna del reperto presentato al gruppo che stazionava nel cortile
da tempo per la direzione delle operazioni, in un luogo privo di accesso ad
estranei e controllato militarmente dalle forze impiegate.
Lamenta
l’appellante che il Tribunale, invece di
apprezzare nel loro complesso tutte le anomalie e le incongruenze
relative alla vicenda delle bottiglie molotov, di propria iniziativa abbia trovato
per ciascuna di esse discutibili giustificazioni; così, per esempio, nella
comunicazione della notizia di reato la menzione del ritrovamento delle
“molotov” viene qualificata come “di
sfuggita” (ad onta dell’importanza del reperto) a giustificare la assenza
di concrete e specifiche descrizioni della circostanza; la discrasia sul luogo
di rinvenimento degli ordigni, indicato nella notizia di reato nel primo piano,
e nel verbale di perquisizione nel piano terreno, viene spiegata dal Tribunale
con l’osservazione che spesso per “primo piano” si intende piano terreno, e facendo
affidamento sulla versione fornita dall’imputato Mortola, secondo il quale il
luogo del ritrovamento gli sarebbe stato riferito da altri non meglio
identificati operatori, con informazione che può essere stata imprecisa e non
controllata approfonditamente;
La responsabilità per i reati di falso documentale
Rileva il P.M.
che il Tribunale, da un lato, nella ricostruzione del fatto e nelle premesse
generali, ha ridotto l’area di obiettiva falsità degli eventi descritti negli
atti fidefacenti ad un nucleo
essenziale costituito dal rinvenimento delle bottiglie molotov e dalle
resistenze attive all’interno dell’edificio, descritte nella relazione del
dott. Canterini; dall’altro lato, ha evitato di prendere posizione sulla
consapevolezza dei singoli imputati, derivante dalla loro partecipazione alle
varie fasi dell’operazione, rispetto a ciascuna delle circostanze ritenute
oggetto di falsa attestazione, accentuando la separazione della fase della
irruzione e “messa in sicurezza” dell’edificio da quella delle operazioni di
perquisizione, quest’ultima
propria delle squadre di polizia giudiziaria.
Il Giudice ammette,
ma solo per l’imputato Canterini, che la mera visione delle raccapriccianti
scene di feriti a terra in vistose chiazze di sangue sarebbe stata sufficiente
per dedurre con facilità l’eccesso dall’uso legittimo della forza: ma ciò,
osserva l’appellante, avrebbe dovuto valere anche per gli altri imputati che
sono entrati non dopo tanto tempo ed in una situazione identica a quella creata
dall’irruzione.
Rileva il P.M.
che anche i dirigenti di maggior livello, gli imputati Luperi e Gratteri, sono entrati
nella scuola Diaz Pertini quando ancora erano in corso le violenze ai piani
superiori. Il silenzio del Tribunale sul punto è qualificato imbarazzante,
considerate le testimonianze assunte ed il fatto che l’ingresso di tali
funzionari e i loro movimenti nella zona operativa sono stati ricostruiti con
tanto di riferimento orario.
La
rappresentazione dei funzionari, appartenenti a tutti gli uffici investigativi
impegnati nell’operazione, come semplici ed estranei lettori di una relazione
(quella di Canterini, che erroneamente è riferita alle prime ore successive ai
fatti, essendo stata consegnata il giorno dopo) e vincolati al dato letterale
di questa non è ricavabile dai dati processuali ed appare al P.M. una
forzatura. Il mancato riferimento nel contenuto degli atti in questione
(oggetto delle imputazioni di falso) alla relazione del dott. Canterini, né formale
né sostanziale, è evidente, così come la autonoma elaborazione della
fattispecie criminosa che poteva consentire l’arresto in massa di tutti gli
occupanti la scuola. È un dato incontestabile che la decisione in merito
all’arresto degli occupanti preceda quanto richiesto e sollecitato al solo
dott. Canterini e, pertanto, non è quest’ultimo che induce o ha necessità di
supportare quella decisione, ma i funzionari che, sulla base di altre
considerazioni ed elementi, già l’avevano
presa in relazione alla fattispecie associativa e al possesso degli ordigni
incendiari.
Anche in tale
ipotesi, osserva il P.M., la tesi che Canterini abbia ingannato gli altri
redattori degli atti falsi non ha alcun riscontro probatorio, ed è smentita,
oltre che dai tempi di redazione della relazione di Canterini e dalla
divergenza di contenuto fra i vari atti compilati, anche dalla circostanza,
trascurata dal Tribunale, che l’imputato Gratteri sollecitò tale relazione
(provvedendo, poi, a leggerla attentamente prima dell’inoltro al Questore), nonché
l’invio di ulteriori certificati medici relativi alle lesioni subite dai
poliziotti, dimostrando un concreto interesse alle sorti dell’operazione.
La posizione dei sottoscrittori degli atti
Il P.M.
appellante censura l’inquadramento della situazione dato dal Tribunale alla
fase della redazione degli atti, nella parte in cui ipotizza che “la lucidità poteva non essere perfetta”
a causa del peso delle giornate del G8, della tensione, dello stress, dell’agitazione
e della confusione.
Al contrario,
rileva il P.M., gli atti compilati sono a struttura elementare e materialmente
predisposti in Questura e presso la Caserma di Bolzaneto, quindi in luoghi
tranquilli lontani dal teatro delle operazioni. Né di qualche rilevanza ai fini
della corretta compilazione dei verbali poteva essere il numero degli
arrestati, essendosi solo trattato di identificarli, in mancanza di qualsiasi altra
attività individualizzante compiuta nell’operazione di perquisizione e sequestro.
Altra
considerazione di ordine generale compiuta dal Tribunale che il P.M. contesta è
quella, finalizzata ad argomentare la completa inerzia degli imputati
sottoscrittori dei verbali di fronte alla vista del gran numero di feriti,
secondo la quale: “la situazione che si
era determinata dopo giorni di violenze e sostanzialmente di “guerriglia
urbana” con lanci di molotov e numerosi feriti, era ormai tale che nulla era
più in grado di stupire o di essere giudicato secondo criteri logici e normali.
Non va dimenticato in proposito che il giorno prima negli scontri tra
manifestanti e forze dell’ordine era stato ucciso un giovane.
Ciò che in periodi normali sarebbe stato
immediatamente visto e giudicato incredibile o illogico, nella situazione che
si era determinata e nello stato d’animo ad essa conseguente poteva in effetti
apparire plausibile”.
Osserva il P.M.
che se anche si volesse concordare sulla predetta soggettiva e personale
elaborazione delle giornate di Genova, sarebbe erronea l’attribuzione di reazioni
emotive e psicologiche incidenti sulla lucidità e sull’equilibrio ad operatori
professionalmente addestrati non solo ad affrontare situazioni limite, ma anche
a riconoscere le tracce rinvenibili sulla scena del crimine e a formulare le
possibili ipotesi causali.
Stigmatizza,
poi, il P.M. la considerazione successiva proposta dal Giudice per cui se “gli
stessi Pubblici Ministeri” chiesero la convalida degli arresti eseguiti, “ottenendola per alcuni”, ciò
dimostrerebbe che “anche a persone
sicuramente esperte e non coinvolte direttamente nei fatti, non apparisse
assolutamente illogica ed irreale la sproporzione tra l’elevato numero dei
feriti arrestati e quello assai ridotto degli agenti: le richieste in
questione, infatti, furono presentate dai PM proprio sulla base degli atti oggi
ritenuti falsi, per cui è confermata la capacità ingannatoria degli stessi
atti, non la loro conformità al vero, che dai GIP venne subito esclusa a
seguito degli interrogatori di garanzia.
Lamenta ancora
il P.M. che per giustificare le assoluzioni dalle imputazioni di falso il Tribunale,
riassumendo gli elementi per cui a suo dire dalla Polizia la scuola “era considerata occupata da appartenenti al
c.d. black bloc” (circostanza in tali termini valutabile solo ex post all’esito
del dibattimento e con il travisamento della deposizione di Kovac) e
all’interno qualche episodio di resistenza doveva essersi verificato, richiama
la tesi per cui anche azioni come la chiusura del cancello e delle porte
dell’edificio costituirebbero condotte di resistenza, sotto la forma di
violenza c.d. impropria, comunque eccedente la resistenza “passiva”,
utilizzando una massima giurisprudenziale non riferibile al caso in esame; ma così
facendo, per il P.M. il Tribunale non si confronta con la differente
valutazione espressa sullo stesso punto giuridico dal Giudice che aveva
archiviato la fattispecie di resistenza addebitata agli occupanti la scuola.
Non solo ma, rileva il P.M., tale nuova valutazione dei fatti a suo tempo
addebitati agli arrestati in termini di resistenza, malgrado la sua
frammentarietà ed inconsistenza, è forzata al punto da costituire elemento
giustificativo della possibile convinzione in capo ai verbalizzanti che
esistesse “un certo legame ed accordo
anche associativo tra tutti coloro che si trovavano all’interno della scuola”.
Del tutto omessa
da parte del Tribunale è ogni valutazione sulle imputazioni di arresto illegale
sub E) e di calunnia; parimenti,
lamenta il P.M., silenzio è tenuto dal Tribunale in merito al sequestro delle “sei mazzette in allumino ricurve” e
sulle modalità di esecuzione della perquisizione.
Ancora, rileva
il P.M. che il Tribunale omette di prendere posizione, se non ricorrendo alla premessa
“passepartout” della
confusione-agitazione, rispetto al fatto che alcuni fra gli arrestati, in
contrasto con quanto appare dai verbali, non erano addirittura presenti
nell’edificio: tra questi Szabo
Jonas, Laura Jaeger ed altri, rifugiatisi in una serra, circondati,
catturati e brutalmente colpiti
senza alcun atto di resistenza da parte loro, ovvero ancora Jaroslaw Engel,
anch’egli fuggito dalla scuola, condotto in Piazza Merani, colpito al momento
della cattura e nuovamente picchiato a terra sanguinante, trascinato con
crudeltà lungo Via Battisti, poi riportato e infine caricato su un’ambulanza;
ovvero Mark Covell, ridotto in fin di vita (in codice rosso all’ospedale), in
seguito a tre distinte ondate di aggressione prima della irruzione, quindi
ancora una volta nei confronti di un palese non resistente, cui è arduo
attribuire alcuna condotta criminosa nel contesto (tutti fatti che non potevano
far parte della relazione Canterini, e che non sono pertanto il frutto di una
suggestione di quest’ultimo).
Anche l’aspetto
relativo all’avviso della facoltà di farsi assistere da difensore,
apparentemente secondario, è stato risolto dal Tribunale in modo censurato dal
P.M.: pacifico che non sia stato dato a nessuno tale avviso, l’appellante
rileva che il Tribunale confonde il piano delle conseguenze giuridiche (non
rilevanza della omissione ai fini della validità dell’atto) con quello della
sua falsità, che consegue non tanto dalla mancata cancellazione dai moduli
predisposti di una frase di stile, ma dalla sua utilizzazione con il resto del
contesto dell’atto al fine di rafforzare la legittimità dell’atto nel suo complesso.
Conclusioni in ordine alla posizione dei singoli
imputati
Evidenzia
criticamente il P.M. come il Tribunale abbia considerato individualmente solo
alcuni imputati: Luperi e Gratteri, Canterini, Fournier, Basili, Burgio,
Troiani e Gava; per il resto ha trattato cumulativamente come “capisquadra” gli
imputati appartenenti al VII nucleo, e come “sottoscrittori” di vari atti gli
altri imputati.
Venendo alle singole
posizioni, quanto a Luperi e Gratteri,
imputati di falso, calunnia e arresto illegale, il P.M. richiama la sua memoria
di primo grado sul tema della responsabilità di comando dolendosi che sul punto
nulla abbia argomentato il primo giudice.
Osserva che nei
momenti cruciali Luperi e Gratteri sono presenti e comandano come hanno ben
evidenziato testimoni quali il prefetto Andreassi o il prefetto Micalizio,
quest’ultimo anche con le conclusioni proposte all’esito della indagine
amministrativa svolta per conto del Capo della Polizia.
La ricostruzione
frammentaria dei singoli indizi operata dal Tribunale priva della visone
d’insieme, e non considera che le imputazioni di falso, calunnia e arresto
illegale non comportano la partecipazione degli imputati alle violenze,
altrimenti vi sarebbe stata imputazione in concorso.
posizioni di Canterini, Fournier e gli altri
appartenenti al VII Nucleo
In relazione al
falso della relazione Canterini il P.M. censura la decisione di limitare la
declaratoria di responsabilità alle accuse di resistenza all’interno della
scuola: le distinzioni lessicali rilevate dal Tribunale fra relazione e capo di
imputazione sono considerate dall’appellante irrilevanti, trattandosi di vocaboli
sostanzialmente sinonimi
Non è
condivisibile per il P.M. la limitazione dell’oggetto del falso compiuta dal
Tribunale, perché l’utilizzo di espressioni meno gravi quanto al lancio degli
oggetti non esclude la falsità, ravvisabile anche nelle ipotesi di dolosa
“forzatura” del fatto.
Sulle
dichiarazione di responsabilità del Canterini e degli imputati per cui
interviene sentenza di condanna, il P.M. non ritiene congruenti le valutazioni sulla
gravità dei comportamenti, che per il Tribunale hanno travalicato il “senso di
umanità”, ed il trattamento sanzionatorio, parendo all’appellante del tutto
ingiustificata la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti
contestate per l’imputato Fournier considerata la maggiore responsabilità
dovuta alla posizione di comando che avrebbe dovuto comportare una valutazione
in direzione opposta.
Sulla posizione di Nucera e Panzieri
Il P.M. non solo
richiama la propria censura circa il “non
liquet” espresso dal Tribunale in relazione all’episodio della asserita
aggressione subita dall’agente, ma censura il mancato esame della condotta
concorsuale di falso contestata ai due imputati quali sottoscrittori dei
verbali.
Sulle responsabilità dei sottoscrittori degli atti
di polizia giudiziaria
La
considerazione in blocco degli imputati impedisce al Tribunale, secondo il P.M.,
di considerare almeno tre figure centrali, per grado e funzione rivestita:
Caldarozzi, l’ufficiale di p.g. più alto in grado, riferimento operativo
principale quale esponente del S.C.O; Di Bernardini, altra figura che non ha
praticamente menzione nella sentenza, il quale mostra a Caldarozzi le bottiglie
molotov che ha ricevuto appena giunte per mano di Troiani e Burgio; Mortola,
dirigente della D.I.G.O.S. genovese, Ufficiale di P.G. più alto in grado a
livello territoriale locale.
Al riguardo il
P.M. espone specifica critica in diritto alla decisione del Tribunale per non
aver correttamente valutato il contenuto tipico che rientra nella sfera del
“fidefacente” e la conseguente condotta del pubblico ufficiale sottoscrittore.
Richiamato
l’assunto per cui atti pubblici fidefacenti sono tutti gli atti sottoscritti
rispettivamente dagli imputati e cioè : a) relazioni di servizio, verbali di
perquisizione e sequestro e b) verbale di arresto, annotazioni (nella parte
descrittiva di fatti contenuta in essi), il P.M. invoca il pacifico principio
elaborato dalla in giurisprudenza per cui il pubblico ufficiale in tali atti
può solo rappresentare fatti o attività compiute direttamente o da altri alla
propria presenza. L’istruttoria dibattimentale, rileva il P.M., ha fatto
emergere, viceversa, che i sottoscrittori poco o nulla potevano attestare
personalmente, né potevano indicare chi in vece loro potesse farlo. Questo
aspetto, considerato “formale”, ma che è espressione della funzione
rappresentativa dell’atto, è stato evidenziato dal G.I.P. nella ordinanza che
rigettava una richiesta di archiviazione nei confronti dell’imputato Gava ed ha
avuto una definitiva e cogente interpretazione della Suprema Corte con la
pronuncia che ha cassato la sentenza del GUP di non luogo a procedere nei confronti
del Gava per il reato di falso.
Anzi, lamenta il
P.M., il Tribunale argomenta l’assoluzione degli imputati proprio in base
all’assunto difensivo di aver sottoscritto gli atti attestanti fatti di cui non
erano a conoscenza diretta, solo perché riferiti di altri colleghi, rimasti
peraltro ignoti e come tali mai sentiti. Ed il richiamo ad una prassi di tal
genere utilizzato fugacemente dal Tribunale è censurato dal P.M., sia perché
tale prassi sarebbe illegittima, sia perché in concreto non esiste come
attestato, fra le altre, dalle testimonianze del dott. Pifferi, del dott.
Filocamo, della dott.ssa Mengoni, del dott. Guaglione e del dott. Gallo, dalle
quali si desume la piena consapevolezza e conoscenza delle regole che
disciplinano la redazione degli atti di polizia giudiziaria.
Quanto
all’imputato Gava, che risponde della “formale” falsità insita nell’aver
sottoscritto un verbale di perquisizione nell’edificio della scuola Pertini ove
non si era neppure fisicamente recato, lamenta il P.M. che il Giudice non ha tenuto
conto dei principi di diritto stabiliti della Suprema Corte (Cass. Sez. V nr.
1183 del 9.07.2007, Troiani e Gava) la quale, confermata l’imputazione
coatta, ha escluso che la partecipazione ad atti prodromici o successivi (come
l’identificazione degli indagati) giustifichi la sottoscrizione del verbale di
perquisizione al quale l’agente non ha partecipato. La Cassazione ha indicato
solo una alternativa secca: o Gava è stato tratto in errore dalle circostanze
(ed allora c’è assenza di dolo), o ha inteso fidarsi e far proprie le
affermazioni di colleghi (e allora c’è responsabilità). Il Tribunale, osserva
il P.M., pur escludendo che Gava si sia sbagliato, ed anzi affermando la sua
volontà e consapevolezza di firmare gli atti, ha pronunciato declaratoria di assoluzione
eludendo la precisa direttiva data dalla Cassazione.
Quanto agli
altri sottoscrittori, osserva il P.M. che gli stessi, a differenza di Gava, avevano
piena consapevolezza che quanto attestato come frutto di loro scienza diretta era
falso, al punto da sottoscrivere atti sostanzialmente anonimi per la carenza di
indicazione della fonte diretta di conoscenza dei fatti attestati.
Le formule assolutorie.
Ulteriore motivo
di appello è stato proposto dal P.M. con riferimento alle formule assolutorie
adottate dal Tribunale, ritenute in alcuni casi errate. Così Luperi e Gratteri
sono stati assolti dalle imputazioni di falso e calunnia perché “il fatto non
sussiste” malgrado la obiettiva falsità relativa alle bottiglie molotov e la
calunniosa attribuzione della detenzione a tutti i presenti siano state
accertate dal Tribunale e abbiano fondato la condanna di Troiani per falso e
calunnia. Per i sottoscrittori della notizia di reato e dei verbali di
perquisizione e arresto la formula assolutoria in motivazione è stata perché
“il fatto non sussiste” ed in dispositivo perché “il fatto non costituisce
reato”, laddove il proscioglimento riguarda anche alcuni fatti per i quali è
invece intervenuta condanna di Canterini.
Irruzione alla scuola Pascoli
In relazione a
questo capitolo della vicenda le argomentazioni critiche esposte dal P.M. sono
sostanzialmente sovrapponibili a quelle esposte nell’appello presentato dal Procuratore
Generale.
Ricorda il P.M.
che lo svolgersi dell’irruzione è stato eccezionalmente documentato dalla
diretta in corso su Radio Gap, dagli audio dei filmati acquisiti ed infine
dalla registrazione fonica eseguita dal testimone Marco Trotta, ma di tali
fonti di conoscenza diretta degli avvenimenti non è certo che il Tribunale abbia
tenuto conto. Ricorda ancora il P.M. gli elementi di prova per sostenere che il
Gava raggiunse anche il terzo piano (in particolare l’incontro con l’On.
Graziella Mascia avvenuto al terzo piano, confermato dagli stessi testi che il Tribunale
ha ritenuto attendibili quanto all’episodio delittuoso contestato all’imputato
Fazio) e non si fermò al secondo, come sostenuto dal Tribunale; e tale
circostanza è rilevante in quanto gli episodi connotati da maggiore violenza ed
arbitrarietà per la descrizione fornitane dai testimoni sentiti a dibattimento
si svolsero proprio ai piani primo e terzo dell’edificio.
Osserva ancora
il P.M. che nel ritenere mancante la prova che l’imputato possa aver concorso
nei reati contestati al capo T) il Tribunale incorre in un vero e proprio
travisamento del fatto, in quanto è lo stesso imputato ad ammettere in
interrogatorio di essersi ben reso conto della posizione fatta assumere dagli
agenti agli occupanti e, pur negando di aver egli impartito tale ordine – in
contrasto con quanto è possibile dedurre dall’ascolto della cassetta registrata
di Trotta, a meno di non ipotizzare inverosimili iniziative autonome da parte
dei suoi sottoposti – ammette di aver ritenuto di far mantenere tale
disposizione per motivi attinenti alla sicurezza degli operanti.
Ha concluso,
pertanto, il Procuratore della Repubblica appellante chiedendo la declaratoria
di responsabilità degli imputati in relazione alle accuse loro contestate, con
la condanna alle pene già richieste in primo grado o a quelle che sarebbero
state chieste in udienza.
.-.-.-.-.-.
APPELLI DELLE PARTI CIVILI
L’esame dei motivi di appello
proposti dalle parti civili avverrà raggruppando gli stessi in relazione alle
posizioni degli imputati, ed identificando le argomentazioni contenute negli
appelli proposti cumulativamente da più parti civili mediante il nome della
prima parte civile.
In relazione alle posizioni degli
imputati Luperi Giovanni e Gratteri
Francesco e con riferimento ai reati loro contestati ai capi A) e B) (falso
e calunnia)
-
il
gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
“La sentenza
segue la ricostruzione effettuata durante l’istruttoria dibattimentale dal
Pref. Ansoino Andreassi ma non ne valorizza a pieno il contenuto e soprattutto
non collega tale testimonianza agli altri, numerosi, elementi di prova
presenti; viene meno, quindi, quella necessaria valutazione unitaria delle
prove dirette ed indiziarie che sola può restituire un quadro fedele degli
accadimenti oggetto della ricostruzione processuale.
Il predetto
teste ha riferito dell’esigenza di una svolta con arresti, ed in tale ottica si
inquadra l’arrivo a Genova di Gratteri (vice di Manganelli allo SCO) che subentra
ad Andreassi; la prima manifestazione del “nuovo corso” è la perquisizione e
gli arresti alla scuola Paul Klee, operazione dal punto di vista giudiziario
conclusasi con un nulla di fatto, data la successiva scarcerazioni di tutti gli
arrestati.
Quindi il capo
della Polizia De Gennaro manda La Barbera (ufficialmente per operazioni di collegamento
con le polizie straniere, ma di fatto mai occupatosi di tale aspetto), che di
fatto si insedia in Questura e dirige le operazioni. con il suo vice Luperi.
De Gennaro
impose la formazione di pattuglioni misti la cui reale funzione era quella di procurare
il maggior numero possibile di arresti; la conferma viene addirittura dalle
dichiarazioni rese da due dei principali imputati (Gratteri e Mortola), oltre
cha da un teste – Donnini – che si occupò proprio della formazione dei
pattuglioni stessi su disposizione del questore Colucci.”
La ricostruzione
degli eventi successivi (le perquisizioni nei bar, l’aggressione alla pattuglia
in Via Cesare Battisti, la telefonata fra Mortola e Kovac) viene proposta in
termini omologhi a quelle sostenuti dal P.M..
Quanto, in
particolare, alla singole posizioni, rilevano le parti civili appellanti “Gratteri era andato alla Diaz su input di
un suo superiore gerarchico, il Dott. Manganelli, il quale ha ammesso che Gratteri
a partire dall’operazione della scuola Paul Klee durante le fasi cruciali di
quella giornata è stato sempre in contatto con il Ministero dell’Interno ed in
particolare con gli uffici del Servizio Centrale Operativo, come risulta dai
tabulati del suo cellulare, che registrano 19 contatti tra Gratteri ed il
Ministero dell’Interno uffici dello S.C.O.; mentre Luperi era andato alla Diaz in qualità di vice di La Barbera
In base alle
evidenze probatorie richiamate, si può agevolmente concludere che la
perquisizione disposta difettava dei presupposti di fatto e di diritto che la
potessero legittimare: non vi era stata aggressione davanti alla Diaz e ciò era
noto a Caldarozzi e Di Bernardini; le scuole erano nella disponibilità del GSF
e ciò era noto a Mortola. La tecnica
utilizzata dai black bloc, il "mordi e fuggi" (gruppi ristretti, che compiono azioni
fulminee con successivo dileguamento) ben nota ad un analista come Luperi
rendeva assurda l’ipotesi che invece se ne stessero tutti insieme alla scuola
Diaz.
Quindi è
ampiamente riscontrata l’ipotesi secondo la quale la perquisizione al complesso
scolastico "Diaz" è stata costruita come operazione finalizzata a
produrre, in assenza dei presupposti che la legittimassero, il maggior numero
di arresti possibile, per assecondare le richieste e le disposizioni in tal
senso che provenivano dal capo della polizia già dalla mattina del 21 luglio. Non si tratta di complotto, come erroneamente sostengono i giudici di
primo grado, quanto piuttosto di adempimento (illegittimo) alle direttive (pure
illegittime) che provenivano da Roma, indirizzate a migliorare l’immagine della
Polizia attraverso il maggior numero di arresti possibile.
La linea di
comando dell’operazione è costituita da Luperi, figura di riferimento per gli
appartenenti alle Digos e da Gratteri figura di riferimento per gli
appartenenti alle squadre mobili; la circostanza è pacifica e vi conviene anche
la sentenza impugnata.
Ciò che accadde
dopo l’irruzione all’interno della Diaz e della Pascoli, costituì uno sviluppo
non previsto, causato dalla violenza bestiale scatenata dagli appartenenti alla
Polizia di Stato con l’acquiescenza esplicita e vigliacca di quanti altri
videro e non intervennero per fermare quel massacro.
Luperi e
Gratteri entrarono alla Diaz pochi minuti dopo lo sfondamento del portone, come
provato anche dal materiale filmato analizzato nella Consulenza Tecnica di
parte civile (giudicata attendibile in sentenza). E' quindi impossibile che essi non abbiano percepito cosa fosse
realmente accaduto (si tratta invero di due dei massimi esponenti della Polizia
di Stato) e soprattutto che nessuno li abbia informati. Di fronte allo scempio
dei corpi e dei diritti costituzionali l’imputato Luperi e l’imputato Gratteri
si danno da fare, non per arrestare chi ha prodotto quello strazio, quanto
piuttosto per salvare l’operazione progettata e per coprire quanto accaduto
Secondo i testi
Frieri, Calesini, Cremonini i due (Luperi e Gratteri) dirigono, comandano,
danno disposizioni (ad es. il teste Frieri dirà di Gratteri: dava l’impressione
di essere il capo, tutto sembrava dipendere da lui; il teste Calesini dirà di
Luperi: dirige, comanda, dà disposizioni).
L’imputato
Luperi si ritrova, “distrattamente” in mano il sacchetto con le molotov, ne
discute nel cortile della scuola alla presenza anche di Gratteri e dopo, sempre
“distrattamente”, le affida proprio ad una sua collaboratrice, la teste Mengoni.
L’imputato
Gratteri si preoccupa, nella notte, di ottenere quanti più certificati medici
possibili in relazione alle presunte lesioni subite dai poliziotti che hanno
fatto irruzione alla Diaz.
Appare assurdo
sostenere che coloro che avevano responsabilità di comando, essendo entrati
nella scuola a pochi minuti di distanza dall’irruzione, non abbiano visto e non
si siano resi conto di nulla, quasi che l’azione si sia svolta attraverso
flussi temporali ed ambienti scollegati ed isolati; appare, francamente,
assurdo sostenere che chi ha avuto in mano un sacchetto di plastica contenente
due bottiglie molotov non si sia posto il problema della loro provenienza.”
.-.-.-.-.
- il gruppo di Matteo Massimo VALENTI + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:
“Ai due
principali imputati non è stato contestato il concorso nelle lesioni provocate
immediatamente dopo l’ingresso, bensì l’aver determinato i propri sottoposti a
redigere verbali falsi e calunniare gli attivisti al fine di assicurare
l’impunità dei colleghi e giustificare l’arresto, per cui la valutazione delle
loro condotte deve essere compiuta con riferimento alla possibilità di conosce
gli eventi per quanto constatato sul posto immediatamente dopo l’irruzione, a
nulla rilevando che non abbiano partecipato all’aggressione.
GRATTERI:
1
Dalle ore 00.24.52 alle ore
01.12.14 tredici frammenti video lo riprendono nel cortile della scuola
Pertini. Fra questi c’è il medesimo frammento che riprende il cosiddetto
“conciliabolo” di funzionari con al centro il sacchetto delle bottiglie molotov
tra le mani del dott. Luperi.
2
E’ lui che chiama il dott.
Filocamo e gli impartisce l’ordine di repertare quanto in sequestro
3
Dalle ore 01.13.44 alle ore
01.51.50 vi sono 33 frammenti video che riprendono Francesco Gratteri nei
pressi del cancello dell’istituto scolastico o nelle immediate vicinanze di
questo all’interno del cortile oppure nella via Battisti. In quest’ultima
circostanza cinque frammenti video lo riprendono mentre parla con la stampa.
Anche questa circostanza appare del tutto significativa: il capo del servizio
centrale operativo della Polizia di Stato viene immediatamente contornato dai
giornalisti che lo riconoscono come un interlocutore idoneo a chiarire i
termini dell’operazione; egli non si sottrae anzi discute a lungo con loro dei
fatti dandone una versione che poi sarà riportata sulla carta stampata e
smentita al processo.
4
è lui stesso che chiede (ordina)
a Canterini di predisporre una relazione sui fatti al Questore
5
è stato il dott. Gratteri a sollecitare
Mortola perché fossero prodotti di certificati medici attestanti lesioni subite
dai poliziotti da allegare agli atti.
Pacifica in
tutte e cinque le circostanze risulta l’attività di incisiva determinazione del
comportamento altrui e in tutti i casi si tratta di interventi rilevanti per
poi giungere all’arresto e alla incolpazione degli occupanti. Altrettanto
pacifico è il suo coinvolgimento attivo nella redazione degli atti.
LUPERI:
1.
egli è presente
ininterrottamente, fuori, dentro e nel cortile della scuola tra mezzanotte e le
due del mattino
2.
è lui che tiene le molotov in
mano nel sacchetto mentre i dirigenti discutono il da farsi
3.
è lui che le consegna ad una sua
fiduciaria, la dott.ssa Mengoni
4.
analogamente a Gratteri vuole un
proprio uomo di fiducia, il dott. Pifferi, al lavoro di refertazione.”
.-.-.-.-.-.
-
il
gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
“Fermo restando che il c.d. “fallimento dell'alibi” non rappresenta in sé
prova di colpevolezza, ma può, in ogni caso, costituire elemento suscettibile
di formare il libero convincimento del Giudice, va preliminarmente osservato
come la difesa di entrambi i funzionari si sia sviluppata sulla tempistica del loro
ingresso nell'edificio della scuola Diaz-Pertini, donde la loro materiale
impossibilità ad assistere direttamente all'operazione di “messa in sicurezza”
del sito e alle brutalità commesse.
Detto alibi fallisce radicalmente, in quanto le ricostruzioni del timing di svolgimento dei fatti svolte
dalle c.t.p. dell'accusa e privata, ritenute come le più attendibili
nell'impugnata sentenza, collocano il momento di ingresso sia del Dr. Gratteri,
sia del Dr. Luperi intorno alle 00,03.30 della domenica 22 luglio, ossia in un momento
in cui non è dato seriamente dubitare che la parte “di ordine pubblico” della complessa
operazione di polizia in esame sia ancora in pieno svolgimento.
GRATTERI
Il Dr. Gratteri dimostra, durante tutto l'accaduto, l'effettivo esercizio
di funzioni di comando (l'odierno appellato viene impietosamente ripreso in più
occasioni nell'atto di impartire ordini ed istruzioni ai propri sottoposti) e,
soprattutto, viene chiamato in correità, in maniera inequivocabile e con prova sottoposta
a regime di piena utilizzabilità, dal Dr. Canterini. Riassumendo, è provato
(consulenza video p.c.) che il Dr. Gratteri entra nell'edificio Diaz-Pertini in
tempo per vedere con chiarezza che nessuna resistenza è posta in essere all'interno
del plesso scolastico dagli occupanti. Nondimeno, secondo quanto dichiarato
dallo stesso Canterini è lui ad invitare quest'ultimo a redigere la prima annotazione (ideologicamente falsa) che
finirà allegata al verbale di arresto, e a farlo, evidenziando le resistenze
incontrate dal VII Nucleo nel corso della sua azione, così dando piena prova di consapevolezza e compartecipazione ad un
disegno volto alla creazione di una rappresentazione dei fatti difforme dal
vero storico.
LUPERI:
anche riguardo alla posizione del Dr. Luperi vale il discorso relativo al
fallimento dell'alibi; alla smentita-video circa il momento di ingresso nell'edificio si
aggiunge in questo caso addirittura il riconoscimento certo della persona
operato dalla teste Bruschi: pare dunque potersi dire provato che il Dr. Luperi
– al pari del Dr. Gratteri – ha potuto aver piena contezza di quanto avvenuto
all'interno della scuola Diaz, durante l'intervento di “messa in sicurezza” del
sito. Il funzionario è ritratto nei video agli atti come intento ad un ruolo
ben diverso, rispetto a quello - del tutto passivo e quasi disinteressato a
quel che avviene intorno a lui - che la sua versione dei fatti vorrebbe
accreditare e viene a contatto, pressoché nell'immediatezza dell'arrivo di questo,
con il reperto costituito dalle bombe molotov. Il suo comportamento nella circostanza e le modalità di gestione del
reperto indici più che
sintomatici della piena
consapevolezza di quel che stava accadendo e della partecipazione al
momento decisionale, vuoi in ordine alle sorti da assegnarsi al sacchetto
contenente gli ordigni incendiari, vuoi all'arresto in massa degli occupanti
l'edificio.”
.-.-.-.
-
il
gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri, nonché le parti civili MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David,
SAMPERIZ Benito, GIOVANNETTI Ivan Michele ed il Genoa Social Forum, hanno esposto argomentazioni sovrapponibili a
quelle sopra riportate.
.-.-.-.-.-
- la parte civile Laura JAEGER ha
sviluppato le seguenti argomentazioni:
“La sentenza presenta
in generale notevoli carenze: il modesto sviluppo argomentativo delle
valutazioni si affianca a modalità espositive particolari, caratterizzate dal
frequente utilizzo di quella particolare figura retorica chiamata litote (che
consiste nell’esprimere un concetto in forma attenuata attraverso la negazione
del concetto opposto), unitamente con un uso frequente di aggettivi indefiniti
(un/una certo/a, un/una qualche), nonché della locuzione “non si può escludere”. Il tutto
attesta un’evidente difficoltà di motivare congruamente le proprie scelte
processuali.
Questa parte civile ricostruisce la vicenda
delle bottiglie molotov in modo analogo a quanto fatto dalla pubblica
accusa. In estrema sintesi, nel momento in cui altissimi dirigenti della
Polizia di Stato acquisirono la disponibilità di un reperto di tal fatta,
gestirono in prima persona i passaggi più significativi relativi al suo
sequestro e alla sua messa in sicurezza, non è in alcun modo pensabile che non
abbiano richiesto informazioni sulla sua provenienza, sulle modalità e sui
tempi del suo ritrovamento.
Se, poi, il sequestro avvenne attraverso i
passaggi storico-cronologici che comprovano un ingresso e una gestione
clandestina delle due molotov; se tutti i principali protagonisti non esitano a
mentire o a omettere particolari significativi pur di prendere le distanze dal
reperto; se nessuno, pur presente sul luogo dei fatti, è in grado di chiarire
attraverso quale canale le bottiglie furono portate nel piano palestra, private
del sacchetto che le conteneva e posizionate accanto agli altri oggetti
sequestrati; se il contesto in cui si inserisce tale segmento della vicenda è
un contesto segnato dalla falsificazione (le grossolane menzogne sui pochi
feriti con lesioni pregresse, sulla presenza dei black bloc, sulla
documentazione sequestrata, definita eversiva, sulle intelaiature degli zaini,
fatte passare come oggetti atti ad offendere, sulle generalizzate resistenze
dei poveri ragazzi massacrati nella scuola ecc..) e dalla cieca violenza non di
un manipolo di farabutti ma di forze dell’ordine che hanno agito su larga
scala, con l’avallo o comunque senza l’intervento dei dirigenti preposti al
controllo, a dimostrazione della collettiva volontà di “regolare i conti” con i
manifestanti, allora l’unica ricostruzione possibile degli eventi in esame è
quella che vede gli imputati perfettamente consapevoli di quanto accadeva.
Verifica di coerenza dei numerosi indizi e
argomenti logici deve essere compiuta anche in base al criterio di esclusione
di possibili ipotesi alternative. Occorre allora interrogarsi, al di là
dell'impressionante serie di bugie ed omissioni messe in campo da alcuni degli
imputati, su quale sia il grado di fondatezza di una ricostruzione alternativa
a quella proposta dai PM. Possiamo davvero credere, come si rassegna a fare il Tribunale, che siano stati
Troiani e Burgio, i due soli condannati, a decidere di addebitare a 93
innocenti la detenzione di due armi da guerra?”
Francesco Gratteri
“Le sue
dichiarazioni sono scarne e generiche, in contrasto, tra l’altro, almeno
inizialmente, con quelle di Di Bernardini e Caldarozzi. Non ricorda
specificatamente la presenza del sacchetto azzurro, anche se, secondo quanto
riferito dal teste Fiorentino, proprio quel sacchetto era al centro della
comunicazione del “conciliabolo”, di cui lui era uno dei protagonisti. I
filmati smentiscono pacificamente l’assunto che le bottiglie fossero state
tenute in mano da un agente senza l’involucro di plastica. Solo con la
ostensione sul telo nero le stesse vennero “svestite” dal sacchetto azzurro che
le conteneva. Egli circolava sul proscenio della vicenda nella fase successiva
al “conciliabolo” (lo si vede infatti nei filmati). Era presente sul luogo di
srotolamento dello striscione, aveva una posizione di direzione delle fasi
cruciali della vicenda, ma anche lui non sa riferire alcunché sul reperto, non
si informò in ordina al luogo relativo al suo ritrovamento.”
Giovanni Luperi
“Il dott. Luperi
è sicuramente una figura centrale nella vicenda delle molotov.
Venendo ad una
valutazione critica delle dichiarazioni del dott. Luperi, non si può non
partire da quella presa di distanza iniziale contenuta nelle sue prime
dichiarazioni, tra cui quella, straordinaria, di aver visto le due bottiglie
tenute in mano da persona che non era in grado di indicare.
Nonostante
l’indignazione postuma dell’imputato, si deve concludere che tali dichiarazioni
costituiscono una clamorosa falsità e un’altrettanto clamorosa omissione del
suo coinvolgimento diretto nella vicenda.
Luperi gestì
materialmente il reperto, lo tenne in mano, lo affidò ad un operatore di sua
fiducia e, in tal modo, si assunse la responsabilità della sorte delle due
bottiglie molotov, che verranno poi inserite tra gli oggetti da sottoporre a
sequestro.
Le modalità
relative alla consegna alla dott.ssa Mengoni, la cautela raccomandata alla
teste, dimostrano in Luperi la consapevolezza che il reperto in esame era di
assoluta rilevanza, tale da qualificare l’intera operazione.
Nei passaggi
successivi il dato dichiarativo proveniente dai protagonisti della vicenda non
offre ulteriori delucidazioni: Luperi ricorda le bottiglie con il sacchetto
vicino allo striscione, la Mengoni le rammenta senza involucro.
Il confronto con
i filmati consente, però, di colmare le lacune della ricostruzione storica, di
riempire i vuoti lasciati dalle rispettive dichiarazioni.
Il filmato
smentisce, anzitutto, quella ricostruzione secondo cui il cortile si sarebbe
improvvisamente svuotato: i funzionari sono tutti lì e si vede ancora Luperi
dialogare con alcuni di loro.
Resta senza
risposta la domanda relativa alla necessità da parte dello stesso di reclutare
qualcuno, come la dott.ssa Mengoni, all’esterno della P.G. impegnata nella
perquisizione; anche la successiva sensazione di solitudine della dott.ssa Mengoni
sembra contraddetta dalle presenze continuative nel cortile della scuola. Non
si vedono ispettori della Digos di Napoli ma si vedono numerosi funzionari tra
cui il dott. Mortola.
È sicuro che
Luperi e Mengoni erano vicini tra loro nel momento conclusivo della vicenda:
Luperi perché lo si vede dal filmato, Mengoni perché lo afferma lei stessa e lo
conferma il teste Pifferi.
E allora,
nuovamente affidandosi a interrogativi retorici: è mai possibile che nessuno
dei due si pose delle domande? E’ mai possibile che l’uno non abbia
rimproverato l’altra per aver trasgredito ai suoi ordine? Che l’altra non abbia
riferito al primo delle sue traversie? Perché Mengoni non contattò Luperi, non
gli spiegò il tortuoso percorso del reperto, non si confrontò con lui sull’assenza
del sacchetto?
In realtà Luperi
appare, insieme al dott. Gratteri colui che ordinò e diresse l’operazione, in
evidente atteggiamento di controllo su quello che avveniva.
In ogni caso,
dopo aver assunto la gestione diretta del reperto fu colui che ne determinò i
passaggi successivi. Non si allontanò ma rimase sui luoghi dove si svolse la
fase terminale dell’acquisizione dei reperti sequestrati.
In definitiva,
il filmato conferma e ingigantisce i dubbi sulla ricostruzione proposta dagli
imputati.”
.-.-.-.
In relazione
all’imputato Vincenzo CANTERINI,
assolto relativamente al falso e alla calunnia contestati sub F) e G) con riferimento alla resistenza
incontrata all’esterno dell’edificio.
-
il
gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
“L'istruttoria
dibattimentale ha ampiamente smentito la ricostruzione dei fatti così come
riportata dall'imputato Canterini nella annotazione trasmessa al Questore, con
particolare riferimento all'asserito “fittissimo lancio di oggetti contundenti”
all'indirizzo degli appartenenti al VII Nucleo dal medesimo comandato
attraverso le finestre dell'edificio da parte degli occupanti dello stesso, al
fine di impedire alle Forze di Polizia di farvi ingresso per procedere alla
perquisizione ex art. 41 T.U.L.P.S..
In nessuno dei
documenti filmati acquisiti in dibattimento e riprendenti le varie fasi di
avvicinamento delle Forze dell’Ordine e dell’ingresso nell'edificio scolastico
“A. Diaz - Pertini”, sono in alcun modo evidenziabili lanci di oggetti di
qualsiasi genere.
Il Tribunale,
disattendendo il parametro valutativo delle deposizioni testimoniali che si era
dato all’inizio della decisione, improntato a massima cautela, fra le opposte
versioni raccolte ha finito per dare maggior credito proprio alle deposizioni
(perlopiù provenienti da colleghi degli imputati) di coloro che hanno riferito
di aver percepito un lancio di oggetti contundenti dai piani superiori della
Scuola.
La deposizione
del teste Galanti Giuseppe, infermiere del Servizio “118”, viene valorizzata
dal Tribunale quale prova del lancio di oggetti nonostante in dibattimento (v.
trascr. ud. 30/05/2006) sia in realtà chiaramente emerso che l’arrivo del teste
sul luogo dei fatti deve essere collocato in una fase temporale molto avanzata
rispetto all'arrivo delle Forze dell'Ordine sul teatro delle operazioni e
precisamente quando la Polizia di trovava ormai tutta all'interno dell'Istituto
Scolastico ed aveva già occupato i quattro piani dell'edificio.
Al contrario
numerose sono le testimonianze
assunte in dibattimento che hanno escluso che si sia mai verificata quella
“pioggia” di oggetti contundenti e bottiglie di vetro, rappresentata
dall'imputato Canterini nella propria relazione. Neppure tutte le relazioni di
servizio a firma dei c.d. “capisquadra” redatte alcuni giorni dopo i fatti
(27/07/2001) su richiesta del comandante Dott. V. Canterini fanno alcuna
menzione della circostanza del lancio di oggetti, nonostante i redattori
appartengano al personale (il VII Nucleo) che per primo aveva preso parte
all'irruzione.”
.-.-.-.-
In relazione
agli imputati Caldarozzi Gilberto, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Dominici
Nando, Mortola Spartaco, Di Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Cerchi Renzo e Di
Novi Davide in ordine ai reati di
cui ai capi C), D) ed E) (falso,calunnia e arresto illegale) della rubrica e Di
Bernardini Massimiliano in ordine ai reati al medesimo ascritti ai capo 1)
[già capo C)], 2) [già capo D)] e 3) [già capo E)]
.-.-.-.
-
il
gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
La ricostruzione dei fatti, dalla decisone di intervenire fino alle
modalità di esecuzione della “perquisizione”, con le censure alle valutazioni
compiute dal Tribunale ricalcano le argomentazioni sostenute dal Procuratore
Generale e dal Procuratore della Repubblica nei rispettivi atti di appello.
In particolare, con riferimento alle singole posizioni, le predette parti
civili hanno osservato:
Mortola
ha sempre esplicitamente ammesso di non aver mai saputo dove fossero
state ritrovate le molotov;
è ripreso nella nota sequenza filmata nel cortile antistante l’edificio
insieme con il gruppo di funzionari dirigenti uno dei quali, il dott. Luperi,
ha in mano il sacchetto contenente le bottiglie, mentre l’allegazione difensiva
secondo la quale le medesime bottiglie gli erano state mostrate in precedenza
da due agenti, non meglio identificati, appartenenti al reparto mobile, non può
giovare alla sua posizione, considerata l’inesistente attività di verifica
svolta al riguardo;
il materiale filmato
non solo lo colloca sui luoghi dall'inizio delle operazioni, ma altresì
evidenzia, ad esempio, come il funzionario DIGOS non abbia potuto dal proprio
angolo visuale vedere o percepire direttamente, come dallo stesso affermato, né
il lancio di oggetti né la caduta del famigerato “maglio spaccapietre”,
invisibile nei filmati, ma comunque invisibile al Mortola che nei momenti
citati si trova di spalle all'edificio, senza casco e con atteggiamento
apparentemente tranquillo;
nulla si dice in
sentenza neppure sulla vicenda che coinvolge il sig. Szabo Jonaso (ovvero che
lo zaino del sig. Szabo si trovasse presso la Pascoli, che lo scritto
incriminato fosse in realtà una tesi di laurea sul reverendo Jackson, che il
sig. Szabo sia stato fermato non all'interno dell'edificio scolastico Pertini
ma sulla strada);
Di Sarro
addirittura
rappresenta al proprio dirigente l'inopportunità della sua sottoscrizione degli
atti data la minima attività prestata e ricorda solo un paio di sassi cadere.
Anche lui, inoltre, nonostante lo abbia negato, è ritratto dai filmati vicino
al corpo sdraiato di Mark Covell.
Dominici
entra
nell'edificio, salendo ai piani superiori, rendendosi conto immediatamente
dello stato e del numero dei feriti (del quale chiede spiegazioni). Con ogni evidenza,
il Dominici assiste ad atti di cd. perquisizione all'interno dell'edificio e
tuttavia firma un atto nel quale la descrizione degli eventi è palesemente
diversa da quella che ha potuto constatare direttamente.
Caldarozzi
la sua posizione
è simile, semmai accentuata dal grado e dal ruolo rivestito nell'operazione.
Ciccimarra
è anche
estensore del verbale; le differenze radicali fra quanto dallo stesso
direttamente percepito e quanto sottoscritto non si contano ed attengono sia ad
episodi di violenza sulle persone presenti nella scuola che agli atti di
perquisizione ed alla asserita impossibilità di attribuzione individuale degli
oggetti sequestrati.
Ferri
è coinvolto nei fatti dal
principio, essendo presente presso la pizzeria Planet nel contesto dei pattuglioni
misti, giunge sul teatro delle operazioni addirittura in tempo per vedere il
cancello prima che venga chiuso dagli occupanti la scuola (quindi non si
comprende come possa non aver visto i brutali pestaggi ai danni dei sigg.
Covell e Frieri); fa ingresso nell'edificio Pertini salendo anche ai piani
superiori mentre nell'edificio si trovano ancora i feriti, si occupa anche
della scuola Pascoli, redige direttamente, insieme a Gava e Ciccimarra, il
verbale di arresto presso la caserma di Bolzaneto.
.-.-.-.-.
- il gruppo di Matteo Massimo VALENTI + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:
“È esclusa la
portata scriminante della confusione e dell’asserita concitazione in cui i
verbali sarebbero stati compilati alla luce del fatto che la redazione degli
stessi risulta essersi protratta per molte ore e che comunque i funzionari che
sottoscrissero tali atti erano certamente per rango ed esperienza all’altezza
di cogliere la delicatezza e la rilevanza di quanto in essi si attestava. I soggetti
che hanno posto in essere le attività di indagine e il conseguente arresto non
coincidono con coloro che sottoscrivono i relativi verbali: tale schema, in cui
la sentenza impugnata individua la ragione della possibile assenza di
consapevolezza in capo agli imputati, ben lungi dal dimostrare l’assenza del
dolo dei reati contestati, vale invece a provare oltre ogni ragionevole dubbio
la sussistenza degli elementi oggettivi della fattispecie di cui all’art. 479
c.p.
La tesi per cui
i firmatari dei verbali, non essendo presenti alle operazioni di perquisizione
e sequestro e di arresto, avrebbero confidato nell’attendibilità dei colleghi
sottoposti e attestato quanto da questi riferito, non esclude affatto la loro
penale responsabilità per il reato di falso, ma anzi ne fonda il rimprovero sia
sul piano oggettivo che su quello soggettivo. Se anche si fossero limitati a
riportare quanto descritto dagli agenti intervenuti ritenendolo verosimile alla
luce del “clima di guerriglia urbana che animava quei giorni tanto che nulla era
più in grado di stupire o di essere giudicato secondo criteri logici e
normali”, comunque i firmatari dei verbali avrebbero attestato il falso nel dare
atto di aver proceduto personalmente alla perquisizione, al sequestro e al
conseguente arresto, nella piena consapevolezza di non aver invero partecipato
a tali operazioni. Come ha avuto modo di sottolineare la Corte di Cassazione in
merito agli stessi fatti sulla posizione Gava, la natura dei verbali in quanto
atti pubblici fidefacenti non consente di riferire ricostruzioni dei fatti de relato basate sulla fiducia nei
confronti dei colleghi.
In merito alle
specifiche contestazioni di falsità la sentenza impugnata si limita, elusa ogni
considerazione sui concordanti elementi di prova emersi all’esito dell’istruttoria
dibattimentale, ad un telegrafico accenno all’impossibilità di escludere che
gli stessi si siano verificati.
I giudici
traggono la conclusione della possibile assenza di consapevolezza del falso e
dell’infondatezza dell’ipotesi delittuosa e dell’attribuzione di prove
contraffatte dalla generica considerazione che non si sarebbe provata la
presenza dei firmatari nel corso delle operazioni di p.g. e di conseguenza
verrebbe a mancare la loro contezza in merito a quanto accaduto nel corso delle
stesse. Ma un esame avveduto delle risultanze dibattimentali avrebbe
evidenziato la conoscenza da parte dei firmatari di alcune circostanze di fatto
da cui senza dubbio derivava la loro consapevolezza, seppur parziale, della
falsità di quanto attestato nei suddetti verbali e della sua portata calunniosa
ai danni degli arrestati.
Il dott. Di
Bernardini, che era a capo della pattuglia di auto che era transitata sotto la
scuola nella prima serata, aveva subìto solo poco più di alcuni insulti e
comunque un trattamento del tutto incompatibile con quanto da lui attestato nel
verbale di arresto e nel verbale di perquisizione e sequestro.
Il dott. Mortola
ha riferito nella comunicazione di notizia di reato la presenza di numerosi
appartenenti al blocco nero dei manifestanti asseritamente visti, ma
dimostratisi al processo attivisti inermi.
Ferri,
Ciccimarra, Mortola, Di Sarro, Dominici e Caldarozzi erano tutti sul posto a
mezzanotte, l’ora del blitz, e dunque attenti a ciò che stava accadendo, tra
cui i primi pestaggi ai danni di Francesco Frieri e Mark Covell, non descritti
in alcun atto di polizia.
Mortola,
Caldarozzi e Di Bernardini sono tra i dirigenti che discutono con il sacchetto
e le molotov al centro, dopo che proprio il vice capo dello SCO e il dirigente
della squadra mobile di Roma in quel luogo le avevano introdotte.”
.-.-.-.-
-
il
gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
CERCHI, DI NOVI e MAZZONI:
“Tutti e tre, –
pur avendo firmato il verbale di perquisizione e sequestro – cercano di
“allontanarsi” dal materiale compimento di attività di perquisizione; Cerchi e
Di Novi avrebbero sottoscritto l'atto nella convinzione che la loro firma fosse
dovuta, in ragione dell'attività svolta, mentre Mazzoni si sarebbe limitato a
formare l'elenco degli oggetti sequestrati per poi lasciare l'atto “aperto” ed
in bozza sul computer, atto che altri avrebbero completato e lui infine
sottoscritto dopo la stampa. Viene rimarcata, infine, l'ammissione del DI NOVI
di esser entrato nella Diaz-Pertini, senza soluzione di continuità, rispetto
agli operatori incaricati della “messa in sicurezza” del sito.
Alla luce della
loro sottoscrizione del verbale, tertium
non datur: se ciò è vero (e lo è per tutti: CERCHI, che ritrova uno
striscione, poi sequestrato; DI NOVI, che giunge subito all'interno dello
stabile e vede quel che combinano, nel frattempo, gli uomini del VII Nucleo;
MAZZONI, che ammette di aver svolto dell'attività di perquisizione a
piano-terra e al primo piano), allora non si potrà negare che abbiano avuto modo
di notare la difformità tra la verità oggettiva dei fatti e quanto attestato a
verbale; se, invece, non è vero – e sono allora attendibili le versioni
difensive – resta il fatto che CERCHI, MAZZONI e DI NOVI hanno sottoscritto un
atto comunque ideologicamente falso, nel senso di aver affermato (in tal senso
offrendosene come testi all'A.G.) di aver compiuto una serie di attività in
effetti da loro non compiute e di aver riscontrato una serie di fatti in
effetti da loro non riscontrati.”
FERRI FILIPPO
“È al Dr. FERRI
che vanno sostanzialmente riferiti il momento decisionale e l'elaborazione
tecnico-giuridica relativi: A) alla scelta di contestare agli occupanti la DIAZ
il reato di associazione a delinquere, finalizzata alla devastazione e al saccheggio;
B) a quella di trarli in arresto, sulla base di tali contestazioni, supportate
dal compendio indiziario costituito dalla annotazione di Canterini e dai
risultati della perquisizione. Il Dr. Ferri, arrivato tra i primissimi sul
“teatro delle operazioni”, era nella condizione di constatare con pienezza di
cognizione pari a quella di pochi altri la totale difformità tra il
verbalizzato (fittissimo lancio di oggetti, vigorose resistenze e quant’altro)
e l'effettivamente accaduto.”
DI BERNARDINI
“Oltre a quanto
rilevato in ordine alle bottiglie molotov, rileva che è lui stesso a: 1) ammettere di essersi concentrato, nel
compimento della sua attività di perquirente, esattamente nel vano-palestra
dell'edificio (ossia al piano in cui si pretendeva fossero allocati gli ordigni
incendiari); 2) auto attribuirsi la decisione di aver fatto concentrare in un
unico punto i reperti rinvenuti.”
CICCIMARRA
“Stando a quanto
da lui stesso dichiarato in sede di interrogatorio in indagini preliminari,
atto poi acquisito al fascicolo del dibattimento, è tra i primi ad arrivare sul
posto, al comando di un nutrito numero di sottoposti ed entra, insieme con gli
uomini al suo comando, pressoché senza soluzione di continuità con gli appartenenti
al VII Nucleo. Ne consegue in maniera inesorabile (oltre all'assoluta
inattendibilità del racconto e della versione difensiva che esso intenderebbe
accreditare) che il Dr. Fabio Ciccimarra, in quanto testimone diretto
dell'intervento degli uomini di Fournier, si rende conto di come la
rappresentazione dello svolgimento dei fatti riportata nel verbale di arresto
(fittissimo lancio di oggetti, vigorose resistenze, etc.) sia affatto
differente, rispetto ad una fedele descrizione dell'accaduto e sia, in altre
parole, del tutto falsa. Ancora, il Dr. Ciccimarra, sempre nel suo
interrogatorio, dichiara di aver svolto dettagliata attività di perquisizione,
a tutti i piani dello stabile, per cui è impossibile che non si sia reso conto
gli ordigni incendiari non si trovavano affatto nel luogo “al piano terra...in
prossimità dell'ingresso...visibile ed accessibile a tutti” in cui il verbale
di perquisizione (in ciò ripreso integralmente da quello di arresto) pretende
di collocarle.”
CALDAROZZI
“La sua versione difensiva, anch'essa modulata sull' “alibi”
rappresentato dall'essere giunto sul teatro delle operazioni dopo che si era
esaurita la fase dell'intervento ad opera del personale appartenente al VII
Nucleo, viene smentita dalla consulenza-video di pate civile, che ne colloca l'ingresso
all'interno dell'edificio Diaz-Pertini in un lasso di tempo prossimo a quello
del superiore gerarchico Gratteri e dunque in un momento in cui le
“colluttazioni unilaterali” (secondo l’ossimoro con cui le ha definite
l'imputato Fournier nel corso del suo esame dibattimentale) tra i poliziotti e
gli occupanti l'edificio sono ancora ampiamente in corso.
CALDAROZZI firma il verbale di arresto - anzi rivendicando il proprio
ruolo nella costruzione della contestazione associativa a carico dei 93
arrestati – pur avendo partecipato direttamente e con funzioni direttive alle
operazioni di perquisizione ed avendo dunque avuto ancora modo di: I)
verificare la completa mancanza di riscontri individualizzanti a carico delle
persone perquisite; II) verificare la mancata presenza del corpo di reato più
significativo – ossia le molotov – nel luogo in cui il verbale le descrive
rinvenute; III) essere venuto in contatto con il predetto reperto circa una
quarantina di minuti dopo il suo ingresso nell'edificio, 30 minuti dopo
l'inizio delle operazioni di perquisizione e nelle modalità – che in sé
avrebbero dovuto essere sospette e che ancor più lo erano nel contesto – esaminate
in precedenza.”
DI SARRO
“Il funzionario,
nel corso di tutto il procedimento, ha “preso le distanze” dall'operazione,
sostenendo (anche nel corso dell'interrogatorio reso in udienza preliminare) di
essere rimasto fuori dalla scuola per tutto il tempo, salvi due fugaci ingressi
nei locali dell'istituto – dunque, non partecipando a nulla di quanto potesse
essere accaduto nel contesto dell'operazione vera e propria - e di aver
sottoscritto il verbale di arresto nella tarda mattinata della domenica 22
luglio, non senza aver palesato le proprie perplessità (poi, peraltro,
superate), in ordine alla contestazione associativa. Si versa qui nell'ipotesi
tipica di falsità “formale” dell'atto pubblico, derivante dall'attestazione
fidefaciente di una realtà che non è invece caduta sotto la percezione diretta
del P.U. sottoscrittore dell'atto pubblico.”
DOMINICI
“Come per le
posizioni GAVA e DI SARRO, si versa in ipotesi di sottoscrizione dell'atto
“sulla fiducia” riposta nell'operato degli altri funzionari cofirmatari,
motivazione che non scrimina il falso (come rilevato dalla Corte di Cassazione
per la posizione di Gava). Inoltre egli ha constatato direttamente gli esiti
dell'operazione condotta – tra gli altri – dagli uomini del VII Nucleo, nonché,
successivamente e di conseguenza, la difformità tra le attestazioni riportate a
verbale ed il vero effettivo, con particolare riferimento alle presunte
resistenze, non avendo egli fatta propria la tesi della presenza di lesioni
pregresse sulle persone degli arrestati.”
MORTOLA
“La funzione di scout svolta fa del Dr. Mortola un testimone
oculare completo della scena dell'ingresso delle forze di polizia all'interno
dell'edificio Diaz-Pertini sì da poter rendersi conto di come il “fittissimo
lancio di oggetti” riferito nel verbale di arresto non abbia luogo. E tanto se
ne rende conto che la caduta del “maglio spaccapietre” (funzionale alla tesi
del lancio di oggetti), non viene menzionata né nella comunicazione di notizia
di reato (redatta dal Dr. Gallo, utilizzando dati comunicatigli dal Mortola e
da questi sottoscritta), né nel primo verbale di dichiarazioni rese all'A.G.,
come persona informata sui fatti, ma compare nel primo interrogatorio reso da
indagato, con l'assistenza del difensore.
Il Dr. Mortola
ha avuto modo di veder tutto quel che accadeva, a cominciare dalle violenze
gratuite poste in essere già nella via Battisti; il dato documentale del video Chiucconi,
attesta che Mortola insieme con Di Sarro alle 00.19 del 22 luglio è in
prossimità del cancello del cortile della scuola, nelle vicinanze di un Covell esanime
al suolo. Nondimeno, Covell è tratto in arresto come appartenente all'associazione
a delinquere che aveva base nella scuola, ed anche a lui è attribuita la
detenzione dei reperti sequestrati nella scuola.”
.-.-.-.-.
-
il
gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri, nonché le parti civili MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David,
SAMPERIZ Benito, GIOVANNETTI Ivan Michele ed il Genoa Social Forum hanno esposto argomentazioni sovrapponibili a
quelle sopra riportate.
.-.-.-.-
- parte civile Laura JAEGER,
che ha incentrato la sua analisi principalmente sulla vicenda legata alle
bottiglie molotov, ha sviluppato le
seguenti argomentazioni:
Massimiliano Di Bernardini
“Anche lui, al
pari degli altri imputati, tenta di chiamarsi fuori dalla vicenda, sostenendo
di aver fatto solo da intermediario, anche se in realtà altri protagonisti lo
ricordano con il sacchetto azzurro in mano.
Se è pacifico il
contrasto con le dichiarazioni, sicuramente mendaci, di Troiani in ordine al
luogo del ritrovamento del reperto, ciò non toglie che sia assolutamente
incomprensibile perché Di Bernardini non chiese al collega indicazioni
specifiche sul punto. Eppure, le bottiglie gli vennero consegnate da un collega
dei reparti mobili addetti alla cinturazione esterna, che sicuramente proveniva
dall’esterno dell’edificio, tanto che la consegna avvenne proprio sulle scale:
è possibile che Di Bernardini, che era un ufficiale di polizia giudiziaria che
stava compiendo una perquisizione all’interno della scuola, non si sia
interrogato sul luogo del ritrovamento chiedendo al Troiani le necessarie
informazioni al riguardo?
Tale omissione
rivela la volontà e l’intenzione di coprire il più possibile i passaggi storici
dell’ingresso delle bottiglie all’interno dell’edificio scolastico.”
Gilberto Caldarozzi
“Ciò che più
risalta nelle sue dichiarazioni è la sua ritrosia ad interrogarsi sul luogo di
ritrovamento dei reperti, ritrosia che si inserisce, in realtà, in una
straordinaria presa di distanza collettiva, sua e di tutti gli altri imputati,
sul nodo centrale della vicenda.
A prendere sul
serio le dichiarazioni rese dagli imputati, ci si trova di fronte a una
clamorosa commedia degli equivoci.
Mettendo in
sequenza le attendibilissime ricostruzioni proposte in tema di luogo di
reperimento delle molotov, si scopre che Burgio avrebbe dato a Troiani una
indicazione falsa (vicino alle macchine), Troiani, a sua volta, ne avrebbe dato
un’altra, anch’essa falsa ma diversa, a Di Bernardini (nel cortile o sulle
scale), Di Bernardini, secondo quanto riferisce Caldarozzi, ne avrebbe data una
terza, anch’essa mendace, allo stesso Caldarozzi (all’interno della scuola).
Valgono per
Caldarozzi, allora le stesse osservazioni che saranno ripetute per tutti gli
altri successivi imputati.
Egli aveva
compiti di direzione delle perquisizione, non poteva non sapere che la stessa
non aveva avuto sino a quel momento esiti particolarmente brillanti. Nel
momento in cui venne reperito finalmente in un reperto significativo, un
reperto che qualificava l’intera operazione e a cui, non a caso, verrà dato
significativo rilievo nel verbale di perquisizione e sequestro e nei successivi
atti di polizia giudiziaria, egli non ritenne opportuno informarsi più di
tanto.
Non ci fu in
Caldarozzi non solo il normale interesse investigativo che un poliziotto del
suo profilo e del suo ruolo dovrebbe dimostrare, ma nemmeno quel minimo di
interesse che qualsiasi persona normale potrebbe avere in tale frangente.”
Spartaco Mortola
“Mortola
sottoscrisse gli atti che indicavano la presenza delle molotov all’interno
della scuola. Come si può credergli quando afferma di non essersi informato sul
loro reperimento per leggerezza?”
.-.-.-.-
In relazione
agli imputati Nucera Massimo e Panzieri Maurizio in ordine ai capi
loro rispettivamente ascritti I), M) (falso) L) ed N) (calunnia)
-
il gruppo di HINRICHSMEYER
Thorsten + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:
“Il Primo
Giudice, pur dovendo dare atto dei contrasti tra le differenti versioni fornite
dall'agente Nucera nel corso del procedimento e dell'incompatibilità tra la
dinamica dell'episodio riferita nell'immediatezza (in cui l'imputato parlava di
aver subito un solo colpo da parte dell'ignoto aggressore) rispetto alle
risultanze degli accertamenti peritali compiuti sui tagli rinvenuti sulla
giubba della divisa e sul sottostante corpetto protettivo, ha finito per
aderire del tutto acriticamente alle conclusioni del perito Prof. Carlo Torre,
che ha ritenuto pienamente compatibile la seconda versione del fatto fornita
dal Nucera (in cui i colpi di coltello ricevuti erano diventati due) con le
lesioni riscontrate sui reperti in sequestro. Il Collegio ha finito in buona
sostanza per ritenere maggiormente credibile l'ultima versione fornita da
Nucera (resa però già in veste di indagato e, quindi, con la consapevolezza
della contraddittorietà tra la prima versione e le risultanze degli accertamenti tecnici compiuti dai
Carabinieri del R.I.S.); versione solo in astratto compatibile con le
conclusioni del Prof Torre ma smentita da ben quattro consulenti di parte (uno
del P.M. e tre di parte civile).
Il Tribunale ha
poi completamente omesso di considerare sia gli aspetti di inverosimiglianza
intrinseca dell'accadimento (si pensi alla mancata identificazione dell'autore
dell'accoltellamento) sia le stesse contraddizioni (sulla dinamica
dell'episodio e sugli eventi successivi) tra le versioni del Nucera e le due
distinte ricostruzioni dell'accadimento riferite dal Panzieri.”
.-.-.-
-
il
gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
“L’episodio si inserisce in un contesto (ed è la stessa sentenza
impugnata a darne atto) di totale, sfrenata inverosimiglianza: ragionando per
assurdo, se è vera la versione dei fatti riportata dai due imputati, allora si
dovrà ammettere per vero che Nucera, addestrato, armato di manganello tonfa,
più alto (lo dice lui, in interrogatorio) di diversi centimetri rispetto al suo
presunto aggressore - e dunque provvisto di un maggior allungo di braccia - si
sia fatto attingere per due volte da coltellate portate all'altezza di organi
vitali da un aggressore più basso e provvisto di un minore allungo di braccia;
ancora si dovrà ritenere plausibile che – pur resosi conto della gravità del
fatto pochi istanti dopo che il presunto aggressore era stato ridotto all'impotenza
e portato via, giù per le scale – l'Agente Nucera non sia stato, come dire,
colto dalla “curiosità” di sapere chi fosse costui e non abbia “inseguito” i
commilitoni per le scale,
per bloccare ed identificare il suo tentato assassino; ancora, sarà
verosimile che – una volta sequestrato il coltello utilizzato dall'aggressore –
nessuno si sia dato da fare per risalire all'identità di questo, attraverso le
impronte digitali (operazione ancora possibile, pur se il coltello era stato
maneggiato – in spregio a ogni protocollo operativo – a mani nude dopo il sequestro
e destinata ad un possibile successo, dato il numero relativamente ristretto
delle persone fermate); infine, si dovrà ritenere possibile ed anzi credibile
che le incongruenze circa il luogo di verificazione dell'accaduto, come
direttamente vissuto (Panzieri, che cambia versione circa la propria presenza
alla scena) o come riferito (Sbordone, che lo colloca poco dopo l'ingresso).”
.-.-.-.-
-
il
gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri, nonché le parti civili MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez David e
SAMPERIZ Benito, GIOVANNETTI Ivan Michele, hanno esposto argomentazioni sovrapponibili a quelle
sopra riportate.
.-.-.-.-
-
parte civile Laura JAEGER, ha sviluppato le seguenti argomentazioni:
“Al di là delle valutazioni relative al dato tecnico, ciò che più sconcerta nella motivazione del
Tribunale è il mancato utilizzo delle usuali regole di grammatica della prova
per valutare il dato dichiarativo e di ricostruzione storica emergente dalle annotazioni
e dagli interrogatori dei due imputati.
Passano così in secondo piano, o vengono approssimativamente
giustificate, le contraddizioni e le incongruenze riferite, che costituiscono,
invece, unitamente alle argomentazioni dei due consulenti, un elemento
rilevante dell’ipotesi d’accusa che consente di individuare sicuri profili di
responsabilità nelle condotte dei prevenuti.”
.-.-.-.-.
In relazione alle posizioni di tutti gli imputati precedentemente citati,
la parte civile NOGUERAS CHABIER Francho Corral ha chiesto la riforma
dell’impugnata sentenza con la declaratoria di responsabilità dei predetti,
lamentando la illogicità e la carenza della motivazione.
.-.-.-.-
in relazione all’imputato Gava Salvatore con riferimento ai reati
ascritti ai capi S) (perquisizione arbitraria), T) (violenza privata), U) (danneggiamento),
V) (peculato) e falso
-
il
gruppo di HINRICHSMEYER Thorsten + altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
“Non soltanto l'imputato Gava ha ammesso pacificamente di aver firmato un
verbale relativo ad una serie di operazioni svolte e di fatti cui avrebbe
dovuto assistere senza averne avuto in alcun modo diretta esperienza (si
trovava, infatti, presso la scuola Pascoli) ma la Corte di Cassazione,
interessata proprio della sua posizione e di quella del coimputato Troiani ha
fissato un criterio estremamente semplice quanto stringente ritenendo “che
il “contributo” consistente nell’attività di identificazione di alcune delle
persone perquisite non legittima sul piano materiale la sottoscrizione
dell’atto di perquisizione, giacché la “natura e il significato dell’atto”
sottoscritto non consentono equivoci sul punto, tanto più se rispetto alla
perquisizione l’identificazione avviene in momenti logico cronologici
differenti, come in effetti è avvenuto nel caso concreto”. Inoltre, nel
caso specifico dell'imputato Gava neppure può invocarsi la “confusione”
invocata al contrario dal Collegio come uno elemento scriminante, dal momento
che lo stesso si trovava a redigere l'atto a Bolzaneto, quindi in luogo
“tranquillo”, che la redazione dello stesso si è protratta per diverse ore e
che, in ultimo, i funzionari coinvolti sono tutti di rango ed esperienza
elevata, quindi certamente in grado di rendersi conto di quanto stavano
scrivendo e/o firmando.”
.-.-.-.-
- il gruppo di Matteo Massimo VALENTI + altri ha esposto le seguenti argomentazioni:
“La complessa vicenda processuale può ritenersi risolta nella pronuncia della
Corte di Cassazione. Il Tribunale, incurante del suo ruolo acquisito di giudice del rinvio,
sostiene che non vi sia in capo a Gava il dolo del falso. In motivazione si legge tuttavia che non appose la propria firma con superficiale comportamento e
senza rendersi conto della rilevanza della sua sottoscrizione, bensì con
piena consapevolezza in base al
soggettivo convincimento che sarebbe
venuto meno a un suo dovere non sottoscrivendo il verbale in questione in
ragione del suo contributo alla fase di identificazione.
A parte il fatto che la sentenza dà conto della circostanza che
all’identificazione in realtà ha provveduto non direttamente Gava, ma un suo
sottoposto, egli aveva avanti a sé la possibilità salvifica per l’addebito
contestato di sottoscrivere i soli verbali di identificazione. Nell’escludere
l’ipotesi che Gava abbia firmato per leggerezza il Tribunale fonda così la
sussistenza del dolo in capo all’imputato nei termini della piena
consapevolezza della estraneità del suo operato rispetto all’attività descritta
nel verbale firmato.”
Quanto alle altre imputazioni a carico del Gava, queste parti civili ricordano
come lo stesso abbia ammesso nel proprio interrogatorio di aver constatato la
condotta tenuta dagli operatori di polizia intervenuti, ma di non essere
intervenuto ritenendo che per ragioni di sicurezza fosse opportuno mantenere la
situazione dai predetti creata.
.-.-.-.-
-
il
gruppo di Anna Julia KUTSCHKAU e altri ha esposto le seguenti
argomentazioni:
“Il dictum reso dalla Corte di Cassazione, quanto alla posizione
GAVA, ha efficacia vincolante nel
presente giudizio, che nei riguardi del predetto imputato costituisce grado di
rinvio. È evidente
che il compimento dell'attività materiale di ricerca della prova che l'UPG
perquirente compie sia ben altro rispetto al compimento di attività accessorie
e successive, quali quelle cui il Dr. GAVA fa riferimento per motivare la
decisione di firmare il verbale di perquisizione ed è altrettanto evidente come
un funzionario investito dei gradi di commissario – quale era GAVA all'epoca –
sia perfettamente in grado di rendersi conto della differenza.”
.-.-.-.
-
il
gruppo di BARTESAGHI GALLO Sara e altri ha esposto argomentazioni sovrapponibili a quelle sopra riportate.
.-.-.-.-
-
la
parte civile URGEGHE Marta ha criticato l’assoluzione dell’imputato Gava
argomentando che:
la tesi dell’ingresso per errore nella scuola Pascoli è contraddetta dai
numerosi cartelli ben visibili che indicavano la presenza di strutture
logistiche (stampa, media, uffici legali, sanitari, uffici del Genoa Social
Forum).
Le testimonianze assunte hanno confermato l’arbitraria perquisizione, le
violenze sui presenti, il danneggiamento delle strutture e l’asportazione di
materiale video e informatico. A tale prova deve aggiungersi la registrazione
audio in diretta dell’ingresso della Polizia, completamente obliterata dal Tribunale, dalla quale
si evince che gli agenti ben sapevano dove si trovavano e cosa avrebbero dovuto
fare. Del resto successivamente Colucci e Mortola hanno inviato due telex al
Capo della Polizia riferendosi espressamente alla perquisizione all’interno
della scuola Pascoli.
Quanto alla posizione di Gava, il più alto in grado nella Pascoli, la sua
funzione di comando dell’intera operazione è stata confermata dai sui
sottoposti Apicella e Sascaro che hanno descritto la condotta tenuta del Gava e
gli ordini dal medesimo impartiti a tutti i poliziotti entrati nella scuola.
Sussiste quindi la responsabilità per concorso omissivo.
.-.-.-.-
-
la
parte civile GENOA SOCIAL FORUM ha argomentato l’appello nei seguenti
termini:
“La Scuola Pascoli era il quartier generale del GSF ed ivi si svolgevano
tutte le riunioni organizzative, potendosi accedere solo tramite pass che veniva rilasciato a coloro che
avessero compiti organizzativi. Vi trovavano sede l’ufficio stampa, il network Indimedia, Radio Gap, che
trasmetteva 24 ore su 24, la sala avvocati, la sala medica, una sala con
numerosi computer che potevano essere utilizzati per le connessioni internet.
Le modalità della perquisizione, e le attività poste in essere dagli
agenti che hanno fatto irruzione nella scuola Pascoli, consentono di escludere
con certezza che l’ingresso in tale Istituto sia potuto essere casuale o frutto
di un equivoco.
-
al
momento dell’irruzione nella Pascoli, nella scuola Pertini era già in atto una
massiccia perquisizione. Chi fosse arrivato sul posto in assenza di una
specifica indicazione non poteva sbagliare obiettivo. La Pascoli si pone dunque
fin dall’inizio come un obiettivo ulteriore rispetto alla perquisizione della
scuola Pertini
-
Il
comportamento delle FO intervenute nella Pascoli è stato uniforme in tutti i
piani dell’istituto.
-
Sono
state interrotte le trasmissioni di Radio Gap ad opera della Polizia,
secondo quanto riferito dai testi Di Marco e Salviati. Ancor più significativa
sul punto è la testimonianza dell’agente Sascaro che ammette che è stato
l’intervento della Polizia a fare cessare la trasmissione radio, riattivate
circa mezz’ora più tardi.
-
Emblematico
è quanto accaduto nella stanza dei legali: secondo la ricostruzione del teste
Lenzi, responsabile nazionale del
WWF, dal momento dell’ingresso nell’Istituto a quello in cui le FO sono entrate
nella stanza dei legali sono passati non più di due minuti, il tempo di
contattare telefonicamente un avvocato per avvisarlo dell’irruzione; il comandante del gruppo di agenti
appena entrato, ha ordinato immediatamente ai presenti di sdraiarsi faccia a
terra. Senza ricevere alcuna istruzione, gli agenti hanno iniziato a fracassare
computer e telefoni che si trovavano sul lato sinistro della stanza. Dopodiché
i presenti sono stati fatti uscire dalla stanza e gli agenti si sono trattenuti
alcune decine di minuti all’interno senza che nessuno potesse entrarvi. Al
rientro, oltre agli evidente danneggiamenti si poteva constatare la sottrazione
degli hard disk dei p.c. in dotazione ai legali e del materiale cartaceo
presente prima del bliz sui tavoli sui quali i legali svolgevano il loro
lavoro.
I pc dei legali sono stati gli unici oggetto
di danneggiamento in tutta la scuola Pascoli, pur essendo stati installati
nella stessa oltre 50 postazioni informatiche (teste Galvan), per cui gli
agenti conoscevano evidentemente non solo la collocazione dei pc dei legali
all’interno dell’Istituto, ma anche la collocazione dei medesimi all’interno
della stanza.
L’azione posta in essere nella Pascoli si pone
quindi in un rapporto evidentemente strumentale rispetto a quella iniziata
pochi istanti prima nella Pertini, e l’obiettivo primario sembra essere stato
quello di evitare di avere degli scomodi testimoni del sanguinoso bliz alla Pertini nonché
quello di privare il GSF di materiale video e di materiale raccolto dai legali
che potesse servire alla documentazione delle violenze commesse nelle giornate
precedenti dalle FO.”
.-.-.-.-
-
la
parte civile ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI ha argomentato l’appello in
termini sostanziante analoghi a quelli sviluppati dal GSF.
.-.-.-.-
QUESTIONI PROPRIAMENTE CIVILISTICHE
In relazione alla condanna di Canterini e
Troiani per i reati di falso e calunnia, le parti civili HINRICHSMEYER
Thorsten + altri, VALENTI Matteo Massimo + altri, KUTSCHKAU Anna Julia + altri, BARTESAGHI GALLO Sara + altri e JAEGER
Laura hanno censurato la decisione appellata per aver riconosciuto il diritto
al risarcimento dei danni solo con riferimento al delitto di calunnia, e con
esclusione di ogni rilevanza del delitto di falso.
Il Tribunale ha
menzionato la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 46982 del
25/10/2007, ed ha concluso sostenendo che “il
danno conseguente al reato di falso deriva, di norma, dal fine perseguito e
quindi, nella fattispecie, dal reato di calunnia, cosicché l’indennizzo
stabilito a favore delle vittime di tale reato per la falsa incolpazione
subita, esclude il riconoscimento di qualsiasi altra voce di danno riferibile
al falso che costituirebbe un’evidente duplicazione”.
Tale conclusione
deve dirsi errata secondo gli appellanti.
Le Sezioni Unite
si sono infatti pronunciate su un contrasto giurisprudenziale relativo
alla
monoffensività o plurioffensività del reato di falso, accogliendo sul tema che
erano chiamate a dirimere il secondo indirizzo interpretativo, peraltro
maggioritario.
I delitti contro
la fede pubblica hanno natura plurioffensiva, con la conseguenza che al privato
danneggiato da tale reato spettano i diritti e le facoltà previsti per la parte
offesa.
Il reato di
calunnia mantiene una sua autonomia, non è giuridicamente corretto qualificare
il reato di falso come mezzo e il reato di calunnia come il fine perseguito, e non
è questa l’interpretazione che deve essere data alla sentenza delle Sezioni
Unite menzionata dal Collegio.
Il delitto di
cui all’art. 479 c.p., infatti, determina un vero e proprio danno psicologico e
morale prodotto dalla “falsa rappresentazione della realtà”, nel caso di specie
amplificato dalla qualifica degli imputati, soggetti appartenenti alle forze
dell’ordine e, pertanto, proprio coloro i quali dovrebbero perseguire la
ricerca della verità stessa.
La descrizione
falsa contenuta negli atti incriminati è stata strumento non solo per sostenere
la falsa accusa, ma anche per assicurare l’impunità ai colleghi che avevano
colpito gli occupanti la scuola e per giustificare la violenza utilizzata, sì che
il rilievo della strumentalità del falso rispetto alla calunnia non era argomentazione
determinante per escludere il diritto al risarcimento dei danni.
La calunnia è
reato che può essere commesso da chiunque, normalmente è commessa dal privato
cittadino e comporta un danno conseguente anche alle modalità con le quali si è
esplicata. Il falso è un reato commesso dal pubblico ufficiale, che proprio per
la sua qualifica e per la qualità dell’atto che compie rende più “forte” la
calunnia.
Il GENOA SOCIAL FORUM (GSF), ha lamentato
il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito in
conseguenza della condanna degli imputati Burgio Michele e Troiani Pietro per i
reati di cui ai capi O e Q, e degli imputati Canterini Vincenzo, Fournier Michelangelo,
Tucci Ciro , Lucaroni Carlo, Zaccaria per i reati di lesion, falso e calunnia.
Nella sentenza impugnata si legge che “nessuno
dei reati accertati appare commesso in suo (del GSF - ndr) danno o dei suoi affiliati o simpatizzanti
in quanto tali. E’ anche emerso, del resto che un suo
rappresentante, Kovac, era stato contattato prima della perquisizione. Quanto
alle attività culturali del GSF, … non può dirsi che esse siano state
interrotte o che l’immagine del gruppo sia stata intaccata per i comportamenti
oggetto delle attuali condanne.
Premesso che non vi è altro collegamento tra le vittime dei reati di
falso e calunnia, se non quello che gli stessi aderivano alle iniziative del
GSF, lamenta l’appellante che c’è stata una evidente criminalizzazione di tutta
l’associazione, inducendo in modo esplicito l’opinione pubblica a ritenere che
il GSF fosse colluso, o addirittura si identificasse con quelle frange di
manifestanti che avevano compiuto gravi danneggiamenti in città in quelle
giornate. Estremamente eloquente al
riguardo è la copiosa rassegna stampa allegata all’atto di costituzione di
parte civile, da cui emerge che la prima immediata conseguenza del blitz è
stata quella di equiparare il GSF all’associazione sovversiva dei Black Bloc,
di cui la sede del GSF era divenuta il Covo operativo.
L’ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI
censura la sentenza perché, pur avendo assolto Gava dai reati contestatigli con
riferimento ai fatti accaduti nella scuola Pascoli, in un obiter dictum ha comunque escluso in radice ogni possibilità di
risarcimento perché le attrezzature danneggiate (computers, altro materiale
informatico, telefoni ed altri oggetti) erano di proprietà del Comune. Osserva
l’appellante che soggetto danneggiato e offeso dal reato di danneggiamento può
essere anche il semplice detentore della cosa o il titolare di diritto di
godimento, che si affianca al soggetto passivo titolare del diritto di
proprietà sul bene danneggiato.
In ogni caso
l’associazione era soggetto danneggiato anche con riferimento:
al reato di cui
agli artt. 609 e 615 c.p., in quanto i locali messi a sua disposizione dovevano
qualificarsi privata dimora;
al reato di cui
all’art. 610 c.p., in quanto ai suoi membri era stato impedito di accedere ai
locali affidati all’associazione durante l’illegittima operazioni di polizia;
al reato di cui
all’art. 314 c.p. per la sua natura di fattispecie plurioffensiva, volta a
tutelare anche l’integrità del patrimonio della P.A. e dei terzi.
Le parti civili Bartesaghi Enrica e Gandini Ettorina lamentano nei
confronti di tutti gli imputati (anche di coloro che sono stati condannati) e
del responsabile civile il mancato riconoscimento del risarcimento del danno lamentato,
rispettivamente, quale madre di Sara Bartesaghi Gallo e madre di Ivan
Giovannetti, parti civili nel presente procedimento.
Il Tribunale ha
rigettato le domande risarcitorie delle due madri sulla base delle seguenti
argomentazioni:
- le lesioni subite
dai figli non sono “seriamente invalidanti” nel senso inteso da Cass. Civ.
10816/04 e la mera titolarità di un rapporto familiare non è sufficiente a
giustificare la pretesa risarcitoria del prossimo congiunto;
- le spese
affrontate per viaggi e cure mediche non sono dimostrate, e comunque non sono
dovute perché liquidabili direttamente alle persone offese;
- non sono
meritevoli di tutela risarcitoria gli altri pregiudizi subiti consistenti in
disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altro tipo di insoddisfazione.
Deducono le
appellanti che il Tribunale ha mal compreso l'insegnamento della Suprema Corte,
la quale, nel riconoscere che i genitori conviventi della parte offesa di una
reato hanno diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali
che dimostrino di aver subito in conseguenza del reato stesso (SSUU 26972/2008
e SSUU 9556/2002) non ha mai condizionato il riconoscimento di tale diritto al
parametro della entità delle lesioni, inteso dal Tribunale come “seriamente
invalidanti”.
Il danno non
patrimoniale c.d. “riflesso” prescinde dalla gravità delle lesioni subite dalla
parte lesa, ma è piuttosto legato alla gravità del reato, alle conseguenze in
termini di sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata e al
mutamento (peggioramento) che il reato ha causato all'interno dei rapporti
familiari.
Appare dunque errata
l'affermazione secondo cui “il diritto costituzionale inviolabile deve
essere inciso oltre una certa soglia”; le SSUU non indicano “soglie”; già
appare arduo individuare diritti costituzionali “violabili” e “non violabili”,
applicare anche una soglia pare alle appellanti eccessivo.
Le parti civili
Bartesaghi e Gandini chiedono quindi venga riconosciuto il loro diritto al
risarcimento dei danni non patrimoniali sia diretti per le conseguenze che i
reati hanno direttamente causato alla loro sfera giuridica, sia indiretti, per
le conseguenze che tali reati hanno provocato sul rapporto familiare e sul
rapporto con i rispettivi figli.
Per quanto attiene ai danni patrimoniali risulta provato che le parti civili
hanno dovuto affrontare esborsi per viaggi, soggiorni in altre città,
consulenze; tali danni non sono stati provati nel loro ammontare in quanto nel
procedimento di primo grado ne è stata chiesta la liquidazione in separato
giudizio, ma nel successivo giudizio civile saranno precisati nel loro ammontare.
.-.-.-
Le parti civili HINRICHSMEYER Thorsten + altri, JAEGER Laura, MANFREDI Provenzano, MORET Fernandez
David e SAMPERIZ Benito hanno lamentato la esiguità
delle somme liquidate a titolo di provvisionali immediatamente esecutive, e ne
hanno chiesto un congruo aumento, argomentando:
esse hanno
subito grande nocumento a causa della illegittima privazione della libertà
personale, danno che non si è concluso con la liberazione degli arrestati, ma
si è protratto a lungo nel tempo per molti mesi;
tutti gli stranieri
arrestati alla scuola Diaz sono stati in seguito coattivamente espulsi dal
territorio italiano, subendo così un’ulteriore sofferenza psicologica;
i reati di falso
ideologico, di calunnia (e di detenzione e porto di arma da guerra allo stesso
direttamente connesso) commessi dagli imputati hanno contribuito in maniera
determinante all’arresto di tutte le parti civili e alla costruzione di quella
falsa impalcatura accusatoria che solo lo sforzo investigativo dei P.M. è
riuscito a superare.
.-.-.-.-
Le stesse parti
civili di cui sopra nonché Matteo
Massimo VALENTI + altri e ANNA JULIA
KUTSCHKAU + altri hanno lamentato l’insufficiente liquidazione delle spese
di lite osservando che il processo in questione, per numero di parti, natura
delle questioni dibattute, durata nel tempo avrebbe dovuto escludere in ogni
caso l’adozione del livello minimo di tariffa, se non addirittura comportare
l’ipotesi speciale di aumento del livello massimo. In particolare sono state
censurate le argomentazioni sostenute dal Tribunale, incentrare sulla coincidenza
di strategia processuale fra Pubblico Ministero e parti civili, sulla
condivisione dell’impegno professionale fra più difensori, nonché la scelta
tecnica di operare un’ulteriore riduzione al 20% degli onorari in ipotesi di
sostituzione all’udienza di più difensori ad opera di un solo avvocato, in
analogia con la norma che regola la liquidazione degli onorari al difensore che
difende più parti nello stesso processo.
Secondo le parti
civili appellanti, infatti, la ovvia coincidenza di interessi processuali tra
accusa pubblica e privata, in riferimento al riconoscimento della penale
responsabilità degli imputati, non consente di deprezzare il lavoro difensivo
svolto dai legali di parte civile;
la
quantificazione degli onorari relativi all'esame e studio, per la
partecipazione e per lo svolgimento di attività difensive per ciascuna udienza
è sempre stata conteggiata sui minimi tariffari, senza preoccuparsi “della
natura, complessità e gravità della causa, delle contestazioni e delle
imputazioni, del numero e dell'importanza delle questioni trattate e della loro
rilevanza patrimoniale; della durata del procedimento e del processo”, che
sono tutti parametri cui il
giudice deve obbligatoriamente riferirsi, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del
Tariffario professionale forense, in sede di liquidazione;
non sembra
consentita alcuna applicazione analogica che, peraltro, nel caso di specie
appare sicuramente indebita, posto che non c'è alcuna identità o somiglianza
tra il caso la difesa di più clienti con
medesima posizione processuale e con esame di situazione particolari per
ciascuno di essi (art. 3 comma 2 della Tariffa) e quello relativo all'utilizzo
di un sostituto per la difesa di più parti.
.-.-.-.-.
I difensori
delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato lamentano che la
condanna degli imputati e del responsabile civile alla rifusione delle spese di
lite sia avvenuta per importo uguale a quello liquidato a carico dello Stato, e
quindi con la limitazione al valore medio prevista dall’art.82 del D.P.R.
115/2002; al contrario, non potendosi confondere e sovrapporre la liquidazione
del patrocinio a carico dello Stato (limitata ex lege) con la liquidazione delle
spese a carico dell’obbligato principale (imputato e in via solidale responsabile
civile) non soggetta a limitazioni, la liquidazione ad opera del Tribunale
giudice del merito del processo sarebbe dovuta avvenire per intero, con
condanna degli imputati al pagamento in favore dello Stato della quota corrispondente
alla liquidazione del Patrocinio a spese dello Stato, e per la differenza
direttamente a favore delle rispettive parti civili creditrici.
.-.-.-.-
APPELLO INCIDENTALE
FASSA LILIANA, in
conseguenza dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno e degli imputati Canterini,
Burgio e Troiani, ha impugnato in via incidentale la sentenza del Tribunale per
non aver riconosciuto il danno lamentato quale madre convivente di Di Pietro
Ada Rosa, e per l’errata quantificazione delle spese di lite. Posto che era stata
ammessa quale parte civile (come prossimo congiunto di vittima del reato) il
diniego del diritto al risarcimento è giudicato contraddittorio perché fondato
su argomentazione che avrebbe dovuto condurre a non ammettere la costituzione
di parte civile; richiamata la pronuncia della Corte di Cassazione sez 3° pen. n.
38952 del 2007 a sostegno del diritto al risarcimento anche nel caso in cui il
prossimo congiunto sia vittima di reato diverso dalle lesioni personali,
l’assunto del Tribunale secondo il quale sarebbe mancata la prova della
intensità e attualità del legame familiare ed il livello di incidenza del fatto
sulla relazione è contestato in quanto all’epoca la Fassa era convivente con la
figlia Di Pietro Ada Rosa ed il rapporto è ugualmente intenso anche se la
predetta aveva 25 anni.
.-.-.-.-
DI PIETRO Adarosa, TOMELLIERI Enrico, SCALA
Roberto, SCHLEITING Mirko e SANZ MADRAZO FRANCISCO JAVIER, parti civili non appellanti, hanno chiesto la riforma della sentenza
in accoglimento degli appelli del Procuratore della Repubblica e delle altre
parti civili, con la condanna degli imputati al pagamento di provvisionali
immediatamente esecutive, o all’aumento di quella liquidata in primo grado, e
all’incremento delle spese di lite.
.-.-.-.-
APPELLO DEL RESPONSABILE
CIVILE MINISTERO DEGLI INTERNI
La sentenza è
stata impugnata con riferimento ai seguenti capi di imputazione:
Capo di imputazione Sub G per il quale vi è stata condanna di Canterini Vincenzo e del Ministero
dell’Interno in solido con il medesimo; si tratta della imputazione di calunnia
(per il reato di falso non vi è stata condanna civilistica) ritenuta provata a carico
di Vincenzo Canterini <<Limitatamente a quanto attestato in ordine alla
resistenza all’interno dell’edificio>>.
Osserva
l’appellante che se tutte le altre circostanza contenute nella relazione sono
state ritenute veritiere, ivi compreso l’episodio dell’aggressione a Nucera (a
tale conclusione deve pervenirsi vista la formula assolutoria “perché il fatto
non sussiste”), si dovrebbe escludere la falsità della circostanza della
resistenza all’interno dell’edificio.
In secondo luogo,
osserva il responsabile civile, Canterini è entrato nella scuola Diaz dopo gli
altri operatori, ed è salito solo al 1° piano, quindi è giunto sui luoghi dei
fatti quando i ferimenti si erano già verificati, e non ha avuto la possibilità
di ipotizzare che tali ferimenti fossero la conseguenza di aggressioni indiscriminate
da parte dei poliziotti.
Capo di imputazione sub H) a carico di Canterini, Fournier, Basili, Tucci, Lucaroni, Zaccaria,
Cenni, Ledoti, Stranieri e Compagnone – reati di lesioni.
Lamenta
l’appellante che non vi è corrispondenza fra capo di imputazione e sentenza. Il
capo di accusa imputa la commissione delle lesioni direttamente, o agevolando o
non impedendo l’altrui condotta, in relazione alle qualità specificate per
ciascuno (comandarne, vice comandante, capo squadra); quindi, secondo l‘accusa,
ciascun capo squadra poteva essere ritenuto responsabile solo delle condotte
degli appartenenti alla propria squadra. La sentenza, viceversa, imputa tutti i
fatti di lesione a tutti gli imputati indistintamente perché ciascuno con il
proprio comportamento omissivo avrebbe rafforzato l’”accordo di impunità”;
inoltre non è mai stata verificata la qualità di ufficiali e agenti di P.G. in
capo agli imputati che potesse fondare la responsabilità per la mancata
denuncia dei colleghi. Manca, infine, la prova che ciascun imputato fosse nella
condizione di impedire concretamente le singole lesioni
Quindi lamenta il
Ministero la violazione dell’obbligo di corrispondenza fra accusa e decisione.
Inoltre il
Tribunale avrebbe compiuto diversi errori in fatto: Canterini è entrato nella
Diaz dopo gli altri operatori dal portone laterale, e quando è arrivato al 1°
piano Fournier ha già impartito l’ordine di “ritirata”; Fournier, dal canto
suo, si è adoperato per aiutare la ragazza aggredita e fece cessare le
violenze.
I Capi squadra,
dal canto loro, non sono entrati tutti subito, per cui considerata la brevità
del tempo necessario a colpire gli occupanti la scuola, non è possibile
attribuire responsabilità per comportamento omissivo. Il Basili, poi, non aveva
alcuna squadra ai suoi ordini, e non poteva quindi avere responsabilità di
comando.
Lamenta l’appellante
che in sostanza l’attribuzione di responsabilità sia avvenuta a titolo
oggettivo.
Capo di imputazione sub O e Q per Troiani e Burgio; calunnia in relazione alla vicenda delle
bottiglie molotov per la quale sola vi è stata condanna del Ministero.
Non contesta l’appellante
il fatto storico che le bottiglie provenivano dall’esterno della scuola, ma deduce l’assenza il dolo in capo agli
imputati.
Quanto alla
posizione di Burgio osserva: non possono essere utilizzate né le sue precedenti
SIT, essendosi avvalso della facoltà di non rispondere agli interrogatori, né
le dichiarazioni di altri coimputati in mancanza di consenso al riguardo; non
c’è alcuna prova a suo carico se non la ripresa filmata che lo ritrae prima in
Via Battisti e poi nel cortile della scuola, circostanza che di per sé non è
significativa di alcun particolare atteggiamento psicologico. Consegue che per
il responsabile civile manca la prova della volontà di attribuire le bombe agli
arrestati: anche l’aver adempiuto all’ordine del Troiani di portare le bombe nella
scuola non era adempimento di ordine illegittimo, perché di per sé il trasporto
delle stesse, senza sapere l’uso che se ne voleva fare, non comportava alcuna
illegittimità. In sostanza la scelta successiva di altri circa l’utilizzo delle
bottiglie molotov non è a lui riferibile.
Quanto alla
posizione di Troiani osserva: manca la prova che l’introduzione delle bottiglie
nella scuola potesse avere l’unica finalità di calunnia, cioè che il Troiani si
fosse accordato con gli altri colleghi che avrebbero poi redatto gli atti
calunniosi, o, viceversa, che li avesse ingannati circa il luogo di provenienza
delle molotov (ma in tal caso la condotta sarebbe stata ben diversa).
Ma egli non ha
ingannato nessuno (non lo sostengono né Di Bernardini, né Calderozzi né alcuno
degli altri partecipanti al conciliabolo), e tutti sapevano che Troiani veniva
dall’esterno della scuola. L’ipotesi dell’accordo, d’altro canto, è smentita
dalla sentenza che ha assolto tutti gli altri coimputati. Non resta per
l’appellante che ritenere credibile la versione fornita dal Troiani il quale,
per “leggerezza” e con l’intento di sbarazzarsi delle molotov senza redigere
atti, avrebbe detto a Di Bernardini di averle trovate nei pressi del cortile
della scuola.
Osserva da
ultimo il responsabile civile che per entrambi gli imputati manca il movente.
Conclude,
pertanto, chiedendo di annullare tutte le statuizioni civili di condanna di
esso Ministeri dell’Interno.
.-.-.-.-
APPELLI DEGLI IMPUTATI
CANTERINI Vincenzo , FOURNIER Michelangelo, BASILI Fabrizio,
TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo e COMPAGNONE
Vincenzo
Vengono
impugnate la sentenza e l’ordinanza del 26/03/2008 con la quale il Tribunale ha
respinto l’istanza di BASILI, TUCCI, LUCARONI e COMPAGNONE, fino
ad allora contumaci, di essere sottoposti ad esame.
In ordine al Capo
H) relativo alle lesioni osservano: si tratta di una pluralità di singoli
autonomi reati di lesioni che non potevano essere attribuiti indiscriminatamente
alla responsabilità di tutti; il Tribunale, quindi, ha violato il principio di
personalità della responsabilità.
In secondo luogo
lamentano lo stravolgimento dell’originaria imputazione: non rileva più, per il
Tribunale, il ruolo rivestito (comandante, vice comandante, capo squadra) ma la
qualifica di agente e ufficiale di P.G. che fondava il conseguente obbligo di intervenire
nei confronti di chiunque.
Non essendo
stata provata la responsabilità per comportamento omissivo (che avrebbe
richiesto una relazione di contiguità fra il singolo imputato e l’autore della
singola lesione, nonché l’idoneità del comportamento omissivo ad istigare e/o
rafforzare la condotta delittuosa), il Tribunale ha introdotto l’”accordo di
impunità” e la tesi della responsabilità di tutti coloro che fossero stati
presenti durante la commissione delle lesioni: ma ciò facendo è incorso in violazione dell’art. 521 c.p.p..
In ogni caso, in
fatto, non c’era bisogno del preventivo accordo per delinquere impunemente: gli
operatori erano talmente tanti e di diversa provenienza che non sono stati
tutti identificati e, quindi, non si conoscevano fra loro; inoltre erano quasi tutti
travisati con fazzoletti sul viso. La violenza è nata non per propagazione all’interno
della scuola, ma perché, mandati con la convinzione di trovare i Black Bloc, i
poliziotti hanno visto serrarsi i cancelli e gettare oggetti dalla scuola.
Le violenze non
sono state generalizzate, ma solo di alcuni, altrimenti, data la sproporzione
del rapporto di forza, il bilancio delle vittime sarebbe stato molto più grave.
Non si comprende
come, secondo il Tribunale, i capi
squadra avrebbero potuto far cessare le violenze; d’altro canto di fatto
Fournier è intervenuto proprio in tal senso.
La mancata
denuncia dei colpevoli, ammesso che fosse possibile e non sia di fatto avvenuta
in alcune relazioni di servizio, non è indizio grave e preciso dell’esistenza
dell’”accordo di impunità”, potendo dipendere da altre convincenti ragioni (in primis tutelare la propria posizione).
Non vi è
riscontro che la maggior parte delle lesioni sia stata inferta da personale del
VII nucleo: pochissime sono state le identificazioni immediate, inattendibili
le indicazioni sulle uniformi rese dalle parti civili al dibattimento dopo anni
dai fatti, e dopo che le deposizioni venivano pubblicate sul sito www.supportolegale.org.; la tipicità delle lesioni come riferibili al “tonfa” non è stata assolutamente
motivata dal Tribunale.
Infine non risponde
vero che gli appartenenti al VII nucleo sono entrati per primi: dai filmati si
vede che sono stati scalzati da altri operatori, e quindi non sono stati gli
autori delle lesioni immediatamente
inferte.
In ordine alle
singole posizioni gli appellanti hanno rilevato:
BASILI: non
aveva alcuna squadra al suo comando e quindi non era Capo Squadra; il Tribunale
ha omesso di considerare tale circostanza, che determina il venir meno del presupposto
dell’imputazione.
FOURNIER: è
intervenuto energicamente per far cessare ogni violenza (circostanza che è
stata confermata da 14 testi) quindi è assente ogni profilo di responsabilità
sia secondo la prospettazione accusatoria del capo di imputazione, sia secondo la
tesi dell’accordo di impunità proposto dal Tribunale. Quando è entrato nella
scuola era passato un minuto e si è diretto subito al primo piano, dove ha urlato
“basta basta”. Non vi è prova che abbia tollerato la commissione di lesioni da
parte di altri operatori; ha dato l’ordine di uscire agli uomini collegati con
lui via radio (laringofono), ma non poteva dare l’ordine a tutti e trecento gli
uomini presenti in loco. Per questo le violenze non sono cessate immediatamente,
ma ciò non è imputabile a Fournier. Egli, poi, non ha potuto identificare i
poliziotti responsabili delle lesioni, ed è questo il motivo della mancata
denuncia, non l’adesione all’”accordo di impunità”.
CANTERINI: la
motivazione nei suoi riguardi è scarsa,
e si esaurisce nella formula “non poteva non sapere o meglio non vedere”. Egli
ha dichiarato di essere entrato per ultimo e di non aver visto colluttazioni in
atto, ma solo le conseguenze di pregresse condotte, e non è mai salito oltre il
primo piano. Non era il Comandante Operativo della Forza, ruolo rivestito da
Fournier, anche se non si è mai capito chi avesse di fatto la direzione delle
operazioni. Lo stesso Tribunale argomenta l’assoluzine dalle imputazioni di
falso facendo leva sulla impossibilità di rendersi conto di cosa fosse successo
effettivamente, della confusione in atto, della perdita di lucidità e di
capacità di valutazione critica secondo i normali parametri: tale argomentazione,
stante l’identità di ratio, doveva
essere adottata anche per assolvere Canterini dalle imputazioni di lesioni.
CANTERINI Capo F) falso.
Il contenuto
della relazione consegnata da Canterini al Questore, oggetto della imputazione,
non corrisponde alla descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione. Il
Tribunale ha ritenuto vera tale relazione quanto alla descritta resistenza
all’esterno della scuola ed al lancio di oggetti, ed ha pure ammesso sporadici
episodi di resistenza all’interno della scuola (in particolare l’aggressione a
Nucera); tuttavia ha riconosciuto il falso imputando a Canterini ingiustificate
omissioni (in ordine alle aggressioni compiute dalla polizia e alla presenza di
feriti anche gravi) e generalizzazioni (attribuzione della resistenza interna a
tutti indiscriminatamente i presenti), fatti che non fanno parte del capo di
imputazione; quindi ha affermato la responsabilità in violazione l’art.521
c.p.p..
In ogni caso, in
fatto, nella relazione si parla di resistenza da parte di alcuni occupanti, non
tutti; trattandosi di relazione al Questore e non di atto di p.g., manca il
dolo, non avendo Canterini consapevolezza che sarebbe stata allegata al verbale
di arresto ed inoltrata in Procura.
CANTERINI Capo
G) calunnia
Dal punto di vista
dell’elemento oggettivo del reato vengono richiamate le argomentazioni
precedenti. Inoltre, anche in tal caso manca la consapevolezza dell’invio
all’AG della relazione; Canterini non ha partecipato alla decisione di procedere
agli arresti (che per lui potevano essere anche fermi di identificazione o per
indizio di reati commessi nei giorni precedenti). L’uso da parte di terzi della
relazione generica di Canterini per muovere una accusa associativa a tutti non
è riferibile a condotta del predetto (il quale nulla sapeva delle bombe
molotov, vero perno della falsa accusa).
Viene quindi chiesta
la riforma della sentenza e l’assoluzione
di tutti gli imputati.
In via SUBORDINATA
deducono gli
appellanti che le circostanze attenuanti generiche dovevano essere valutate
prevalenti (non solo equivalenti) rispetto alle aggravanti in ragione della incensuratezza
e del contesto in cui sono maturati i fatti.
Da ultimo viene
lamentata l’eccessività della pena, della quale si chiede la riduzione, e si
insta per la concessione dei doppi benefici di legge.
Relativamente
alla impugnata ordinanza istruttoria deducono che, presentatisi al dibattimento
per rendere spontanee dichiarazioni pur dopo l’assenza e il rifiuto a
sottoporsi all’esame, gli imputati avrebbero dovuto essere sottoposti ad esame
in applicazione analogica dell’art. 420 quater c.p.p. dettato per l’udienza
preliminare, non sussistendo ragione di distinguere l’udienza preliminare dal
dibattimento.
.-.-.-.-
TROIANI Pietro
L’appellante
lamenta che la motivazione della propria responsabilità è scarna.
Innanzi tutto
egli non beneficia della considerazione circa lo stress e la stanchezza riconosciuta dal Tribunale a tutti gli altri
imputati.
Contrariamente a
quanto affermato in sentenza, non vi è certezza sul conducente del Magnum sul
quale erano state riposte le molotov, né sul riconoscimento delle stesse come
quelle esposte alla Diaz.
La fonte di
conoscenza principale al riguardo è costituita dalla deposizione del teste
Donnini: ma, rileva l’appellante, non è vero che egli ricordi di aver
identificato nel Burgio l’autista che condusse il “magnum” nel tragitto dalla Questura
alla Fiera del mare; dopo analisi stringente dell’intero contenuto della sua
deposizione testimoniale emerge che il Donnini non ha ricordo diretto del
Burgio quale autista, ma che alla sua identificazione è pervenuto a posteriori
dall’analisi degli ordini di servizio.
Non è neppure certo
quale sia stata la collocazione delle bottiglie molotov nel lasso temporale
intercorrente fra il loro ritrovamento e la comparsa alla Diaz: il mezzo era
destinato a servizi operativi (arresto black bloc) e non è pensabile che sia
stato utilizzato a tal fine con le molotov a bordo.
In ogni caso esso
Troiani era salito sul mezzo senza preventiva comunicazione della presenza a
bordo delle molotov; tale fatto ha introdotto nel processo il tema della
possibilità di accorgersi della loro presenza a seconda della provenienza o meno
di odore di benzina dalle bottiglie (ma rileva l’appellante che tutti coloro
che hanno avuto contatto con le stesse hanno escluso che emanassero odore di
benzina). Conclusivamente deve ritenersi che Troiani non sapeva della presenza
delle molotov a bordo del “magnum”.
Quanto alla
ritenuta identificazione delle bottiglie come quelle reperite vicino a Corso
Italia, osserva l’appellante che quelle della Diaz avevano un cappuccio di
nylon intorno al collo: il Dott. Guaglione che le ha riconosciute come
identiche a quelle da lui trovate altrove ha ricordato questo particolare solo
alla terza audizione in s.i.t. dopo che gli erano state mostrate le fotografie,
mentre i particolari aggiunti in dibattimento non erano mai stati riferiti
prima. Consegue, a detta dell’appellante, la inattendibilità del giudizio di
identità formulato dal Guaglione fra le bottiglie da lui trovate e quelle
sequestrate alla Diaz.
Osserva
l’appellante che egli si è limitato a consegnare le bottiglie comparse nel
cortile della Diaz (che non c’è prova siano quelle di Corso Italia) al Di
Bernardini (definito “miracolato”), dopo di che non se ne è interessato più. È
stato condannato in concorso con altri ma non sono indicati i nomi dei complici
(escluso ovviamente il Burgio).
L’imputazione di
CALUNNIA si fonda sulla consegna delle molotov al Di Bernardini (assolto) e
sulla consapevolezza che la detenzione delle molotov sarebbe stata attribuita a
tutti gli occupanti la scuola. Ma il Troiani ha avuto contatto con le molotov e
le ha consegnate al Di Bernardini all’esterno della scuola, fra Piazza Merani
ed il cortile, mentre negli atti viene riferita la presenza delle stesse all’interno
(piano primo o terra) in posizione visibile a tutti (circostanza determinante
per muovere l’accusa di associazione sovversiva a tutti). La divergenza fra
quanto riferito oralmente da Troiani e quanto riportato da altri negli atti scritti
non riceve spiegazione da parte del Tribunale. La calunnia dipende dal
contenuto degli atti scritti non redatti dal Troiani, per cui è incomprensibile
la sua condanna e l’assoluzione degli altri.
E poi le
bottiglie non sono state fondamentali per l’arresto, che era già stato deciso
prima (come da telefonata di Agnoletto ad Andreassi, anteriore alla telefonata
fra Burgio e Troiani). Quindi non c’era necessità per nessuno di utilizzare le
molotov ai fini dell’arresto, e l’uso indebito del reperto non è attribuibile
ad alcuna condotta del Troiani.
In ogni caso è
carente il dolo della calunnia, dolo che non può essere eventuale: esso
appellante non si é sottratto agli interrogatori avvalendosi della facoltà di
non rispondere, ed ha fornito la sua spiegazione che deve ritenersi vera (piuttosto
che mentire avrebbe potuto tacere).
Secondo la cronologia
dei fatti proposta dall’appellante Troiani, la prima telefonata con Burgio risale
alle ore 00,34: alle 00,41 interviene il c.d. “conciliabolo” fra gli alti
funzionari con le bottiglie; poiché da tale momento il Troiani non ha più rapporto con le molotov, in così poco
tempo non avrebbe potuto architettare la calunnia addebitatagli.
Quanto
all’imputazione di DETENZIONE E PORTO DI ARMA DA GUERRA
Non vi è prova
che sia stato esso Troiani a mettere le bottiglie sul Magnum e a trasportarle
fino alla Diaz; la circostanza dell’occultamento dei gradi sulla spallina è irrilevante
al riguardo. Il Donnini non aveva avvisato Troiani di aver messo le bottiglie
sul magnum.
In ogni caso
anche per tale imputazione è carente il dolo: non è sufficiente l’ammissione
resa nel primo interrogatorio del 9/7/2002 (secondo cui egli sapeva della
presenza delle bottiglie prima di arrivare alla Diaz) in quanto smentita nel
successivo interrogatorio del 31/05/2003. E del resto non avrebbe potuto
fermarsi per strada per redigere un verbale di sequestro, che oltre tutto non
gli competeva non essendo ufficiale di P.G..
Ma il reato è
escluso in radice perché secondo l’accusa il Donnini affidò le bottiglie al
Burgio ed il Troiani ne ebbe contezza solo in Piazza Merani; quindi il
trasporto dalla Piazza al cortile Diaz non è reato perché funzionale alla
consegna ad un ufficiale di P.G. quale il Di Bernardini al fine di redigere un
atto.
Quanto
all’imputazione di FALSO, rileva il Troiani di non aver redatto alcun atto. Né
può sostenersi che abbia commesso il reato per induzione; la sentenza della Corte
di Cassazione che ha annullato la sentenza di non luogo a procede emessa dal
GUP ha “sconfinato” nel merito ed il Tribunale non ne era vincolato (del resto
la motivazione della sentenza della Corte di Cassazione era incentrata sulla
illogicità dell’addebito di calunnia e del proscioglimento dal falso). Non
esiste il dolo di falsificazione futura e negli atti non è indicato il Troiani
come fonte di cognizione del ritrovamento delle molotov all’interno della
scuola.
IN VIA SUBORDINATA:
lamenta che la pena comminata è eccessiva e ne chiede la riduzione.
.-.-.-.-
CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro e
ZACCARIA Emiliano
In ordine alla
imputazione di LESIONI osservano che non hanno commesso alcun reato: essi
operatori sono stati attinti dal lancio di oggetti; alcuni colleghi sono stati
feriti; i presenti avevano armi, caschi vestiti neri (che se ne facevano?) e sono
scappati per i ponteggi. Quindi è stata una normale operazione sollecitata dai
cittadini che avevano visto i Black Bloc. Non vi è prova della commissione
diretta delle lesioni né gli imputati potevano impedirle, in quanto ogni capo
squadra ha autorità solo sulla propria squadra. Gli unici incaricati di mettere
in sicurezza erano gli agenti del VII Nucleo. Tra i presenti nella scuola c’erano
persone agguerrite e anche i terroristi dei black bloc.
La prova è
contraddittoria, come si evince dall’elenco dei reperti sequestrati e dalla
circostanza che alcune persone scappavano o si barricavano. La resistenza
costituita dal lancio di oggetti è stata confermata dal teste Galanti,
infermiere, mentre le ferite riscontrate sulle persone arrestate erano risalenti
nel tempo.
Anche questi
appellanti rinnovano la richiesta di sottoposizione ad esame dopo la precedente
contumacia.
In via subordinata
lamentano che la pena e l’entità dei risarcimenti accordati alle parti civili
sono eccessivi.
Il SECONDO
DIFENSORE di tali appellanti argomenta che la sentenza è emotiva ed è stata dettata
da esigenze mediatiche. La responsabilità è stata affermata per la mera “presenza”
in loco, essendo infondata la tesi dell’accordo di “impunità”. Viene dedotta la
violazione dell’art. 521 c.p.p. per essere stata affermata la responsabilità a
titolo di concorso morale invece che materiale come indicato nel capo di
imputazione.
In ogni caso non
sussiste neppure il concorso morale, in quanto l’accordo di “impunità” viene
affermato dal Tribunale perché unica spiegazione plausibile, non perché provato.
In definitiva manca
la prova del nesso di causalità fra l’omissione addebitata e l’evento, per cui il
Tribunale pare aver affermato una sorta di responsabilità per “colpa d’autore”
legata alla qualifica di “capi squadra” rivestita dagli imputati.
.-.-.-.-.-
BURGIO Michele
Chiede la
riforma della sentenza e la propria assoluzione argomentando che egli non era
presente nel momento in cui il Guaglione affidò le bottiglie a Donnini; non vi
è prova che il mezzo condotto da esso Burgio fosse quello sul quale erano state
collocate le molotov; i mezzi circolarono fino a sera ed è impossibile attribuire
la presenza delle molotov al veicolo condotto dal Burgio la sera a piazza Merani;
dai filmati non risulta che sia stato esso Burgio a portare le bottiglie
all’interno del cortile, essendo rimasto all’esterno in contatto esclusivo con
Troiani. Le dichiarazioni di altri coimputati non son utilizzabili, mente
l’assunto sostenuto dal Tribunale secondo il quale egli ”Non avrebbe avuto
altro motivo” integra una inammissibile inversione dell’onere della prova.
.-.-.-.-
FAZIO Luigi
La propria
responsabilità per il reato di percosse in danno di Huth Andreas è stata affermata
in base alle dichiarazioni della stessa parte lesa ed alle deposizioni di due
testi.
Ma rileva
l’appellante che non è sufficiente il proprio riconoscimento ad opera dell’imputato
perché le modalità con le quali si è arrivati a tale riconoscimento lo rendono
inattendibile: ad un primo esame su 293 foto, ivi compresa quella del Fazio, questi
non veniva riconosciuto e solo ad un successivo esame di altre 11 fotografie
relative a 4 agenti, l’Huth riconosceva esso Fazio come l’autore delle
percosse. L’assunto del Tribunale secondo il quale le prime foto erano risalenti
nel tempo non è fondato secondo l’appellante; comunque il riconoscimento non è
genuino perché avvenuto con riferimento a 4 soggetti del tutto differenti fra
loro in quanto 3 erano privi di caratteristiche di somiglianza con il Fazio.
Quanto alle
deposizioni testimoniali, osserva l’appellante che Plumecke Tino e Moser Nadine
non hanno assistito personalmente alle percosse a danno di Huth, ma hanno solo
visto un poliziotto avvicinarsi al loro amico.
In ogni caso argomento
risolutivo della propria innocenza doveva trarsi dal fatto che l’episodio è
avvenuto al terzo o al quarto piano (come confermato dei testi) mentre esso Fazio
non è mai andato oltre il secondo (come affermato dai testi Alveri Patrizio
(escusso in udienza) e Locatelli Annibale (assunto in indagini difensive).
In subordine
lamenta l’eccessività della pena e ne chiede la sostituzione con quella
pecuniaria ex art. 52 D.L.vo 274/2000.
.-.-.-.-.
NUCERA Massimo e PANZIERI Maurizio
Assolti con
formula dubitativa, chiedono l’assoluzione piena.
Argomentano l’ammissibilità
dell’appello ex Cass. SS.UU. n. 20 del 30/10/2003, secondo la quale eccezionalmente
quando l’accertamento del fatto compiuto in sede penale potrebbe pregiudicare
le situazioni giuridiche in altri giudizi civili e amministrativi diversi da
quelli di danno e disciplinari, sussiste interesse per l’imputato prosciolto a proporre
appello.
Nel merito
sostengono provata la verità dell’episodio dell’aggressione a mezzo coltello:
non vi sono discordanze sostanziali fa le versioni fornite dal Nucera; né vi è
contrasto fra le stesse e quanto riferito da Panzieri, posto che il nucleo
centrale dei fatti riferiti è rimasto sempre immutato.
L’interesse all’impugnazione
risiede nella futura azione civile per diffamazione a mezzo stampa che gli
appellanti avevano intenzione di proporre in relazione ad articoli apparsi su “La
Repubblica” nel quale si descrivono le falsità dell’episodio in questione.
.-.-.-.-
IL GIUDIZIO D’APPELLO
Nella fase degli
atti preliminari il Procuratore Generale, che aveva proposto appello anche nei
confronti di FABBROCINI Alfredo, assolto dal Tribunale da tutte le imputazioni
ascrittegli, con dichiarazione depositata il 20/05/2009 rinunciava a tale
impugnazione; conseguentemente la Corte con ordinanza del 28/09/2009 dichiarava
l’inammissibilità dell’appello e l’esecutività dell’impugnata sentenza quanto
alla posizione del predetto Fabbrocini.
Alla prima
udienza del 20/11/2009, verificata la costituzione delle parti, la Corte ordinava
la notifica del decreto di citazione a tutte le parti civili non appellanti,
nonché la rinnovazione della notifica del decreto di citazione nei confronti
dell’imputato Fazio Luigi, di due difensori e di alcune parti civili.
Successivamente la
Corte, con ordinanze che qui vengono richiamate, decideva alcune questioni
preliminari sollevate dalle difese degli imputati e del responsabile civile:
all’udienza del
18/12/2009 respingeva le eccezioni formulate in riferimento alla partecipazione al dibattimento, quali Sostituti
del Procuratore Generale, dei Sostituti Procuratori della Repubblica presso il
Tribunale di Genova (che avevano sostenuto l’accusa in primo grado) applicati
ex art. 570 c.p.p., nonché alla esatta identificazione nel decreto di citazione
di alcune parti civili. Alla medesima udienza del 18/12/2009 veniva stralciata
la posizione dell’imputato Burgio Michele, in precedenza erroneamente
dichiarato contumace, e si disponeva nuova notifica del decreto di citazione al
medesimo Burgio; a tale udienza iniziava la relazione sulla causa;
alla successiva
udienza del 10/02/2010, verificata la regolarità della citazione dell’imputato
Burgio, sul consenso delle parti il suo procedimento veniva riunito a quello
principale; terminava la relazione sulla causa, e le difese formulavano alcune
eccezioni sulle quali la Corte riservava la decisione;
all’udienza del
17/02/2010 veniva data lettura dell’ordinanza riservata, relativamente al
regime di utilizzabilità contra alios
delle dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati ed alle istanze di
rinnovazione parziale del dibattimento al fine di esperire l’esame di alcuni
imputati;
quindi iniziava
la discussione delle parti che con le repliche finali si protraeva fino all’odierna
udienza, nella quale la Corte decideva l’appello come da dispositivo di cui era
data pubblica lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
LE QUESTIONI PRELIMINARI
In primo luogo
debbono essere affrontate le questioni preliminari sollevate
dalle parti negli atti di impugnazione e nella discussione orale, relativamente
alle questioni civili.
-
E’ priva di fondamento in fatto
la sollecitazione del Procuratore Generale ad utilizzare le dichiarazioni
predibattimentali rese dagli imputati anche “contra alios”, in assenza del
consenso a tale utilizzazione, perché ricorrerebbe la situazione prevista
dall’art. 500, comma 4° c.p.p. richiamata dall’art. 513, 1° comma c.p.p.
(“violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità”) sub
specie di “minaccia” che avrebbe indotto gli imputati a rifiutare di sottoporsi
ad esame dibattimentale, con la speculare alternativa sollecitazione a
sollevare questione di legittimità costituzionale del sistema normativo ove
interpretato nel senso ostativo all’applicazione delle citate norme.
Gli elementi
elencati dal P.G. a sostegno della tesi dell’esistenza di un clima di
intimidazione all’interno del Corpo di Polizia che avrebbe determinato la
scelta degli imputati che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere non
sono significativi in tal senso; l’eventualità che le dichiarazioni potessero
coinvolgere le responsabilità dei superori gerarchici è elemento dalla valenza
ambigua, perché la ritrosia al riguardo ben potrebbe essere dettata anche da
convinta solidarietà piuttosto che da timore; analoga valutazione deve essere
compiuta con riferimento a tutte quelle circostanze indicative di ostacoli
incontrati dagli inquirenti nell’accertamento della verità (mancata
identificazione di uno dei sottoscrittori del verbale di arresto, mancata
identificazione - se non dopo la conclusione del giudizio di primo grado -
dell’agente ripreso mentre menava fendenti all’interno della Diaz, detto “coda
di cavallo” ecc.), elementi che dalla stessa pubblica accusa non senza
fondamento sono stati evidenziati a denuncia dell’atteggiamento di malintesa
solidarietà di corpo fronteggiata durante le indagini, come tale antitetica al
ritenuto clima di intimidazione; che il teste Guaglione Pasquale, al quale
effettivamente si deve la conferma che le bottiglie molotov sequestrate come
reperti all’interno della scuola Diaz provenivano in realtà da altro luogo,
reputi di essere stato l’unica “testa caduta” per essere stato discriminato (ma
non è detto come) e per i rapporti personali in seguito instauratisi con i
colleghi appare veramente poco, soprattutto perché lo stesso Guaglione ha
premesso che “L’Amministrazione comunque
credo che sia stata sempre corretta nei miei confronti”.
Anche la
richiesta di acquisire gli atti di indagine compiuti dal Comitato paritetico
parlamentare deve essere respinta, essendo il materiale probatorio acquisito
nel corso del dibattimento di primo grado ampiamente sufficiente a decidere la
causa.
-
L’Avvocatura dello Stato, per il
Ministero dell’Interno, ha eccepito (in atto di appello quanto a Troiani, ed in
discussione orale quanto a Gava) che il responsabile civile non è stato citato
nel procedimento n. 1079/08 Trib. a carico di Troiani Pietro e Gava Salvatore
per i reati di falso, e che successivamente alla riunione di tale procedimento
a quello principale non vi è stata estensione della domanda eventualmente
proposta da altre parti. L’eccezione deve essere respinta; da un lato la stessa
si presenta palesemente tardiva ai sensi dell’art. 491 c.p.p. in quanto ogni
questione inerente la citazione e l’interevento del responsabile civile deve
essere proposta a pena di decadenza subito dopo compiuto l’accertamento della
costituzione delle parti in primo grado (mentre nulla ha eccepito in quella
sede il Ministero dell’Interno con riferimento alle costituzioni di parte
civile nei confronti di Troiani e Gava con richiesta di condanna in solido del
responsabile civile al risarcimento dei danni); dall’altro lato l’eccezione è
infondata nel merito perché la irritualità della mancata citazione è sanata con
la costituzione di parte civile nei confronti del responsabile civile presente
in dibattimento, attuandosi la regolare instaurazione del rapporto processuale
civilistico con le modalità del codice di procedura civile e quindi anche con
l’intervento nel processo mediante il deposito in udienza della comparsa di
costituzione (Cass. 3° sez pen. n. 10900 del 22/06/1990, principio generale
applicabile anche nel nuovo rito processuale penale).
-
L’Avvocatura dello Stato ha
altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità degli appelli
proposti dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale con
riferimento alle imputazioni di calunnia per carenza di specifici motivi di
impugnazioei quanto all’elemento psicologico del reato, a nulla rilevando i
motivi proposti con riferimento all’imputazione di falso, non discendendo
automaticamente dalla responsabilità per il falso anche quella per la calunnia.
L’eccezione è infondata. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale a
pagina 78 dell’atto di appello ha espressamente lamentato la mancanza di
motivazione nella sentenza impugnata a sostegno della assoluzione dalle
imputazioni di calunnia, richiamando espressamente le proprie tesi in fatto e
diritto sostenute nel corso del dibattimento di primo grado e riepilogate nella
memoria scritta conclusiva alle pagine da 488 a 499 alla quale è stato fatto
integrale riferimento; pertanto sul punto l’appello è tutt’altro che generico,
avendo richiamato esplicitamente, seppure per
relationem, tutte le argomentazioni sostenute in primo grado che il
Tribunale avrebbe totalmente omesso di prendere in considerazione (e di fronte
del motivo di impugnazione incentrato sulla omessa pronuncia, non si vede come
possano essere altrimenti specifici i motivi di appello se non richiamando
integralmente le argomentazioni di primo grado ritenute completamente
obliterate). In ogni caso, poco più avanti, a pagina 79 il Procuratore della
Repubblica lamenta la mancata considerazione della circostanza che alcuni degli
arrestati non erano presenti all’interno della scuola Diaz, malgrado il
contrario sia stato falsamente sostenuto nei verbali di perquisizione e di
arresto, circostanza che a detta dell’appellante avrebbe dovuto essere valutata
anche perché significativa del dolo della calunnia, in quanto attestante la
consapevolezza in capo agli imputati della innocenza degli accusati.
Anche il
Procuratore Generale ha affrontato nel suo appello il tema della calunnia,
richiamando a pagina 39 la decisione della Corte di Cassazione sulla
imputazione coatta a carico di Troiani e Gava e rimarcando come non poteva che esservi consapevolezza che
la consegna, anche nelle sole modalità ammesse, di un corpo di reato di cui si aveva l’obbligo di
giustificare l’apprensione e la detenzione, portava alla creazione di un collegamento
inesistente fra i soggetti sottoposti a perquisizione perché occupanti
l’edificio scolastico e il corpo di reato.
-
L’Avvocatura dello Stato ha
altresì eccepito nella corso della discussione orale che le imputazioni di
falso sarebbero state contestate con riferimento alla fattispecie semplice, e
non aggravata dalla natura fidefacente degli atti asseritamente falsi, mancando
ogni esplicito riferimento lessicale e/o normativo all’aggravante di cui
all’art. 476, 2° comma c.p.. Come anche recentemente ribadito dalla Suprema
Corte (Sez. 5, Sentenza n. 11944 del 05/12/2008 – 18/03/2009) “La contestazione dell'aggravante prevista dall'art.
476 c.p., comma 2, relativa al fatto che la falsità riguardava un atto facente
fede fino a querela di falso, deve ritenersi essere avvenuta regolarmente. Il
richiamo che l'art. 479 c.p. fa dell'art. 476 c.p. ai fini della individuazione
della pena, comprende anche il secondo comma che disciplina l'aggravante. Nel
capo di imputazione l'atto contenente la falsità è stato esattamente
identificato e se esso, a seguito della qualificazione giuridica fatta dal
giudice, viene ad essere ritenuto come atto pubblico munito di fede
privilegiata, l'aggravante è regolarmente contestata, anche se non c'è stata
una specifica menzione della particolare natura dell'atto o il richiamo
dell'art. 476 c.p., comma 2.” (in precedenza Cass. Sez. 5, Sentenza n. 38588 del 16/09/2008 “Ai fini della contestazione di una
circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con
enunciazione letterale, né l'indicazione della disposizione di legge che la
prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione
tra accusa e decisione, l'imputato sia posto nelle condizioni di espletare
pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l'aggravante.
(Fattispecie in tema di circostanza aggravante "ex" art. 476, comma
secondo, cod. pen.). Consegue che il tema proposto non involge una questione
preliminare in senso stretto, ma involge la valutazione di merito circa la
fondatezza dell’accusa e la qualificazione giuridica degli atti indicati nei
capi di imputazione, al fine di verificare se gli stessi sono muniti della
caratteristica della fede privilegiata necessaria per ravvisare l’aggravante di
cu al 2° comma dell’art. 476 c.p.; e tale analisi verrà svolta in prosieguo
quando sarà affrontato il merito della contestazione.
-
L’Avvocatura dello Stato ha
altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità degli
appelli proposti relativamente all’imputazione di peculato a carico di Gava
Salvatore per assenza di specifici motivi, soprattutto in considerazione del
fatto che la condotta di appropriazione sarebbe stata tenuta da altri operatori
di Polizia. L’eccezione è infondata perché il tema è affrontato espressamente
dal Procuratore della Repubblica a pagina 106 del suo appello, ove censura la
tesi difensiva fatta propria dal Tribunale secondo la quale il Gava si sarebbe
fermato al secondo piano dell’edificio Pascoli, senza avere così cognizione dei
fatti accaduti ai piani superiori. L’appellante, nel richiamare le
argomentazioni sostenute in primo grado circa la presenza di numerosi riscontri
al fatto che Gava avesse visionato tutti i piani della scuola, argomenta che in
tal modo la sua responsabilità anche per fatti compiuti da terzi, quali il
peculato, emerge dalla omissione di qualunque intervento repressivo malgrado la
consapevolezza piena di quanto stesse accadendo. La Corte è quindi
legittimamente e ritualmente investita dell’onere di cognizione anche su tale
questione.
-
L’Avvocatura dello Stato ha
altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità dei due
appelli proposti dal Genoa Social Forum, sostenendo che dopo la proposizione
del primo appello si sarebbe consumato il potere di impugnazione, con
conseguente inammissibilità del secondo appello. L’eccezione è infondata, in
quanto come stabilito dalla Suprema Corte (Cass. pen sez. 4° n. 40275 del
28/09/2006) “finché non sia interamente
decorso il termine per proporre la impugnazione, la medesima parte processuale
(sia imputato, parte civile o responsabile civile) che presenti ulteriori
motivi, non incorre nel limite della presentazione di motivi aggiunti ex art.
585 c.p.p., comma 4, e quindi vincolati ai capi e ai punti dell'originario atto
di gravame (Cass. Sez. 4, 2.2.2005 n. 3453, Nwobodo ed altri; Cass. Sez. 2
4.11.2003 n. 45739, Marzullo). Infatti, per i motivi aggiunti o nuovi di cui
all'art. 585 c.p.p., comma 4 il termine di presentazione è fino a quindici
giorni prima dell'udienza, e il loro scopo è quello di meglio illustrare le
ragioni di gravame già dedotte, nel caso anche con argomenti nuovi, ma che non
travalichino i capi e i punti dell'originario atto di gravame. La
presentazione, invece, di un ulteriore atto di gravame nei termini previsti
dall'art. 585 c.p.p., commi 1 e 2, incontra il solo limite del riferimento al
contenuto o all'omissione di contenuto del provvedimento impugnato, non essendo
logico, ne' previsto da alcuna norma che la sollecita e anticipata presentazione
dell'atto di impugnazione pregiudichi in maniera definitiva la proposizione di
questioni che la parte aveva ancora diritto di proporre per censurare la
decisione gravata, non essendo scaduto il termine, nella specie, per l'appello;
diversamente si apporrebbe un illegittimo limite alla cognizione del
procedimento di impugnazione, pur in presenza di gravami tempestivamente
proposti. Poiché entrambi gli appelli proposti dal GSF (il primo nei
confronti di Canterini Vincenzo,
Fournier Michelangelo, Tucci Ciro, Lucaroni Carlo, Zaccaria Emiliano, Cenni
Angelo, Ledoti Fabrizio, Stranieri Pietro e Compagnone Vincenzo, il secondo nei
confronti di Burgio Michele e Troiani Pietro) sono tempestivi e concernono
diversi vizi della sentenza di primo grado, anche il secondo appello è
ammissibile.
-
L’Avvocatura dello Stato ha
altresì eccepito nella corso della discussione orale l’inammissibilità della
impugnazione proposta dalla parte civile Fassa Liliana nei confronti degli
appellanti principali Ministero dell’Interno, Canterini Vincenzo, Burgio
Michele e Troiani Pietro perché, tardivo quale appello principale, era
inammissibile quale appello incidentale in quanto, avendo per oggetto la
doglianza circa il mancato riconoscimento del proprio diritto al risarcimento
dei danni malgrado la condanna penale degli imputati predetti, era estraneo ai
punti della decisione oggetto dell'appello principale. Ha replicato sul punto
la difesa della Fassa Liliana argomentando che riguardando i motivi di
impugnazione proposti dagli imputati non solo la loro responsabilità penale ma
anche la riforma della pronuncia di primo grado ai fini civili e, comunque, in
base all’effetto estensivo dell’impugnazione dell’imputato ai sensi dell’art. 574 c.p.p., il proprio
appello incidentale era ammissibile.
L’eccezione è in
questo caso fondata. La domanda civilistica proposta dalla Fassa Liliana è stata respinta non perché gli
imputati nei cui confronti era stata proposta siano stati assolti, bensì perché
il Tribunale ha ritenuto, malgrado l’affermazione di responsabilità penale, che
la Fassa Liliana non fosse titolare di danno risarcibile quale parente della
parte offesa dai reati. È evidente che su tale punto della decisione gli
appelli degli imputati sono del tutto indifferenti, posto che gli stessi hanno contestato
la propria responsabilità penale e le conseguenti condanne civilistiche
statuite a favore delle altre parti civili, non avendo certo interesse né
legittimazione a disquisire sulla sussistenza in capo alla Fassa di danno
risarcibile. Tale capo della decisione che è autonomo e non dipende dalla
affermazione di responsabilità penale, doveva essere autonomamente e
tempestivamente impugnato dalla Fassa, perché la statuizione di cui ella si
duole ed i suoi presupposti sarebbero rimasti immutati a seguito del solo
appello principale degli imputati e del responsabile civile. Analogamente non
può operare alcun effetto estensivo dell’impugnazione degli imputati ex art.
574 u.c. c.p.p. perché questo si verifica con riferimento alla condanna al
risarcimento e alle restituzioni, condanna che nel caso di specie a favore
della Fassa non è stata pronunciata. Né, infine, la Fassa può invocare
l’effetto estensivo delle impugnazioni proposte dalle altre parti civili e
dalla pubblica accusa, che non riguardano il tema dell’esistenza del danno
riflesso in capo alla medesima.
Consegue che
l’appello incidentale proposto da Fassa Liliana deve essere dichiarato
inammissibile.
-
La difesa dell’imputato Gava
nella memoria del 17/03/2010 ha eccepito l’inammissibilità degli appelli della
pubblica accusa con riferimento ai capi U) e V) per gli stessi motivi enunciati
dal responsabile civile. L’eccezione
è infondata per i motivi sopra esposti a rigetto della identica
eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato, posto che a pag. 106 del suo
atto di appello il Procuratore della Repubblica ha argomentato le proprie
ragioni di impugnazione con riferimento ad entrambi i capi di imputazione sopra
riportati.
-
I difensori degli imputati
Troiani e Burgio hanno eccepito l’inammissibilità dei motivi di impugnazione
relativi all’entità della pena inflitta, quanto all’appello del Procuratore
della Repubblica perché la memoria aggiuntiva datata 30/03/2009 che ne tratta è
tardiva e contiene motivo nuovo rispetto a quelli sviluppati nell’appello tempestivo;
quanto all’appello proposto dal Procuratore Generale per genericità del motivo.
L’eccezione è infondata perché nel punto III del suo appello il Procuratore
Generale ha ampiamente argomentato la richiesta di aumento delle pene per tutti
gli imputati evidenziando la gravità dei fatti, la qualifica soggettiva degli
imputati, l’eco negativa dei fatti in oggetto anche a livello internazionale, e
censurando il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, nonché il
giudizio di bilanciamento operato dal Tribunale. La Corte, pertanto, è
ritualmente investita anche della cognizione relativamente all’entità del
trattamento sanzionatorio nei confronti di tutti gli imputati.
L’IRRUZIONE NELLA SCUOLA DIAZ - PERTINI
La vicenda in
esame può essere compiutamente valutata esaminando le fasi della genesi
dell’operazione, delle modalità di organizzazione, e delle concrete modalità di
svolgimento.
GENESI DELL’OPERAZIONE
Al riguardo la
ricostruzione operata dal primo giudice mediante il riferimento principalmente
alla deposizione del Prefetto Andreassi non è oggetto di censura da alcuna
delle parti appellanti sotto il profilo della maturazione della decisione,
mentre è stata criticamente valutata dal Procuratore della Repubblica in ordine
alla ricostruzione di alcuni fatti posti a fondamento della decisione stessa ed
al giudizio complessivo da attribuire a tale fase con riferimento agli
accadimenti successivi.
Può dirsi così
pacifico in causa che il sabato 21 luglio 2001, quando la manifestazione
ufficiale del vertice “G8“ era terminata, così come erano finite le
manifestazioni delle numerose organizzazioni dissenzienti, dal Capo della
Polizia giunse la direttiva di affidare al Dott. Gratteri del Servizio Centrale
Operativo il compito di effettuare perquisizioni, in particolare presso la
scuola Paul Klee (ove si sospettava si fossero rifugiati appartenenti al gruppo
violento di tipo Black Bloc), mentre nel pomeriggio giunse a Genova, sempre
mandato dal Capo della Polizia, il Prefetto La Barbera (originariamente coindagato
nel presente procedimento, e poi deceduto) per dirigere le operazioni, in
particolare la predisposizione di c.d. “pattuglioni” con il compito di
perlustrare la città alla ricerca dei Black Bloc. Il fine di tali direttive era
chiaro ed è stato ben compreso dal Prefetto Andreassi così come da tutti gli
altri protagonisti delle riunioni preparatorie dell’irruzione tenutesi in
Questura: si doveva riscattare l’immagine della Polizia, che nei giorni
precedenti era sembrata inerte di fronte ai gravissimi episodi di devastazione
e saccheggio cui era stata sottoposta la città, e a ciò doveva provvedersi
mediante arresti; era quindi necessaria una attività più incisiva per la quale
erano stati mandati da Roma funzionari apicali che, evidentemente, subentravano
a tal fine a quelli locali di Genova. (dep. Andreassi “La direttiva di affidare l’incarico al dr. Gratteri preludeva a mio
parere a voler passare ad una linea più incisiva con arresti, per cancellare
l’immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e
devastazione…. Il capo della polizia voleva
che venissero fatti dei pattuglioni, affidati non alla polizia locale, ma a
funzionari della squadra mobile e dello SCO. I pattuglioni erano diretti a trovare ed arrestare i black bloc”;
dep Colucci, allora Questore di Genova “Certamente ero piuttosto condizionato dalla
presenza dei vertici della polizia; capii che l’intervento era ben gradito…”).
La modalità
tecnica scelta per intervenire è stata la perquisizione ad iniziativa di P.G.
ex art. 41 TULPS. La scelta dell’obiettivo è caduta sulla scuola Diaz a seguito
dell’episodio della aggressione al convoglio di veicoli della Polizia in Via
Cesare Battisti nei pressi del predetto edificio scolastico, e di quella che è
stata ritenuta la conferma della fondatezza del sospetto di presenza di armi (o
meglio di black bloc e, quindi, di armi) indicata nella telefonata intercorsa
far il Capo della DIGOS Dott. Mortola e KOVAC, coordinatore del GSF.
Ritiene la Corte
che le finalità dell’iniziativa assunta dal capo della Polizia e la forma
tecnico-giuridica adottata (perquisizione) debbano essere unitariamente
valutate per la loro intima connessione al fine di comprendere la condotta
tenuta dagli operatori di Polizia nel predisporre ed eseguire l’operazione di
ingresso nella scuola Diaz. L’esortazione ad eseguire arresti, di per sé
considerata, anche fosse indicativa di rimprovero implicito per precedente
colposa inerzia, sarebbe stata comunque superflua, essendo in ogni caso gli
operatori di P.G. tenuti ad eseguire gli arresti nella ricorrenza dei
presupposti di legge dettati nel codice di rito (tralasciate le ipotesi di
arresto facoltativo, estranee alla gravità dei fatti in questione). E poiché i
fatti di devastazione e saccheggio erano ormai conclusi non era evidentemente
immaginabile eseguire arresti in flagranza a tale titolo, sì che la
perquisizione alla ricerca di armi era lo strumento tecnico giuridico più
idoneo per procedere ad eventuali arresti in caso di effettivo reperimento di
armi.
Ma anche per
procedere alla perquisizione non è sufficiente un sollecito da parte del Capo
della Polizia, bensì occorre pur sempre il sospetto della presenza di armi
illegalmente detenute.
La
sperimentazione di tale tecnica operativa al mattino presso la scuola Paul
Klee, ove erano avvenuti arresti dei presenti con l’imputazione di associazione
a delinquere finalizzata alla commissione di reati di devastazione e
saccheggio, ma con esito processuale del tutto negativo, essendo stati tutti
gli arrestati messi in libertà o direttamente dal GIP o dallo stesso P.M. poco
dopo, se da un lato costituisce conferma che i vertici della Polizia avevano
individuato in tale strumento giuridico l’unica possibilità di procedere ad
arresti di massa di presunti Black Bloc, dall’altro, visto l’esito processuale,
lungi dal costituire conferma della buona fede degli odierni imputati in ordine
ai reati di falso, calunnia e arresto illegale, costituiva ineludibile
precedente storico che determinava la consapevolezza che l’operazione di perquisizione
locale in un edificio pubblico come una scuola e l’eventuale sequestro di armi
non potevano condurre all’attribuzione generalizzata ed indistinta a tutti i
presenti dell’illegittima detenzione delle armi, necessitando la contestazione
dei relativi reati la indicazione di precisi elementi di fatto
individualizzanti in ordine alle singole condotte ascritte a ciascun arrestato.
Ciò che rileva in questo processo di tale precedente non è infatti la mancata
contestazione ai poliziotti partecipanti a quella operazione degli stessi
titoli di reato per i quali è oggi giudizio (evenienza non valutabile in questa
sede alla quale quel procedimento è estraneo) quasi che tale circostanza
integrasse una sorta di “patente” abilitativa a ripetere comportamenti analoghi,
quanto piuttosto l’esito processuale dell’operazione che quale fatto storico
indiscutibile avrebbe dovuto condurre a rimeditare le modalità di utilizzo del
predetto strumento tecnico (perquisizione ad iniziativa) al fine di eseguire
legittimi arresti.
Il binomio
“esortazione ad eseguire arresti” e scelta dello strumento “perquisizione ex
art. 41 TULPS” conduce a ritenere che l’ampio margine di discrezionalità che
connota la decisione di procedere alla perquisizione deve essere apprezzato non
tanto sotto il profilo della legittimità formale dell’operazione, quanto sotto
quello delle modalità esecutive della stessa.
Il Tribunale e
le parti hanno a lungo disquisito sull’episodio dell’aggressione della
pattuglia in via Cesare Battisti che ha determinato la decisione di procedere
alla perquisizione alla scuola Diaz, e sulla conferma della fondatezza del
sospetto di presenza di appartenenti al Black Bloc che sarebbe stata
fondatamente tratta dal tenore della conversazione telefonica intercorsa fra
Mortola e Kovac; all’esito il Tribunale ha ritenuto di dover affermare la
legittimità della decisione di procedere alla perquisizione.
Ritiene la Corte
che tale valutazione di legittimità sia irrilevante ai fini di accertare la
responsabilità per i capi di imputazione in questione, e che i temi sopra
indicati debbano essere analizzati al fine di stabilire quali realistiche
ipotesi erano formulabili da parte dei vertici della forze di polizia e,
conseguentemente, se le modalità esecutive dell’operazione siano state coerenti
o meno con tali ipotesi.
Esaminando il
fatto dell’aggressione della pattuglia che è transitata per via Cesare
Battisti, la Corte rileva che nel contrasto sulle opposte versioni fornite
dagli imputati e dai testi appartenenti alla Polizia, da un lato, e da
numerosissimi altri testi, dall’altro, la conclusione che può trarsi è quella
in definitiva sposata anche dal Tribunale, e cioè che al passaggio del
convoglio di quattro mezzi, di cui gli ultimi due con le insegne di istituto,
numerose persone presenti in strada nei pressi del cortile della Diaz
proferirono insulti all’indirizzo degli agenti, e venne lanciata una
bottiglietta probabilmente di vetro. La smentita alla versione più grave
fornita da alcuni agenti di Polizia secondo i quali ci sarebbe stato un
tentativo di ribaltare il “Magnum” e sarebbero stati lanciati oggetti vari, tra
cui sassi, e talmente pesanti che uno avrebbe infranto un vetro blindato, si
rinviene nella deposizione del teste dott. COSTANTINI, medico del tutto
estraneo a qualsiasi organizzazione tanto dei black-bloc quanto dei c.d. no global (egli ha riferito del lancio
di una bottiglia, desunto peraltro solo dal rumore dell’infrangersi
dell’oggetto di vetro, ed ha escluso assolutamente lanci di oggetti d’altro
tipo; ha escluso anche colpi portati a distanza ravvicinata dalle persone che
erano a più immediato contatto con le vetture, e richiesto di ulteriori
particolari, ha precisato di aver osservato molto attentamente la scena,
proprio perché il passaggio forzoso di due auto tra la folla era certamente
pericoloso e poteva provocare danni alle persone), e dell’agente Weisbrod Daniela, del Reparto Prevenzione Crimine Campano di
Napoli, facete parte della pattuglia in questione a bordo del terzo veicolo
(Subaru con insegne), la quale ha riferito: ”non hanno aperto gli sportelli, io avevo il finestrino aperto perché
fumavo in macchina, non hanno lanciato roba, facevano... così, come rivolta,
cioè cercavano di incuterti paura, non è che c'hanno sballottato, io avevo la
Subaru, la Subaru non aveva niente di anomalo… comunque, si sono spostati,
quando è partita la macchina davanti si sono spostati.”
La Corte non condivide l’assunto sostenuto dal Tribunale secondo il quale
il predetto episodio, come sopra ricostruito, possa “aver indotto i dirigenti delle forze dell’ordine a ritenere che in tale
scuola non si trovassero soltanto manifestanti pacifisti, no global, vicini al
GSF, ma anche facinorosi e appartenenti al c.d. black block” in quanto i
numerosi giovani autori dell’aggressione erano “evidentemente provenienti dalla scuola Diaz Pertini”.
L’argomentazione soffre di alcune carenze nella logica consequenzialità
che dovrebbe sostenere il sillogismo. Assume preliminare rilevanza la
collocazione temporale
dell’episodio che, contrariamente a quanto riferito della comunicazione di
notizia di reato, è accaduto non alle ore 22,30, bensì fra le ore 20,00 e le
ore 21,00; ciò emerge dal concorde tenore delle deposizioni dei presenti (Paoletti Marisa Rosa, Cravero
Clara, Carboni Massimiliano, Nanni Matteo, Di Pietro Ada Rosa, Alberti
Massimo, Wagenschein Kirsten, Bria Francesca, Testoni Laura, Valenti Matteo
Massimo, Ghiara Malfante, Messuti Raffaele) nonché dal fatto che tempo dopo
tale fatto, a seguito della prima riunione tenutasi in Questura, intervenne la
telefonata fra Mortola e Kovac, telefonata che tale ultimo teste colloca tra le
ore 21,00 e le ore 21,30.
Consegue che
l’episodio in questione avvenne almeno tre ore prima dell’ingresso della scuola
Pertini (secondo la cronologia dei fatti cui si farà in seguito più ampio
riferimento); per cui, se anche si volesse istituire un certo legame spaziale
fra i giovani che insultarono la pattuglia e la scuola Diaz (ma allora, per
coerenza, non solo con la scuola Pertini ma anche con la Pascoli) per il solo
fatto che in quel momento gli stessi si trovavano nei relativi cortili,
tuttavia in mancanza di altri elementi nulla autorizzava a pensare che gli
stessi soggetti, ritenuti “evidentemente”
provenienti dalle scuole (come se ciò istituisse un legame di appartenenza
spaziale significativo dal punto di vista delle responsabilità soggettive) si
sarebbero trovati tre ore dopo all’interno dell’istituto.
Il secondo salto
logico che inficia il predetto sillogismo consiste nel ritenere che i giovani
facinorosi, per il solo fatto di aver aggredito verbalmente la pattuglia, potessero
essere considerati appartenenti al c.d. Black Bloc. Occorre al riguardo fare
chiarezza sulla locuzione Black Bloc e sulla attribuibilità della relativa
qualifica soggettiva. Il termine Black Bloc non individua una particolare e
specifica associazione di soggetti, ma solo una tecnica di guerriglia adottata
da estremisti che intendono manifestare violentemente il loro dissenso rispetto
a eventi o simboli del sistema capitalista: si tratta di una tecnica sorta in
Germania e utilizzata in diverse occasioni in altri stati, quale in particolare
gli Stati Uniti d’America. Al di là del modus
operandi che in qualche modo individua tale tecnica, l’unico elemento
soggettivo che ne accomuna i fautori è l’uso di abbigliamento e di maschera
neri, da cui il nome della tecnica. Ciò premesso risulta evidente che non
esiste una sorta di “tipo di autore” definibile Black Bloc, e come tale
individuabile senza ombra di dubbio per il solo colore dell’abbigliamento
usato. In altri termini gli autori delle devastazioni e saccheggi compiuti a
Genova durante il vertice G8 del 2001 erano riconoscibili come tali o perché
colti nella flagranza dei relativi reati, o, secondo le ordinarie regole di valutazione
della prova indiziaria, per il concorso di elementi oggettivi sintomatici della
responsabilità, fra i quali il colore nero dell’abbigliamento o il possesso di
maschere nere hanno un ruolo certamente utile ma non risolutivo.
Tornando
all’episodio dell’aggressione alla pattuglia, le motivazioni che l’hanno
determinato potevano essere le più disparate (non ultima il fastidio di un
assembramento di persone per essere attraversati da una pattuglia della polizia
che “disturbava” apparentemente senza motivo e, quindi, soggettivamente anche
con intento provocatorio), sì che in mancanza anche di quell’elemento minimo
tipico individualizzante costituito dall’abbigliamento nero (giustamente non
menzionato dal Tribunale perché non verificato) l’episodio di per sé non
consentiva di identificare gli autori della violenza come Black Bloc, intesi
quali autori delle violenze dei giorni precedenti (per la verità un teste
appartenente alla Polizia, Crispino Domenico, ha riferito che i ragazzi “erano
vestiti di scuro”, ma il manifesto pudore che ha impedito di dire che erano
vestiti di nero, circostanza non riferita da nessuno degli altri numerosissimi
testi, priva di qualsivoglia significato tale annotazione).
Il secondo fatto
da valutare sotto il profilo della scelta di eseguire la perquisizione presso
la scuola Diaz è costituito dalla telefonata intercorsa fra Mortola e Kovac,
ulteriore elemento apprezzato dal Tribunale come giustificazione del sospetto
che nella scuola vi fossero appartenenti al Black Bloc e, quindi (si desume per
logica non per espressa argomentazione) armi illegalmente detenute. Il
contrasto fra le versioni fornite dai due protagonisti dell’evento, desumibile
dal contenuto delle dichiarazioni riportate nella sentenza appellata ed alla
quale si rinvia per speditezza, è stato risolto dal Tribunale attribuendo
maggiore credibilità alla versione dell’imputato Mortola piuttosto che a quella
del teste Kovac. L’operazione ermeneutica di per sé non è impossibile ma, a
fronte del vincolo che lega il testimone a dire la verità, e alla piena facoltà
dell’imputato di mentire senza conseguenze, necessita di robusta e approfondita
argomentazione ancorata a solidi riscontri oggettivi. Di tali caratteristiche,
viceversa, è priva l’argomentazione sostenuta dal Tribunale, che si fonda
sostanzialmente su un vero e proprio pregiudizio in danno del teste Kovac. Tale
deve essere valuta l’affermazione del Tribunale secondo la quale la smentita
del Kovac di aver riferito al Mortola che il GSF non aveva più il controllo
delle persone presenti nella scuola Diaz è inattendibile perché “se anche il Kovac avesse in effetti espresso
qualche riserva circa le persone che si trovavano all’interno della Pertini,
ovvero sull’effettivo controllo di tale stabile da parte del GSF, ben difficilmente,
dopo quanto accaduto, l’avrebbe ammesso”. In sostanza il primo giudice
attribuisce la patente di inattendibilità al Kovac addirittura in via eventuale
(“se anche avesse espresso…” e quindi
preventiva cioè, con espressione non elegante ma significativa, “a
prescindere”. Il paradosso è evidente: il Tribunale non afferma che la
deposizione del Kovac contiene affermazioni contrarie al vero, ma sostiene che
Kovac sarebbe comunque inattendibile qualsiasi cosa abbia detto allora a
Mortola, per cui finisce per privilegiare la tesi dell’imputato.
In secondo luogo
è errata l’interpretazione fornita dal Tribunale alle dichiarazioni
testimoniali rese da Kovac; egli, dopo aver riferito di aver ricevuto la
telefonata del dott. Mortola con la quale gli si chiedevano notizie
sull’utilizzo delle due scuole Pertini e Pascoli e su chi fosse presente
all’interno, ed aver risposto che alla Pascoli c’era l’ufficio stampa e alla
Pertini l’internet point e alcune decine di persone che dormivano (in quanto
ivi giunte da altri punti di raccolta non più agibili a causa del violento
temporale del venerdì precedente), insospettito della telefonata ne chiese il
motivo al Mortola; questi riferì l’episodio del lancio della bottiglia alla
pattuglia in transito per Via Cesare Battisti, al che il Kovac si rivolse
all’interlocutore con la frase “non fate
cazzate” alla quale Mortola rispose “no,
no, stai tranquillo”. Continua la deposizione Kovac riferendo che in tal
modo si era conclusa la telefonata, aggiungendo “e io, devo dire, con il senno di poi, colpevolmente, non gli diedi
grande peso”, e più oltre “Cercai a
lungo di capire se nella prima telefonata con il dr. Mortola potessi aver detto
qualcosa che avesse potuto influire su quanto accaduto; mi sentivo responsabile
per la mia inazione dopo la telefonata, per non aver avvisato che poteva
arrivare una perquisizione; potevano far venire giornalisti e parlamentari; mi
rimproverai di essermi fidato della parola del dott. Mortola”.
Argomenta il
Tribunale da tale ultimo inciso che evidentemente il Kovac doveva aver detto
qualcosa che aveva messo in sospetto il Mortola circa la presenza delle persone
nelle due scuole, tanto da pentirsi in seguito, visto l’accaduto, di quanto
aveva detto in tale telefonata. In realtà il senso della frase riferita dal
Kovac è un altro: egli si rimprovera di essersi fidato della parola del Dott.
Mortola “no, no stai tranquillo” e di
non aver ipotizzato che l’incomprensibile interesse manifestato sulle due
scuole motivato con il riferimento all’episodio dell’aggressione potesse
preludere ad un intervento della polizia; lo scrupolo di interrogarsi se per
caso inavvertitamente avesse detto qualcosa che potesse aver determinato
l’intervento non significa aver ammesso nulla di quanto il Tribunale inferisce,
e cioè di aver comunicato al Mortola che le due scuole non erano più sotto il
controllo del GSF. Anche perché tale circostanza è stata negata recisamente dal
Kovac, argomentandola con la oggettiva presenza in loco di tutti i
rappresentanti delle varie organizzazioni affiliate al GSF, per cui noi avrebbe
avuto alcun senso riferire una circostanza così contraria alla realtà. Anche la
risposta data alla domanda del P.M. se esso Kovac poteva escludere di aver
dichiarato che la situazione all’interno della scuola Pertini non era più sotto
il loro controllo è stata mal interpretata dal Tribunale: la risposta “Non posso … posso ribadire quello che ho
detto prima, cioè non ho detto questa cosa anche perché le due scuole sono
esattamente una di fronte all’altra, a distanza, forse, di 20 metri, l’una
dall’altra e appunto, tutti i maggiori responsabili, non so come dire,
dirigenti se vogliamo dire così, del Genoa Social Forum, in quel momento, si
trovavano lì” non consente di interpretare quel primo “non posso” seguito nella trascrizione dai punti di sospensione come
una risposta definitiva equiparabile a “No,
non posso escludere di aver detto ciò”: in realtà, sia perché la frase è
rimasta in sospeso, sia perché la prosecuzione immediatamente successiva è di
segno diametralmente opposto (“cioè non
ho detto questa cosa…”) non può attribuirsi alla deposizione del Kovac il
significato di una ammissione circa l’aver riferito a Mortola che il GSF non
aveva più il controllo delle due scuole. Né, infine, alcuna valenza utile a
giustificare l’opinione che i dirigenti della polizia si sarebbero formati, può
desumersi dal fatto che venne comunicato al Mortola che persone già ricoverate
in altri punti di raccolta avevano raggiunto la scuola Pertini per ivi
trascorrere la notte, in quanto non
si vede come da tale informazione potesse desumersi la presenza di
“Black Bloc“ all’interno dell’edificio.
La successiva
attività di verifica compiuta dall’imputato Mortola, che si recò in
motocicletta nei pressi della scuola e ritornò riferendo che vi erano numerosi
giovani vestiti di scuro che bevevano birra ed avevano aria pericolosa, per la
sua estrema genericità e per la soggettività dell’impressione sulla
“pericolosità” non è significativa di nulla; in particolare non poteva sfuggire
ad esperti vertici della Polizia, ed in
particolare ad uno studioso dei movimenti violenti quali il Dott.
Luperi, che i Blak Bloc si manifestano nella loro “divisa” da combattimento
solo durante le azioni violente (appunto per farsi riconoscere e rivendicarle),
ma non certo quando stazionano tranquillamente per le pubbliche vie (ammesso e
non concesso che si radunino in pubblico per fini non violenti).
Il Tribunale,
poi, a ulteriore sostegno della fondatezza del sospetto di presenza di armi
nella scuola, cita deposizioni che sono state assunte dopo i fatti ed
informazioni che comunque non erano state oggetto di valutazione organica a
fini investigativi, tanto che l’unica motivazione alla scelta di eseguire la
perquisizione contenuta negli atti e sostenuta dalle difese in causa è sempre
stata esclusivamente l’aggressione alla pattuglia in Via Cesare Battisti.
In conclusione,
e tornando al tema iniziale delle ipotesi formulabili in relazione alle due
predette circostanze (l’assalto alla pattuglia ed il colloquio fra Mortola e Kovach
che, occorre ricordarlo, secondo la tesi della Polizia sono state le uniche ad
aver determinato la scelta di operare la perquisizione alla Diaz) il sospetto
che all’interno dei due edifici scolastici potessero esserci appartenenti al
c.d. “Black Bloc” e, quindi, armi era particolarmente labile, potendosi al
massimo ipotizzare che alle persone legittimamente presenti nella scuola
Pertini (che la Pascoli continuasse ad essere sede del GSF era pacifico) si
fossero aggiunte altre persone non immediatamente identificate dai responsabili
del GSF. Ciò che sicuramente non risulta vero è quanto affermato nella
comunicazione di notizia di reato, e cioè che il Dott. Mortola avrebbe
accertato che “la struttura era occupata
da numerosi elementi appartenenti all’area dell’antagonismo più estremo,
riconducibili ai gruppi responsabili di alcune azioni violente realizzate nella
stessa giornata ed in quella precedente”. Neppure lo stesso imputato
Mortola nel corso delle sue dichiarazioni ha mai sostenuto di aver compiuto un
accertamento del genere, né ha indicato con quali modalità investigative
sarebbe giunto ad apprendere che all’interno delle scuole vi fossero soggetti
ai quali potesse essere attribuita la responsabilità delle violenze compiute in
precedenza.
Non solo, ma a
tutto concedere alle tesi difensive, ed in conformità persino con la
affermazione testé esaminata contenuta nella CNR, non era assolutamente
ipotizzabile neppure con infimo grado di probabilità che all’interno dei due
edifici scolastici vi fossero solo ed esclusivamente soggetti appartenenti
all’area dell’antagonismo violento responsabili dei saccheggi e delle
devastazioni, e ciò con riferimento non solo alla scuola Pascoli, sede delle
associazioni di legali e medici, dei mezzi di informazione e delle altre
strutture organizzative del GSF, ma anche per la Pertini, che continuava ad
essere “internet point” e centro “dormitorio” per i manifestanti che
provenivano da altre strutture.
In definitiva
seppure in astratto il sospetto di presenza di armi non potesse escludersi in
modo assoluto (dal che, come si anticipava, la legittimità dell’iniziativa
volta a verificare la fondatezza del sospetto) in concreto non era eludibile da
parte dei vertici della Polizia la constatazione che non si potevano accumunare
in via preventiva e presuntiva tutti i presenti all’interno dei due edifici
sotto la qualifica di “appartenenti all’area dell’antagonismo più violento” e
che pertanto il binomio perquisizione - arresti rendeva assolutamente
necessario organizzare dal punto di vista strategico e poi in concreto eseguire
l’operazione di perquisizione in modo coerente con tale premessa.
Come si vedrà
analizzando le modalità di preparazione e soprattutto di esecuzione della
perquisizione tale coerenza è mancata, e l’analisi delle cause di tale
incoerenza sarà indispensabile per valutare tutte le imputazioni.
MODALITÀ DI PREPARAZIONE DELL’OPERAZIONE
Costituisce dato
indiscusso nel processo, quasi un assioma, che l’operazione dovesse svolgersi
con una prima fase definita di “messa in
sicurezza” e di una successiva fase che costituiva l’operazione di polizia
giudiziaria vera e propria, cioè la perquisizione alla ricerca di armi.
Seppure possa
intuirsi che in via ipotetica si dovesse provvedere a fronteggiare eventuali
situazioni di pericolo, tuttavia nessuno fra testi ed imputati è stato in grado
di chiarire in cosa sarebbe consistita in dettaglio tale operazione di “messa
in sicurezza”, chi l’aveva studiata, quali direttive erano state date agli
operatori di polizia per svolgere tale incarico, e soprattutto come si sarebbe
dovuta svolgere tale operazione considerata la sua strumentalità alla
successiva perquisizione.
Deve infatti
osservarsi che non poteva sfuggire alla competenza dei vertici apicali della
Polizia di Stato che eseguire una perquisizione in edifici scolastici, per di
più temporaneamente adibiti a dormitorio, è cosa ben diversa che perquisire una
privata dimora. Se nel caso di privata dimora è fisiologico attribuire le
detenzione di eventuali cose illegali al detentore della dimora (per il
connaturale potere di controllo che esercita), e/o ai soggetti ivi trovati
presenti al momento della perquisizione (pur con le dovute cautele ben note in
tema di mera connivenza) in base a elementari nessi di collegamento fra spazio
e condotte tenute dai singoli, non altrettanto può dirsi nel caso di
perquisizione di ampio edificio pubblico temporaneamente adibito al soggiorno
di moltissime persone prive di legami reciproci fra loro e di legami
giuridicamente significativi con l’ambiente spaziale che li circonda.
Malgrado tale
evidente constatazione avrebbe dovuto presidiare la scelta delle modalità
operative della perquisizione, non solo non risulta che il problema sia stato
posto ed in qualche modo affrontato, ma è provato in positivo che le modalità
di esecuzione avevano tutt’altra finalità che quella di garantire il buon esito
della perquisizione. Ci si riferisce all’episodio, ancora nel processo
orgogliosamente rivendicato dall’imputato Canterini quale metodo che avrebbe
evitato di ferire i presenti, secondo il quale nella seconda riunione operativa
tenutasi in Questura il predetto Canterini, incaricato con i suoi uomini della
“messa in sicurezza”, aveva proposto di intervenire immediatamente con i gas
lacrimogeni per far uscire tutti dall’edificio e poi procedere con la
perquisizione; la proposta di Canterini è stata respinta perché giudicata
troppo aggressiva, e non, come avrebbe dovuto essere in vai prioritaria, perché
in tal modo, usciti tutti i presenti dall’edificio, la perquisizione sarebbe
stata inutile non potendosi attribuire ai singoli presenti la detenzione di
eventuali armi non portate addosso. L’episodio prelude significativamente a
quanto in effetti sarebbe successo, e cioè all’arresto indiscriminato di tutti
i presenti con attribuzione indistinta a tutti della detenzione illecita di
armi trovate all’interno dell’edificio. Le intenzioni degli organizzatori della
perquisizione tradiscono il sopravvento dell’esortazione ad eseguire arresti
sulla verifica del buon esito della perquisizione stessa.
Ulteriori
elementi significativi sulla preparazione dell’operazione si rinvengono:
a)
nell’elevato numero di operatori
impiegati, che non è mai stato possibile appurare con certezza, ma che secondo
la difesa di Canterini ed altri si aggira intorno a 346 Poliziotti, oltre a 149
Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici; quella che
icasticamente lo stesso Canterini a definito “una macedonia di reparti mobili”, vedendo gli uomini schierati
davanti alla Questura prima della partenza per l’operazione. Tali operatori
erano equipaggiati in assetto antisommossa, con caschi, sfollagente, manganelli
e foulard che coprivano il viso;
b)
nella manovra “a tenaglia”
elaborata per avvicinarsi al plesso scolastico che, sito lungo la Via Cesare Battisti
che procede da sud a nord, sarebbe stato raggiunto dalle forze di Polizia
divise in due corpi, guidati dagli scout genovesi Mortola e Di Sarro,
provenienti dalle opposte direzioni mare e monti; con previsione della
cinturazione degli edifici da parte dei Carabinieri per evitare fughe.
c)
nella mancata indicazione della
modalità operativa alternativa al lancio dei lacrimogeni proposto da Canterini;
d)
nell’omessa indicazione di quali
fossero le “regole d’ingaggio” impartite agli operatori.
Complessivamente
tutte caratteristiche che denotano l’assetto militare dato all’operazione e la
incongruenza fra le modalità organizzative dell’operazione e le ipotesi
legittimamente formulabili in riferimento ad una perquisizione ex art. 41
TULPS, confinate alla possibile presenza di qualche soggetto violento
all’interno delle scuole e, quindi, forse anche di qualche arma.
LE MODALITÀ DI ESECUZIONE DELL’OPERAZIONE
Difficilmente in
un processo è dato riscontrare un complesso di elementi probatori orali
(deposizioni testimoniali) e documentali (riprese audio e video, tabulati
telefonici, registrazioni di telefonate) tanto nutrito come quello che in
questo processo documenta la fase di esecuzione dell’operazione di
perquisizione nelle scuole Pertini e Pascoli. E ciò è tanto vero che tranne un
solo difensore (per il quale tutto è stato legittimo, in quanto le persone
all’interno degli edifici erano pericolosi e pluripregiudicati attivisti
violenti che hanno compiuto gravi atti di resistenza sì da costringere gli
operatori di Polizia a reagire energicamente), nessuno degli imputati pone in
dubbio che l’esito dell’operazione sia stato l’indiscriminato e assolutamente
ingiustificabile pestaggio di quasi tutti gli occupanti, come del resto
ritenuto dal Tribunale. Ne è ulteriore conferma la constatazione che le difese
non si incentrano sulla negazione dell’accadimento dei fatti di lesione, ma
sull’attribuzione ad altri della responsabilità di tale illecita condotta.
Come anticipato,
i numerosissimi operatori si divisero in due colonne che giunsero separatamente
in Via Battisti avanti le due scuole: una guidata dall’imputato Mortola
proveniente da nord giunse per prima, l’altra, guidata dall’imputato Di Sarro
giunse un po’ dopo da sud (per carenza di comunicazione fra le due guide dovuto
a difetto di un telefono cellulare).
Immediatamente
giunta da nord la prima colonna si verificarono le prime aggressioni verso
cinque persone inermi che erano fuori della scuola (fatti oggettivamente certi
in causa);
a seguito della
chiusura del cancello del cortile della scuola Pertini e del portone di
ingresso, venne decisa l’irruzione, con lo sfondamento del cancello mediante un
veicolo di servizio, l’accesso al cortile, lo sfondamento del portone
principale e poi di quello laterale, e l’ingresso degli operatori nell’edificio
(fatti oggettivamente certi in causa);
seguirono le
violenze agli occupanti dell’edificio ed il successivo trasporto dei feriti
agli ospedali (fatti oggettivamente certi in causa).
I fatti accaduti
all’esterno, ed alcuni di quelli accaduti all’interno e visibili attraverso le
finestre illuminate della scuola, sono documentati da numerose riprese video
eseguite da cittadini abitanti nei pressi e da manifestanti che si trovavano di
fronte nella scuola Pascoli, oltre che, successivamente, da operatori di
network televisivi. Tali riprese audio-video, effettuate da angolazioni diverse
ed in tempi diversi, sono state oggetto di consulenza da parte del P.M., delle
parti civili e degli imputati, al fine di essere coordinate nel tempo fra loro
e con le registrazioni audio, nonché al fine di ottenere la sicura successione
cronologica dei fatti e l’ora di rispettivo accadimento.
La Corte
condivide la scelta del primo giudice di ritenere del tutto attendibile la
consulenza espletata per conto delle parti civili (i cui esiti sono
sostanzialmente sovrapponibili a quella fatta eseguire dal P.M. ai Carabinieri
del RIS). Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di un gruppo di
imputati la consulenza in questione non si fonda sull’esame dell’ora segnata da
un orologio portato da una persona ripresa in un filmato; viceversa, essendo a
disposizione del consulente le tracce video e i tabulati delle chiamate
telefoniche, il coordinamento fra le immagini e le telefonate al fine di
giungere alla collocazione esatta nel tempo dei fatti ripresi nei filmati è
avvenuto correlando l’immagine dell’imputato Luperi che risponde alla chiamata
telefonica proveniente da La Barbera, mentre altro soggetto contestualmente
ripreso, identificato nell’agente Alagna, era al telefono, con i tabulati dei
due soggetti contemporaneamente al telefono (Luperi ed Alagna); l’unica
telefonata alla quale risponde Luperi quando è in corso quella di Alagna è
quella iniziata alle ore 00.41.33. In tal modo, avuta la certa collocazione nel
tempo di tale episodio, è stato possibile dapprima raggruppare i video dello
stesso evento ripresi da punti diversi confrontando la posizione di soggetti
noti rispetto ad oggetti fermi presenti nei video stessi, e poi, a partire dal
video della telefonata di cui sopra, è stato possibile stabilire la successione
cronologia di tutti i filmati mediante l’individuazione di eventi visivamente
apprezzabili (come il lampo di un flash) presenti in più riprese.
Sulla base di
tale elaborato il Tribunale ha ritenuto che l’arrivo delle forze di Polizia
in Piazza Merani sia avvenuto alle
ore 23.57.00 (orario desumibile anche dalla trasmissione in diretta di radio
GAP, perché è in quel momento che il programma in corso viene bruscamente
interrotto per dare notizia del’arrivo della Polizia in assetto antisommossa),che
l’ingresso dei reparti di Polizia operanti all’interno del cortile della scuola
sia avvenuto alle 23.59.17 (visibile lo sfondamento del cancello del cortile
mediante il mezzo del Reparto Mobile di Roma nel rep. 175), e che l’apertura
del portone centrale in legno sia avvenuta alle ore 00.00.15 (visibile dai rep.
filmati n. 175 e n. 239), meno di un minuto dopo l’ingresso nel cortile.
Il Tribunale ha
ampiamente argomentato il motivo per cui la diversa prospettazione cronologica
offerta dalla difesa (Avv. Corini) non sia attendibile, e sul punto le critiche
mosse con la memoria illustrativa depositata in questo grado sono generiche, in
quanto si limitano a riproporre le tesi del primo grado. In particolare la difesa
non prende posizione sulla convincente argomentazione sostenuta dal Tribunale
secondo la quale le telefonate effettuate dall’assistente Burgio quali
emergenti dai tabulati in atti sono molteplici nell’arco della stessa fase
temporale, e la difesa non ha fornito giustificazione logica e verificabile del
motivo per cui la telefonata riferibile al video preso in considerazione
sarebbe proprio quella scelta a confutazione delle risultanze delle CT del P.M.
e delle parti civili.
Ma, soprattutto,
osserva la Corte che la tesi della difesa è destituita di fondamento perché la
telefonata che si assume fatta dal Burgio al Troiani alle ore 00.34 del 22
luglio non ha riscontro alcuno nei tabulati relativi alle due utenze cellulari
in uso al Troiani; non esiste quindi, come invece avviene con le consulenze del
P.M. e delle parti civili, il riscontro del tabulato di altra utenza che
consenta di identificare con certezza la telefonata ripresa nel video e,
quindi, di attribuirle l’ora esatta di effettuazione che deve risultare dai due
tabulati.
Ciò premesso in
ordine alla cronologia dei fatti, occorre esaminare i primi episodi di violenza
verificatisi sulla pubblica via ancora prima dell’ingresso della Polizia nel
cortile della scuola Pertini.
Il Tribunale ha
descritto la gravissima aggressione subita dal giornalista inglese Mark Covell
riportando la sua deposizione, ed al riguardo non vi sono temi in contestazione
circa le modalità della violenza: il teste, che si trovava all’interno della
scuola Pertini, verso le 23,45 sentì un italiano, entrato di corsa, dire
qualcosa con riferimento ad una retata. Con un giornalista tedesco, di nome
Sebastian, Covell cercò di rientrare nella Pascoli e così uscì di corsa dalla
Pertini; i due si fecero aprire il cancello del cortile, che in quel momento
era chiuso, e uscirono sulla strada; egli sentì un forte rumore provenire dalla
sua destra ma pensò di riuscire a completare l’attraversamento; l’amico
Sebastian vi riuscì, ma dalla destra sopraggiunse un gran numero di poliziotti;
la prima fila colpì il teste con i manganelli; egli riuscì a restare in piedi e
ad arrivare a metà della strada prima di essere colpito nuovamente. Vi era
anche oltre alla prima fila di poliziotti una persona che dava ordini; poi
tutto avvenne velocemente: venne circondato; egli urlava “stampa”, ma un
poliziotto, agitando il manganello, disse in inglese “tu non sei un
giornalista, ma un black bloc e noi ammazzeremo i black bloc”. Covell venne
colpito ripetutamente da quattro poliziotti con gli scudi, spinto indietro
verso il muro di cinta della Pertini. Egli cercò di correre verso il lato sud
della strada ma non c’era modo di fuggire. Venne colpito con i manganelli sulle
ginocchia e cadde a terra; iniziò a temere per la propria vita. Un poliziotto
lo colpì alla spina dorsale e gli diede alcuni calci; quindi altri poliziotti
si unirono a picchiare provocando la frattura di otto costole e della mano.
Venne poi preso da dietro e riportato dove si trova all’inizio da un
poliziotto, che controllò le pulsazioni al polso e cercò quindi di evitare che
venisse ancora colpito; in tale frangente il teste riuscì ancora a vedere un
camioncino della Polizia che sfondava con due manovre il cancello della
Pertini; un poliziotto arrivò da sud e colpì nuovamente il teste, questa volta
in faccia, sì che Covell perse diversi denti; dopo un ulteriore colpo sulla
testa svenne.
L’attribuzione
della responsabilità di tale gravissimo episodio di violenza è rilevante ai
fini di qualificare l’operazione di perquisizione e di valutare la condotta dei
partecipanti.
La tesi delle
difese degli imputati è che, come aveva riferito in un primo tempo lo stesso
Covell, l’episodio sia da attribuirsi a condotta dei Carabinieri, chiamati a
partecipare all’operazione per eseguire la cinturazione dei luoghi. Il
Tribunale, dal canto, suo ha concluso che non è risultato quali forze
dell’ordine abbiano agito e chi ne fosse al comando.
Il teste Covell
ha fornito una convincente spiegazione del motivo per cui nelle sue prime
dichiarazioni ha fatto riferimento ai “carabinieri” e poi al dibattimento abbia
chiarito trattarsi invece di poliziotti; egli, come tutti gli stranieri, non
era a conoscenza della distinzione tipica del nostro paese fra Carabinieri e
Polizia e solo il suo difensore lo ha informato al riguardo. Così, rivisti i
filmati e le diverse divise, ha potuto in dibattimento precisare il suo
ricordo, oltretutto molto onestamente riferendo di aver comunque visto divise
con la scritta “carabinieri”. E la circostanza risponde a verità (integrando
ulteriore elemento di conferma della attendibilità del teste), posto che è
pacifico che quando era tramortito a terra per i numerosi colpi ricevuti, e
prima di svenire, venne avvicinato da un Carabiniere, il tenente Cremonini
Luigi, comandante del 4° Battaglione C.C. Veneto, che constatatene le gravi
condizioni ne riferì all’imputato presente Gratteri, il quale lo esortò a
tornare ai suoi compiti perché l’ambulanza era già stata chiamata.
In secondo luogo
non risponde al vero che contestualmente all’arrivo della prima colonna di
poliziotti in Via Battisti ci fosse anche un contingente di Carabinieri.
Il sottotenente
Del Gais ha riferito che, incaricato della cinturazione, giunse avanti il
cortile della Pertini dopo la Polizia, tanto che appena arrivato comunicò ad un
funzionario della Polizia il motivo per cui egli e i suoi uomini erano lì, e
cioè provvedere alla cinturazione; egli con il suo reparto si posizionò alla
destra guardando il cancello di accesso al cortile della Pertini.
Il tenente
Cremonini ha precisato che i comandanti CC convocati in Questura erano stati lui e Del Gais; che
dovevano seguire l’ultima colonna della Polizia; che per mancanza di spazio
lasciarono i loro veicoli lontano dall’ingresso; che procedette a piedi di
corsa per arrivare prima possibile seguendo il funzionario di polizia che
indicava la strada; che giunse davanti alla scuola quando il cancello del
cortile era già stato sfondato; che vide la persona a terra ferita e ne parlò
con Gratteri; che l’altro contingente “Campania” arrivò ancora dopo.
Dalla
descrizione dell’aggressione subita emerge che Covell mentre attraversava la
strada dalla scuola Pertini verso la scuola Pascoli, quindi da est verso ovest,
venne aggredito dapprima da operatori provenienti dalla sua destra, quindi da
nord, e da ultimo da soggetto proveniente da sud. Da nord proveniva il primo
dei due gruppi di poliziotti guidati dall’imputato Mortola. Tale imputato non
ha riferito di essere stato sopravanzato dai Carabinieri mentre con passo
spedito si dirigeva verso la scuola Pertini; l’imputato Ferri, che era con i
suoi uomini nelle prime file del gruppo proveniente da nord, ha riferito che
davanti a sé c’erano gli uomini del Reparto Mobile che andavano di corsa e così
si avvicinarono all’edificio.
Nel filmato che
riprende l’arrivo delle forze di Polizia in piazza Merani e poi in via Battisti
all’ora in cui è avvenuta l’aggressione a Covell non si coglie la presenza di
alcun Carabiniere.
Consegue con
ampio margine di certezza che i Carabinieri giunsero da sud e, comunque, quando
ormai l’aggressione a Covell era già stata compiuta; gli autori di tale vile
massacro non possono che essere stati appartenenti alla Polizia di Stato.
Nessun dubbio,
poi, può sussistere sulla paternità delle altre condotte aggressive tenute
fuori delle scuole prima dell’ingresso nel cortile della Pertini, così
ricostruite: Scribani Giuseppe,
Tizzetti Paolo e Nanni Matteo, ciascuno in situazioni di ingiustificata
coazione fisica in relazione alle circostanze documentate dagli stessi filmati:
Scribani viene condotto con un braccio serrato al collo e mantenendogli il
braccio dietro la schiena lungo Via Battisti sino in P.zza Merani, mentre Nanni
e Tizzetti sono ammanettati e fatti inginocchiare, insieme ad altri, in una via
laterale, quindi sdraiati per terra all’angolo con Via Battisti (su tale
circostanza e sulle modalità di tali vessazioni ha deposto anche il testimone
Tognazzi Riccardo all’udienza dell’8.3.07). Tutti costoro hanno senza ombra di
dubbio indicato in appartenenti alla polizia gli autori delle condotte ai loro
danni.
Il teste Frieri ha così descritto la propria aggressione: “Arrivarono quattro poliziotti con jeans e
pettorina con la scritta “Polizia”. Io dissi subito “Stampa, stampa”. I
poliziotti si volsero vero il loro dirigente, chiedendo che cosa dovessero fare
e alla risposta di proseguire, iniziarono a colpirci con i manganelli dalla
parte del manico finché non caddi a terra. Il pass mi venne strappato e non fu
più ritrovato; mi vennero poi chiesti i documenti ed io diedi la mia tessera di
consigliere comunale. Il poliziotto rimase stupito e mi disse: “Che cazzo ci fa
lei qui?”. In precedenza mi avevano detto: “Che cazzo scrivete voi bastardi?”.
Arrivò poi un dirigente, presumo lo stesso di cui ho detto prima che aveva
autorizzato i poliziotti a proseguire, che mi disse che si erano
sbagliati. I poliziotti venivano
dall’alto (da piazza Merani)”.
Le riprese video
documentano lo sfondamento del cancello, l’accesso al cortile, lo sfondamento
del portone principale e poi di quello laterale, quindi l’ingresso degli
operatori nella scuola Pertini.
L’esito
dell’irruzione è indiscusso in causa:
tutti i presenti
all’interno (e all’esterno) della scuola (93 soggetti) sono stati arrestati con
le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al
saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, possesso di congegni
esplosivi ed armi improprie;
87 di questi
hanno riportato lesioni (lesioni craniche lacero contuse, verranno obbiettivate
nei referti di Albrecht Daniel Thomas, Sibler Steffen, Kutschau Anna Julia,
Barringhaus Georg, Chimiliewski Michail, Giovanetti Ivan, Hermann Jochen, Kress
Holger, Reichel Ulrich, Schleiting
Mirko, Schmiederer Simon, Zehatschek Sebastian);
due, Melanie
Jonasch e Mark Covell, hanno corso pericolo di vita;
la situazione
era talmente grave che lo stesso imputato Fournier quando al dibattimento si è
deciso ad ammettere la reale entità dei fatti, per descriverli ha usato
l’espressione “macelleria messicana”.
Le modalità con
le quali sono state perpetrate le violenze sono state descritte da tutte le
parti offese e sono ampiamente desumibili dalle deposizioni riportate per
esteso nella sentenza di primo grado: non appena entrati nell’edificio, tutti
gli operatori di polizia si sono scagliati sui presenti, sia che dormissero,
sia che stessero fermi con le mani alzate, e senza sentire ragione alcuna (né
per l’età avanzata, né per l’atteggiamento remissivo, né per la rivendicazione
della qualifica di giornalisti) hanno colpito tutti con i manganelli, con i c.d.
“tonfa”, con pugni e calci; il tutto urlando insulti e minacciando di morte. Qualcuno
anche mimando atti sessuali all’indirizzo di una giovane ferita ed inerme a
terra (esame dibattimentale di Fournier).
Si presenta
particolarmente significativa la deposizione di Albrecht Daniel Thomas, il
quale ha riferito: “mi svegliò un mio
amico, dicendomi che c'era la Polizia. Mi alzai e dalla finestra vidi che tutta
la strada era occupata da macchine della polizia. Mi rivestii e con i miei
amici ci dirigemmo nel corridoio, dove si trovavano anche altre persone, circa
una ventina; avevamo molta paura; si sentivano urla e forti rumori. Una signora
che non conoscevo disse "restiamo fermi con le mani alzate" e così
facemmo, ponendoci in fila lungo le pareti del corridoio. I poliziotti
arrivarono, salendo le scale con passo accelerato; nessuno di noi scappò e non c'era "casino".
Urlavano qualcosa e ci facevano segno di
sederci. Vennero poi nella mia direzione e ponendosi davanti ai singoli, li
picchiavano con forza e senza alcuna fretta. Io stesso fui colpito sulla
testa ed anche sulle braccia
perché cercavo di proteggermi. I poliziotti avevano guanti imbottiti e
colpivano anche con pugni e calci. Andavano avanti ed indietro, colpendo tutti.
Urlavano "bastardi" ed altri insulti che io non comprendevo. Io era
sdraiato in terra, vicino a me vi era una pozza di sangue che io perdevo dal
braccio, dalla bocca e dalla testa” Da tale narrazione si evince senza
ombra di dubbio che non si è trattato solo di un manifestazione eclatante di
violenza esplosa irrazionalmente quasi espressione animalesca di bassi istinti
repressi che trovavano finalmente sfogo; al contrario, si è trattato di fredda
a calcolata condotta, cinicamente perpetrata con metodo sadico.
La paura ed il
panico creato fra gli astanti sono stati così elevati che alcuni hanno perso il
controllo degli sfinteri, come confermato dal sopralluogo effettuato il giorno
successivo dai Carabinieri, che hanno attestato la presenza di materiale fecale
in terra.
La condotta
violenta è stata così poco improvvisata che, a conferma di quanto riferito da
alcuni testi circa la presenza di mazze da baseball utilizzate dai poliziotti,
nel filmato Rep. 24. P2 al minuto 04,00 si può notare un agente in divisa della
polizia che ripone nel vano portabagagli di una vettura non d’istituto una
mazza o un bastone, aggiungendola ad altre già presenti nel vano: le modalità
dell’azione e l’uso di vettura privata escludono che si trattasse di dotazioni
ufficiali in uso alla Polizia o di reperti sequestrati, perché in nessuno dei
due casi sarebbero stati riposti con aria clandestina su vettura privata.
L’attendibilità
delle dichiarazioni rese dalle parti offese è riconosciuta dal Tribunale sulla
base di numerosi presupposti; la concordanza fra i contenuti sostanziali di
tutte le dichiarazioni, la mancanza di possibilità di preventivo accordo,
trattandosi di soggetti delle più disparate nazionalità espulsi dal territorio
dello Stato nell’immediatezza dei fatti (e al riguardo la possibilità di
scambio di notizie su internet non costituisce certo prova di preordinazione
nel contenuto delle dichiarazioni), le conferme oggettive date dai riscontri
documentali (riprese audio video, situazione dei luoghi dopo gli eventi,
rappresentata dalle numerose fotografie scattate dai Carabinieri, nelle quali
si evidenzia drammaticamente la presenza di sangue fresco praticamente in ogni
locale della scuola, a confutazione della vergognosa tesi che le ferite
sarebbero state riportate nei giorni precedenti).
Tuttavia il
Tribunale non manca di manifestare qualche dubbio, ingeneroso quanto infondato,
sul tenore complessivo delle dichiarazioni rese dalle parti lese, e finisce
con l’affermare che, come
sostenuto dagli operatori di polizia, qualche episodio di violenta resistenza
sarebbe stato compiuto ai danni degli operatori.
Tralasciando per
il momento l’episodio dell’aggressione all’agente Nucera, del quale si dirà
ampiamente in seguito, non senza rilevare in questa sede che per il Tribunale è
impossibile accertare se si sia o non si sia verificato (per cui non si vede
come possa costituire conferma di resistenze compiute all’interno della
scuola), osserva la Corte che le parti lese sono del tutto attendibili anche
quando hanno riferito di aver avuto tutte atteggiamenti remissivi e passivi,
essendosi addirittura fermate o sedute a braccia alzate, alcune con i documenti
in mano, invocando “non violenza”. Le deduzioni contenute nelle relazioni di
servizio stilate dagli operatori intervenuti sono assolutamente generiche, e
sono state predisposte, a richiesta dell’imputato Canterini, ad alcuni giorni
di distanza dai fatti, dopo che sui mezzi di informazione era scoppiata la
polemica sull’esito dell’operazione (interrogatori di Lucaroni e Compagnone, ed
es.). Del resto lo stesso Fournier ha riferito che le colluttazioni alle quali
ha assistito erano “unilaterali”, ossimoro efficace per descrivere aggressioni
portate dai poliziotti ai danni di soggetti inermi.
In conclusione,
anche prima della decisiva pronuncia della Corte di Cassazione a SSUU n. 12067
del 17/12/2009 che ha affermato il principio secondo il quale “Non sussiste incompatibilità ad assumere
l'ufficio di testimone per la persona già indagata in procedimento connesso ai
sensi dell'art. 12, comma primo lett. c), cod. proc. pen. o per reato
probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione” il
Tribunale disponeva già di tutti gli elementi valutativi necessari e
sufficienti per ritenere del tutto attendibili le parti offese (nei confronti
delle quali le false accuse erano già state archiviate) anche in ordine alla
assenza di alcuna violenza o resistenza da parte loro all’interno della scuola.
Per quanto
riguarda le fasi anteriori all’ingresso, nessuna resistenza è ravvisabile per
il lancio di oggetti o per la chiusura del cancello e dei portoni di legno di
accesso all’istituto scolastico, con l’ingenuo accatastamento di alcune panche.
Relativamente al
lancio di oggetti, descritto nella CNR come “fitto lancio di pietre ed altri oggetti contundenti”, nel verbale di
arresto come “fittissimo lancio di
oggetti di ogni genere” e nella relazione di Canterini al Questore come
pioggia di “oggetti contundenti ed in
particolar modo bottiglie di vetro” è significativo secondo la Corte che
nel verbale di arresto tale circostanza sia indicata come rafforzativa della
convinzione che all’interno della scuola giovani manifestanti detenessero armi.
La assenza di nesso logico fra il lancio di oggetti e la presenza di armi
all’interno della scuola rende evidente l’intento di enfatizzare oltre misura
fatti che non avevano alcun nesso con la perquisizione ed il sospetto di
presenza di armi al fine di rendere in qualche modo giustificabile la decisione
di fare irruzione con le modalità sopra descritte.
In ogni caso le
emergenze probatorie raccolte escludono che si sia trattato di condotta
particolarmente significativa e pericolosa, e che abbia avuto le
caratteristiche con le quali è stata descritta negli atti sopra menzionati.
Basta rilevare che gran parte della scena dallo sfondamento del cancello, al
successivo ingresso nel cortile fino all’apertura del portone è stata ripresa
nel filmato in atti, e che lo stesso, pure oggetto di attenta consulenza da
parte dei RIS di Parma, non consente di apprezzare la caduta e tanto meno il
lancio di oggetti (per cui se caduta vi è stata si deve essere trattato di
oggetti di dimensioni insignificanti), come del resto confermato dal fatto che
a terra nulla di tal genere è stato poi ritrovato, e che gran parte degli
operatori staziona nel cortile senza assumere alcun atteggiamento di difesa o
riparo da oggetti provenienti dall’alto (tra questi lo stesso Canterini che non
indossa il casco, comportamento che per la sua esperienza di comandante non può
essere dettato da leggerezza). Solo nella fase immediatamente precedente
l’ingresso nella scuola, dopo l’apertura del primo portone, alcuni operatori
portano lo scudo sulla testa, ma la condotta è ambigua, perché nello stesso
frangente si vedono altri operatori nelle vicinanze che non assumono alcun atteggiamento
protettivo; inoltre è stata fornita una spiegazione di tale condotta (teste
Gabriele Ivo, operatore del Reparto Mobile di Roma) ravvisata in una specifica
tecnica operativa di approccio agli edifici, che contempla tale manovra in via
cautelativa sempre, anche in
assenza di effettivo pericolo. Né a diversa conclusione può condurre la
deposizione dell’infermiere Galanti che con la propria ambulanza giunse in loco
e comunicando con la centrale del servizio “118” disse “stanno buttando giù
tutto”; secondo la ricostruzione cronologica dei reperti audio e video compiuta
dalle parti civili e fatta propria dallo stesso Tribunale, tale conversazione è
collocabile alle ore 00.04.00, mentre la fase di stazionamento degli operanti
nel cortile fra lo sfondamento del cancello e l’apertura del primo portone
della scuola è collocabile fra le ore 23.59.09 e le ore 00.00.17. Consegue che
la telefonata in questione è intercorsa circa 4 minuti dopo l’ingresso della
Polizia nella scuola, come del resto confermato dallo stesso Galanti, il quale
ha riferito che all’interno della scuola c’era già la Polizia e numerosi feriti
a tutti i piani, verso i quali era stato richiesto di intervenire prontamente.
Consegue che qualunque cosa abbia voluto dire il Galanti con l’espressione “stanno buttando giù tutto” (e non “giù di tutto” come qualche difesa ha
riportato) la stessa sicuramente non
si riferiva alla fase in cui gli operanti erano nel cortile.
Sotto tale
profilo, quindi, non si ravvisa alcuna resistenza, la quale, in ogni caso, non
avrebbe in alcun modo giustificato la successiva condotta di indiscriminato
pestaggio di tutti i presenti nella scuola per l’evidente venir meno di ogni
eventuale effetto di ostacolo all’espletamento di atti d’ufficio.
Quanto alla
chiusura del cancello e dei portoni, deve preliminarmente ricordarsi che
l’edificio in questione, in quanto regolarmente assegnato dall’ente
proprietario all’associazione consegnataria e destinato al soggiorno e anche al
ricovero notturno di privati cittadini, era da considerarsi privata dimora,
come tale legittimante interclusa all’eventuale accesso pubblico mediante
chiusura dei varchi di apertura.
Ciò premesso,
occorre considerare che per configurarsi resistenza a pubblico ufficiale
occorre la consapevolezza in capo all’agente di opporsi al compimento di un
atto dell’ufficio. Nella fattispecie formalmente l’atto da compiere era una
innocua perquisizione, ma è pacifico che in nessun modo gli operatori di
Polizia hanno portato a conoscenza degli occupanti della scuola tale intenzione:
non è avvenuto alcun tentativo di parlamentare a mezzo altoparlante, come
spesso succede in tali occasioni, per verificare l’atteggiamento degli
occupanti e saggiare la loro disponibilità a consentire l’accesso, una volta
avuta contezza delle motivazioni della presenza in loco della polizia. Al
contrario l’irruzione è stata ordinata alla mera constatazione che il cancello del cortile era chiuso,
presumendo che fosse l’unica modalità per accedere in loco; ma tale presunzione
esclude la sussistenza del dolo di resistenza non essendo in alcun modo
intuibile da parte delle persone all’interno che si intendeva eseguire un atto
di polizia giudiziaria.
Ed infatti le
modalità di approccio all’edificio, caratterizzate dalla imponente quantità di
operatori in assetto antisommossa, con manovra a tenaglia e cinturazione
dell’edificio, con le gravissime violenze perpetrate già in strada ai danni di
Covell e Frieri, a nessuno avrebbero consentito di ipotizzare che si
preannunciava una pacifica operazione di mera perquisizione.[1]
.-.-.-
VALUTAZIONI CONCLUSIVE
Passando,
quindi, a valutare i tre aspetti sopra evidenziati della ideazione, della
preparazione e della esecuzione dell’operazione, possono trarsi le seguenti
conclusioni.
L’ipotesi della
presenza di armi all’interno della scuola Diaz - Pertini era scarsamente
probabile; ma non potendosi, ovviamente, escludere del tutto la mera
possibilità, è stata assunta a giustificazione della intrapresa perquisizione
di iniziativa ex art. 41 TULPS al fine di procedere agli arresti sollecitati
dal capo della Polizia. Sotto questo profilo, come già si è osservato,
l’esperienza della scuola Paul Klee non è stata di ostacolo, con ciò risultando
evidente che la priorità seguita in quel momento era la tutela dell’immagine
compromessa della Polizia, tutela operabile con una speculare immagine di
efficienza, cioè la rappresentazione pubblica dell’arresto di numerose persone
sospettate di essere gli autori delle violenze dei giorni precedenti. In tale
ottica il rischio che poi gli arrestati venissero scarcerati non ha costituito
remora trattandosi di evenienza che in secondo tempo sarebbe stata riferibile
alla attività giurisdizionale della magistratura, e non avrebbe inficiato
l’impatto mediatico iniziale dell’arresto; significativo in tal senso è
l’argomento da ultimo usato da Ferri per convincere Di Sarro, all’inizio
perplesso e restio a sottoscrivere il verbale di arresti parendogli “una
forzatura” l’arresto in flagranza per associazione, e cioè che “l’auorità
giudiziaria sarebbe stata libera di qualificare diversamene i fatti”
(interrogatorio Di Sarro del 16/10/2002). E questo è il motivo per cui
venne convocato l’addetto stampa
Sgalla ancora prima di sapere l’esito della operazione; tale fatto, lungi dal
provare la buona fede degli imputati, come sostenuto dal Tribunale, conferma la
finalità mediatica dell’operazione che si intendeva perseguire con
determinazione, ancor prima di sapere quale ne sarebbe stato l’esito.
Pertanto può
affermarsi con ragionevole certezza che lo scopo primario perseguito era quello
di compiere numerosi arresti, e la conferma è data dalle modalità di
preparazione dell’operazione e di
sua esecuzione.
Si è visto che
il dispiegamento di forze è stato notevole e che era stata prevista un prima
fase di “messa in sicurezza”, affidata a Canterini ed ai suoi uomini del VII
nucleo, le cui caratteristiche sono rimaste ignote. Non è dato sapere quali
direttive operative siano state date al personale, se non quella, del tutto
gratuita ed ingiustificata, che all’interno della scuola vi fossero i
pericolosi Black Bloc responsabili delle violenze (di tale fuorviante
informazione sono stati destinatari persino i Carabinieri Cremonini e Del Gais,
e vi è prova della stessa nelle numerose circostanze descritte dagli aggrediti,
Covell in testa, i quali hanno riferito che gli aggressori urlavano insulti sostenendo
che le vittime erano dei violenti Black Bloc).
Tale carenza di
informazioni agli operanti e, anzi, la fuorviante motivazione data agli stessi
non hanno giustificazione alcuna anche alla luce delle deduzioni difensive
degli imputati; come già visto in precedenza, se anche fosse vero tutto quanto
dagli stessi affermato in ordine all’origine della scelta di eseguire la
perquisizione alla Diaz, nulla autorizzava a pensare che all’interno della
scuola ci fossero solo Black Bloc, per cui era ineludibile la necessità di
predisporre le dovute cautele e verifiche al fine di distinguere, una volta
all’interno, i pacifici cittadini dai violenti Black Bloc.
Viceversa è
stato approntato un apparato “bellico” di notevoli dimensioni, attrezzato con
abbigliamento antisommossa, dai volti mascherati e armato di manganelli e di
“tonfa” (vere e proprie armi registrare, che se usate in modo improprio, cioè
impugnate alla rovescia per colpire con la parte a “T”, sono particolarmente
micidiali) e, probabilmente, con qualche ulteriore arma personale (mazze)
surrettiziamente introdotta. A tale apparato “bellico” è stata fornita la
errata informazione che scopo della missione era arrestare i Black Bloc che si
trovavano all’interno delle scuole.
Il binomio
“necessità di procedere ad arresti” e la “dotazione al personale di strumentazione
necessariamente finalizzata all’uso della forza” avrebbe reso necessario o
fornire agli operatori i criteri di intervento necessari al fine di evitare
indiscriminate e generalizzate attività repressive (come invece è poi accaduto)
o un controllo costante e penetrante da parte dei dirigenti dei vari reparti
che impedisse l’uso distorto della forza.
Ma nulla di
tutto ciò è stato predisposto, né nelle due riunioni preparatorie in Questura,
né sul campo durante l’azione.
Non può stupire,
allora, che al primo contatto con soggetti presenti nei pressi delle due scuole
si siano immediatamente manifestate ad opera degli operatori di Polizia le
prime gravissime ed indiscriminate condotte violente, sadicamente ripetute fino
alla perdita dei sensi di Covell, nell’indifferenza generale di tutti i
funzionari e dirigenti ivi presenti.
Non può stupire
che, invece di parlamentare l’ingresso nella scuola, sia stata decisa
l’irruzione (condotta di per sé violenta) lasciando liberi gli “animali”, come qualificati dal La
Barbera i poliziotti alle sue dipendenze (interrogatorio del 19/06/02 pag.
105), e che quindi si siano avuti i gravissimi episodi di lesioni all’interno
della scuola.
Il Tribunale,
per fornire una spiegazione a tale eclatante e generalizzata
manifestazione gratuita di
violenza, sorda ad ogni evidenza della inoffensività delle vittime, ha
elaborato la teoria secondo la quale “l’inconsulta
esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea
e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da
provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo
all’istinto”, propagazione resa possibile da una sorta di accordo
preventivo di impunità stipulato con i superiori gerarchici, che avrebbero
tollerato qualsiasi condotta illecita. E per argomentare tale teoria il
Tribunale è giunto a sostenere che “la
sistematicità nelle violenze poste in essere dagli operatori potrebbe anche
essere attribuita alla sensazione riportata dalle vittime che, colpite più
volte e con notevole forza, come risulta dalle gravi ferite riportate da alcune
di loro, potrebbero in effetti aver avuto la concreta e certamente giustificata
percezione di un’attività violenta sistematica, anche nel caso in cui in realtà
si fosse trattato invece di sequenze di colpi non programmate con precise
finalità e modalità.”
Trattasi di
argomentazione che tenta di conciliare ciò che non è conciliabile:
sistematicità delle violenze come frutto di sensazione delle vittime.
Non si comprende,
infatti, perché la valutazione oggettiva delle condotte tenute dagli operatori,
cioè le modalità con le quali sono state inferte le ferite, debba essere
rimessa alla valutazione soggettiva delle vittime.
Inoltre la tesi
dell’insorgenza spontanea (ma il significato del termine “spontaneo” è dubbio,
posto che nessuno ha mai sostenuto che gli operatori siano stati indotti alla
condotta illecita su impulso esterno) contrasta con le immediate violenze
perpetrate all’esterno della scuola ai danni di Covell e di Frieri ancora prima
di entrare nell’edificio; contrasta con l’assunto di un preventivo accordo di
impunità (la preordinazione seppure implicita e tacita di un accordo confligge
con l’origine spontanea ed improvvisa della violenza); contrasta con le
modalità della condotta quali descritte dal teste Albrecht Daniel Thomas,
caratterizzate da fredda e calcolata violenza, del tutto incompatibile con il “libero sfogo all’istinto, determinando il
superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto”
di cui parla il Tribunale.
In sostanza,
secondo la Corte, non è possibile descrivere i fatti in esame come la somma di
singoli episodi delittuosi occasionalmente compiuti dagli operatori
indipendentemente l’uno dall’altro in preda allo sfogo di bassi istinti
incontrollati; al contrario, trattasi di condotta concorsuale dai singoli
agenti tenuta nella consapevolezza che altrettanto avrebbero fatto e stavano
facendo i colleghi, coerente con le motivazioni ricevute dai superiori
gerarchici e con l’esplicito incarico di usare la forza per compiere lo
sfondamento e l’irruzione finalizzati all’arresto di pericolosi soggetti violenti,
senza alcuna preventiva o successiva forma di controllo sull’uso di tale forza.
La
responsabilità di tale condotta e, quindi, delle lesioni inferte, è pertanto
ravvisabile in capo ai dirigenti che organizzarono l’operazione e che la
condussero sul campo con le modalità e le finalità sopra descritte; trattasi di
responsabilità commissiva diretta per condotta concorsuale con quella degli
autori materiali delle lesioni, perché scatenare una così rilevante massa di
uomini armati incaricandola di sfondare gli accessi e fare irruzione nella
scuola con la motivazione che all’interno soggiornavano i pericolosi Black Bloc
che i giorni precedenti avevano messo a ferro e fuoco la città di Genova e si
erano fatti beffe della Polizia, senza fornire un chiaro e specifico incarico
sulla c.d “messa in sicurezza” o alcun limite finalizzato a distinguere le
posizioni soggettive, significa avere la certa consapevolezza che tale massa di
agenti, come un sol uomo, avrebbe quanto meno aggredito fisicamente ed
indistintamente le persone che si trovavano all’interno, come in effetti è
accaduto senza alcun segnale di sorpresa o rammarico manifestato da alcuno dei
presenti di fronte all’evidenza del massacro.
In tal senso è
significativa la presa di distanza dalla decisione di effettuare l’irruzione
manifestata dall’allora indagato La Barbera che a suo dire l’avrebbe
sconsigliata affermando “…partendo da
questo nervosismo che io avevo notato, io avevo intuito, avevo subodorato,
certamente le cose non sarebbero andate bene, perché ognuno conosce gli animali
suoi dottore…”. Non si sa se apprezzare più il realismo o il cinismo di
tale dichiarazione.
La circostanza
che precedenti imputazioni a titolo di lesioni nei confronti di vertici della
Polizia siano state archiviate non è influente in questo processo, nel quale il
materiale probatorio a disposizione è di gran lunga più completo e ricco di
quanto fosse all’epoca dell’archiviazione. Analogamente le motivazioni assunte
in quella sede non sono vincolanti nel presente giudizio, che può esser fondato
su una ricostruzione dei fatti più analitica ed appagante alla luce del
numeroso materiale audio video e delle deposizioni in allora non disponibili. In
particolare la Corte non condivide l’assunto, fatto proprio anche dal
Tribunale, che l’operazione nel suo complesso possa essere suddivisa in due
fasi separate e indipendenti, l’ingresso e la ”messa in sicurezza” con le
conseguenti lesioni, e la successiva perquisizione ad opera degli ufficiali di
P.G. che, non avendo assistito direttamente alle lesioni, non si sarebbero resi
conto di quanto era effettivamente successo, ritenendo che i colleghi entrati
per primi avessero dovuto fronteggiare una tale resistenza da essere costretti
ad infliggere le gravi lesioni ben note.
Seppure
corrisponde a verità, come meglio si vedrà in seguito, che dopo l’ordine
impartito da Fournier ai suoi uomini del VII nucleo di lasciare la scuola, gran
parte delle violenze cessarono, tuttavia dall’esame delle numerose
dichiarazioni delle parti lese, anche sul punto concordanti ed attendibili, è
emerso sia che alcuni funzionari in
borghese con la pettorina e la scritta “POLIZIA” erano presenti durante
la immediata fase del pestaggio, sia che ulteriori fatti di lesioni continuarono
a verificarsi anche dopo l’ordine impartito da Fournier di abbandonare la
scuola.
Il tema ha
centrale importanza con riguardo alle imputazioni di falso e calunnia, ed in
tale sede sarà affrontato, ma in tema di lesioni rileva perché la dicotomia fra
le due fasi, e quindi la presunta rilevanza dei tempi di ingresso nella scuola
sono state utilizzate dalla difesa degli imputati dei reati di lesioni
appartenenti al VII Nucleo Antisommossa del I° Reparto Mobile di Roma per
contestare la propria responsabilità attribuendola ad operatori di altri corpi
che assumono essere entrati prima di loro nella scuola Diaz-Pertini.
Come si è visto
analizzando i capi di imputazione, le lesioni nel presente processo sono
imputate a Canterini, Fournier e agli altri capi- reparto indicati nel capo H),
quali appartenenti al VII nucleo. Che tale corpo fosse stato incaricato della
c.d. “messa in sicurezza” e quindi
dell’uso della forza è pacifico in causa, e neppure gli imputati lo contestano;
nella seconda riunione operativa tenutasi in Questura allorché si decise l’intervento,
Canterini ed i suoi uomini furono incaricati della “sicurezza”, tanto che
Canterini, come già visto, propose l’uso dei gas lacrimogeni per sfollare la
scuola; il Nucleo, per sua organizzazione operativa, doveva restare compatto
nell’assolvimento del compito ricevuto, tanto che la decisione di spezzarlo in
due per procedere alla manovra a tenaglia era stata criticata da Canterini, che
venne tranquillizzato solo con la garanzia della ricongiunzione in Via Cesare
Battisti; il Nucleo era presente davanti al cancello prima che fosse sfondato
(interrogatorio di Canterini del 6 e 7 giugno 2007); il primo operatore ad
entrare nella scuola non appena sfondato il portone di legno è l’Ispettore Capo
Panzieri del VII nucleo, che si è riconosciuto nel video che lo riprende mentre
scavalca le panche ammassate dietro il portone ed entra nella scuola; la
appartenenza al VII nucleo è contraddistinta da particolare divisa ed
abbigliamento (tuta ignifuga con protezioni, cinturone in cordura di colore blu
scuro e casco a protezione che si differenziava dagli altri perché in Keplek e
quindi si presentava opaco mentre gli altri erano lucidi; un manganello tipo
tonfa, dalla caratteristica forma a “T”, come descritto dal teste Gonan
Giuseppe all’udienza del 10/01/2007). Come si evince dal reperto video che
riprende l’ingresso nel cortile e poi nella scuola, dal momento in cui Panzieri
per primo entra nell’edificio a quando praticamente si conclude l’ingresso di
tutti gli altri operatori che erano presenti nel cortile trascorrono circa 70
secondi; fra tali operatori sono distinguibili gli appartenenti al VII nucleo
che indossano casco opaco e tengono il “tonfa”; Fournier ha riferito di essere
entrato tra i primi, (“entrai tra i
primi, ma probabilmente non come dissi settimo od ottavo”, “come comandante
della forza ritenni opportuno entrare per vedere cosa succedeva” “Con me entrò
personale della mia squadra e altro personale” interrogatorio del 13/06/2007).
In tale quadro,
seppure è pacifico che insieme al VII nucleo entrarono anche altri reparti,
tuttavia considerato che in 70 secondi erano tutti dentro e che per accedere al
piano terra ed ai superiori tre piani della scuola e ferire quasi tutti i
presenti occorre un tempo ben più lungo (per le stesse difese almeno 5 minuti),
consegue che la tesi secondo la quale il VII Nucleo sarebbe stato scalzato da
altri reparti, autori delle lesioni, giungendo in loco quando ormai tutto era
concluso, non ha alcun fondamento. A tale oggettiva ricostruzione dei fatti
debbono aggiungersi le dichiarazioni delle parti offese che hanno riconosciuto
indossata dagli aggressori la tipica uniforme degli appartenenti al VII nucleo,
caratterizzata dal cinturone scuro, ben distinguibile da quello bianco
indossato da altri reparti.
Ma la
partecipazione a pieno titolo del VII Nucleo alla iniziale fase di irruzione e
contestuale aggressione fisica nei confronti dei presenti è desumibile da altre
significative circostanze. È pacifico in causa che il VII nucleo era dotato di
uno speciale sistema di comunicazione, il laringofono, con il quale il
comandante Fournier era sempre in diretto contatto audio con i propri uomini,
ai quali poteva impartire ordini in tempo reale durante lo svolgimento
dell’operazione; allorché Fournier si avvide del corpo esanime della Melanie
Jonasch e temette addirittura che fosse morta, urlò agli aggressori “Basta,
basta”, quindi intimò immediatamente ai propri uomini con il laringofono di
abbandonare la scuola; radunatosi il VII nucleo nel cortile, le violenze
vennero scemando, anche se qualche episodio ulteriore continuò a verificarsi.
Su tale condotta
possono svolgersi diverse considerazioni:
innanzi tutto
appare assai poco probabile che Fournier, nella fase di ingresso nella scuola,
non abbia impartito ai suoi uomini (che dovevano agire compatti) ordini ben
precisi, ordini che Fournier avrebbe dovuto ritenere necessari in assenza di superiori
disposizioni, a detta di tutti non impartite per essersi interrotta la catena
di comando: ed il silenzio sul punto da parte di Fournier non può dirsi senza
significato;
in secondo luogo
l’espressione “Basta basta” usata da Fournier non pare casuale e senza
significato: se l’aggressione fisica degli astanti non fosse stata prevista, la
reazione immediata avrebbe dovuto comportare un ordine di tipo diverso, quale
ad es. “Fermi, cosa fate!!”; viceversa l’uso della parola “basta” è sintomatica
del superamento di un limite precedente e l’ordine di interrompere una condotta
fino a poco prima quanto meno preventivata; è all’eccesso, con il rischio di conseguenze
certamente non volute, che si è opposto Fournier quando ha visto le disperate
condizioni della Melanie Jonasch ed ha ordinato “basta”;
in terzo luogo è
particolarmente significativo che di fronte alla incontestabile evidenza di una
intollerabile degenerazione, la prima reazione di Fournier è stata quella di
far uscire i suoi uomini: ma se costoro, come più volte vantato nel processo,
erano quegli operatori così addestrati e scelti anche dal punto di vista
psicologico per la loro integrità e capacità di mantenere il controllo, e, come
sostenuto da Fournier, non erano gli autori delle lesioni già inferte, per
quale motivo Fournier li ha fatti uscire dalla scuola, invece che esortarli ad
intervenire per impedire ulteriori violenze da parte di altri operatori di
altri reparti? È pensabile che la prima reazione sia stata solo quella di una
fuga dalla scena per salvare l’onorabilità del proprio reparto a scapito
dell’integrità fisica delle persone che si trovavano nella scuola?. In realtà,
come lo stesso Fournier non ha potuto escludere, i suoi uomini sono stati
sicuramente responsabili delle lesioni inferte, e non a caso dopo l’ordine di
uscire dato da Fournier ai suoi uomini, come concordemente riferito da tutti i
presenti, l’ondata più feroce di aggressione fisica andò immediatamente
scemando, anche se non terminò del tutto, con ciò risultando confermato che gli
autori principali delle lesioni erano stati gli appartenenti al VII nucleo. Del
resto, ipotizzando l’alternativa della mera tutela dell’onore del corpo,
scappare e consentire agli altri di continuare a picchiare gli astanti sarebbe
stato da parte dei responsabili della forza e della “messa in sicurezza” (in
questa veste identificati da tutti gli operatori presenti) un esplicito
lasciapassare e come tale un vero e proprio concorso morale nelle condotte
illecite altrui.
Ulteriore e
decisivo elemento di prova della responsabilità primaria del comandante e dei
capi squadra del VII nucleo è ravvisabile nella circostanza, riferita da
Canterini nell’esame dibattimentale del 07/6/2006, che immediatamente dopo
essere ritornati nel cortile della Pertini, Fournier disse a Canterini “guardi che io con questa gente qui non ci
voglio più lavorare”, espressione che a seguito di contestazione da parte
del P.M. si apprende essere stata nel precedente verbale del settembre 2001 “io con questi macellai non ci voglio
lavorare”. Sempre Canterini ammette che tale espressione si riferiva
all’eccesso della forza fisica da parte dei capisquadra, come è logico che
fosse, posto che Fournier non poteva riferirsi che al personale del VII nucleo,
non certo a quello dei più disparati reparti provenienti da tutta Italia con i
quali non aveva motivo di ipotizzare nuove collaborazioni.
Il quadro
complessivo è coerente e non lascia margine a dubbi. Le maggior parte delle
gravi lesioni è stata inferta dal VII nucleo, o dai capi reparto direttamente,
o dagli uomini alle loro dipendenze; le condotte lesive sono state il frutto
dell’incarico ricevuto (irruzione per procedere agli arresti dei “Black Bloc”),
incarico eseguito in modo omogeneo e simultaneo da tutti i capi squadra e dai
singoli operatori quale unitaria operazione sì da essere tutti consapevoli
delle reciproche condotte finalizzate al medesimo risultato. Consegue il pieno
concorso fra tutti i capi squadra (anche di Basile che formalmente non aveva
squadra alle proprie dipendenze ma che ha operato allo stesso modo degli altri
e con gli stessi effetti sulla condotta di tutti gli appartenenti al VII
nucleo), nonché fra gli stessi ed i rispettivi sottoposti per la evidente
relazione di dipendenza gerarchica che legava la condotta dei capi a quella dei
subordinati, tenuti ad agire compattamente e di fatto lasciati liberi di agire
senza incontrare divieti o limiti da parte dei capi squadra; ma sussiste anche
il concorso fra i capi squadra del VII nucleo e gli autori delle residue
lesioni appartenenti a diversi corpi, per la evidente azione di rafforzamento
ed istigazione che la condotta del VII nucleo, incaricato della “messa in
sicurezza”, ha esercitato sugli altri operatori violenti, che hanno tratto
dalla situazione così creata conforto e solidarietà nel loro intento di rivalsa
violenta, magari atteso (e sperato come attesta l’uso di qualche arma privata
introdotta surrettiziamente).
La
responsabilità di Fournier deriva in
primis dalla sua qualifica di Comandante del VII Nucleo, e quindi si
soggetto che aveva il potere-dovere di dirigere la condotta dei capi squadra e,
a scendere nella scala gerarchica, dei singoli operatori. La mancata
indicazione degli ordini impartiti ai capi squadra è forte indice della
consapevolezza che l’uso della forza era connaturato all’operazione di
irruzione ed arresto; la mancata predisposizione di alcuno strumento di
controllo sul campo, e la mancata indicazione delle modalità di esercizio della
forza, al fine di evitare gli eccessi che si sono verificati, si sono tradotti
in una sorta di “carta bianca” data ai capi squadra. L’ordine impartito ai suoi
di abbandonare la scuola lascia inspiegato come Fournier potesse ritenere in
tal modo di aver adempiuto all’incarico di “mettere in sicurezza” l’edificio,
se non attribuendo a tale espressione il significato di neutralizzare tutti
coloro che si trovavano all’interno, finalità che presupponeva l’uso indiscriminato
della forza senza distinguo alcuno. È ben vero che Fournier è intervenuto a
fermare gli aggressori della Melanie Jonasch e ha fatto uscire i suoi
interrompendo l’ulteriore corso delle violenze, ma tale intervento è avvenuto
solo dopo la commissione delle violenze e per l’evidente travalicamento di ogni
limite verso il quale la violenza si stava indirizzando.
Ed infatti la
giurisprudenza ha avuto modo di affermare che allontanarsi dal luogo ove i
sottoposti commettono reati non esonera il funzionario preposto da
responsabilità ex art. 40 2° comma c.p. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5139 Ud. del
05/04/1995 “In virtù del principio
sancito dall'art. 40, capoverso cod. pen. può essere chiamato a rispondere di
omicidio preterintenzionale il funzionario di polizia che sia assente dal luogo
ove il fatto si è verificato, violando l'obbligo di impedire che la condotta
degli agenti sottoposti trasmodasse in ulteriori e gravi violenze nei confronti
dell'indagato”).
Quanto alla
responsabilità di Canterini valgono in gran parte le considerazioni sopra
esposte per Fournier. Quale Comandante del I° Reparto Mobile di Roma in seno al
quale era stato costituito il VII Nucleo Antisommossa, Canterini era il diretto
superiore gerarchico di Fournier e di tutti gli altri uomini del reparto;
scartata la tecnica delle bombe lacrimogene, anche per Canterini, che ha
partecipato alla seconda riunione in Questura ove è stata programmata
l’operazione, vale la considerazione di non aver esplicitato in qual modo
intendesse effettuare la “messa in sicurezza”, per cui rimane l’evidenza
oggettiva di aver impiegato il VII nucleo per l’irruzione finalizzata agli
arresti senza minimamente programmare alcuna attività strategica, e quindi
lasciando liberi gli operatori di usare la forza in massima libertà, malgrado
egli fosse presente sul campo e potesse – dovesse provvedere in tal senso
avendo continua percezione in tempo reale di quanto stava accadendo; egli è
entrato nella scuola ed ha raggiunto Fournier al primo piano ove si è
trattenuto fino all’arrivo dell’ambulanza, per cui è transitato per il piano
terra vedendo in fondo alla palestra numerosi feriti già radunati (fatto
ammesso nell’esame dibattimentale), e non solo non ha manifestato alcuna
contrarietà o stupore, ma ha proseguito verso i piani superiori senza
intervenie in alcun modo per far cessare le violenze.
La
responsabilità di tutti gli imputati di lesioni è accertata, quindi, a titolo
di compartecipazione attiva e, anche, per omissione di tempestivo intervento
(come pure sarebbe stato possibile, ad es. tramite il laringofono), quindi nel
pieno rispetto delle ipotesi formulate nel capo di imputazione, per cui non
sussiste alcuna violazione del principio di corrispondenza fra accusa e
decisione. È sufficiente ricordare che in materia è risalente e immutato
l’orientamento della giurisprudenza secondo il quale “La condotta omissiva di pubblici ufficiali - nella specie due agenti
della Polizia di Stato - consistente nella mancata opposizione alle azioni delittuose
in atto e nella successiva omessa denuncia di fatti penalmente perseguibili, è
giuridicamente apprezzabile sotto il profilo concausale della produzione degli
eventi, e, come tale, equivale a concorso morale nel cagionarli, stante
l'imperatività dell'obbligo giuridico inadempiuto (art. 40, secondo comma, cod.
pen.)” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1506 Ud. del
06/12/1991). Né risponde al vero che nel contesto del capo di imputazione la
menzione della qualifica rivestita dagli imputati abbia la funzione di limiatre
la contestazione ai rapporti di ciascuno con i propri sottoposti appartenenti
alla squdra, perché tale lmitazione non è desumible neppure implicitamente; la
menzione della qualifica rivestita è funzionale solo a indicre a quale titolo
gli imputati erano presenti e ad evidenzire la competenza professione e la
titolarità di funzione direttiva idonee a consentire loro di valutare la condotta
di tutti i presenti.
LA PRESUNTA AGGRESSIONE ALL’AGENTE NUCERA
Uno dei fatti
più eclatanti riferiti nella CNR, nel verbale di arresto e, ovviamente, nelle
annotazioni di servizio redatte dal Nucera e dal Panzieri è costituito dal vero
e proprio tentato omicidio del quale il predetto Nucera sarebebe stato vittima,
e che è stato addotto come grave elemento di conferma dell’atteggiamento di violenta
resistenza incontrato dagli operatori all’ingresso nella scuola.
Ma a parte la
elementare considerazione che se anche tale episodio si fosse effettivamente verificato,
per la sua unicità ed il confinamento in un ristrettissimo ambito soggettivo e
spaziale non avrebbe comunque giustificato l’aggressione a tutti gli altri
occupanti la scuola, la Corte rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, l’episodio costituisce una delle più gravi e – ci si perdoni
l’iperbole – sfrontate messe in scena di questo processo.
Il Tribunale ha
già riportato per esteso le diverse versioni del fatto fornite dal Nucera e dal
collega Panzieri che avrebbe assistito all’episodio.
È sufficiente in
questa sede ripercorrere gli aspetti più salienti e significativi:
-
nella annotazione di servizio
redatta alle ore 03.00 del 22 luglio l’agente Nucera ha riferito di essere
salito con la propria squadra al primo piano, di aver percorso tutto il corridoio
e, giunto davanti all’ultima stanza a destra, di avervi fatto irruzione sfondando
la porta; entrato per primo, seguito dall’Ispettore Panzieri, veniva affrontato
da un giovane alto circa mt 1,70 che urlava frasi indistinte e che gli puntò alla
gola un coltello impugnato con la mano destra ed il braccio teso; esso Nucera
utilizzando lo sfollagente colpiva al torace il giovane riuscendo ad
allontanarlo da sé; quest’ultimo, però, con mossa fulminea colpiva il Nucera “vigorosamente
al torace facendo al contempo un rapido salto all’indietro”. Prosegue
l’annotazione narrando che Panzieri e altri colleghi bloccavano prontamente l’aggressore
che veniva portato al piano terra nel punto di raccolta; quindi immediatamente dopo
il Nucera si avvedeva della presenza a terra nel punto della colluttazione di un
coltello e lo raccoglieva quale arma usata dall’aggressore. Poi, scendendo le
scale, si avvedeva di aver riportato un taglio sulla giubba nel punto in cui
era stato colpito, nonché un corrispondente taglio anche sul corpetto interno
di protezione. Solo allora capiva di essere stato colpito dalla punta del
coltello, per cui si precipitava al piano terreno per individuare l’aggressore
ma non riusciva a riconoscerlo fra i presenti; né riusciva a ricordare chi erano
i colleghi presenti che avevano fermato l‘aggressore, senza peraltro separarlo
dagli altri non sapendo cosa fosse realmente successo.
-
A seguito di perizia disposta dal
P.M., la quale verificava che i due tagli sulla giubba non potevano essere
conseguenza di un solo colpo, ma almeno di due, il Nucera, nell’interrogatorio
del 07/10/2002 mutava versione dei fatti: “… Questa persona cominciò ad urlare ma non sono riuscito ad intendere
cosa perché forse parlava una lingua straniera che non ho riconosciuto, nello
stesso tempo tendeva il braccio destro verso di me. A quel punto io l’ho
affrontato colpendolo al torace con il corpo proteso in avanti e impugnando il
tonfa all’impugnatura con la mano destra e nella parte lunga con il braccio
sinistro. Ho avuto la sensazione però di essere stato colpito anche io, forse
proprio perché mi ero proteso troppo con il corpo in avanti. La persona
indietreggiando sempre con il braccio teso in avanti stava per perdere
l’equilibrio ed ha cercato a questo punto di aggrapparsi a me, al mio braccio,
senza riuscirvi, nel frattempo riuscendo però a sferrare un altro colpo che mi
raggiungeva sempre nella parte frontale. Cadeva infine a terra e io nell’impeto
l’ho scavalcato, dopodiché i miei colleghi lo hanno immobilizzato,
trascinandolo via e lo allontanavano del tutto”.
Tali versioni
sono, ciascuna in sé considerata, inattendibili e valutate contestualmente
fonte di insanabile contrasto.
-
Il Nucera ha riferito nell’interrogatorio
di essere più alto dell’aggressore: fronteggiandosi i due antagonisti a braccia
tese, come riferito dal Nucera, ed essendo egli avvantaggiato dalla lunghezza
maggiore del braccio e da tutta la lunghezza del manganello con il quale ha
allontanato l’avversario, non è possibile che Nucera sia stato colpito dall’antagonista,
per quanto esso imputato fosse proteso in avanti, perché ciò sarebbe stato possibile
solo se, con modalità del tutto illogica (e contraria a quanto riferito dallo stesso Nucera), avesse sospinto l’avversario
tenendo il tonfa con il braccio flesso. Soprattutto non è comprensibile che
l’antagonista abbia potuto colpire Nucera, con la forza necessaria a tagliare
sia il giubbotto, sia la pettorina in plastica sottostante, facendo un rapido
salto indietro: contrasta con le più elementari e note leggi della fisica che un corpo, già alla massima
distanza possibile da quello che lo fronteggia, muovendosi all’indietro possa
ancora non solo colpire, ma anche solo toccare l’altro corpo.
Quanto sopra osservato
vale anche in relazione alla seconda versione dei fatti secondo la quale il
Nucera avrebbe avuto la sensazione (quindi non si sarebbe trattato di un colpo
violento) di essere stato attinto (una prima volta) per essersi proteso troppo
verso l’antagonista (ma allora egli non sarebbe riuscito ad allontanarlo
puntandogli il tonfa al torace, come da lui sostenuto); a questo punto
l’aggressore sempre indietreggiando con il braccio teso (e quindi senza più possibilità
di contatto con il Nucera), perso l‘equilibrio avrebbe cercato, senza
riuscirci, di aggrapparsi al braccio del Nucera, tuttavia riuscendo a sferrare
un altro colpo che raggiungeva il predetto al torace; infine il Nucera sarebbe
quasi rotolato addosso all’antagonista. Questa seconda versione è ancora più
incredibile della prima: l’aggressore allontanato all’indietro perde l’equilibrio,
non riesce a sorreggersi e quindi non trova alcun punto di appoggio e prosegue
la caduta all’indietro, ma tuttavia mentre si allontana sempre più dal Nucera
riesce a sferrare il secondo colpo, quello più violento, che attinge al petto
il poliziotto provocando la seconda lacerazione sia al giubbotto sia al corpetto
protettivo sottostante. L’assurdità di tale tesi è “in re ipsa” per l’insita
impossibilità oggettiva che i fatti possano essersi svolti in tal modo.
Oltre all’intrinseca
inattendibilità di ciascuna di dette versioni, non può non rimarcarsi la evidente
diversità ed incompatibilità reciproca fra le stesse, nonché la direzione
assunta dal notevole mutamento di strategia difensiva, coerente con le
risultanze della perizia di parte del P.M. che aveva escluso la compatibilità
delle lacerazioni sugli abiti con la dinamica dei fatti riferita dal Nucera nella
annotazione di servizio. È evidente che nella prima versione dei fatti il
Nucera ha riferito di essere stato attinto da un solo colpo, mentre nella seconda
ne ha riferiti due, e trattasi di differenza sostanziale, non giustificata dal
Nucera, e spiegabile solo con l’esito della perizia alla quale egli intendeva allineare
le proprie dichiarazioni.
A quanto sopra
deve aggiungersi anche l’incompatibilità con le versioni rese dal coimputato
Panzieri, anch’essa significativa della insussistenza dell’aggressione.
-
Nelle relazione di servizio del
22/07/2001 Panzieri riferisce, per avervi assistito, l’episodio in cui Nucera
entrava in colluttazione con un aggressore sconosciuto che teneva un oggetto in
mano, aggressore che veniva fermato e accompagnato al centro di raccolta;
viceversa nell’interrogatorio del 24/07/2003 Panzieri ha sostenuto che “NUCERA
entra insieme al collega... quell’altro collega e io stavo di... di fianco
al... al battente e ho visto questa persona che... fra il chiaro e il buio che
veniva avanti questa ombra, che aveva il braccio alzato, una specie di pugno
alzato, non so se fosse un qualche oggetto o qualcosa. E basta, perché poi in
quel punto lì io ho lasciato e non sono... non so se l’hanno preso... chi l’ha
preso questo, chi l’ha arrestato, non lo so, perché io poi sono scappato di
sopra... mi ricordo bene il punto delle scale perché sono scappato.” Nella
seconda versione il Panzieri sostiene di non aver visto neppure alcun oggetto
in mano all’aggressore e di essersi subito allontanato senza neanche sapere se
l’aggressore fosse stato neutralizzato. Appare evidente la presa di distanza di
Panzieri dall’episodio, sia con riferimento al possesso di un oggetto da parte
dell’aggressore, sia con riferimento al suo fermo. Così come appaiono eclatanti
le divergenze rispetto alle versioni fornite dal Nucera, che ha indicato il
Panzieri come collega partecipe in tutto e per tutto all’episodio dall’inizio
alla fine, compresa la neutralizzazione dell’aggressore ed il suo trasporto al
centro di raccolta.
Ulteriore
incongruenza grave è ravvisabile nella tesi sostenuta dal Nucera secondo la
quale egli non si sarebbe accorto subito di essere stato accoltellato, ma solo
in un secondo momento, vedendo il coltello a terra, avrebbe capito che quello
era l’oggetto impugnato dall’aggressore, ed in un successivo momento ancora,
accortosi per caso del taglio al giubbotto, avrebbe capito di essere stato
vittima di un accoltellamento; ma ormai, a suo dire, era troppo tardi per
identificare l’aggressore. Nella annotazione il Nucera aveva riferito fin da
subito di aver visto che l’aggressore impugnava a braccio teso un coltello
puntandoglielo alla gola; il successivo mutamento di versione secondo la quale
l’aggressore avrebbe solo proteso un braccio in avanti non ha alcun senso, e
non spiega la repentina azione difensiva intrapresa dal Nucera; la
consapevolezza dell’uso del coltello da parte dell’aggressore e la percezione
di un colpo vigoroso al torace (prima versione) e di due colpi (seconda
versione) esclude che il Nucera abbia potuto sottovalutare la gravità dell’episodio
ed essersi allarmato solo dopo aver visto il taglio. In realtà questo tardivo
tentativo di dilazionare il momento di presa di coscienza circa la gravità del
fatto serve a fornire la spiegazione dell’incredibile circostanza della mancata
identificazione e del mancato arresto dell’autore di un tentato omicidio (o
quantomeno di un’aggressione con arma bianca) nel contesto di un’operazione di messa in sicurezza realizzata con una
quantità di uomini diverse volte multipla del numero dei presenti nella scuola.
Ulteriore
elemento di dubbio sulla dinamica dei fatti è rappresentato da quanto riferito
dell’imputato Luperi nel suo interrogatorio del 07/07/2003: appreso l’episodio
direttamente da Nucera, questi gli avrebbe riferito che l’aggressore era riuscito
a scappare e a dileguarsi, versione confermata anche dopo la contestazione
della diversa dinamica riferita da Nucera circa l’immediata immobilizzazione dell’aggressore.
Costituisce, in
ogni caso, inspiegabile anomalia il fatto che in una operazione come quella in
esame, finalizzata ad arrestare violenti attivisti, nella quale secondo le tesi
sostenute fin da subito gli operatori si sono trovati a dover affrontare atti
di resistenza violenta, l’attentatore armato di coltello che aveva aggredito un
agente, dopo essere stato prontamente immobilizzato, viene perso nel mucchio
degli arrestati e non più identificato. A parte il fatto che la gravità
dell’episodio era chiara fin da subito, in ogni caso si sarebbe trattato di un
episodio di aggressione che avrebbe consentito l’unica attribuzione certa di un
fatto di resistenza ad un responsabile ben individuato (contrariamente a quanto
invece è poi accaduto, come emergerà nell’esame degli atti di P.G., ove mancano
attribuzione specifiche ed individuali di fatti illeciti), e quindi nessuna
dilazione o trascuratezza era giustificabile.
Ma, ancora, la
tesi della mancata identificazione dell’aggressore non è credibile per un‘ulteriore
considerazione. Risulta contrario contemporaneamente a qualsiasi massima di
esperienza e ad elementare regola di comportamento della polizia giudiziaria
(ma anche offensivo per l’intelligenza di chiunque) che il né il Nucera, né i
suoi superiori ai quali sarebbe stato riferito l’episodio, constatata la
commissione di un tentato omicidio, nella necessaria consapevolezza che il
responsabile si trovava comunque ancora all’interno della scuola insieme con le
altre persone arrestate, non abbiano fatto nulla per identificarlo. Si consideri
che il Nucera afferma di aver subito trovato l’arma del delitto (che risulta
anche fotografata quale reperto sequestrato), per cui sarebbe bastato eseguire
una indagine sulle impronte digitali per cercare di identificare quale fra gli
arrestati fosse il responsabile dell’aggressione. Il fatto che non si sia
neppure tentato né questo né altro approccio investigativo denota senza ombra
di dubbio che l’episodio è stato inventato di sana pianta.
In tale quadro
di molteplici e convergenti elementi di valutazione che concorrono a ritenere
insussistente l’episodio dell’aggressione armata a Nucera, le risultanze della
perizia svolta in incidente probatorio, secondo la quale le lacerazioni sugli
indumenti sarebbero compatibili con la seconda versione dei fatti fornita da
Nucera sono irrilevanti. Innanzi tutto il mero giudizio di compatibilità da un
lato non prova nulla in positivo circa l’effettivo accadimento dell’episodio,
dall’altro lascia inalterato il giudizio di inattendibilità della seconda
versione fornita dal Nucera, incompatibile con la prima e sorta solo dopo che la
perizia del P.M. aveva sconfessato tale prima versione (come lo stesso perito
ha confermato).
In secondo luogo
la Corte non ravvisa nella perizia alcuna convincente argomentazione che consenta
di superare i dubbi che le versioni fornite dal Nucera ingenerano circa la
possibilità oggettiva che i fatti siano andati nel modo da lui descritti; in
particolare il nucleo fondamentale delle due versioni consiste nell’affermazione
che l’aggressore, mentre stava cadendo indietro e aveva perso l’equilibrio, quando
già si trovava alla distanza massima consentita dall’estensione delle braccia e
della lunghezza del manganello, abbia potuto attingere il torace del Nucera, per
di più con la intensità e la forza necessarie a tagliare sia il giubbotto sia
il corpetto protettivo sottostante. Non si rinviene nella perizia alcuna
spiegazione di come sia possibile tale dinamica, che contrasta che le più
elementari e note leggi della fisica (in particolare quella della gravità).
Il Tribunale,
non prendendo posizione sul fatto storico dell’accadimento dell’aggressione (“non appare dunque possibile ritenere provata
con la dovuta certezza né la falsità dell’aggressione in esame né il suo reale
accadimento”) ha esposto alcune considerazioni giustificative della condotta
del Nucera, nonché elementi di dubbio sulla possibilità che si sia trattato di una
artata costruzione, che la Corte non condivide.
Sostiene il
primo giudice che “la prima versione
venne da lui (Nucera) redatta assai
sommariamente nell’immediatezza del fatto, quando ancora poteva essere confuso
per quanto accadutogli e non del tutto consapevole della necessità di essere
particolarmente preciso nella descrizione dei fatti”: ma l’affermazione urta
frontalmente con quanto riferito dal teste Gallo Nicola, incaricato di redige
la CNR, il quale nella deposizione del 18/04/2007, consapevole della importanza
dell’episodio riferito da Nucera e della sua probabile inesperienza nel redigere
atti di P.G., lo esortò più volte alla chiarezza e completezza di esposizione “gli dissi: qui devi scrivere tutto, come
sono andati, nei minimi particolari, quando sei entrato, chi c’era, chi non
c’era, anche per dire c’erano molte persone, poco, chi ti ha aiutato… devi essere chiaro nei minimi particolari…
gli consigliai di essere chiaro fino al
punto di scrivere anche dettagli che a lui potevano parere insignificanti, cioè
quando è entrato, con che mano l’ha colpito… è importante che tu scriva tutto quello che è successo, dalla luce,
dall’intensità della luce, in quanti eravate, chi c’era dietro di te che può
confermare tutto quello.” Deve pertanto escludersi qualsiasi stato
confusionale e superficialità per mancata consapevolezza dell’importanza dell’annotazione
posto che la redazione della medesima è stata seguita personalmente dal Gallo
con le esortazioni al Nucera più sopra viste.
Richiama, poi,
il Tribunale “lo scarso interesse
personale sia del Nucera sia del Panzieri, per di più soltanto aggregato al VII
Nucleo, a creare false prove di una resistenza violenta da parte di coloro che
si trovavano nella Diaz”.
L’affermazione
si connota per mancanza assoluta di atteggiamento critico che sempre deve
assistere il giudice nell’esame
delle fonti di prova tanto più che essa si colloca in un processo nel quale lo
stesso il Tribunale ha dovuto
riconoscere la falsità di atti finalizzata alla calunnia e l’introduzione
abusiva nella scuola delle bottiglie “molotov” in realtà ritrovate altrove. Tale
modo di argomentare denota anche la visione parcellizzata del processo, come
sue si trattasse di una serie di fatti separati l’uno dall’altro, solo occasionalmente
accaduti nel medesimo contesto spazio - temporale per una sorta di diabolica
coincidenza. In realtà la visione d’insieme dei fatti che il Tribunale ben aveva
di fronte avrebbe dovuto indurlo a trovare il movente della condotta di Nucera
(come di coloro che portarono le false molotov) nella necessità di attribuire
agli arrestati una serie coerente di fatti di reato tali da giustificare
l’operazione e gli arresti stessi, una volta verificato l’esito infelice dell’irruzione.
Si pensi ancora alla circostanza pacifica, pure trascurata dal Tribunale, che sono
state smontate le intelaiature in metallo di sostegno degli zaini e sono state
presentate e sequestrate come armi. Appare indubbio che l’attività di
asportazione delle barre metalliche esclude in radice possibili soggettivi
errori di valutazione sulla natura e la funzione di tali barre (problemi
interpretativi che avrebbero potuto porsi se le stesse fossero state trovate già
separate dagli zaini); viceversa la condotta di estrarle e poi ritenerle armi
denota la dolosa preordinazione di una falsa accusa. Indubbiamente ci saranno
stati uno o più operatori che hanno proceduto in tal senso, i quali altrettanto
certamente non avevano un interesse
personale a far ciò, ma evidentemente compivano una attività loro richiesta, o
suggerita, che costituiva un tassello della più amia opera mistificatoria in
corso. Lo stesso vale per quanto compiuto da Nucera e Panzieri.
Prosegue il
Tribunale a sostegno della inattendibilità dell’ipotesi delittuosa, che “si dovrebbe ritenere che il Nucera fosse già
in possesso del coltello poi sequestrato e che nel breve tempo dell’irruzione,
mentre numerosi suoi colleghi procedevano nell’operazione, con la
partecipazione del Panzieri o comunque alla sua presenza, abbia avuto il tempo
di colpirsi o farsi colpire, con i rischi anche fisici che ciò poteva
comportare, ovvero di togliersi la giacca ed il corpetto, risistemarli insieme
sul pavimento o su un tavolo, in posizione tale da simulare che gli stessi
fossero regolarmente indossati, e quindi di colpirli con il coltello”.
Francamente non
si vede quale potesse essere il problema per un operatore di polizia nel
possedere un coltello: si pensi che diverse parti offese (Doherty Nicole Anne, Moth
Richard, Robert Pollok, Rafael Galloway,
Ian Farrel) hanno riferito che durante il pestaggio
alcuni poliziotti muniti di coltello tagliavano ciocche di capelli che
conservavano come “trofei”; senza considerare il notevole numero di coltelli sequestrati,
che ben possono essere stati usati prima di essere effettivamente raccolti fra
i reperti. Quanto alla condotta necessaria per procurare le lacerazioni agli
indumenti, escluso che Nucera abbia avuto bisogno di farsi colpire effettivamente
rischiando la propria incolumità, vi era tutto il tempo e la possibilità in una
delle numerose aule e utilizzando uno dei numerosi banchi o cattedre
scolastiche, per stendere gli indumenti uno dentro l’altro come risultano
quando sono indossati, e procurare i tagli con un coltello affilato.
Le perplessità
segnalate, e le giustificazioni avanzate dal Tribunale non hanno, quindi, alcun
pregio di fronte all’evidenza delle molteplici concordi ed univoche circostanze
attestanti la falsità dell’episodio.
In relazione a
questo episodio a carico di Nucera e Panzieri sono stati formulati specifici
capi di imputazione:
per il delitto
di falso aggravato (I ed M) in concorso fra loro e con gli altri coimputati sottoscrittori
degli atti nonché di Gratteri, Luperi e Canterini;
per il delitto di
calunnia aggravata (L e N) in concorso fra loro e con i coimputati indicati al
capo B (Luperi e Gratteri) nonché, per il rimando operato dal capo B al capo A,
anche in concorso con tutti i sottoscrittori degli atti.
Pertanto
l’analisi dei profili di responsabilità specificamente attribuibili ai due
imputati verrà condotta unitamente a quella degli altri coimputati. In questa
fase è solo opportuno rilevare che la calunnia addebitata a Nucera e Panzieri
ha lo stesso contenuto oggettivo di quella contestata agli altri coimputati,
contenuto consistente nella falsa
accusa agli arrestati, con la consapevolezza della loro innocenza, di essersi
resi responsabili dei delitti di associazione a delinquere finalizzata alla
devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata a pubblico ufficiale,
possesso di congegni esplosivi ed armi improprie. Tale condotta calunniatrice è
stata realizzata mediante le false annotazioni dell’aggressione a Nucera,
utilizzate a corroborare la falsa accusa di resistenza contenuta nella CNR, alla
quale le due annotazioni sono state allegate. In altri termini la calunnia contestata
ai capi L e N non si riferisce al falso addebito del reato di tentato omicidio
a carico di soggetto rimasto ignoto, in quanto tale condotta integra gli
estremi della simulazione di reato; infatti “Il delitto di calunnia sussiste anche quando l'incolpazione venga
formulata attraverso la simulazione a carico di una persona, non specificamente
indicata ma identificabile, delle tracce di un determinato reato - nella forma,
cioè, della incolpazione cosiddetta reale o indiretta - purché la falsa
incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti all'inizio
dell'azione penale nei confronti di un soggetto univocamente e agevolmente
identificabile” (Sez. 6, Sentenza n. 4537 del 09/01/2009), e nel caso di
specie non è possibile identificare univocamente ed agevolmente il soggetto calunniato,
non essendo a ciò sufficiente che si tratti di uno fra i soggetti arrestati. In
definitiva la simulazione del reato di tentato omicidio rappresenta la modalità
con la quale, unitamente alla sottoscrizione dei verbali di perquisizione e di
arresto, la condotta calunniatrice di Nucera e Panzieri si è concretata a danno
di tutti gli arrestati.
LE BOTTIGLIE MOLOTOV
Nella CNR viene
riferito il ritrovamento di bottiglie incendiarie tipo “molotov” al “primo piano dell’edificio in luogo visibile
ed accessibile a tutti gli occupanti”; nel verbale di perquisizione e
sequestro le bottiglie sono localizzate “nella
sala di ingresso ubicata al pian terreno”.
La detenzione
illecita di tali ordigni è stata attribuita a tutti i soggetti arrestati in
forza dell’inciso sopra riportato della “visibilità ed accessibilità” a tutti i
presenti.
È ammesso dalle
difese di tutti gli imputati che in realtà tali ordigni non erano presenti
quella sera nella scuola Pertini, ma lì sono stati trasportati dall’esterno.
Solo la difesa dell’imputato Troiani ha sollevato dubbi sulla possibilità di
identificare le bottiglie sequestrate alla Diaz come quelle in realtà trovate
nel pomeriggio in via Medaglie d’Oro di Lunga Navigazione dall’ispettore Pasquale
Guaglione, e sulla identificazione del Burgio quale autista del mezzo sul quale
le bottiglie erano state sistemate dopo il ritrovamento. Ma tali dubbi, anche
alla luce delle ammissioni di
Troiani nel corso dei suoi interrogatori (ammissioni delle quali si dirà
in seguito), non inficiano la pacifica circostanza che le molotov non erano
nella scuola Pertini. Del resto ulteriore conferma si desume dalle obiettive
risultanze delle indagini su tutti i sequestri di bottiglie Molotov compiuti a
Genova in occasione del vertice G8, che dimostrano come le uniche bottiglie
rinvenute con le caratteristiche descritte sono quelle “formalmente”
sequestrate nel corso della perquisizione alla scuola Diaz (come da deposizione
all’udienza 10/01/2007del teste Dott. Gonan Giuseppe, nuovo dirigente DIGOS di
Genova dall’11/09/2002).
È emerso nel corso
del dibattimento, allorché sorse la necessità di visionare tali reperti, che
gli stessi sono scomparsi; secondo la Questura di Genova perché accidentalmente
distrutti per errore dell’artificiere incaricato della distruzione di altri
reperti, ma secondo le successive indagini svolte dalla Procura, la cui
acquisizione al processo non è stata ammessa dal Tribunale, perché intenzionalmente
asportate da ignoti funzionari mediante pressioni sul predetto artificiere.
È pacifico in
causa che:
-
il dott. Guaglione rinviene le
due bottiglie Molotov in un sacchetto di plastica a seguito delle operazioni di
bonifica e perlustrazione della zona appena percorsa dagli scontri in Corso
Italia;
-
il sacchetto viene preso in
custodia dal dott. Donnini che lo depone su un automezzo blindato nella sua
disponibilità; egli ha affermato di aver preso l’iniziativa di collocare le
bottiglie al sicuro su un mezzo di cui aveva la disponibilità, così liberando
il dott. Guaglione ed il personale di questi dalla difficoltà di trasporto e
detenzione dei due ordigni incendiari;
-
il mezzo si allontana con il
risultato che al Guaglione non resta che dare atto della sua attività e
relazionare al proprio dirigente in merito;
-
al rientro in Questura Guaglione
trova il dott. Piccolotti intento alla stesura della relazione giornaliera, e
gli fa presente la necessità di menzionare il ritrovamento delle bottiglie,
avendone perso il possesso, e la loro consegna al Donnini. Queste circostanze
sono state confermate al dibattimento dalla testimonianza del dott. Piccolotti,
anche se questi non intese menzionare il Donnini nella relazione.
L’identificazione
del Burgio quale autista del mezzo sul quale Donnini aveva riposto le molotov è avvenuta in base alla
deposizione del Donnini che si è rifatto alle connotazioni fisiche di tale
autista da lui ben conosciuto (corporatura prestante e massiccia, come tale
inconfondibile e unica rispetto alla corporatura degli altri autisti) ed al
riscontro documentale degli ordini di servizio relativi all’assegnazione dei
mezzi ai vari autisti; tale collegamento fra Burgio e mezzo sul quale aveva
riposto le molotov, se non è stato espresso in termini di assoluta certezza per
il tragitto da Corso Italia alla Questura, lo è stato viceversa per il
successivo tragitto, sempre sul medesimo “magnum”, dalla Questura alla zona Foce,
ove era acquartierato il Donnini; che tali viaggi siano potuti avvenire senza
riprendere consapevolezza della presenza a bordo delle molotov non è escluso
dall’odore delle stesse, posto che la presenza del cappuccio che ricopriva gli
stoppini evitava la propagazione dell’odore;
successivamente
al Donnini viene chiesto di reperire personale e mezzi per organizzare i famosi
“pattuglioni”, per cui il “magnum” con le molotov viene in tale attività impiegato
ad opera dell’imputato Troiani in tal senso incaricato da Donnnini. Poi, dopo
il rapido rientro in Questura a seguito dell’aggressione al convoglio in via
Battisti, tale “magnum” è impegnato insieme con gli altri mezzi per
l’operazione alla scuola Diaz Pertini. Questa, in base alla deposizione di
Donnini, è la ricostruzione più probabile che può farsi del percorso seguito
dal mezzo e dalle molotov dal loro ritrovamento fino all’arrivo alla Diaz
Pertini.
Sta di fatto che
l’imputato Troiani, incaricato della cinturazione esterna, e l’autista Burgio
compaiono alla Pertini, come rappresentato nel filmato che li riprende: in
particolare l’autista Burgio è visto abbandonare il “magnum” in piazza Merani
(operazione irregolare in assenza di eventi straordinari e imprevedibili) e recarsi
nel cortile della scuola Pertini, ove è ripreso nelle vicinanze del gruppo di
funzionari che maneggia il sacchetto contenente le molotov, per poi tornare al
suo mezzo.
Al fine di
analizzare la vicenda dell’arrivo e della gestione delle molotov presso la
scuola Pertini occorre prendere le mosse dalle dichiarazioni rese dall’imputato
Troiani.
Egli ha più
volte fornito particolari diversi dei fatti nel corso dei vari interrogatori,
ma è comunque rinvenibile un nucleo solido e certo: nell’interrogatorio del 09/07/2002
Troiani ha ammesso di essere stato consapevole di trasportare le molotov sul
mezzo guidato da Burgio nel tragitto dalla Questura a Piazza Merani, proprio
perché avvisato dal Burgio prima di partire; ha ammesso di aver chiesto al
Burgio, che era rimasto con il mezzo in Piazza Merani, di portare le molotov ad
esso Troiani che si trovava nel cortile della scuola Pertini; ha ammesso di
aver consegnato le bottiglie molotov nel cortile della scuola al collega Di Bernardini,
ben conosciuto quale compagno di corso, che esso Troiani sapeva intento a
procedere alla perquisizione, spiegando agli inquirenti tale condotta con l’intento
di disfarsi di tale molotov non avendo né voglia né tempo di stilare un verbale
di sequestro, e chiedendo che a ciò provvedesse il Di Bernardini.
Di Bernardini, a
sua volta, è costretto ad ammettere, in contrasto con le originarie
affermazioni già rese alla A.G. (secondo cui le bottiglie Molotov erano state
trovate “nello stanzone” della scuola e pertanto attribuibili a tutti gli
occupanti), di aver effettivamente incontrato il dott. Troiani che lo aveva
chiamato dall’esterno, consegnandogli o comunque facendogli visionare il
reperto che era stato così messo a sua disposizione; egli, pur descrivendo la
scena della consegna come avvenuta all’esterno dell’edificio, nel cortile,
sulla soglia del portone, secondo l’ultima versione, nega di aver avuto o
richiesto notizie sulle modalità e sul luogo del ritrovamento delle molotov,
né, addirittura, sul motivo per cui Troiani gliele consegnava. Il Di
Bernardini, in coerenza con l’assetto gerarchico esistente, si sarebbe limitato
ad investire del problema creato con la consegna delle molotov il suo superiore
diretto di riferimento, il dott. Caldarozzi, presente nel cortile insieme con
tutti gli altri funzionari apicali. Queste circostanze sono documentalmente
riscontrate dalle riprese filmate che mostrano la scena nella quale l’intero
gruppo di funzionari responsabili dei reparti impegnati alla perquisizione e i
due superiori gerarchici apicali Luperi e Gratteri sono attorno alle bottiglie
Molotov appena consegnate.
Solo dopo la
contestazione delle dichiarazioni altrui, il dott. Caldarozzi, che in occasione
del precedente interrogatorio in merito alla perquisizione nulla aveva riferito
in proposito, ammette non solo la fugace visione delle bottiglie in mano a Di
Bernardini, ma il contatto diretto con il reperto, nelle modalità riferite da
Di Bernardini, confermando che quest’ultimo lo pose alla sua diretta attenzione
non all’interno dell’edificio, ma nel cortile (interrogatorio 02/07/2002);
peraltro anche lui non avrebbe chiesto informazioni sulla provenienza e sulle modalità
di rinvenimento delle bottiglie molotov.
Il dott.
Mortola, silenzioso in merito al reperto fino alla contestazione della falsità
degli atti di p.g. sul punto, nei suoi interrogatori riferisce di essre stato
avvicinato da due ignoti agenti del reparto mobile che gli avrebbero mostrato
le bottiglie molotov in un sacchetto. Egli afferma di non aver avuto alcun
particolare interesse al rinvenimento di tale reperto e di non aver chiesto
spiegazioni o maggiori dettagli agli agenti, impartendo soltanto l’ordine di
riporre le bottiglie sopra il telo nero che era già steso nel luogo convenuto
di raccolta di tutti gli oggetti sequestrati; tale versione è mantenuta ferma
anche dopo la contestazione delle
diverse versioni fornite da Troiani, Di Bernardini e Caldarozzi, che attestano
una diversa modalità di arrivo delle molotov sulla scena, e pur dopo la visione
del filmato rep. 199 che ritrae Mortola insieme con gli altri funzionari
davanti a Luperi che tiene il sacchetto con le bottiglie incendiarie.
Il dott.
Gratteri, nel primo interrogatorio (29/06/2002) ha sostenuto che avrebbe visto
le molotov, per la prima ed unica volta, in mano ad un operatore in borghese
che le portava senza il sacchetto, aggirandosi nel cortile come per mostrarle;
tale soggetto non è stato riconosciuto dal Gratteri nell’assistente Catania,
rammostratogli in foto il quale, finite le operazioni, effettivamente riportava
le molotov in Questura tenendole in mano senza sacchetto; nel secondo
interrogatorio (30/07/2002) ha ammesso che subito qualcosa deve essergli stato
riferito da Caldarozzi, anche se non chiese nulla e, pur essendo la scena
avvenuta nel cortile, diede per scontato che le molotov fossero state ritrovate
durante la perquisizione; ha riferito di non ricordare la scena, ripresa nel
rep. 199 e rammostratagli, in cui si trovava in presenza degli altri funzionari
e di Luperi che tiene in mano il sacchetto con gli ordigni.
Il Dott. Luperi,
dopo aver negato qualsiasi contatto con le molotov, messo di fronte
all’evidenza del filmato rep. 199 ha ammesso di aver ricevuto il sacchetto da Caldarozzi
e sostiene che prima Mortola lo avrebbe informato del ritrovamento; ha ammesso
che il gruppo di funzionari in quell’occasione discusse delle bottiglie; poi
riferisce di aver compiuto una telefonata tenendo in mano il sacchetto, e
all’esito, essendosi disciolto il gruppo di funzionari ed essendosi ritrovato
solo, avrebbe affidato il sacchetto con le molotov alla Dott.ssa Mengoni della
Digos di Firenze, primo ufficiale di PG che riconobbe sul posto; conferma di
aver rivisto le bottiglie molotov (ma ancora nel sacchetto) sullo striscione steso
nella scuola sul quale erano stati sistemati tutti i reperti in sequestro.
La Dott.ssa
Mengoni, dal canto suo, ha riferito che avvicinatasi al cancello di accesso al
cortile della scuola Pertini con i suoi tre colleghi, venne chiamata dal Luperi
che teneva in mano il sacchetto con le due bottiglie; avuta la consegna il
Luperi le avrebbe detto di conservarle al sicuro fra i reperti, essendo
pericolose; a questo punto la teste Mengoni, che si doveva preoccupare di
conservare tali pericolosi reperti e non sapeva bene come, perde di vista i tre
uomini del suo gruppo, che non può rintracciare telefonicamente perché il suo
cellulare era rotto, e decide di chiamare dall’esterno un collega della DIGOS
di Napoli del quale non ricorda il nome. Con tale collega entra dall’ingresso
secondario di sinistra della scuola e in un atrio vuoto lontano dal passaggio
di persone ripone il sacchetto con le molotov dicendo al collega napoletano di
stare fermo lì mentre lei andava in cerca dei colleghi; trovati i tre colleghi
e tornata con loro nell’atrio predetto, la teste non rinviene più né il collega
di Napoli né il sacchetto con le bottiglie Molotov. Si dirige subito verso la
palestra (unico luogo dove vi erano altre persone) e qui vede le bottiglie senza
sacchetto poste su uno striscione nero insieme agli altri oggetti sequestrati;
confermava che nel filmato reperto 172 parte 2 si intravede lo striscione
mentre viene posto a terra proprio davanti al dottor Luperi, al dottor
Caldarozzi e al dottor Gratteri.
L’identificazione
dei protagonisti di questa importante fase degli avvenitmenti oggetto del
processo non è dubbia, perché in primo luogo nessun imputato contesta la
propria apparizione nel filmato e, in secondo luogo, il teste Salvemini (in
servizio alla Questura di Palermo e aggregato alla Questura di Genova, da
giugno a settembre 2002, per compiere indagini esclusivamente in ordine ai
fatti oggetto del presente processo) afferma (udienza 10/01/07) che nel filmato
Rep. 199 min. 8,55 si intravededono dalla sinistra il dr. Caldarozzi, il dr.
Luperi, di spalle con la giacca blu, il dr. Fiorentino, con il completo grigio,
il dr. Canterini, di spalle con le maniche della divisa rivoltate; alla destra
del dr. Canterini il dr. Mortola ed il dr. Murgolo; all’estrema destra il dr.
Gratteri in giacca; all’interno della palestra si vede una persona in abiti
civili con il telefono è il V. Sovr. Alagna della Digos di Genova; all’estrema
destra vi è il dr. Troiani, di cui si vede solo il volto.
In base alla
ricostruzione dei tempi desumibile dalla consulenza della parti civili, possono
scandirsii le seguenti fasi:
00:41:29:08 –
inizia la scena del c.d. “conciliabolo” ove compare Luperi con il sacchetto in
mano
00:41:35:17 –
Luperi risponde alla chiamata di La Barbera
00:41:39:13 –
finisce la ripresa dall’esterno
della cancellata
00:42:06 – finisce
la telefonata fra Luperi e La Barbera
00:42:56:08 –
riprende l’inquadratura del cortile
00:43:13:17 – si
vedono Gratteri e Mortola
00:43:15:06 – si
vedono Luperi e Caldarozzi
00:43:56:11 – si
vede Mortola al telefono, vicino
ad altri funzionari
00:44:01:16 – si
vede ancora Mortola che parla al
telefono. Sulla destra un gruppo di funzionari, Luperi compare alla sua
sinistra, si muove verso la porta laterale
00:44:02:12 –
Luperi incrocia un agente con casco che va verso la porta centrale
00:44:03:02 –
spunta la testa di Luperi all’altezza dell’angolo sinistro della finestra, poi
scompare perché la videocamera segue l’ingresso dell’agente dalla porta
centrale
00:44:08:09 – di
nuovo inquadrato Mortola al telefono
00:44:09:02 – di
nuovo inquadrato Luperi che ritorna verso Mortola
00:44:09:19 –
Luperi e Mortola sono vicini
00:44:10:14 – la
telecamera inquadra la porta laterale sinistra:compare un operatore di Polizia
che regge con un braccio un oggetto che assomiglia un casco e con l’altro un
oggetto che assomiglia ad un sacchetto
00:44:10:21
–mentre l’agente entra, Mortola e Luperi stanno parlando (a sinistra del palo,
lato destro prima della finestra)
00:44:16:18 –
Luperi e Mortola escono dal campo della ripresa
00:44:17:18 –
Mortola e Luperi parlano, poi Luperi si muove verso l’ingresso e si ferma
00:44:49:04 –
inizio della ripresa dell’ingresso della scuola (Gratteri parla con Luperi di
spalle). Dietro di loro stanno stendendo il telo scuro
00:45:01 – Calderozzi esce e rientra
00:45:03:13 –
Mortola entra nel quadro, da sinistra, sempre parlando al telefono
00.45:11:18 – si
vede Troiani dietro il gruppo con Mortola e Canterini in cortile
00:45:13:01 – si
vede Luperi di profilo, vicino a lui si trova Gratteri
00.45.16:21 – Caldarozzi,
Luperi e Gratteri all’interno vicino alla porta di ingresso
00:45:19:07 –
compare la mano guantata proprio dietro a Luperi, che poi si sposta verso
destra; compare il sacchetto azzurro che viene maneggiato dalla mano guantata
00:45:19:22 – il
sacchetto contiene oggetti a forma di bottiglia
00:45:21:02 –
ricompare la mano e un lembo del sacchetto
Analizzando ora
le singole posizioni degli imputati si impongono le seguenti considerazioni.
BURGIO
Egli è sicuramente
consapevole della presenza a bordo del “magnum” da lui guidato dalla Questura fino
alla Diaz delle due bottiglie molotov, e, su richiesta di Troiani, porta a
costui gli ordigni nel cortile della scuola Pertini; poi torna dal mezzo in
Piazza Merani.
Rileva la Corte
che Burgio, quale semplice autista, non risulta abbia mai condotto da solo il
”Magnum” con le bottiglie molotov a bordo; il ricovero degli ordigni su tale
mezzo alla presenza sempre di superiori funzionari che ne avevano la disponibilità
esclude la riferibilità della detenzione al Burgio, che si limitava ad eseguire
gli ordini di movimento via via impartitigli. Anche a voler ritenere la sindacabilità
(ma non si vede come, trattandosi di ordini di servizio che non avevano per
oggetto diretto il trasporto degli ordigni) di tali ordini di spostamento,
tuttavia la custodia delle bottiglie molotov all’interno di veicolo, quindi in ambito
istituzionale riferibile all’autorità di polizia e confinato rispetto al
pubblico, esclude l’illegittimità della detenzione e del porto delle armi le
quali legittimamente potevano essere condotte dal luogo di rinvenimento alla
Questura su un veicolo della Polizia. L’allungamento dei tempi di tale
trasporto o la vera e propria deviazione dal percorso che si sarebbe dovuto
seguire, in quanto disposti da superiori gerarchici senza manifestazione
esplicita degli intenti illegittimi di tali scelte, non possono essere imputati
a condotta illecita del Burgio.
Ad uguale
conclusione deve giungersi per il trasporto a mano degli ordigni dal “magnum”
posteggiato in Piazza Merani fino al cortile della scuola Pertini, perché trattasi
di adempimento di ordine ricevuto dal superiore Troiani, in relazione al quale
non vi è prova sufficiente che Burgio sapesse per quali scopi illeciti gli
ordigni venivano richiesti presso la scuola. Può anche ipotizzarsi che dopo
tutto quel tempo che trasportava le bottiglie a bordo del suo mezzo il Burgio
abbia avuto qualche sospetto sulla destinazione degli ordigni, e che il suo
coinvolgimento senza cautele particolari da parte del Troiani sia riferibile ad
una partecipazione cosciente del Burgio a quanto il primo stava facendo, ma trattasi
di semplici indizi che non assurgono al rango di prova.
Le
considerazioni che precedono, quindi, escludono la sussistenza di prova
sufficiente di responsabilità con riferimento sia alla imputazione di
detenzione e porto illegale di arma, sia di calunnia; in particolare non
sussistono chiari elementi che consentano di affermare che Burgio fosse
consapevole che le molotov venivano richieste presso la scuola Pertini perché la
detenzione ne fosse attribuita a tutti i presenti, che sarebbero stati accusati
falsamente di quello e di altri reati.
Consegue l’assoluzione
del Burgio da tutte le imputazioni ascrittegli.
TROIANI
Originariamente imputato
di sola calunnia, a seguito della formulazione di imputazione coatta e della
decisione della Corte di Cassazione (34966/07) che ha annullato la sentenza di
non luogo a procedere del GUP (27/07/2005), è accusato anche di falso in
concorso con Luperi, Gratteri ed i sottoscrittori degli atti trasmessi alla
A.G. in relazione alla introduzione delle molotov nella scuola. Il Tribunale ne
ha accertato la responsabilità per tutti i reati ascritti, e la sentenza merita
conferma tranne che per l’imputazione di calunnia.
Come si è visto
Troiani ha ammesso di aver trasportato le bottiglie molotov dalla Questura alla
scuola Diaz senza peraltro indicarne il motivo, pur essendo stato informato da
Burgio prima di partire della presenza degli ordigni a bordo del “magnum” (ordigni
che avrebbe ben potuto lasciare in Questura invece che portare con sè). Consegue
che quando consegna le bottiglie a Di Bernardini dicendo che erano state trovate
nel cortile della scuola, o sulla scale di ingresso del portone, o in Piazza Merani
vicino alle auto, o nel tragitto tra Piazza Merani ed il cortile della scuola,
dice dolosamente il falso a Di Bernardini secondo la sua stessa versione dei
fatti. Non solo, ma consegna le bottiglie in quanto oggetti degni di interesse
per i funzionari presenti, senza fornire alcuna spiegazione particolare di tale
consegna (come, ad esempio, quella riferita agli inquirenti di voler evitare di
redigere un verbale di sequestro). E non è vero quanto Troiani ha sostenuto
nell’interrogatorio predetto, cioè che non sapesse che era in corso una perquisizione, perché nelle
dichiarazioni rese come persona informata dei fatti, che rilette ha confermato
integralmente all’inizio dell’interrogatorio e sono state acquisite agli atti
del dibattimento, ha riferito di esser stato informato dal Dott. Caldarozzi alla
partenza dalla Questura che ci sarebbe stata una perquisizione presso la Diaz.
Consegue
inevitabilmente che consegnando a Di Bernardini, occupato nelle operazioni di
perquisizione, le bottiglie molotov con le modalità che lui stesso ha riferito Troiani
era perfettamente consapevole che tali ordigni sarebbero stati oggetto di sequestro
quali reperti trovati nell’ambito della perquisizione presso la scuola Diaz, mentre
ben sapeva che provenivano da tutt’altro luogo (e ciò anche se effettivamente
non avesse riferito che le molotov erano state ritrovate all’interno della
scuola). Del resto lui stesso ha ammesso che la consegna è stata funzionale a far
redigere il verbale di sequestro ad altri, in quanto per il proprio reparto
sarebbe stato “difficile” (SIT del 01/07/2002). E questi “altri”, al sequetro sollecitato
da Troiani, in mancanza di indicazioni specifiche da parte di costui avrebbero provveduto
includendo necessariamente le molotov tra i reperti oggetto di sequestro nell’ambito
della perquisizione in corso.
Sussiste
pienamente la responsabilità concorsuale per il delitto di falso essendo indubitabile
la consapevolezza in capo al Troiani che in seguito alla sua condotta sarebbe
stato redatto un atto di perquisizione e sequestro falso nella parte in cui
avrebbe riferito il ritrovamento delle due bottiglie molotov (ordigni da
sequestrare in ogni caso) durante la perquisizione nella scuola Pertini.
Tale illecita condotta
tenuta dal Troiani rende illegittimi anche la detenzione ed il trasporto delle
bottiglie molotov dal “magnum” fermo in Piazza Merani fino al cortile della
Pertini (tramite l’autore mediato Burgio), perché la materialità dei fatti che
integrano i delitti contestati non è giustificata da finalità legittima.
Non è invece
condivisibile l’affermazione di responsabilità per il delitto di calunnia; al falso
ritrovamento degli ordigni presso la scuola non conseguiva automaticamente
anche la attribuzione della loro detenzione a tutti gli occupanti della scuola.
Tale falsa accusa è frutto della scelta operata dagli altri coimputati; Troiani
poteva certamente rappresentarsi che sarebbe stato falsamente attestato il
ritrovamento delle molotov presso la scuola, ma non vi è prova sufficiente che
fosse consapevole anche della strumentalità di tale falso rispetto alla
calunnia che sarebbe stata contenuta negli atti. La sua partecipazione
all’unitario disegno criminoso volto a costruire una serie di circostanze criminose
a carico degli arrestati non può ragionevolmente superare la fase della falsa
rappresentazione della presenza delle “molotov” presso la scuola.
DI BERNARDINI
Nel verbale di
SIT rese il 21/07/2001, integralmente confermate nel successivo interrogatorio
ed acquisite agli atti del dibattimento, il Di Bernardini sostiene di essere
stato informato che nello stanzone al piano terra vicino alla porta di accesso
erano state trovate le molotov. Nei successivi interrogatori del 17/06/2002 e
del 06/07/2002 ammette che, dopo essere stato una decina di minuti all’interno
della scuola nel locale palestra, venne chiamato da Troiani, da lui ben
conosciuto, il quale, in compagnia di una assistente gli consegnò un sacchetto
azzurro contente due bottiglie molotov, da lui riconosciute come quelle
sequestrate. Egli senza nulla chiedere al Troiani circa modalità e luogo di
rinvenimento, avrebbe subito avvisato del fatto il Dott. Caldarozzi presente, e
poi si sarebbe disinteressato delle bottiglie. Da ultimo nell’interrogatorio
del 30/07/2002, richiesto di precisare il momento in cui ebbe il primo contatto
con la bottiglie molotov, l’imputato ribadisce quanto sopra riportato, sostenendo
che la diversa versione fornita nel verbale di perquisizione e sequestro e di
arresto è stata da lui firmata confidando che vi fosse stato un accertamento da
parte di altri colleghi.
Nell’interrogatorio
del 17/06/2002 Di Bernardini conferma di aver partecipato alla decisione,
condivisa da Gava, Ferri e Caldarozzi, di arrestare tutti i presenti nella
scuola con l’accusa di associazione a delinquere, ipotesi accusatoria
attentamente vagliata (interrogatorio del 06/07/2002) e ancorata alla circostanza
che tutte le cose sequestrate erano nella scuola, e quindi erano riferibili
agli occupanti.
Dalle stesse
ammissioni sopra riferite emerge la responsabilità del Di Bernardini per i reati
di falso e calunnia: egli, dopo essere stato all’interno della scuola per una
decina di minuti ed essere transitato per i luoghi ove gli atti indicano presenti
le bottiglie molotov, ha avuto il primo contatto con le stesse all’esterno, nel
cortile, allorché Troiani gliele fece vedere e gliele consegnò. Non è quindi
possibile che egli abbia sottoscritto i verbali di perquisizione e sequestro e
di arresto con l’indicazione della presenza delle molotov all’interno della
scuola per errore, confidando nell’accertamento in tal senso compiuto da altri,
perché invece ben sapeva per conoscenza diretta che le molotov le aveva portate
Troiani, che proveniva dall’esterno della scuola. Né Di Bernardini ha indicato
da quale circostanza potesse anche solo lontanamente ipotizzare che
dall’interno le molotov fossero state portate fuori e poi da Troiani
riconsegnate agli operatori addetti alla perquisizione senza nulla dire al
riguardo: a parte l’assurdità di tale ipotesi, la stessa contrasta con quanto
il Di Bernardini aveva potuto constatare direttamente nei dieci minuti in cui
era stato all’interno della scuola.
Consegue la
piena consapevolezza in capo al Di Bernardini della falsità contenuta nei
predetti verbali circa la presenza delle bottiglie molotov all’interno della
scuola.
Quale logica
conseguenza deriva che, avendo egli motivato le accuse contestate agli
arrestati con la detenzione di tutti gli oggetti rinvenuti nella scuola, la
falsità della affermata presenza delle bottiglie molotov prova anche la sua
responsabilità per la calunnia con riferimento a tutte le ipotesi delittuose
ascritte agli arrestati, le quali sugli ordigni incendiari hanno visto la più
solida base di contestazione.
CALDAROZZI
Nell’interrogatorio
reso il 31/05/2002 riferisce di esser entrato nella scuola Pertini e di aver
visionato il piano terreno ed il primo piano; poi ammette di aver visto le
bottiglie molotov in mano al Di Bernardini nel cortile della scuola Pertini;
nell’interrogatorio del 02/07/2002 non è in grado di riferire cosa gli avesse
detto Di Bernardini a proposito delle molotov, e conferma di aver “messo l’accento sul discorso associativo”
rispondendo ad una domanda sulla centralità delle molotov nell’operazione di perquisizione.
Nell’interrogatorio del 30/07/2002 ammette di aver firmato il verbale di
arresto senza sapere chi ed in qual modo avesse accertato il luogo di ritrovamento
delle molotov ivi indicato.
Anche per
Caldarozzi valgono le osservazioni compiute per Di Bernardini. Egli aveva
visionato sia il piano terreno sia il primo piano della scuola, per cui sapeva
che le bottiglie viste - circa 40 minuti dopo l’ingresso nella scuola - in mano
al Di Bernardini nel cortile non provenivano dall’interno. La sottoscrizione di
circostanza contraria al vero nel verbale di arresto integra pienamente gli estremi
del contestato falso perché anche Caldarozzi era pienamente consapevole che
tali ordigni non erano “al piano terra in prossimità dell’entrata, in luogo
visibile e accessibile a tutti”. Anche Caldarozzi, argomentando l’imputazione
di reato associativo con riferimento alle molotov, era consapevole di accusare
falsamente sapendoli innocenti tutti gli arrestati, che, a parte ogni altra
considerazione, non potevano essere ritenuti responsabili della detenzione di
ordigni incendiari che non erano all’interno della scuola.
MORTOLA
Nell’interrogatorio
del 23/07/2002 riferisce di aver visto le bottiglie molotov per la prima volta all’interno
della scuola, al piano terra, mostrategli da due agenti del Reparto Mobile (che
egli non conosce e non sa dire da dove venissero) i quali tenevano in mano un
sacchetto. Proprio esso Mortola avrebbe dato loro la disposizione di posare le
bottiglie sul telo nero insieme con tutti gli altri reperti, ma non sa dire che
fine abbia fatto il sacchetto. Ammette di aver sottoscritto il verbale di arresto
senza che nessuno dei presenti ai quali l’atto venne letto avesse dato
indicazioni sul luogo di ritrovamento delle molotov. Nell’interrogatorio del
30/07/2002 Mortola ha confermato la precedente versione dei fatti pur dopo aver
visionato il filmato Rep. 199, che lo ritrae nel cortile alla presenza degli
altri funzionari e di Luperi che tiene il mano il sacchetto.
La versione
fornita da Mortola è oggettivamente smentita dalle risultanze probatorie
acquisite. Come si è già visto, in base ai tabulati delle conversazioni
telefoniche e come ammesso dalle stesse difese, i primi contatti telefonici fra
Burgio che stava in Piazza Merani e Troiani che era nel cortile della Diaz relative
allo spostamento delle bottiglie incendiarie dal “magnum” al cortile risalgono
alla mezzanotte e mezza circa; ed infatti alle ore 00.41.29 inizia il filmato
ove è ripreso Luperi con il sacchetto delle molotov in mano.
Prima di tale
orario non esisteva alcuna bottiglia molotov, tanto meno all’interno della
scuola ove Mortola riferisce di averle viste in mano a due ignoti agenti.
Successivamente alle telefonate fra Burgio e Troiani è pacifico che il
sacchetto con le molotov, passando di mano in mano da Troiani agli altri funzionari
sempre nel cortile, finisce a Luperi, e come si evince dal filmato che riprende
la scena del c.d. “conciliabolo”, alle ore 00.41.29 Luperi maneggia tale
sacchetto proprio di fronte a Mortola, che quindi non può ignorare la
circostanza. Tale fatto oggettivamente riscontrato esclude che Mortola possa
aver detto a due ignoti agenti di sistemare le molotov sul telo nero, che sarà
sistemato alle ore 00.44.49, ben dopo che Mortola ha visto il sacchetto in mano
a Luperi.
Anche per
Mortola, quindi, valgono le considerazioni sopra svolte circa la consapevolezza
di affermare il falso sottoscrivendo la Comunicazione di notizia di reato ed il
verbale di arresto attestanti la localizzazione delle molotov all’interno della
scuola; e, quindi, la consapevolezza
di accusare falsamente tutti gli arrestati per i reati loro addebitati sulla
base della detenzione collettiva di tali ordigni incendiari.
LUPERI
Il Dott. Luperi,
dopo aver mentito circa il proprio contatto con le bottiglie molotov nel
verbale di SIT del 31/07/2001 (confermato nel successivo interrogatorio)
sostenendo riguardo alle armi improprie “non
ho assistito al loro rinvenimento”, e nell’interrogatorio del 12/06/2002
sostenendo “Ho visto le due molotov
conservate in un sacchetto di plastica; non ricordo chi avesse in mano il
sacchetto e non so dove le avessero trovate”, messo di fronte all’evidenza
del video Rep. 199, min. 8,55 nell’interrogatorio del 07/07/2003 ammette di
aver visto le molotov per la prima volta nel contesto ripreso nel predetto filmato,
e poi di averle riviste una seconda volta sul telo nero insieme con gli altri
reperti. Quanto al primo contatto sostiene di aver appreso da Mortola il
ritrovamento delle molotov all’interno della scuola ad opera di personale del Reparto
Mobile, anche se ammette di aver ricevuto il sacchetto da Caldarozzi. Poi
sostiene di essersi ritrovato solo e di aver chiamato la Mengoni alla quale
avrebbe affidato il sacchetto. Conferma che il gruppo di funzionari ripresi nel
filmato parlò del sacchetto con le molotov.
Sono smentite da
circostanze obiettive le seguenti affermazioni di Luperi:
di aver appreso
da Mortola del ritrovamento delle molotov all’interno della scuola, perché Mortola,
come visto, sostiene tutt’altra tesi incompatibile; inoltre la ricezione del
sacchetto dalle mani di Caldarozzi è incompatibile con tale assunto difensivo, per
di più senza spiegazione di come le molotov sarebbero arrivate a costui;
che il gruppetto
si sarebbe sciolto ed egli si sarebbe trovato da solo, perché il filmato mostra
con continuità la presenza dei protagonisti fino alla stesura del telo nero.
Secondariamente è
del tutto inattendibile la vicenda che vede coinvolta la Dott.ssa Mengoni. Da
un lato, continuando il Luperi ad avere la presenza intorno a sé degli altri
funzionari addetti alla perquisizione, non si vede perché egli avrebbe dovuto
chiamare dall’esterno la Mengoni per affidarle l’incarico di custodire quei
pericolosi reperti, senza ulteriore spiegazione su come intendeva che si dovesse
provvedere a tale custodia. Dall’altro lato il fantasioso racconto riferito
dalla Mengoni non presenta il minimo margine di credibilità (lo stesso
Tribunale ha riconosciuto che “Tali
dichiarazioni possono in effetti apparire imprecise e forse anche in parte
illogiche”.) Ella sostiene di aver avuto l’incarico dal Luperi di custodirle
ma non è in grado di dire in qual modo avrebbe inteso portarlo a termine; malgrado
sia consapevole che all’interno della scuola vi sono colleghi che stanno
eseguendo una perquisizione e che le bottiglie andranno unite agli altri
reperti sequestrati, persa d’animo perché non vede più i suoi tre colleghi (e
non si vede come tale fatto potesse incidere sulla custodia dei reperti) pensa
di chiamare un collega di Napoli dall’esterno da lei conosciuto ma del quale guarda
caso non ricorda il nome (ed i tentativi di identificarlo fra il personale
proveniente da Napoli non hanno sortito effetto alcuno non risultando neppure
negli elenchi dei presenti). Non solo, ma trascurando inspiegabilmente il
compito primario di provvedere alla custodia degli oggetti pericolosi per mettersi
alla ricerca dei colleghi, lascia in un atrio non meglio specificato
all’interno della scuola il napoletano e le molotov, che immancabilmente
spariscono nella di lei assenza. Alla totale inverosimiglianza di tale racconto
si deve aggiungere che l’assunto della Mengoni di aver poi rivisto le bottiglie
già posate sul telo nero contrasta con la deposizione del Dott. Pifferi,
incaricato della catalogazione dei reperti, il quale ha riferito di aver provveduto
con l’aiuto proprio della Mengoni a stendere il telo.
Collegando il
racconto della Mengoni con quello di Luperi emerge l’ulteriore inspiegabile
incongruenza che, trovandosi i due nuovamente accanto di fronte alle bottiglie
molotov posate sul telo, Luperi, senza mostrare alcuno stupore di fronte a tale
situazione, non chiede conto alcuno alla Mengoni di come potesse pensare in tal
modo di aver adempiuto all’incarico di mettere in sicurezza le bottiglie
incendiarie.
La realtà che
balza evidente dalle numerose e gravi contraddizioni ed incongruenze di cui
sopra è che la comparsa della Mengoni e la sua apparente incolpevole perdita di
contatto con le molotov sono funzionali a spezzare la catena che lega i
funzionari che si sono occupati del sacchetto con gli ordigni, ed in particolare
Luperi, con la finale comparsa
delle molotov fra i reperti sequestrati come oggetti rinvenuti all’interno della
scuola Pertini.
La condotta dei partecipanti
al c.d. “conciliabolo” può essere agevolmente ricostruita tenendo conto delle seguenti
circostanze:
-
le false dichiarazioni da
ciascuno rese circa il proprio ruolo;
-
il fatto che pacificamente i predetti
in quella occasione hanno discusso e parlato delle molotov (ammissione di
Luperi);
-
la non credibilità del disinteresse
che ciascuno avrebbe manifestato circa le modalità ed il luogo di ritrovamento
delle molotov, omettendo di chiedere informazioni al riguardo;
-
la consapevolezza, per essere
entrati nella scuola, che le molotov non erano state trovate all’interno della
stessa. Tale ultima considerazione vale anche per Luperi e Gratteri che sono
ripresi mentre entrano nella scuola alle ore 00.03 – secondo la consulenza delle
parti civili - ,quindi mentre l’operazione era nel pieno svolgimento:
risultando così confermate anche le deposizioni delle parti offese che li hanno
riconosciuti, (Valeria Bruschi all’udienza del 17/11/2005 ha riconosciuto
Luperi, e Thomas Albrecht ha descritto un funzionario con giacca, camicia
bianca, con la barba e che indossava un casco, che corrisponde in pieno a
Gratteri –dichiarazioni rese all’udienza del 17/11/2005, non riportate nella
sentenza di primo grado). Del resto Luperi nelle dichiarazioni spontanee rese
al dibattimento ha ammesso di essere entrato nell’edificio al pian terreno e al
primo piano e di aver visto i feriti a terra;
-
l’inesistenza di alcuna fonte di
conoscenza che avesse in qualche modo collegato le molotov all’interno della
scuola, se non le presunte dichiarazioni di Mortola, della cui non rispondenza
al vero si è detto, e che non possono essere prese in considerazione quale consapevole
inganno perpetrato da Mortola ai danni degli altri vertici apicali presenti in
loco, Luperi in testa, perché presupporrebbe l’accordo ingannatorio con
Troiani, del quale non vi è il minimo riscontro;
-
la circostanza, riferita dal
teste Fiorentino, secondo la quale Luperi gli disse di aver consegnato le
molotov ad un operatore della Polizia scientifica.
Tutto converge
in modo univoco e convincente ad indicare che i protagonisti del “conciliabolo”,
ben consapevoli che le molotov non provenivano dall’interno della scuola, decisero
che tali ordigni potevano essere utilizzati come reperto principe a conferma
della giusta intuizione di eseguire la perquisizione ex art. 41 TULPS nella scuola
Pertini, e quindi come elemento decisivo per poter procedere all’arresto di
tutti i presenti con l’accusa associativa finalizzata alla devastazione e al
saccheggio.
La circostanza,
sottolineata da alcune difese, secondo la quale in quel momento la decisione di
procedere agli arresti era già stata assunta (come emerge dalla già intercorsa
telefonata fra Andreassi e Agnoletto nella quale il primo, alle rimostranze del seocondo, riferisce che la decisione
di procedere agli arresti era già stata assunta a Roma e non si poteva fare
nulla), non è significativa della inutilità di architettare la falsa vicenda
delle molotov. Al contrario, proprio la confermata strategia di procedere agli
arresti, concretata nella decisione già assunta e irrevocabile, costituiva ulteriore
pressione per i funzionari ed i vertici presenti per trovare una giustificazione apparente alla decisione. Ed il ricorso
fino a quel momento alla sola accusa di resistenza, secondo quanto Canterini ed
i suoi uomini cominciavano a sostenere, appariva evidentente troppo poco per
giustificare un arresto di massa. Ecco allora che le molotov, del cui
ritrovamento nella conferenza stampa improvvisata Sgalla non fa ancora
menzione, divengono la prova principe non solo della fondatezza del sospetto
che aveva condotto alla perquisizione ex art. 41 TULPS, ma anche dell’ipotesi
di reato associativa che consentiva l’arresto indiscriminato di tutti.
La conclusione
cui è pervenuto il Tribunale di ritenere responsabile il solo Troiani (in
quella sede in concorso con l’autista Burgio) non è plausibile. Se il solo
Troiani fosse stato l’artefice della falsa introduzione delle molotov nella
scuola, la sua condotta risulterebbe priva di qualsasi elementare logica: le
bombe sarebbero state collocate direttamente all’interno dell’edificio creando
una situazione di apparenza credibile circa la imputabilità della detenzione
almeno ad alcuni dei soggetti presenti all’interno della scuola. Viceversa, la
consegna a mano e di persona degli ordigni ad un collega all’esterno
dell’edificio si prestava evidentemente al rischio concreto che il
destinatario, lungi dal cadere nell’inganno, potesse scoprire facilmente il
tentativo di Troiani.
Né, d’altro
canto, il riconoscimento della condotta concorsuale degli appartenenti al
conciliabolo è impedito dalla considerazione che l’input sarebbe stato fornito dall’iniziativa autonoma di Troiani,
del tutto imponderabile ed accidentale. La circostanza che per l’evidente
reticenza di tutti i protagonisti non sia stato possibile ricostruire nei
minimi dettagli la vicenda in tutte le sue fasi non vincola la ricostruzione
dei fatti alla scarne e contraddittorie tesi difensive, impedendo di valutare
il complesso di elementi indizianti che, come sopra visto, concorrono in modo
grave ed univoco a fondare la conclusione sopra vista. Del resto lo stesso Troiani
ha riferito che, comunicata la presenza delle molotov sul suo veicolo, sarebbe
stato proprio Di Bernardini a dirgli di portarle nel cortile della Pertini, per
cui sussiste anche un concreto elemento che esclude l’iniziativa autonoma ed
occasionale del Troiani.
Come si è visto
al Troiani è certamente imputabile il falso conseguente alla introduzione
surrettizia delle molotov all’interno della scuola e, benché non sia vero che
si sia allontanato subito ma in realtà sia rimasto in contatto con il gruppo
del “conciliabolo”, viene assolto dalla calunnia per insufficiente prova che abbia
partecipato attivamente alla discussione in quella sede intercorsa circa l’utilizzo
delle molotov. Pertanto il collegamento fra la condotta del Troiani e quelle
degli altri coimputati del “conciliabolo” è ampiamente provato con riferimento
alla consapevolezza della provenienza delle molotov dall’esterno. La successiva
decisione collettiva di riferire la detenzione delle molotov a tutti gli arrestati
è, pertanto, compatibile con la condotta tenuta da Troiani, che ben può essere stato
richiesto della consegna in previsione dell’utilizzo illecito degli ordigni.
Anche la
condotta processuale successiva di tutti gli imputati costituisce ulteriore significativa
conferma della loro concorsuale attività di illecita ideazione della calunnia
reale: se fossero stati ingannati, o, comunque, avessero inizialmente creduto
in buona fede che effettivamente le molotov erano presenti all’interno della
scuola, non avrebbero inanellato la lunga serie di false dichiarazioni e
contraddittorie tesi difensive chiaramente finalizzate solo a prendere le
distanze da una situazione conosciuta come fonte di personale responsabilità
diretta.
In tale contesto
deve essere inserita la condotta di Luperi, che gestisce materialmente il
reperto e ne predispone l’utilizzo con gli altri presenti. La discussione collettiva
con il sacchetto in mano ha avuto una sua concreta utilità nell’ottica degli
operatori di Polizia ed ha partorito la decisione di riferire la detenzione delle
molotov, nella consapevolezza della provenienza dall’esterno, a tutti gli
arrestati. La conferma oggettiva di tale risoluzione psicologica, che per i
sottoscrittori degli atti trova ulteriore riscontro nella modalità di redazione
degli stessi, come argomentato in precedenza, per Luperi è ravvisabile, dopo la
manifestazione di soddisfazione per il ritrovamento esternata nei confronti del
dott. Fiorentino, nel fatto che egli abbia visto le molotov collocate insieme
agli altri reperti sul telo nero e che come tali sarebbero state riferite indistintamente
a tutti gli occupanti, senza alcun segno di stupore o richiesta di chiarimenti
ai presenti. Lo ammette lo stesso Luperi nelle dichiarazioni spontanee che quella
era la prevista destinazione degli ordigni, essendo per lui indifferente il luogo
effettivo di ritrovamento: “dal mio punto
di vista, che queste bottiglie fossero state trovate dentro la scuola al quinto
piano, al piano terra, su un terrazzo o in un cortile, un cortile che, tra
l’altro, era stato chiuso con la catena e che era stato necessario sfondare il
cancello, per me erano riferibili agli
occupanti”. Certo questa ammissione è stata fatta da Luperi sul
presupposto che, secondo la sua versione dei fatti finale coincidente con quella
iniziale, egli non sapesse neppure
perché si era ritrovato con il sacchetto in mano e chi glielo avesse dato; ma
la illogicità di tale versione ed il contrasto con le emergenze obiettive
dell’istruttoria (impossibilità che informazioni sulle molotov gli siano state
date da Mortola, oltre tutto senza coordinamento con la consegna del sacchetto
da parte di Caldarozzi) colora, evidentemente, la predetta ammissione di ben
diverso significato, e conferma la consapevolezza di attribuire la detenzione delle
molotov a tutti, malgrado la provenienza degli ordigni dall’esterno della
scuola, scelta operativa assunta alla presenza e unitamente a coloro che
avrebbero redatto e sottoscritto i relativi atti di P.G., Mortola, Di Bernardini
e Caldarozzi, e quindi in evidente concorso morale.
GRATTERI
Anche Gratteri,
come da filmato di cui si è riferito sopra, compare nel “conciliabolo” davanti
a Luperi che tiene in mano il sacchetto con le molotov (alle 00.41.29., alle
00.41.33 per indicare i momenti più salienti). La tesi sostenuta da Gratteri nell’interrogatorio
del 29/06/2002 di aver visto le bottiglie tenute in mano senza sacchetto da
ignoto personaggio in borghese è, quindi, smentita dalla predetta prova
documentale-rappresentativa. Gratteri partecipa a pieno titolo alla gestione
del reperto e alla decisione in quel contesto assunta da tutti i partecipanti.
Accanto alla falsa giustificazione circostanziale che di per sé costituisce
grave indizio di responsabilità, deve valutarsi anche per Gratteri la
inconsistenza dell’assunto di non essersi interessato per nulla dell’origine e
delle modalità di rinvenimento delle molotov, malgrado non solo abbia
partecipato al c.d. “conciliabolo”, ma abbia successivamente assistito alla esposizione
delle molotov sul telo nero, quale reperto frutto della perquisizione. Anche la
sua condotta ha rafforzato la decisione assunta in quella circostanza di
falsamente indicare gli ordigni come ritrovati all’interno della scuola e di
riferirne la detenzione a tutti indistintamente i soggetti che si trovavano
nell’edificio. In particolare, per quanto riguarda l’imputazione di calunnia, è
decisiva la condotta tenuta da Gratteri con riferimento alla stesura degli atti,
quale descritta dal coimputato Canterini anche al dibattimento. Rileva in tal senso
l’interessamento diretto ed immediato di Gratteri nei confronti di Canterini
consistito nel sollecitare la redazione della informativa al Questore con la
raccomandazione di far menzione degli atti di resistenza che le forze di polizia
avrebbero incontrato (tanto che lo stesso Canterini ha riferito tale episodio
con una certa stizza, reclamando la propria competenza ed esperienza
professionale al riguardo che rendevano superfluo tale interessamento); e successivamente,
come si è appreso a seguito delle contestazioni del P.M. e della finale
conferma da parte di Canterini, la consegna della relazione direttamente a Gratteri,
che la chiese per leggerla prima di trasmetterla al Questore al fine, riferito da
Canterini, di confrontarne il contenuto con quello di altre relazioni (passo
dell’esame non riportato dalla sentenza di primo grado).
Reputa la Corte
che tale diretto e penetrante controllo di Gratteri sul contenuto delle relazioni
da inviare al Questore, anche al fine di coordinarne il contenuto, con la precisa
richiesta di menzionare le condotte (come già visto) false di resistenza, sia
prova lampante del suo diretto coinvolgimento nella predisposizione del
complessivo apparato documentale artatamente predisposto a sostegno delle false
accuse, necessario a fornire almeno nell’immediatezza credibilità alla disastrosa
operazione di polizia e giustificazione degli indiscriminati arresti. Questa
evidente condotta e il già menzionato fallimento dell’alibi forniscono
convincente e logica conferma che l’atteggiamento di presunta indifferenza e
distacco dall’episodio delle molotov vada in realtà letto come consapevole e
convinta adesione alla decisione assunta dal “conciliabolo” di utilizzare gli
ordigni per accusare falsamente gli arrestati.
.-.-.-.-.-
LE IMPUTAZIONI DI FALSO
Le circostanze
di fatto oggetto di imputazione di falsa attestazione da parte degli imputati possono
essere ricapitolate nei seguenti termini:
1)
“aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita
in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre
dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia”
2)
“di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto
da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti
di polizia, armati di coltelli ed armi improprie”;
contestate a
Luperi e
Gratteri al capo A);
Caldarozzi
Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di
Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide e Cerchi Renzo al capo C) e Di Bernardini al capo 1) nel Proc. Riunito N. 5045/05
R.G. TRIB;
Canterini
Vincenzo al capo F);
Nucera Massimo
al capo I) e Panzieri Murizio al capo M)
3)
“che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze,
bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato
come arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di
resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso
degli arrestati”;
4)
“di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra
dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile
a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a
tutti gli occupanti l’edificio”;
contestate a
Luperi e
Gratteri al capo A);
Caldarozzi
Gilberto, Mortola Spartaco, Dominici Nando, Ferri Filippo, Ciccimarra Fabio, Di
Sarro Carlo, Mazzoni Massimo, Di Novi Davide e Cerchi Renzo al capo C) e Di Bernardini al capo 1) nel Proc. Riunito N. 5045/05
R.G. TRIB;
5)
“gli occupanti erano stati
resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre persone di fiducia”
contestata ai
sottoscrittori del verbale di perquisizione e sequestro al capo C) e a Di Bernardini al capo
1) nel Proc. riunito N. 5045/05 R.G.
TRIB;
6)
“di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata vibrata
all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della divisa
indossata e al corpetto protettivo interno”
contestata a
Nucera Massimo al capo I);
7)
“di aver assistito ad un
episodio in cui l’agente Nucera, entrato assieme a lui e ad altro personale in
una stanza posta al secondo piano dell’edificio in questione, “avanzava e fronteggiava una persona munita di un
oggetto, con il quale ingaggiava una colluttazione”, ed inoltre che “a seguito
dell’intervento dell’altro personale componente la squadra” tale soggetto
“veniva accompagnato nel punto di raccolta”, essendo successivamente venuto a
conoscenza che “il summenzionato giovane era munito di arma da taglio” con la quale
aveva posto in essere l’aggressione ai danni dell’agente”
contestata a
Panzieri Maurizio al capo M);
8)
“rinvenimento delle bottiglie incendiarie … all’interno della scuola
perquisita o nelle pertinenze della stessa”
contestata a
Troiani Pietro nel Proc. riunito N.
1079/08 TRIB;
9)
“aver proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della
scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi,
strumenti di offesa ed altro materiale”
contestata a
Gava Salvatore nel Proc. riunito N.
1079/08 TRIB.
Gli atti affetti
dalle contestate falsità sono le relazioni di servizio di Canterini, Nucera e
Panzieri, il verbale d’arresto, il verbale di perquisizione e sequestro, e la
comunicazione di notizia di reato.
Che i predetti
atti costituiscano atti pubblici non è dubitabile, neppure per le relazioni di
servizio, come anche recentemente riconosciuto dalla Corte di Cassazione (Sez.
5°, n. 38537 del 25/06/2009, Sez. 5, n. 8252 del 15/01/2010), trattandosi di
documenti redatti da pubblici ufficiali nello svolgimento di pubblica funzione
giudiziaria, nei quali devono essere attestati i fatti direttamente compiuti o
percepiti dal pubblico ufficiale.
La falsità
contestata è quella ideologica ex art. 479 c.p. e la attribuzione di
responsabilità si fonda sulla formazione e sottoscrizione degli atti per tutti
gli imputati, tranne che per Luperi e Gratteri, la cui condotta è configurata
come concorso morale perché “determinavano
e inducevano gli Agenti ed Ufficiali di PG presenti” alle false attestazioni
sopra elencate, e per Troiani, la cui condotta concorsuale è ravvisata nella
consegna degli ordigni con le modalità viste in precedenza.
Occorre subito
sgombrare il campo dal tema della possibile scriminante ex art. 51 c.p. indicata
con il brocardo “nemo tenetur se detegere”,
invocata sul presupposto che le eventuali falsità sarebbero dipese dalla
necessità di evitare l’ammissione di responsabilità per altri reati. Il costante
orientamento della Corte di Cassazione esclude la ricorrenza di tale scriminante
argomentando che “la finalità dell'atto
pubblico, da individuarsi nella veridicità "erga omnes" di quanto
attestato dal p.u., non può essere sacrificata all'interesse del singolo di
sottrarsi ai rigori della legge penale” (Cass. n. 8252/2010 cit., Sez. 5°
n. 3557 del 31/10/2007).
Come anticipato
nell’esposizione delle questioni preliminari, uno dei temi discussi in relazione
a questo capitolo del processo riguarda la avvenuta contestazione dell’aggravante
di cui al 2° comma dell’art. 476 c.p. relativo alla natura fidefacente degli
atti o delle parti di atti con riferimento alle circostanze sopra elencate
ritenute affette da falsità.
Come si è visto
in precedenza la questione è dalla giurisprudenza rimessa alla qualificazione
giuridica dell’atto da parte del giudicante, sempre che nel capo di imputazione
lo stesso sia chiaramente identificato. Nel caso di specie non vi è dubbio
sulla esatta identificazione degli atti affetti da falsità, tecnicamente indicati
con riferimento alla loro qualificazione processuale.
Per quanto
riguarda il criterio per identificare l’atto o la parte di atto munito di fede
privilegiata le parti hanno discusso con riferimento specifico ai fatti riportati
nell’atto che sono il frutto di percezione sensoriale del verbalizzante, richiamandosi
dalla difesa quell’orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione
civile secondo il quale in tal caso, essendo la percezione per sua natura
fallibile, la confutazione del fatto riferito dal P.U. non avrebbe richiesto la
proposizione di querela di falso, con ciò escludendosi la natura di atto
fidefacente ex art. 2700 c.c.; e, viceversa, richiamandosi da parte del Procuratore
della Repubblica il più recente orientamento sul punto sancito dalla Corte di Cassazione
a SSUU (n. 17355 del 21/07/2009) secondo il quale le circostanze attestate come
avvenute alla presenza del P.U., tranne che nell’ipotesi di oggettiva e
irrisolvibile contraddittorietà, sono contestabili solo mediante il giudizio di
querela di falso, anche se l’alterazione sia involontaria o accidentale (in
quanto frutto, appunto, di erronea percezione).
Le difese hanno
pure rilevato che di tale nuovo orientamento della Corte di Cassazione,
risalente al luglio 2009, non si possa tenere conto per valutare se vi sia
stata contestazione in fatto dell’aggravante di cui al 2° comma dell’art. 476
c.p. attraverso i capi d’imputazione contestati molto tempo prima del 2009,
dovendo invece tale valutazione compiersi alla luce della giurisprudenza allora
dominante, che, come visto, escludeva la fede privilegiata ai fatti oggetto di
percezione sensoriale.
Occorre
esaminare tale ultima questione che si presenta preliminare.
La Corte ritiene
che il criterio di valutazione della natura fidefacente della attestazione del
P.U. relativa ai fatti avvenuti in sua presenza nel periodo anteriore alla
citata pronuncia della Cassazione a SSUU non fosse quello perorato dalla difesa.
Sulla ovvia
considerazione che ogni fatto avvenuto alla presenza del P.U è necessariamente
oggetto della sua percezione sensoriale, la altrettanto ovvia fallibilità
naturale di qualunque processo di percezione sensoriale porterebbe a privare
sempre della fede privilegiata qualsiasi attestazione di fatti avvenuti alla
presenza del P.U., ma che questo non fosse certamente l’orientamento della
giurisprudenza anche in passato si evince proprio dalla ricostruzione dei
precedenti analizzata da SSUU del 2009. In particolare, e con riferimento alla
specifica fattispecie sulla quale la Cassazione si è pronunciata (verbali di
contestazione di infrazioni stradali in base ai fatti che l’agente attesta di
aver visto) il quadro interpretativo generale era dato dalla pronuncia
anch’essa a SSUU 12545/1992 secondo la quale, per quanto qui interessa, “L’efficacia di prova legale del verbale non
può estendersi alle valutazioni espresse dal pubblico ufficiale ed alla
menzione di fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolverei in
apprezzamenti personali, perché mediati attraverso la occasionale percezione
sensoriale di accadimenti, che si svolgono così repentinamente da non potersi
verificare e controllare secondo un metro obiettivo, senza alcun margine di
apprezzamento”.
Come risulta
chiaro dal predetto principio, pertanto, solo nelle ipotesi in cui, per le particolari
caratteristiche di repentinità del processo di percezione, la rappresentazione
che il P.U. si forma del fatto avvenuto in sua presenza è suscettibile di ampio
margine di apprezzamento personale per l’impossibilità di verifica oggettiva,
veniva meno secondo quell’orientamento la fede privilegiata dell’attestazione. Come
è altrettanto ovvio l’insussistenza di precisi confini di operatività di tale
criterio ha condotto nel tempo a pronunce che hanno eroso l’ambito della
fidefacenza estendendo l’area della influenza dell’apprezzamento personale del
fatto. Ed è a questa “deriva” che ha inteso porre rimedio la recente pronuncia
a SSUU del 2009.
In ogni caso il
criterio operativo che si era dato la giurisprudenza consisteva nell’escludere
la fede privilegiata solo a quei fatti che potevano costituire oggetto “di apprezzamento personale perché mediati
dall'occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così
repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro
obiettivo” (ancora da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25842 del 27/10/2008 in perfetta
aderenza a SSUU del 1992). È su tale parametro, pertanto, che la Corte ritiene
nella fattispecie in esame ritualmente contestata la aggravante di cui al 2°
comma dell’art. 476 c.p. perché, come risulterà dall’analisi delle singole circostanze
oggetto di contestazione di falso, tranne che per la prima ipotesi (“fittissimo
lancio di oggetti”), negli altri casi non si tratta di fatti che sarebbero
stati percepiti in poche frazioni di secondo e come tali altamente passibili di
errore percettivo.
Esaminando le
singole ipotesi di falsità, la Corte osserva:
1)
“aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti consistita
in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre
dell’istituto per impedire l’ingresso delle forze di polizia”
Come anticipato,
sul presupposto che anche l’appellante Procuratore Generale ammette che qualche
sporadico oggetto è stato lanciato, o comunque, è caduto nel cortile della
Pertini mentre ivi stazionavano gli operatori prima dello sfondamento del
portone principale, l’aggettivazione “fittissimo” che integra il nucleo
fondamentale di tale falsità costituisce certamente un apprezzamento personale,
per sua natura insuscettibile anche a posteriori di verifica oggettiva (non esistono
parametri tecnico scientifici per verificare il grado di intensità di caduta
degli oggetti ai quali corrisponda una altrettanto precisa aggettivazione). Pertanto,
seppure, come già si è analizzato in precedenza, l’aggettivo “fittissimo” costituisce
certamente una iperbole ingiustificata strumentalmente adottata per tentare di
giustificare le successive violenze compiute dagli operatori di polizia,
tuttavia tale falsità non è riferibile ad attività fidefacente, risolvendosi
piuttosto in un giudizio valutativo, che come tale è sempre stato escluso dal
novero delle attestazioni fidefacenti.
2)
“di aver incontrato resistenza opposta anche all’interno dell’istituto
da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti
di polizia, armati di coltelli ed armi improprie”
L’accadimento così
descritto sfugge ad ogni possibile connotazione di repentinità e non si
presenta come frutto di apprezzamento personale opinabile. La condotta addebitata
ai presenti viene descritta come generalizzata e tenuta per un apprezzabile
lasso di tempo, così eclatante da comportare la reazione difensiva violenta
degli operatori e le gravi conseguenza lesive dell’integrità fisica di
moltissimi soggetti; il possesso di armi improprie e di coltelli non può essere
considerato frutto di una percezione repentina e sfuggente. Tali fatti
descritti come avvenuti alla presenza dei verbalizzanti sottoscrittori degli
atti sono, pertanto, connotati da fede privilegiata.
Esaminando il
merito della contestazione, osserva la Corte che la falsità delle predette
circostanze è già stata rilevata dallo stesso Tribunale con riferimento al capo
F) a carico di Canterini. La valutazione non può che essere condivisa dalla
Corte, con la precisazione, peraltro, che i margini di dubbio sollevati dal
primo giudice sono del tutto inesistenti. Non solo l’episodio dell’accoltellamento
di Nucera è falso, come già argomentato, ma anche gli episodi di resistenza
genericamente riferiti nelle relazioni di servizio sono falsi. Come già
osservato si tratta di atti predisposti a richiesta di Canterini dopo alcuni giorni
dai fatti quando ormai le polemiche sulle vicende della Diaz erano assurte agli
onori della cronaca; addirittura il prefetto Micalizio, incaricato della
inchiesta amministrativa, si era rifiutato di ricevere tali relazioni per
l’evidente alterazione dei fatti in chiara funzione difensiva (verbale di
s.i.t. del 29/08/03). Quanto ai 17 referti medici sulle lesioni riportate dai
poliziotti e richiamati dal Tribunale, la irrilevanza di fronte al bilancio
complessivo degli ottantasette feriti su novantatrè arrestati che ha condotto all’ossimoro
della “colluttazione unilaterale” descritta dall’imputato Fournier, è confermata
dalle indagini svolte che hanno consentito di appurare che tali certificati,
rilasciati dal Centro Medico della Polizia, e sollecitati da Gratteri a
Canterini, in tre casi si riferiscono a lesioni subite nello sfondamento del
portone (lesioni riportate dagli agenti del Reparto Mobile Marra, Finocchio e
Castagna), in due casi si riferiscono a lesioni accidentali riportate da agenti
della Squadra Mobile di Napoli, negli altri casi attestano lesioni lievissime
(traumi contusivi, distorsioni al dorso della mano, alle dita, alla coscia e
alle caviglie) che sono troppo blande per essere state causate da violenta
reazione a mano armata come descritta nella relazione di Canterini (“armati con spranghe, bastoni e quanto altro”),
nella CNR (“gli occupanti ingaggiavano violente
colluttazioni utilizzando anche armi da taglio ed improprie…gran parte degli
occupanti affrontava gli operatori di polizia con bastoni, assi di legno ed
oggetti metallici”), nel verbale di arresto (“dapprima i giovani cercavano di resistere ingaggiando colluttazioni…l’attiva
resistenza posta in essere dai citati giovani veniva superato solo grazie alla
presenza di un nutrito contingente di operatori”) e nel verbale di
perquisizione (“vinta la resistenza degli
occupanti”).
Occorre ancora
rilevare come le relazioni di servizio siano assolutamente generiche in ordine
alle presunte resistenze, mancando le descrizioni specifiche delle condotte,
degli aggressori e delle modalità di utilizzo delle armi: anche tale genericità
è indizio significativo di falsità.
Persino gli
stessi imputati nel cercare di giustificare la propria condotta in ordine
all’affermazione delle resistenze incontrare hanno ammesso di non averne avuto
conoscenza diretta. Nell’esame dibattimentale Canterini afferma che “pur non avendo avuto visione di azioni
dirette, sono cose che ho potuto constatare; è frutto di una logica deduzione,
non di visione diretta. Sono giunto a questa deduzione perché abbiamo
incontrato resistenza, avendo dovuto superare cancelli chiusi e accessi
sbarrati. Quando sono entrato dopo i miei uomini, dopo aver visto e sentito
cadere roba dall’alto, ho visto da una parte spranghe e oggetti contundenti tra
cui una mazza, ho visto persone ferite addossate al muro e alcuni dei miei contusi; ho dedotto quindi
logicamente che vi fosse stato contatto fisico”. Nel suo esame
dibattimentale Fournier afferma “vi era
buio, e guardando meglio vidi che non si trattava di vere colluttazioni, ma vi
erano quattro o cinque poliziotti che stavano infierendo sui feriti”. Nelle
spontanee dichiarazioni l’imputato Stranieri Pietro riferisce di violenze
perpetrate da altri poliziotti, ma non di resistenze da parte degli occupanti.
Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Zaccaria Emiliano non riferisce alcun
tipo di colluttazioni. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Cenni Angelo
riferisce de relato presunte contusioni subite dai suoi uomini, che per ciò
solo avrebbe invitato ad uscire dalla scuola (circostanza poco credibile
perché non corredata da specifiche indicazioni sulla identità degli
uomini feriti). Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Ledoti Fabrizio ha
riferito di essere stato aggredito con un manico di piccone e di aver dovuto
ricorrere al “tonfa” (o “baton”) per “bloccarlo” e poter proseguire (ma l’episodio
è generico e resta non chiarito come sia avvenuto il “bloccaggio”
dell’antagonista che ha consentito al Ledoti di proseguire). Nelle spontanee
dichiarazioni l’imputato Luperi non riferisce di aver constatato alcuna
resistenza, anzi conferma di essersi allarmato per l’elevato numero di feriti.
Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Dominici Nando riferisce di non aver
assistito ad alcuna resistenza e di aver firmato il verbale di arresto
fidandosi dei colleghi e sul presupposto che Caldarozzi gli aveva comunicato la
decisione di procedere agli arresti di tutti i fermati. Nelle spontanee dichiarazioni
l’imputato Lucaroni Carlo ha riferito “nessuno
degli occupanti fece resistenza nei miei confronti ed io non usai in alcun modo
il tonfa”. Nelle spontanee dichiarazioni l’imputato Compagnone Vincenzo non
ha riferito alcuna resistenza. Nelle
spontanee dichiarazioni l’imputato Tucci Ciro ha genericamente riferito di
colluttazioni fra suoi colleghi e giovani, ma non di atti di resistenza.
Il complessivo
quadro che emerge da tutti gli elementi di prova raccolti nel corso del dibattimento
di primo grado conduce chiaramente ad escludere che vi siano stati atti di resistenza,
tanto meno con utilizzo di armi. Giova rilevare che il sequestro di coltelli e
altri arnesi da lavoro di per sé non è assolutamente indicativo di nulla, in
assenza della ben che minima descrizione di un loro utilizzo improprio quali
armi.
3)
“che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto e costituito da mazze,
bastoni, picconi, assi, spranghe ed arnesi da cantiere era stato utilizzato
come arma impropria dagli stessi occupanti, anche per commettere gli atti di
resistenza sopra descritti e comunque indicato nella disponibilità e possesso
degli arrestati”;
Anche tale fatto
così descritto sfugge ad ogni possibile connotazione di repentinità e non si
presenta come frutto di apprezzamento personale opinabile. L’utilizzo di
strumenti quali arma impropria per commettere atti di resistenza non può
ricondursi alle percezioni repentine frutto di incerta valutazione soggettiva:
trattasi di condotta duratura nel tempo che, così come descritta, implica la
visione diretta di fatti chiari nella loro oggettività, quali il possesso e
l’uso di mazze, bastoni, picconi ecc. per commettere atti violenti in danno degli
operatori di polizia. Nessun dubbio, pertanto, che tale fatto al quale il P.U. afferma
di aver assistito gode di fede privilegiata.
Quanto
all’oggettiva esistenza della falsità, vale al proposito quanto osservato da
ultimo con riferimento alla circostanza precedente. Non vi è alcun riscontro
negli atti redatti e nelle dichiarazioni rese dagli imputati di alcuna specifica
condotta che consenta di attribuire ad alcuno degli arrestati la detenzione e
l’uso degli strumenti indicati, e la attribuzione indifferenziata a tutti di
tali oggetti è di per sé chiaro indice di pretestuosa e infondata
generalizzazione in spregio al fondamentale principio della personalità della
responsabilità penale, che deve essere ben noto ai redattori degli atti di
polizia giudiziaria.
4)
“di aver rinvenuto due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra
dell’istituto perquisito, vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile
a tutti, così attribuendone la disponibilità ed il possesso indistintamente a
tutti gli occupanti l’edificio”
Anche tale fatto
non può essere qualificato percezione sensoriale repentina e come tale fallace.
L’affermazione di aver constatato la presenza di due ordigni incendiari in luogo
visibile e accessibile a tutti, oltre che essere nella sua oggettività
insospettabile di travisamento percettivo, è connotata di per sé di
caratteristica (facile visibilità a tutti) che esclude la percezione repentina.
L’affermazione sicuramente gode di fede privilegiata.
Nel merito il
capitolo delle bombe molotov è già stato ampiamente esaminato e, del resto,
l’oggettiva falsità dell’attestazione circa la loro presenza all’interno della
scuola Pertini e la riferibilità a tutti gli arrestati, in tale detenzioni
uniti dal vincolo associativo a delinquere, non è neppure contestata dagli
imputati.
5)
“gli occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere
da altre persone di fiducia”
In tal caso non
si tratta neppure di attestazione di fatto accaduto alla presenza del P.U., ma
di azione direttamente compiuta dal verbalizzante, per cui non si pone alcun
problema di percezione sensoriale del fatto. L’affermazione da parte del P.U.
di aver compiuto una determinata azione è sicuramente dotata di fede
privilegiata.
Nel merito la falsità
oggettiva della circostanza è pacifica, e come tale ammessa da tutti gli imputati
e riconosciuta dal Tribunale. Il primo giudice ha escluso la rilevanza penale
del fatto argomentando che nel caso di specie, trattandosi di perquisizione ad
iniziativa, non era obbligatorio per legge l’avviso in questione, che sarebbe stato
inserito nel corpo del verbale di perquisizione per leggerezza o disattenzione.
Tale
argomentazione non è condivisibile perché errata in diritto e, in ogni caso, incoerente.
Il Tribunale ha
citato a sostegno della sua tesi una massima giurisprudenziale di pronuncia non
pubblicata, che pare confondere l’avviso all’indagato da quello al difensore.
Viceversa la costante giurisprudenza in tema di perquisizioni ad iniziativa
della P.G. riconosce che ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p. e art. 356
c.p.p. è dovuto nei confronti della persona sottoposta ad indagini l’avviso
della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia (arg. da Cass. pen.
Sez. 2, Sentenza n. 40833 del 2007 che in caso di sequestro ad iniziativa poi
convalidato dal P.M. ha sancito “questa
S.C. è costante nel ritenere che la violazione dell'obbligo, da parte della
polizia giudiziaria, di avvertire l'indagato della facoltà di farsi assistere
da un difensore di fiducia (art. 114 disp. att. c.p.p.) nel corso di una
perquisizione o sequestro integra una nullità generale a regime intermedio”,
e da Sez. 4, Sentenza n. 16094 del 2009 ove si presuppone la operatività del
disposto dell’art. 114 disp. att. c.p.p. in caso di perquisizione conseguente ad
arresto in flagranza).
Ma in ogni caso,
venendo al secondo profilo, l’argomentazione è illogica perché la falsità
dell’affermazione non dipende dalla doverosità o meno dell’avviso, ma dal fatto
che esso sia stato effettivamente dato o meno, essendo evidente che la falsità
non è esclusa dall’errore di diritto che eventualmente i verbalizzanti abbiano
compiuto circa la necessità di un determinato adempimento procedurale.
Consegue che,
essendo pacifico (in quanto confermato da tutte le parti offese e non
contestato dagli imputati) che l’avviso in questione non venne dato, la contraria
affermazione contenuta nel verbale di perquisizione è falsa.
E non è neppure
condivisibile la giustificazione fornita dal Tribunale che imputa la falsità a
leggerezza e disattenzione dei verbalizzanti: la leggerezza e la disattenzione
inducono a trascurare fatti rilevanti, non ad affermare fatti inesistenti. Nel
verbale di perquisizione e sequestro in esame la specificazione dell’avvenuto
avviso agli indagati è stata scientemente inserita per confezionare l’atto nel
modo più conforme possibile alle regole giuridiche che lo disciplinano, con la
stessa studiata cura con la quale nella comunicazione di notizia di reato i
verbalizzanti si sono premurati di evidenziare che la forza usata dagli
operatori di polizia era stata “di
proporzione adeguata all’intensità dell’offesa” posta in essere dai
facinorosi resistenti, con ciò cautelandosi circa le preconizzate contestazioni
di uso eccessivo della forza, evidente già al solo esame del numero dei feriti
e della gravità delle lesioni inferte.
6)
“di essere stato attinto da ignoto aggressore con una coltellata vibrata
all’altezza del torace, che provocava lacerazioni alla giubba della divisa
indossata e al corpetto protettivo interno”
Trattasi di
articolata e complessa vicenda descritta dal Nucera con riferimento a più fasi
successive (aggressione da parte dello sconosciuto, uno o due colpi ricevuti al
petto, ritrovamento del coltello, scoperta della lacerazione al giubbotto) che sfugge
a qualsiasi possibile tentativo di considerarla conseguenza di percezione
sensoriale repentina, come tale fallace. Nessun dubbio che anche in questo caso
ci si trovi di fronte ad una serie di affermazioni dotate di fede privilegiata.
Quanto alla
falsità, se ne è ampiamente argomentato in precedenza, e a tale capitolo si
rimanda.
7) “di aver assistito ad un episodio in cui
l’agente Nucera, entrato assieme a lui e ad altro personale in una stanza posta
al secondo piano dell’edificio in questione, “avanzava e fronteggiava una persona munita di un
oggetto, con il quale ingaggiava una colluttazione”, ed inoltre che “a seguito
dell’intervento dell’altro personale componente la squadra” tale soggetto “veniva
accompagnato nel punto di raccolta”, essendo successivamente venuto a
conoscenza che “il summenzionato giovane era munito di arma da taglio” con la
quale aveva posto in essere l’aggressione ai danni dell’agente”
Nella sua
relazione di servizio datata 22/07/2001 l’Ispettore Capo Panzieri ha riferito
di aver proceduto personalmente insieme con Nucera allo sfondamento della porta
chiusa di un’aula, di aver visto una persona aggredire il collega tenendo
qualcosa in mano, che l’aggressore
era stato fermato e accompagnato al punto di raccolta, e che gli era stato
riferito che l’oggetto impugnato dall’aggressore era un coltello.
Anche in questo
caso valgono le considerazioni precedenti circa la specificità di diverse fasi
dell’azione, alcune compiute direttamente dal Panzieri (sfondamento della porta
insieme con Nucera, ricezione della comunicazione essersi trattato di coltello)
come tali estranee a processo percettivo, ed altre percepite, per le quali non
pare proprio sussista la repentinità (fermo e accompagnamento dell’aggressore
al punto di raccolta). Anche in tal caso sussiste la fede privilegiata. Circa
la falsità si richiamano le ampie argomentazioni svolte nella ricostruzione
dell’episodio dell’aggressione a Nucera.
8)
“rinvenimento delle bottiglie incendiarie … all’interno della scuola
perquisita o nelle pertinenze della stessa”
L’oggetto della
contestazione a Troiani è speculare a quanto già esaminato al punto 4).
9)
“aver proceduto alla perquisizione ex art. 41 TULPPSS dei locali della
scuola Diaz sita in Via Cesare Battisti ed al conseguente sequestro di armi,
strumenti di offesa ed altro materiale”
Trattasi
all’evidenza di contestazione che si riferisce all’affermazione falsa da parte
di Gava di aver compiuto un determinato atto procedurale; anche in tal caso è
estraneo il tema della percezione sensoriale perché a Gava è contestato di aver
falsamente attestato la propria partecipazione diretta alla perquisizione e al
sequestro. Nessun dubbio sulla natura fidefacente dell’atto. Quanto alla falsità
oggettiva dell’affermazione, essa è pacifica nella sua materialità, posto che Gava
non è neppure entrato nella scuola Pertini, essendosi occupato della antistante
scuola Pascoli, e sostiene di aver firmato il predetto verbale solo per aver
compiuto qualche identificazione degli arrestati.
Può pertanto
concludersi su questo primo punto che, a parte la attestazione del “lancio
fittissimo”, tutte le altre falsità contestate implicano la contestazione anche
dell’aggravante di cui al 2° comma dell’art. 476 c.p. trattandosi di condotte
tenute direttamente dai PPUU o di fatti che gli stessi hanno attestato essere
avvenuti in loro presenza, e dagli
stessi percepiti senza margini di opinabilità.
.-.-.-.-.-
Descritte le
ipotesi di falso in atto fidefacente contestate in causa, e verificata la
sussistenza dal punto di vista oggettivo delle falsità, prima di procedere
all’esame della responsabilità degli imputati occorre affrontare un secondo
tema di carattere generale, relativo alla invocata legittimità della sottoscrizione
dei verbali fidefacenti anche da parte di chi non ha partecipato direttamente alle
attività procedimentali che l’atto stesso documenta, o per aver compiuto altre
attività successive utili alla redazione dell’atto falso (come la
identificazione degli indagati) o per essersi fidati di quanto affermato da altri
colleghi, o per aver redatto solo in parte l’atto, lasciando che altri lo completassero
nella parte poi risultata falsa.
La peculiarità dei
verbali di perquisizione e sequestro, e di arresto oggetto del presente
giudizio consiste innanzi tutto nella mancata indicazione nominativa dei
verbalizzanti, posto che gli atti esordiscono con la frase “noi sottoscritti Ufficiali
ed Agenti di Polizia Giudiziaria effettivi a…” seguita dalla indicazione dei
rispettivi corpi di appartenenza, ma senza specificazione delle generalità. Gli
inquirenti hanno dovuto così investigare in base alle firme di sottoscrizione,
spesso mere sigle, con il risultato che uno dei firmatari del verbale di
arresto è rimasto ignoto (circostanza significativa secondo l’accusa pubblica della
mancata collaborazione nelle indagini da parte della Polizia, pur delegata
dalla Procura a investigare sui tragici fatti).
La legittimità
della sottoscrizione da parte di chi non ha compiuto l’attività tipica consacrata
dal verbale è stata sostenuta con quattro argomentazioni:
1) l’art. 120 disp. att. c.p.p. al 1° comma stabilisce che “Agli
adempimenti previsti dall’art. 386 c.p.p. possono provvedere anche ufficiali e
agenti di polizia giudiziaria diversi da quelli hanno eseguito l’arresto o il
fermo”;
2) il codice di rito prevede e disciplina all’art. 383 l’arresto da parte
del privato, cui segue la redazione del verbale da parte dell’ufficiale di P.G.
che, evidentemente, non ha proceduto all’arresto;
3) l’identificazione degli
indagati, in quanto presupposto necessario per la redazione del verbale, è attività della quale deve
darsi conto nel verbale, per cui la sottoscrizione di chi ha provveduto a tale
adempimento strumentale è legittima;
4) l’art. 479 c.p. sanziona come falso ideologico anche la condotta,
descritta come ipotesi di chiusura, della falsa attestazione di fatti diversi (da
quelli compiuti dal P.U. o ai quali il P.U. ha assistito) dei quali l’atto è destinato
a provare la verità. Sotto tale profilo la sottoscrizione ben può riferirsi
alla assunzione di “paternità” dell’atto e di responsabilità circa le decisioni
assunte quali conseguenza degli aspetti valutativi (come quella tipica di
procedere all’arresto). Pertanto la sottoscrizione del verbale da parte di chi
abbia appreso de relato le circostanze
oggetto della parte descrittiva sarebbe giustificata dalla assunzione di responsabilità
della parte valutativa e dispositiva dell’atto che consegue alla analisi dei
fatti.
La Corte ritiene
che nessuna delle suddette argomentazioni sia fondata.
-
Quanto alla prima, trattasi di
evidente travisamento del significato della norma. L’art. 386 c.p.p prevede che
successivamente all’arresto o al fermo la Polizia Giudiziaria compia una serie
di adempimenti esecutivi: informare il P.M., avvisare l’arrestato delle
garanzie difensive, avvisare il difensore, mettere a disposizione del P.M.
l’arrestato, trasmettere il verbale. L’art. 120 disp. att. c.p.p. prevede che tali
adempimenti esecutivi successivi alla redazione del verbale (che resta
disciplinata dall’art. 357 c.p.p.) possono essere compiuti anche da ufficiali e
agenti di P.G. diversi da quelli che hanno proceduto all’arresto, per evidenti
ragioni di speditezza, ma non contempla certo la facoltà di redigere il verbale
di arresto in capo a soggetti diversi da quelli che hanno proceduto materialmente
al compimento dell’atto.
-
Quanto alla fattispecie
dell’arresto da parte di privato, il travisamento è ancora più eclatante. La
norma, nel disciplinare la facoltà di arresto da parte del privato, prevede che
il P.U. redige il verbale della consegna:
in tale atto l’ufficiale attesta, con efficacia di fede privilegiata, il fatto
storico della presentazione del privato che gli consegna l’arrestato e il fatto
storico consistente nella relazione che il privato fa oralmente al P.U. per descrivere
le circostanze che l’hanno condotto ad eseguire l’arresto. Ma è evidente che il
P.U. non può attestare di aver proceduto direttamente lui all’arresto, assumendosi
la paternità della condotta tenuta dal privato.
-
Quanto alla terza argomentazione,
la stessa è smentita innanzi tutto proprio dalla pronuncia resa dalla Corte di
Cassazione nei confronti dell’imputato Gava, là ove ha ritenuto che non ha alcun
senso sostenere che per il solo fatto di aver proceduto alla identificazione
degli arrestati egli possa aver equivocato sulla natura e sul significato
dell’atto sottoscritto, cioè il verbale di perquisizione alla quale non aveva
partecipato. Come risulta evidente da tale argomentazione, ove la Corte avesse
ritenuto che la partecipazione ad atti successivi legittimi la sottoscrizione
di atto precedente al quale non si è preso parte, ne avrebbe dato atto nel caso
al suo esame e non avrebbe argomentato circa l’insostenibilità dell’equivoco
del Gava sulla propria partecipazione alla perquisizione; al contrario, risulta
confermato che in tanto il P.U. può sottoscrivere l’atto, in quanto vi abbia
preso parte effettiva.
L’occasione è
opportuna anche per confutare le tesi secondo le quali la sottoscrizione degli
atti da parte di chi non li ha compiuti sarebbe giustificata da prassi, o da
fiducia riposta in quanto accertato da altri colleghi. Quanto alla prassi, la
prima considerazione evidente è che non vi è traccia nel processo di alcun minimo
indizio dell’esistenza di tale prassi; al contrario la stessa è stata smentita
in modo inequivocabile dal vice questore Gallo Nicola (incaricato della stesura
materiale degli atti insieme con Schettini) nell’esame testimoniale del 18/04/2007
(“se uno firma un verbale è perché può
inserire in quel verbale qualcosa che ha percepito direttamente”). Ma
certamente non esiste prassi che scrimini tale condotta, come sancito dalla
Corte di Cassazione che afferma invece come “non può invocarsi a discolpa l’esistenza di prassi illegittimamente
tollerate se non promosse. In casi siffatti, invero non si può parlare di
condotta colposa, giacché la colpa consiste in una negligenza, nel senso che
pur avendo adottato un sistema ed una procedura corretta, l’agente incorra in
errore dovuto a superficialità o in una imperizia, nel senso per esempio che
l’agente interpreti correttamente alcune disposizioni che regolano la procedura”
(Cass. Sez. 5° n. 10720 del 4/12/2007- 10/03/2008)
Quanto alla
firma per fiducia sull’operato altrui, deve rilevarsi come sia assolutamente
illogico prevedere la facoltà di una sottoscrizione inutile e meramente
aggiuntiva apposta quasi con funzione notarile, come se la quantità di
sottoscrizioni possa aumentare la affidabilità di quanto attestato nell’atto. Ma
anche per tale ipotesi la citata Cass. N. 10720 del 4/12/2007 afferma a chiare
lettere che “Il pubblico ufficiale non
può apporre firme al buio senza incorrere in responsabilità, essendo suo
preciso dovere adottare le procedure idonee a garantire la piena conoscenza del
contenuto degli atti che firma”.
L’ultima
considerazione conclusiva sul punto è che, se anche per amor di accademia si
volesse dare ingresso alle suddette ipotesi legittimanti la sottoscrizione da
parte di chi non ha compiuto l’atto e non ha assistito agli accadimenti ivi
attestati, sarebbe pur sempre necessario che l’atto esplicitasse il ruolo
svolto dal sottoscrittore “estraneo”, indicando per ciascun firmatario
nominativamente indicato a quale titolo egli sottoscriva pur non avendo partecipato:
ad esempio con l’indicazione di aver redatto altri diversi atti successivi
(come l’identificazione degli arrestati) o con l’indicazione della fonte dalla
quale ha appreso il fatto che intende “confermare”, o della parte materiale di
atto compilata, poi completata da altri. Nel caso di specie, viceversa, tutti i
sottoscrittori si sono anonimamente indicati negli incipit dei verbali come autori diretti di tutte le attività compiute
e percettori degli accadimenti ivi descritti, senza alcuna distinzione, per cui
non vi è spazio alcuno per accedere alle tesi difensive sopra viste.
-
In ordine alla quarta
argomentazione la Corte rileva che l’interpretazione dell’ultimo inciso dell’art.
479 c.p. “comunque attesta falsamente
fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità” non è quella
proposta dalla difesa. La tesi finisce per riferire la norma in esame a ipotesi
di manifestazione da parte del P.U. di valutazioni, come l’”assunzione di paternità
dell’atto”, che può significare solo la decisione di procedere all’attività ivi
descritta e compiuta da altri (perquisizione e sequestro), nonché la decisione di
procedere ad atti dispositivi (arresto) in base alla valutazione dei fatti
emersi. Ma che tale area di condotta sia estranea alla norma incriminatrice in
esame è pacifico, essendo la falsità sempre riferita a dichiarazioni di scienza
(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4545
del 17/01/1983 “Il reato di falso
ideologico che si realizza sia nella ipotesi che il pubblico ufficiale attesti
falsamente in atto pubblico fatti dei quali l'atto è destinato a provare la
verità, sia allorché il privato attesti al pubblico ufficiale gli stessi fatti,
presuppone che l'attestazione consista in una affermazione o negazione di
verità, e mai in una dichiarazione di volontà, e che il dichiarante abbia l'obbligo
giuridico dell'esposizione veritiera.”
La fattispecie
si riferisce all’ipotesi nella quale il P.U. dolosamente faccia propria la
falsità riferita da un terzo su un fatto estraneo alla percezione del P.U. in
quanto interno alla sfera di conoscenza e disponibilità del terzo stesso, il
quale abbia per legge o altra fonte normativa l’obbligo di riferire al P.U. il
vero, sì che l’atto predisposto da quest’ultimo sia destinato a provare la
verità. La norma, pertanto, non autorizza il P.U. a sottoscrivere atti compiuti
da altri. Se poi l’argomentazione in esame è volta a giustificare la
sottoscrizione non quale autore delle attività compiute o spettatore dei fatti
accaduti in sua presenza, ma come responsabile delle decisioni di carattere
valutativo, vale la considerazione più sopra svolta circa la assoluta
indifferenziazione dei sottoscrittori, e la mancanza di specifica e chiara
indicazione dei ruoli, in tale ipotesi necessariamente diversi, assunti dagli
ufficiali di P.G. con le rispettive sottoscrizioni.
Giova infine ricordare
che anche per gli atti a contenuto dispositivo, quali il verbale di arresto, è
ravvisabile la falsità ideologica con riferimento alla enunciazione dei fatti
storici indicati quali presupposto del giudizio che conduce alla disposizione
finale.
.-.-.-.-.-.
Passando all’esame
delle singole responsabilità, la Corte osserva:
1)
POSIZIONE di LUPERI e GRATTERI
Si tratta dei
due funzionari di rango più elevato nel novero degli imputati, che peraltro, in
ragione della carenza della qualifica di Ufficiali di PG non hanno firmato alcuno
dei verbali falsi.
Entrambi hanno
cercato di sminuire i loro rispettivi ruoli e funzioni nella vicenda in esame,
ma sono stati smentiti dalle molteplici circostanze di segno contrario emerse
nel processo.
Occorre a tal
fine richiamare la testimonianza del pref Ansoino Andreassi illuminante sui
ruoli dei due imputati in esame. Ha riferito tale teste di aver ricevuto una telefonata
dal Capo della Polizia De Gennaro con la quale questi lo avvisava dell’arrivo a
Genova del Pref. La Barbera, che sarebbe venuto a Genova a dare una mano ad esso
Andreassi (ud. 23/5/2007). La
Barbera viene inviato a Genova con l’incarico formale di occuparsi dei rapporti
con le polizie straniere per sollecitare una collaborazione più rapida in
relazione ad arresti di stranieri coinvolti negli scontri. Ma è stato
pacificamente acclarato che La Barbera, arrivato a Genova nel tardo pomeriggio
a manifestazione terminata, non si occupò minimamente delle polizie straniere, e
si installò, invece, nella sala operativa della Questura portando con sé anche
l’imputato Luperi – il suo vice – che venne distolto dalla sala delle polizie
straniere. La presenza di Luperi fin dall’inizio della vicenda e, come si
vedrà, per tutta la sua durata fino al termine, rende irrilevante il suo incarico
formale di Consigliere Ministeriale, a suo dire avente per oggetto solo
attività di consulenza e non compiti operativi, se non altro perché, come
rilevato da molti presenti sul campo, la funzione di Consigliere ministeriale non aveva alcun nesso con
l’UCIGOS, diretto dal La Barbera, del quale Luperi era vice.
Sempre dalla
deposizione di Andreassi si apprende che in occasione dalla necessità di
procedere in forma energica ad una perquisizione con conseguenti risultati in
termini di arresti presso la scuola Paul Klee, la gestione della perquisizione
venne tolta ad esso Andreassi e affidata a Francesco Gratteri, all’epoca vice
di Manganelli al Servizio Centrale Operativo, fino a quel momento addetto ai
servizi all’interno della zona rossa. Lo stesso Gratteri nel suo interrogatorio
del 29/6/2002 ha confermato la circostanza, riferendo di esser stato lui a
guidare l’operazione: “non era una
perquisizione ma una passeggiata, quella perquisizione si stava svolgendo male”.
Il teste
Manganelli, all’epoca diretto superiore di Gratteri, (ud. 02/05/2007) ha
riferito di essere stato informato da Gratteri sull’operazione di perquisizione
alla scuola Paul Klee.
Consegue che può
ritenersi provato che l’imputato Gratteri viene, di fatto, messo a capo delle
operazioni di ordine pubblico, con conseguente passaggio in secondo piano della
figura del Pref. Ansoino Andreassi
Ancora il teste
Andreassi in merito alla riunione presso la Questura allorché si decise
l’intervento alla scuola Diaz ha aggiunto che:
a) il Capo della
Polizia, informato dell’imminente perquisizione, aveva deciso che La Barbera
doveva recarsi sul posto, così come l’addetto stampa della Polizia, Sgalla;
b) che Gratteri
era andato alla Diaz su input del suo
superiore gerarchico Dott. Manganelli; è opportuno sottolineare che Gratteri a
partire dall’operazione della scuola Paul Klee – per espressa ammissione dello
stesso Manganelli - durante le fasi cruciali di quella giornata è stato sempre
in contatto con il Ministero dell’Interno ed in particolare con gli uffici del
Servizio Centrale Operativo, come risulta dai tabulati del suo cellulare, che
evidenziano ben 19 contatti tra Gratteri ed il Ministero dell’Interno uffici
dello S.C.O. tra le ore 20:02,30 e le ore 00:31,15;
c) Luperi era
andato alla Diaz in qualità di vice di La Barbera;
Alla deposizione
di Andreassi si accompagnano decisivi riscontri oggettivi.
Quanto a
Gratteri la ricostruzione operata dalla consulenza delle parti civili ha
provato che:
a) Dalle ore 00.24.52 alle ore 01.12.14 tredici frammenti video lo riprendono
nel cortile della scuola Pertini. Fra questi compare il frammento in cui agitando
il “tonfa” verso l’alto ordina di fermare i fuggitivi che erano riusciti a scappare
dalla scuola tramite i ponteggi, e quello che riprende il cosiddetto
“conciliabolo” di funzionari con al centro il sacchetto delle bottiglie molotov
tra le mani del dott. Luperi.
b) E’ Gratteri che chiama il dott. Filocamo e gli impartisce l’ordine di
repertare quanto in sequestro (dep. Filocamo all’udienza 15/11/07);
c) Dalle ore 01.13.44 alle ore 01.51.50 vi sono 33 frammenti video che
riprendono Francesco Gratteri nei pressi del cancello dell’istituto scolastico
o nelle immediate vicinanze di questo all’interno del cortile oppure nella via
Battisti. In quest’ultima circostanza cinque frammenti video lo riprendono
mentre parla con la stampa. Anche questa circostanza appare del tutto
significativa: il capo del servizio centrale operativo della Polizia di Stato
viene immediatamente contornato dai giornalisti che lo riconoscono come un
interlocutore idoneo a chiarire i termini dell’operazione ed egli non si
sottrae anzi discute a lungo con loro dei fatti.
d) è lui stesso che chiede a Canterini di predisporre una relazione sui
fatti al Questore
Anche un altro
documento acquisito agli atti del dibattimento illumina il ruolo del dott.
Gratteri nell’ambito dell’operazione: in una telefonata registrata sulla linea
113 si ascolta una conversazione tra Mortola e Canterini dalla quale si
apprende che il dott. Gratteri si era rivolto al primo per sollecitargli la
produzione di certificati medici per gli atti (tel. 22 luglio al 113 -07 03.05.22).
Risulta così ampiamente
dimostrata la partecipazione diretta ed attiva di Gratteri anche nella fase
della redazione degli atti e, soprattutto, nel controllo del loro contenuto, come
già si è visto descrivendo l’episodio della richiesta a Canterini di redigere
la relazione al Questore, con il suggerimento del contenuto ed il successivo
controllo per verificarne la congruità con gli altri atti. La richiesta di
certificati medici attestanti le lesioni subite dai poliziotti per suffragare
il giudizio contenuto nella CNR sulla “proporzione fra forza usata e violenta
resistenza incontrata” è ulteriormente sintomatico del concorso di Gratteri
nella formazione dei verbali.
Secondo i testi
Frieri, Calesini, Cremonini gli imputati Luperi e Gratteri dirigono, comandano,
danno disposizioni (ad es. il teste Frieri ha detto di Gratteri: dava
l’impressione di essere il capo, tutto sembrava dipendere da lui; il teste
Calesini ha riferito di Luperi: dirige, comanda, da’ disposizioni).
In definitiva
può affermarsi con elevato grado di sicurezza che la linea di comando
dell’operazione è da individuarsi in Luperi, figura di riferimento per gli
appartenenti alle Digos e in Gratteri figura di riferimento per gli
appartenenti alle squadre mobili; la circostanza è del resto affermata anche dalla
sentenza impugnata.
Quanto alla
consapevolezza delle falsità contenute nei verbali, e riprendendo il tema dello
sdoppiamento dell’operazione in due fasi distinte e separate, sostenuto dalle
difese, e condiviso dal Tribunale al fine di escludere che i due si potessero
rendere conto di quanto era successo, si deve ricordare:
Luperi e Gratteri
arrivarono fra i primi sui luoghi, quanto erano in corso i pestaggi di Covell e
di Frieri, e comunque il corpo di Covell sarebbe rimasto ben visibile accasciato
vicino al cancello di ingresso; lo stesso Luperi ha ammesso di aver visto
Frieri bloccato a terra da poliziotti, ma senza saperne il motivo. Risulta, pertanto,
poco credibile che i due non si siano avveduti delle violenze che già erano
iniziate ben prima dell’arrivo al cortile della Diaz;
Luperi e
Gratteri entrarono alla Diaz pochi minuti dopo lo sfondamento del portone, secondo
le ricostruzioni dello svolgimento dei fatti sostanzialmente coincidenti contenute
nelle consulenze delle parti civili e dell’accusa, ritenute come le più
attendibili nell'impugnata sentenza. In particolare il momento di ingresso sia
di Gratteri, sia di Luperi è collocabile intorno alle 00,03.30 della domenica
22 luglio, ossia in un momento in cui non è dato seriamente dubitare che la
parte “messa in sicurezza” della operazione di polizia fosse ancora in pieno
svolgimento; conferma della circostanza, come già visto, è rinvenibile dalle testimonianze
di Bruschi Valeria e Thomas Albrecht. È quindi impossibile che essi non abbiano
percepito cosa fosse realmente accaduto essendo due dei massimi esponenti della
Polizia di Stato, e soprattutto che nessuno li abbia informati. A tale
proposito non bisogna dimenticare che almeno l’imputato Fournier ha manifestato
di essere ben consapevole della “macelleria messicana” e di averne fatto espresso
riferimento a Canterini, per cui non
è credibile che i due massimi dirigenti non siano stati informati.
Ma l’evidenza
oggettiva dei fatti, anche ammesso che i due fossero giunti all’interno della
scuola dopo la cessazione delle violenze, era tale da ingenerare in chiunque la
certezza che vi fosse stato un gravissimo ed ingiustificato abuso della forza:
l’elevato numero dei feriti anche gravi, le urla strazianti che in ogni caso si
sentivano chiaramente all’esterno fin dall’inizio dell’operazione, le
condizioni della scuola all’interno caratterizzate da sangue fresco su muri e sui
caloriferi e per terra, porte divelte, arredi fracassati, vetri infranti davano
vita ad una scena di violenza talmente evidente e generalizzata da non poter
essere seriamene misconosciuta.
Ed infatti
l’ultima versione della strategia difensiva di Luperi è stata di affermare che
effettivamente egli si rese conto che le cose non potevano essere andate
regolarmente e che egli manifestava dubbi per l’elevato numero di feriti; e
così, per tranquillizzarlo e dissolvere ogni possibile interrogativo, qualcuno
lo avrebbe ingannato sia con l’episodio dell’aggressione a Nucera, sia con
quello del ritrovamento delle molotov. La tesi, se da un lato è necessariamente
coerente con l’evidenza oggettiva di cui si è detto, dall’altro è
manifestamente incredibile quanto all’epilogo, contrastando in primo luogo con
le falsità da lui stesso sostenute, e poi con le emergenze istruttorie
ampiamente viste in precedenza, la pretesa di Luperi di passare quale vittima
di inganno altrui.
Alla concreta
possibilità di rendersi pienamente conto di quanto era successo all’interno della
scuola si ricollega la vicenda delle bottiglie molotov, come sopra già
ricostruita, che nell’evidenziare la consapevole partecipazione dei due imputati
alla predisposizione della falsa accusa di detenzione delle stesse da parte di
tutti gli arrestati, fornisce la conferma più esauriente del ruolo attivo
svolto da Luperi e Gratteri. Costoro, preso atto del fallimentare esito della
perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa
condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false
rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i
presenti nella scuola.
Risulta provato il
presupposto della condotta addebitata al capo A), consistente:
nell’aver
constatato:
- l’effettiva impossibilità di attribuire a tutte
ed a ciascuna delle persone occupanti l’edificio i singoli reperti posti in
sequestro durante l’operazione, anche per le modalità stesse con le quali la
perquisizione era stata condotta;
- l’impossibilità di attribuire agli occupanti
dell’edificio il possesso delle due bottiglie Molotov, provenienti da luogo
diverso da quello ove ne verrà attestato il rinvenimento, consegnate in loro
presenza mentre si trovavano unitamente ad altri funzionari nel cortile
antistante l’edificio;
- infine la palese mancanza dei presupposti per
operare un arresto in flagranza di tutti gli occupanti dell’istituto, non
essendo, fra l’altro, soggettivamente riferibili i reati ipotizzati di
resistenza aggravata, lesioni a pubblico ufficiale, tentato omicidio ed
associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio.
Ed infatti, sono
concordi le dichiarazioni delle parti lese secondo le quali gli operatori
presero gli zaini e le cose di pertinenza degli occupanti e li ammucchiarono tutti
insieme indistintamente senza accertare le singole appartenenze (per tutti si
vedano le dichiarazioni di Bruschi Valeria "Mi chiesero i documenti e poi raccolsero i nostri zaini e le borse,
dopo averli svuotati ed averne rovesciato il contenuto in un mucchio a terra”,
Madrazo Francisco Javier Sanz “ho visto
alcuni poliziotti in borghese con il casco ed una pettorina con la scritta
Polizia; hanno preso gli zaini e rovesciato a terra il contenuto”, Martinez
Ferrer Ana “entrarono alcune persone in giacca,
con una fascia tricolore. Quindi iniziarono a prendere gli zaini e a svuotarli
al centro della sala, lontano da noi”, Villamor Herrero Dolores “I poliziotti al centro della sala ordinarono
a tutti di consegnare gli zaini. I poliziotti svuotarono poi tutti gli zaini in
un mucchio”) Con questa modalità di perquisizione, ben visibile a Luperi e
Gratteri entrati prima ancora che i funzionari iniziassero tale inconcludente
attività, era chiaro ai due massimi vertici della Polizia (anche a Luperi che
era stato ufficiale di P.G. e conservava l’animus
del poliziotto, come rivendicato nelle dichiarazioni spontanee) che nessuna
cosa sequestrata poteva fondatamente essere attribuita alla detenzione di
alcuno degli arrestati. La circostanza del resto è risultata immediatamente
chiara anche al Dott. Filocamo della squadra
mobile della Questura di Parma (deposizione all’udienza del 15/11/2007).
Così come,
evidentemente, a nessuno poteva essere attribuita la detenzione delle bottiglie
molotov, della cui provenienza dall’esterno i due erano ben consapevoli. Con la
conseguenza che altrettanto indubitabilmente i due erano consapevoli che in
tale situazione non poteva essere eseguito alcun arresto, per l’impossibilità
di attribuire ad alcuno, secondo i principi della personalità della
responsabilità penale, i fatti delittuosi ipotizzati (e la recente esperienza
della scuola Paul Klee, che avrebbe dovuto essere illuminante anche in caso di
eventuali dubbi, non ha sortito alcun effetto, con ciò evidenziandosi ulteriormente
il dolo della condotta).
Sulla base di
tali presupposti noti agli imputati, le loro condotte hanno costituito certamente
concorso morale nella redazione degli atti falsi, avendo istigato, suggerito e
rafforzato l’intento delittuoso dei sottoscrittori dei verbali. La condotta di
Luperi, che ha gestito in prima persona le bottiglie incendiarie, ha
partecipato all’accordo sulla loro utilizzazione, si è compiaciuto con terzi del
ritrovamento, ed ha assistito senza nulla obiettare alla loro esposizione fra
gli oggetti la cui detenzione era riferita agli arrestati ha costituito
concreto e determinante (stante l’autorevolezza della fonte) impulso alla falsa
attribuzione delle molotov a tutti gli arrestati e, conseguentemente, approvazione
delle affermazioni false, pacificamente riferitegli ma non certo per ingannarlo,
delle violente resistenze incontrate all’interno della scuola e dell’uso di
armi improprie da parte dei soggetti che ivi si trovavano (circostanze che, per
constatazione diretta fin dall’ingresso immediato nella scuola, Luperi sapeva
essere false).
La condotta di
Gratteri, che con Luperi ha gestito l’operazione dall’inizio alla fine, è stata
altrettanto determinante. Basta ricordare l’esortazione a Canterini di inserire
nella relazione, in tutta fretta richiesta per il Questore, la falsa
circostanza della violenta resistenza all’interno della scuola, la richiesta di
visionare la relazione per confrontarne il contenuto con gli altri atti, la
sollecitazione a produrre più certificati medici sulle presunte lesioni subite
dai poliziotti. per aver la conferma lampante della ingerenza diretta di Gratteri
anche nella redazione della comunicazione di notizia di reato e dei verbali di
perquisizione e di arresto.
Oltre all’aggravante
della natura di atto fidefacente, sussiste anche la contestata aggravante del
nesso teleologico, essendo indubbio, per la logica che sorregge le condotte
sopra viste, che la partecipazione al falso era finalizzata alla calunnia e
all’arresto illegale in danno degli arrestati, allo scopo evidente di garantire
l’impunità agli autori delle gravissime lesioni procurate agli arrestati
stessi.
CANTERINI
La
responsabilità per la falsa attestazione contenuta nella relazione al Questore
circa la resistenza incontrata all’interno della scuola emerge dal fatto che il
contenuto di tale attestazione è stato sollecitato da Gratteri, mentre Canterini
non aveva avuto alcuna percezione diretta e personale di tali presunte resistenze,
come ha ammesso nel suo esame, ove ha ricollegato la sua affermata scienza
diretta del fatto ad una mera deduzione logica cui egli era pervenuto vedendo
gli oggetti sequestrati e sentendo i suoi uomini. Ma la conoscenza diretta
della reale situazione avuta entrando nella scuola, e la recriminazione di
Fournier circa la condotta violenta dei suoi uomini escludono anche che Canterini
potesse aver elaborato tale deduzione logica di fronte alla ineludibile evidenza
del contrario.
I SOTTOSCRITTORI DEI VERBALI
CALDAROZZI
Gilberto, primo dirigente, vice
direttore del Servizio Centrale Operativo (e quindi vice di Gratteri), ha
sottoscritto il verbale di arresto. Come già osservato in precedenza anche tale
verbale contiene l’esposizione di fatti che vengono riferiti come percepiti
direttamente dai firmatari, fatti in base ai quali venne adottata la decisione
di procedere all’arresto. Le attestazioni ivi contenute ben possono essere oggetto di falso
ideologico. In particolare nel verbale di arresto si riferisce il ritrovamento
delle bottiglie molotov “al piano terra in prossimità dell’entrata”. Caldarozzi, ammesso che avesse potuto farlo, non ha distinto il
titolo in base al quale ha sottoscritto il verbale di arresto, e quindi si è assunto
volontariamente e consapevolmente la paternità anche di tale affermazione
palesemente falsa, senza saper indicare da quale fonte avrebbe attinto tale
conoscenza. “Pur essendo tra i firmatari
del verbale di arresto in cui si menziona il luogo di rinvenimento delle
molotov, non ho appreso e non so riferire chi e come abbia, nella formazione di
tale atto riferito le circostanze specifiche contenute nel medesimo verbale
sulle bottiglie molotov; prendo atto che nessuno dei funzionari interrogati è
in grado di specificarlo, ma purtroppo io non ne sono a conoscenza” (int.
dr. Caldarozzi 30/7/2002). È sufficiente richiamare le considerazioni già svolte
sul ruolo di Caldarozzi nella vicenda delle bottiglie molotov e sulla
inverosimile tesi di aver ricevuto il sacchetto con le bottiglie senza nulla chiedere
sulla provenienza per drsumere che Caldarozzi, non solo ha sottoscritto il
verbale “al buio” (con ciò commettendo in ogni caso il delitto di falso)
ma anche che egli fosse consapevole della falsità di tale attestazione.
Caldarozzi, dopo
aver organizzato i “pattuglioni”, cui nel pomeriggio del sabato 21 luglio era
stato affidato il compito di controllo del territorio e di intercettazione dei
facinorosi, ha partecipato alle riunioni in cui viene decisa prima ed
organizzata poi l’operazione di perquisizione. La sua
versione difensiva, anch'essa basata sulla dicotomia di fasi e sull’assunto di essere
giunto sul teatro delle operazioni dopo che si era esaurita la fase
dell'intervento ad opera del personale appartenente al VII Nucleo, è stata smentita
dalla consulenza delle parti civili, che ne colloca l'ingresso all'interno
dell'edificio Diaz-Pertini in un lasso di tempo prossimo a quello del superiore
gerarchico Gratteri e dunque in un momento in cui le “colluttazioni unilaterali”
erano ancora in corso. Quindi Caldarozzi è consapevole anche della falsità del
riferimento alla necessità di vincere la resistenza dei presenti, contenuto nel
verbale di arresto.
Sussiste pienamente,
pertanto, la contestata fattispecie di falso ideologico aggravata sia dalla
natura fidefacente delle attestazioni in fatto contenute nel verbale di
arresto, sia dal nesso teleologico,
come argomentato in precedenza.
MORTOLA Spartaco, dirigente della DIGOS di Genova, ha
sottoscritto la comunicazione di notizia di reato insieme con Dominici ed il
verbale di arresto.
Egli ha partecipato attivamente a tutte le fasi dell’operazione
dall’arrivo (essendo lo scout della
prima colonna) fino alla redazione degli atti.
Consegue che ha
avuto modo di veder tutto quel che accadeva, a cominciare dalle violenze
gratuite poste in essere già nella via Battisti e dal pestaggio di Mark Covell
(e Mortola viene ripreso insieme con Di Sarro dai filmati alle ore 00.19
proprio in prossimità de luogo di tale pestaggio).
Mortola ha avuto
perfettamente modo di vedere come il corpo esanime fosse riverso al di fuori
del cortile e come nulla potesse avere a che fare con le attività poi riferite
nel verbale di arresto, ove è indicato come uno dei soggetti che erano
all’interno della scuola Pertini. Negli interrogatori del 23 e 30 luglio 2002
l’imputato ammette che nessuno sapeva dove fossero state trovate le bottiglie
molotov, e malgrado ciò conferma di aver sottoscritto il verbale di arresto e la
comunicazione di notizia di reato che ne attestano il ritrovamento in luogo
visibile e accessibile a tutti all’interno della scuola (piano terra o primo
piano). A sostegno della falsa tesi circa le resistenze incontrate, Mortola ha
riferito, non nella comunicazione di notizia di reato, né durante le prime s.i.t.,
ma solo dopo acquisita la qualità di indagato, di aver assistito alla caduta di
un maglio spaccapietre. La tardività del ricordo di un fatto così eclatante, ed
il mancato sequestro del maglio spaccapietre che avrebbe dovuto trovarsi a
terra nel cortile (tutti gli oggetti sequestrati sono stati indicati come ritrovati
all’interno della scuola), sono illuminanti circa le falsità studiate per
giustificare gli arresti.
Giova ancora
ricordare la vicenda che coinvolge Szabo Jonas, arrestato con l'accusa
addirittura di essere l'eminenza grigia del blocco nero sulla base di elementi
inesistenti, tanto da essere rilevati come tali anche dall'imputato Mortola nel
corso dei suoi interrogatori. Di tali fatti Mortola viene a conoscenza sul
teatro delle operazioni ed in una fase in cui appare incredibile che egli non
si sia informato sulle circostanze relative al ritrovamento, e cioè che lo
zaino del sig. Szabo si trovava presso la Pascoli, che lo scritto incriminato era
in realtà una tesi di laurea sul reverendo Jackson, che Szabo era stato fermato
non all'interno dell'edificio scolastico Pertini ma sulla strada.
Infine sulla
falsità sostenute da Mortola in ordine al ritrovamento delle bottiglie molotov
si è già detto.
Anche per questo
imputato si è raggiunta la piena prova della responsabilità per il contestato
reato di falso ideologico aggravato dalla natura fidefacente degli atti e dal
nesso teleologico.
DOMINICI Nando
Anche per tale imputato è raggiunta la prova che si è trovato sul posto a
mezzanotte, l’ora dell’irruzione, ed ha dunque assistito a ciò che stava
accadendo, tra cui i primi pestaggi ai danni di Francesco Frieri e Mark Covell.
È entrato nell'edificio, salendo ai piani superiori, rendendosi conto
immediatamente dello stato e del numero dei feriti. Con ogni probabilità
Dominici ha assistito anche ad atti di cd. perquisizione all'interno
dell'edificio (”ho notato dei poliziotti
in borghese che rovistavano tra le cose presenti nella scuola” interr. del
14/10/2002) .
Egli ha sottoscritto il verbale di arresto “sulla fiducia” riposta
nell'operato degli altri funzionari sottoscrittori in ipotesi autori delle
attività ivi documentate, invocando il proprio contributo (la cui estraneità
all'atto non poteva sfuggirgli) rappresentato dallo svolgimento di attività di
identificazione degli arrestati, feriti e trasportati presso gli ospedali
cittadini.
Peraltro nel suo interrogatorio del 14/10/2002 Dominici ha confermato
quanto a suo tempo aveva riferito all’ispettore ministeriale Micalizio, e cioè
che alla vista del gran numero di feriti istintivamente si era rivolto al
Canterini chiedendogli conto di quello che appariva come grave e sproporzionato
uso della forza, ricevendo dallo stesso versione del tutto opposta a quanto
attestato negli atti, cioè che i
suoi uomini erano entrati e “avevano colpito alla cieca”.
Valgono, al proposito le considerazioni sopra già svolte circa la falsità
sia per la consapevole mancanza di fonte diretta di conoscenza di quanto attestato,
sia per concreta conoscenza della contrarietà al vero delle circostanze
affermate.
Per i motivi sopra esposti sussitono anche le due aggravanti contestate.
FERRI Filippo
L’imputato, dirigente della squadra Mobile della Spezia, ha sottoscritto sia il verbale di
perquisizione e sequestro, sia il verbale di arresto, che ha collaborato a
redigere a Bolzaneto insieme con Ciccimarra e Di Bernardini.
Egli ha preso parte a tutte le fasi della vicenda in esame, dall’aggressione
subita dalla pattuglia in Via Cesare Battisti fino all’epilogo rappresentato dal
confezionamento dei verbali di P.G..
Nel verbale di s.i.t. rese il 01/08/2001, confermate integralmente nel
successivo interrogatorio del 18/12/2001, Ferri, dopo aver anch’egli sostenuto
la tesi di essere entrato quando le ferite erano già state inferte, ha ammesso
di non essere in grado di riferire
se le bottiglie molotov e le armi improprie fossero nella disponibilità di uno
o più degli arrestati. Tuttavia egli si è assunto la paternità della decisione
di procedere all’arresto di tutti quanti sulla base della formulazione di
accusa associativa, ipotesi di reato che gli “sembrava maggiormente sostenibile per procede all’arresto in flagranza.”
L’ammissione tradisce platealmente lo stravolgimento logico che ha connotato la
condotta dei funzionari: il fine (procedere in ogni caso agli arresti) ha giustificato
il mezzo (contestazione di falsa accusa di delitto associativo).
Dall’esame dell’interrogatorio reso il 18/12/2001 emerge che Ferri è
giunto sulla località fra i primi insieme con Mortola, immediatamente al
seguito del Reparto Mobile, per cui è stato in grado di apprezzare le violenze
gratuite commesse per strada ai danni di Covell e Frieri. Entrato nella scuola
dopo il Reparto Mobile (ma, si ricordi nello spazio temporale dei già rilevati
70 secondi), Ferri ha visto le persone vistosamente ferite radunate al piano
terra e zaini ammassati. Poi è salito ai piani superiori ed ha constatato la
presenza di persone gravemente ferite anche là.
Nel successivo interrogatorio del 20/09/2002 Ferri, pur incaricato di
eseguire la perquisizione, ha ammesso di non avervi provveduto, in quanto
occupato a soccorrere i feriti, ed ha confermato il suo contributo giuridico
alla formulazione dell’ipotesi di reato associativo.
Durante la redazione del verbale di arresto Ferri è stato in contatto con
la Questura dove i suoi sottoposti DI NOVI, CERCHI e MAZZONI collaboravano alla
stesura del presupposto atto di perquisizione e sequestro, per cui risponde a
logica e a comune massima di esperienza che abbia partecipato coordinandola
anche alla elaborazione del contenuto del verbale di perquisizione.
Consegua la piena prova che Ferri era perfettamente consapevole che la
realtà dei fatti era del tutto diversa da quella rappresentata nei verbali da
lui prrdisposti e sottoscritti: all’interno della scuola non vi era alcuna
bottiglia molotov, il numero e la gravità dei feriti escludeva la possibilità
di ipotizzare una collettiva attività di resistenza violenta da parte degli
stessi, l’ammasso degli zaini e delle armi improprie impediva la attribuibilità
delle stesse ai singoli arrestati. L’attribuzione delle opposte condotte (resistenza,
getto degli zaini, uso delle armi improprie, detenzione delle bottiglie molotov),
rappresenta il contenuto consapevolmente falso dell’atto, dolosamente
finalizzato a giustificare gli arresti, a calunniare gli arrestati e a coprire
le violenze compiute da colleghi e sottoposti.
Anche per Ferri, quindi, sussiste piena prova del contestato reato di
falso ideologico pluriaggravato.
CICCIMARRA Fabio,
commissario capo presso
la Squadra Mobile di Napoli, ha sottoscritto il verbale di arresto.
Secondo le dichiarazioni rese nell’interrogatorio del 13/10/2001 egli
- ha partecipato alla riunione in Questura ove si è decisa e organizzata la
perquisizione alla scuola Diaz;
- è arrivato in loco con Mortola prima ancora della chiusura del cancello
da parte degli occupanti la scuola, quindi nella fase in cui venivano picchiati
Covell e Frieri;
- entrato nel cortile dopo lo sfondamento del cancello, con i suoi uomini
ha tentato di forzare il portone di ingresso laterale sinistro e, dopo che il
reparto mobile riuscì in tale intento, è entrato nella scuola Pertini;
- dopo aver visto persone ferite scendere la scale accompagnate da
colleghi, salito al primo piano vedeva un poliziotto che picchiava inutilmente
un ragazzo inerme e lo invitava a fermarsi;
- non ha assistito ad atti di violenza da parte dei presenti nella scuola,
ne alcuno dei colleghi gliene ha riferiti;
- si è basato sulla relazione di Canterini per elaborare il contenuto
dell’atto;
- la decisione di procedere all’arresto è stata assunta collegialmente da
tutti i firmatari del relativo verbale.
Da quanto ammesso dallo stesso imputato emerge chiara la sua
responsabilità per le false attestazioni contenute nel verbale di arresto: egli
non ha assistito alla resistenza e alle colluttazioni che sarebbero state ingaggiate
dai giovani all’interno della scuola e nessuno gliene ha riferito; anzi ha
assistito direttamente ad atti di violenza gratuita commessi da un collega
proprio al piano da dove provenivano altri feriti; la relazione di Canterini
(come si è visto anch’essa falsa) non avrebbe legittimato la attestazione “sulla
fiducia”, comunque non giustificata dalla conoscenza diretta della divergente
realtà (la circostanza conferma, viceversa, il coordinamento operato da
Gratteri fra il contenuto dei vari atti stilati nell’occasione). Egli, entrato tra
i primi nella scuola e rimastoci fino alla fine delle operazioni, aveva
constatato che nessuna bottiglia incendiaria era nell’atrio o in altro posto
ben visibile all’interno della scuola, per cui non poteva comparire fra gli
oggetti sequestrati come da relativo verbale di perquisizione al quale il
verbale di arresto fa esplicito rinvio formale; egli non ha visto gli occupanti
gettare gli zaini per disfarsene e rendere impossibile la perquisizione,
nessuno gliene ha riferito e la circostanza non è contenuta nella relazione
redatta da Canterini, che non può quindi essere stata fonte ispiratrice al
riguardo.
DI SARRO Carlo, funzionario della DIGOS di Genova alle
dipendenze di Mortola, ha sottoscritto il verbale di arresto. Ha sempre
sostenuto di essere rimasto all’esterno della scuola tranne che per due
brevissimi ingressi, di aver visto, su segnalazione di Mortola, gli oggetti
sequestrati fra i quali non vi erano le molotov, di cui apprese solo un volta
tornato in Questura, e di aver sottoscritto il verbale di arresto la mattina della
domenica 22 luglio, malgrado non sappia dire come si giunse a tale decisione;
riferisce di aver letto il verbale prima di sottoscriverlo e di avere avuto
perplessità sulla contestazione del reato associativo, ma di aver ricevuto rassicurazioni
da Ferri sulla correttezza della valutazione giuridica alla luce dei reperti trovati,
e fatta salva la eventuale diversa qualificazione giuridica da parte dell’autorità
giudiziaria: al che Di Sarro si risolse a firmare.
Egli, inoltre, è stato tra i primi a giungere sul posto in quanto scout della seconda colonna giunta da
sud, e se non ha assistito al pestaggio di Covell, certamente ne ha visto il
corpo a terra insieme con Mortola, come da video che lo ritrae (min. 00.19 secondo
la consulenza delle parti civili).
Trattasi di tipica ipotesi di sottoscrizione dell’atto “sulla fiducia”
per non aver avuto alcuna cognizione personale sulle circostanze attestate nel
verbale di arresto (e a quello di perquisizione richiamato per relationem) relative alla violenta resistenza, alla
perquisizione ed al ritrovamento dei reperti, nonché sulla loro riferibilità ad
alcuni o a tutti gli arrestati.
Anche per Di Sarro sussiste in pieno la contestata ipotesi di falso
ideologico pluriaggravato, in particolare essendo a lui ben chiara, per averne
avuto inizialmente dubbi, la strumentalità delle false accuse rispetto agli
arresti.
MAZZONI Massimo,
DI NOVI Davide e CERCHI Renzo, le cui posizioni possono essere esaminate contestualmente, hanno sottoscritto
sia il verbale di perquisizione e
sequestro, sia il verbale di arresto; Mazzoni ha in parte redatto materialmente
il verbale di perquisizione e
sequestro.
Tutti e tre
sostengono di essere sostanzialmente rimasti estranei all’attività di materiale
compimento della perquisizione che sarebbe stata da loro interrotta quasi
subito per dedicarsi, i primi due, alla identificazione dei feriti presso gli
ospedali, ed il terzo a trovare le ambulanze.
Cerchi e Di Novi
avrebbero sottoscritto l'atto nella convinzione che la loro firma fosse dovuta
per l'attività svolta, mentre Mazzoni si sarebbe limitato a formare l'elenco
degli oggetti sequestrati (senza peraltro saper indicare – neppure per le bottiglie
molotov – le fonti di conoscenza da cui avrebbe attinto le notizie riferite),
per poi lasciare l'atto “aperto” ed in bozza sul computer, atto che altri
avrebbero completato e lui infine sottoscritto dopo la stampa. Va ricordata,
infine, l'ammissione del Di Novi di essere entrato nella Diaz-Pertini
unitamente agli operatori incaricati della “messa in sicurezza” del sito.
Anche in tale
ipotesi siamo di fronte ad una consapevole falsità per mancato svolgimento delle
attività che vengono attestate come compiute dai sottoscrittori, non scriminata
dalla redazione successiva di diverso atto (il verbale di identificazione degli
arrestati), né dalla “fiducia” riposta nei compilatori seguenti del verbale (a parte
la carenza di indicazione circa tale sdoppiamento di responsabilità nella redazione
dell’atto).
Piena prova, quindi,
anche per questi tre imputati, della responsabilità per il falso pluriaggravato
loro contestato.
DI BERNARDINI Massimiliano, vice questore alla Squadra Mobile di Roma, ha sottoscritto sia il verbale di perquisizione e sequestro, sia il verbale di arresto.
Come risulta dal suo interrogatorio del 17/12/2001 egli è entrato nella
scuola Pertini e si è soffermato nel vano palestra, ove avrebbero dovuto
trovarsi in bella vista le bottiglie molotov, ed ha visto gli zaini e altro materiale
ammassati indistintamente a terra. Ha avuto solo la “sensazione” di uno scontro
violento, ma nessuno gli ha riferito di episodi particolari. In tale situazione
le stesse ammissioni dell’imputato, unite alle considerazioni in precedenza
svolte circa l’episodio della gestione delle bottiglie molotov, fondano la sua
responsabilità per la falsità in ordine alle circostanze attestate nei verbali,
incompatibili con quelle effettivamente conosciute come sopra riferite, o della
cui conoscenza l’imputato non ha saputo indicare la fonte. Anche per tale
imputato sussiste la evidente strumentalità del falso rispetto agli arresti di tutti
i presenti nella scuola (o tali ritenuti), per cui è configurabile la
responsabilità per il falso ideologico pluriaggravato come contestato.
A tutti i
sottoscrittori del verbale di perquisizione e sequestro è addebitabile anche la
falsità relativa alla affermazione “gli
occupanti erano stati resi edotti della facoltà di farsi assistere da altre
persone di fiducia”, circostanza non vera ma che non ha impedito, né ha
comportato dubbi al riguardo, la sottoscrizione del verbale.
NUCERA MASSIMO e PANZIERI MAURIZIO hanno sottoscritto
le rispettive annotazioni sull’episodio dell’accoltellamento nonché il verbale
di perquisizione e sequestro e
quello di arresto. Sulla falsità dell’episodio dell’aggressione a mano armata
di Nucera basta richiamare quanto ampiamente più sopra argomentato. Le due
false annotazioni sono state allegate alla comunicazione di notizia di reato ed
il loro contenuto è stato trasfuso nel verbale di arresto, sottoscritto dagli
imputati, al fine di rafforzare l’accusa di resistenza e detenzione di armi a carico
di tutti gli arrestati, per cui non esistono margini di dubbio sulla responsabilità
dei due imputati per il delitto di falso ideologico pluriaggravato loro contestato.
L’assunto difensivo secondo il quale i due non avrebbero voluto firmare i
verbali, e a ciò sarebbero stati indotti dalle pressioni ricevute dai superori
gerarchici presenti, che li avrebbero anche a lungo trattenuti in Questura, non
è riscontrato da alcun elemento neppure indiziario, per cui non vi è spazio per
ipotizzare un vizio del consenso per violenza tale da escludere la
responsabilità per carenza dell’elemento soggettivo.
GAVA Salvatore, funzionario in servizio presso la Questura
di Nuoro, con riferimento alla sua sottoscrizione del verbale di
perquisizione e sequestro è imputato di falso per non aver minimamente
partecipato all’attività di P.G,, non essendo neppure entrato nella scuola
Diaz-Pertini.
La sua posizione trova completo inquadramento giuridico nella sentenza della
Corte di Cassazione già citata che ne ha confermato la correttezza dell’imputazione
coatta. Secondo la Corte Suprema vi sono solo due alternative possibili: o Gava
è stato ingannato in qualche modo da terzi nell’apporre la sua sottoscrizione
(ed allora è esente da responsabilità essendo in tal caso il falso solo
colposo), o, se ha firmato consapevolmente, non può essere esente da responsabilità
per il solo fatto di aver successivamente partecipato ad altro atto, l’identificazione
degli arrestati, che ben doveva sapere essere attività del tutto estranea a
quella tipica della perquisizione.
ll Tribunale, esclusa correttamente l’ipotesi della sottoscrizione per
errore, ha assolto Gava sul presupposto che la sua convinzione di dover firmare
per aver proceduto alla identificazione degli arrestati giustificasse la
condotta escludendo il dolo. Sorprendentemente il Tribunale disattende scientemente
il principio di diritto dettato dalla Corte di Cassazione senza fornire alcuna
spiegazione di tale scelta.
Al contrario questa Corte condivide appieno il principio sancito dalla
Cassazione secondo il quale il P.U. è legittimato a sottoscrivere l’atto pubblico
solo in quanto autore delle attività ivi descritte o spettatore diretto degli
avvenimenti che riferisce, e che il compimento di altre attività (come la
successiva identificazione degli arrestati) ben può e deve formare oggetto di
un altro atto, ma non può confluire anonimamente in quello precedente (nel caso
in esame la perquisizione). Vale, in ogni caso, il rilievo già evidenziato che
nel verbale di perquisizione e sequestro manca ogni specifico riferimento sulla
limitata e diversa attività asseritamente compiuta da Gava, per cui la sottoscrizione
incondizionata comporta assunzione di responsabilità del Gava per tutti gli
aspetti significanti del verbale, in primo luogo la sua partecipazione all’attività
di perquisizione.
Anche per Gava, quindi, sussiste la responsabilità per il contestato falso
ideologico pluriaggravato.
LA CALUNNIA E L’ARRESTO ILLEGALE
L’accertamento delle responsabilità per i falsi come sopra argomentato conduce
al riconoscimento, tranne che per Burgio e Troiani, come già visto, della responsabilità
per la contestata calunnia ascritta a Luperi, Gratteri e agli altri sottoscrittori
degli atti ai capi B), D), G), L), N), 2) Proc. 5045/05 Trib..
È già stata argomentata la stretta correlazione fra l’indicazione di
circostanze false negli atti e la finalità di procedere all’arresto di tutti i presenti
nella scuola, con la necessaria formulazione di accuse che, in quanto basate su
tali false circostanze, integrano chiaramente l’ipotesi delittuosa della
calunnia.
Il concorso morale accertato in capo a Luperi e Gratteri nella redazione
dei falsi verbali comporta la loro responsabilità allo stesso titolo anche per
la calunnia, essendo anche loro partecipi della specifica finalità cui erano preordinate
le false attestazioni. Constatato l’esito disastroso della irruzione, l’inesistenza
dei c.d. black bloc e l’assenza di armi, la necessità procedere agli arresti e
di giustificare le numerose e gravi lesioni inferte ha indotto i due massimi dirigenti
che conducevano le operazioni a coordinare l’attività di confezionamento di un
complesso di false accuse che fosse apparentemente idoneo a giustificare arresti
e violenze. Sono sorte, così, le false accuse di violenta resistenza, di
utilizzo di armi improprie, tra le quali strumenti di lavoro che erano presenti
in loco per la pacifica esistenza di un cantiere edile, e le barre metalliche
estratte dagli zaini, la falsa detenzione delle bottiglie molotov, la falsa
aggressione all’arma bianca ai danni di Nucera.
Come si è visto analizzando la condotta di Luperi e Gratteri essi erano
pienamente consapevoli che la loro condotta costituiva approvazione ed
esortazione alla formulazione delle false accuse per giustificare gli arresti,
Luperi perché esperto analista di terrorismo e criminalità organizzata, lungi
dall’essere stato vittima di inganni altrui, ritenendosi soddisfatto delle spiegazioni
a suo dire ricevute a fronte delle sue evidenti perplessità sull’accaduto e
partecipando alla gestione delle bottiglie molotov; Gratteri perché, oltre a
partecipare alla gestione delle molotov, ha anche concorso attivamente alla
concertazione del contenuto degli atti da presentare all’autorità giudiziaria.
Nessun dubbio, ovviamente, sussiste sulla responsabilità per la calunnia in
capo ai sottoscrittori del verbale di perquisizione e sequestro, del verbale di
arresto, nonché della comunicazione di notizia di reato, atti della cui consapevole
falsità si è ampiamente detto, e che per loro natura sono istituzionalmente destinati
all’autorità giudiziaria. Ma ad analoga conclusione deve pervenirsi anche
relativamente all’annotazione di servizio redatta da Canterini ed indirizzata
al Questore, a nulla rilevando che l’autore non avesse ipotizzato che tale suo
atto sarebbe stato allegato alla CNR trasmessa all’A.G., posto che il Questore
aveva certamente l’obbligo di riferire a quella autorità dei reati di cui
veniva a conoscenza tramite la relazione di Canterini.
Ricorrono anche le due aggravanti contestate, quella di cui al 2° comma
dell’art.368 c.p. in conseguenza dell’entità della pena edittale massima prevista
per il reato oggetto di calunnia di devastazione e saccheggio (art. 419 c.p.)
superiore ad anni 10, e quella del nesso teleologico che lega la calunnia alla
commissione dell’arresto illegale.
Le condotte come sopra descritte corrispondono alla contestazione in
fatto di cui ai capi E) e 3) Proc. 5045/05 Trib a carico di Luperi, Gratteri,
Caldarozzi, Ciccimarrra, Ferri, Mazzoni,
Cerchi, Di Novi, Di Sarro, Mortola, Dominici e Di Bernardini.
È evidente, infatti, che lo scopo primario conseguito, quello di
procedere all’arresto di tutti i soggetti presenti nella scuola e all’esterno
nelle immediate vicinanze, è stato attuato nella assenza dei presupposti legali
legittimanti l’atto. Si deve escludere alcun margine di possibile errore di
valutazione giuridica a fronte della creazione di false prove a carico, e della
oggettiva e indiscutibile impossibilita di attribuire indistintamente a tutti
gli arrestati la responsabilità per i reati ipotizzati in mancanza oggettiva, risultante
per tabulas dagli stessi atti, di
elementi individualizzanti, ed essendo macroscopicamente pretestuosa la
riferibilità a tutti delle bombe molotov solo perché site in luogo “accessibile
e visibile a tutti”.
Ritiene, peraltro, la Corte, conformemente alle richieste finali del P.M.
in primo grado, che la fattispecie debba essere inquadrata nell’ipotesi dell’arresto
illegale di cui all’art. 606 c.p. piuttosto che in quella contestata dell’art
323 c.p., alla luce della giurisprudenza (Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 6773
del 19/12/2005 Ud) che, nell’enucleare le differenze fra sequestro di persona
con abuso della qualità di pubblico ufficiale e arresto illegale, individua la
seconda fattispecie allorché la
condotta criminosa consiste proprio nell'abuso specifico delle condizioni
tassative (commissione di un delitto; stato di flagranza o quasi flagranza)
alle quali la legge subordina il potere di arresto. Nel caso di specie gli
imputati hanno proceduto all’arresto in assenza del presupposto della flagranza
di alcun reato, e ciò integra la fattispecie di cui all’art. 606 c.p..
I REATI RELATIVI ALL’INGRESSO NELLA SCUOLA PASCOLI
Tra i fatti oggetto di processo vi sono anche le vicende connesse all’irruzione
compiuta dalla Polizia nella scuola Pascoli, fronteggiante la scuola Pertini,
cristallizzate nei residui capi di imputazione S), T), U) e V) a carico di Gava
Salvatore.
La tesi della difesa dell’imputato Gava, fatta propria dal Tribunale, è
incentrata sull’assunto che l’ingresso in tale scuola sia avvenuto per errore,
che all’interno nessuna attività di P.G. e tanto meno illecita sia stata compiuta,
essendo Gava e i suoi uomini entrati dopo altri reparti e usciti dopo pochi
minuti, e che Gava non era comunque al comando di tutti gli uomini entrati in
tale scuola ma solo dei suoi colleghi di Nuoro.
Premesso che tale errore in realtà non ci fu, come si argomenterà in
seguito, deve rilevarsi che in ogni caso le condotte devono essere valutate per
quello che effettivamente è accaduto, essendo la responsabilità di eventuali
reati commessi all’interno della scuola indipendente dall’esistenza di errore nella
decisione assunta dalla Polizia di compiere irruzione anche in tale edificio.
Il presunto errore è stato giustificato dal Tribunale con il fatto che la
targa esterna a tale scuola riporta la scritta “Scuola Diaz”, circostanza che
avrebbe indotto Gava e gli altri operatori a ritenere che fosse proprio la
scuola destinataria della perquisizione. Ma a parte il fatto che di tale targa
si sono accorti solo successivamente i Carabinieri fotografandola e che nessuno
degli operatori di Polizia vi ha fatto menzione a sostegno del presunto errore,
deve rilevarsi che secondo la maggior parte del personale intervenuto (e le
stesse ammissioni di Gava) l’ingresso nella scuola avvenne dai portoni laterale
e retrostante, ove non c’era nessuna targa ingannatrice.
L’argomentazione del Tribunale non regge la verifica di compatibilità con
altri gravi e concordanti indizi di segno opposto.
Secondo la ricostruzione cronologica svolta dal consulente delle parti
civili, in base all’audio della cassetta registrata da Trotta in cui si odono i
comandi di mettersi a terra e contro il muro, e alla interruzione delle
trasmissioni in diretta di radio GAP, l’ingresso nella Scuola Pascoli è
avvenuto alle 00.04.42, quindi 5 minuti dopo l’ingresso nel cortile della Pertini.
In quel momento, come si evince chiaramente anche dalla visione dei filmati, una
gran massa di operatori di Polizia stava entrando nella Diaz Pertini, per cui era
evidente a chiunque quale fosse l’edificio di interesse primario per la Polizia;
in ogni caso era chiaro a Gava che stava entrando in un edificio diverso e
quindi immediato doveva sorgergli il dubbio che si trattasse di un’altra scuola.
Il teste Gonan Giuseppe (udienza 10/1/07), che ha assunto la direzione
della Digos di Genova dall’11 settembre 2001 ed ha ricevuto l’incarico di
accertare l’identità dei poliziotti intervenuti nell’operazione Diaz, ha
riferito “Gli operatori Pantanella, Padovani, Garbati e Vannozzi mi dissero di aver fatto ingresso nella
Pascoli dopo aver visto che da una finestra del terzo piano della scuola vi era un giovane che
riprendeva l’intervento In particolare ricordo che l’Ass. Pantanella disse di
essere entrato per identificare chi faceva le riprese, e che, non avendolo
trovato, avevano sequestrato quattro videocassette Subito dopo fu disposta
l’immediata uscita dalla Pascoli. Un altro collaboratore riferì di essersi
sbagliato ad entrare.”
L’imputato Mortola nell’interrogatorio del 27/10/2001 ha confermato che
accanto alla tesi dell’ingresso nella Pascoli per errore alcuni sostenevano la
diversa tesi fondata sulla necessità di mettere in sicurezza anche tale
edificio.
Il teste Colacicco Alessandro, agente scelto della Polizia di Stato in
servizio a Napoli, nella deposizione all’udienza del 15/06/06 ha riferito che,
incaricato della cinturazione di un edificio scolastico, giunto in Via Battisti
ebbe incarico dal suo dirigente di effettuare la cinturazione della scuola
Pascoli, e che poco dopo “personale che
era in borghese che era all’interno della scuola … ci chiamarono dalla scuola e
mi ricordo che dissero al mio capo equipaggio che bisognava controllare delle
persone mentre loro avrebbero proceduto alla perquisizione”.
L’assistente Mele Salvatore (facente parte del gruppo della Squadra
Mobile di Nuoro al comando di Gava) all’ud. 31/01/08 ha riferito: “arrivati lì sul posto, ci venne incontro un
collega della Questura di Genova, praticamente venimmo divisi in due gruppi, ci
dissero che dovevamo entrare in questa scuola...”
La permanenza all’interno della Pascoli, come da testimonianze concordi,
si è protratta per un periodo di tempo oscillante tra la mezz’ora e i
quarantacinque minuti, per cui in questo ampio lasso di tempo Gava e gli altri
operatori avevano avuto la possibilità di notare come all’interno dell’edificio
fossero presenti numerosi segnali indicativi della presenza di un media center. Il teste Bria (ud.
15/03/06) ha dichiarato “c’erano diversi cartelli ed era
espressamente scritto che quello era il Centro Media del Genova Social Forum, poi
al piano terra c’era l’accoglienza che era indicata da un cartello” e il
teste Fletzer (ud. 07/12/05) ha riferito “l’istituto
era contrassegnato da varie scritte che parlavano, appunto, di Centro stampa,
di Centro Legale, e al nostro piano, in ogni stanza, era ben visibile la
scritta “Redazione del Manifesto di Carta, Redazione di Liberazione, redazioni
di Radio Gap, composta da una serie di emittenti, fra cui la nostra.
All’ingresso c’era un infinità di cartelli, delle comunicazioni e c’era subito
un ufficio accrediti”; della stanza dei legali il teste Nanni (ud.
30.11.05) ha riferito che “sulla porta
c’era scritto “Avvocati del Genova Social Forum” o “centro legale del Genova
Social Forum”.
Tutte le predette circostanze concorrono ad escludere che l’ingresso
nella Pascoli sia avvenuto per errore; in realtà l’ingresso è avvenuto intenzionalmente
per evitare che dalle riprese audio-video che erano in corso da quella scuola
rimanessero tracce della irruzione in corso presso la scuola Pertini, e se c’è
stato errore questo è consistito nell’entrare nella sede del GSF ove un intervento
della Polizia era politicamente controproducente. Non a caso l’occupazione è
terminata solo dopo l’intervento della On. Mascia che ha ottenuto lo sgombero.
Un secondo errore di valutazione compiuto dal Tribunale risiede
nell’affermazione secondo la quale Gava e i suoi uomini sarebbero entrati per
ultimi, quando altri operatori avevano già bloccato i presenti all’interno
della scuola.
Lo stesso imputato Gava nell’interrogatorio del 13/02/02 ha riferito che l’ingresso
in Pascoli da parte di tutti gli appartenenti alle diverse squadre mobili di
Genova, Roma e Nuoro è avvenuto in modo sostanzialmente contestuale “i primi a entrare siamo stati una ventina”.
Inoltre quattro componenti della Squadra Mobile di Nuoro, Mele Salvatore,
Gallistu Tonino, Bellu Massimiliano e Mannu Antonio all’udienza del 31/01/08
hanno riferito di un ingresso contestuale di tutti gli operatori non appena
ricevuta l’indicazione di entrare proprio nella Pascoli.
Non è neppure vero che Gava si sia fermato solo al secondo piano: i
testimoni che hanno assistito al colloquio fra l’On. Mascia e Gava hanno
collocato l’episodio al terzo piano: il giornalista inglese William Hayton all’udienza
dell’11/01/2006 ha riferito che era al terzo piano quando arrivò una donna che
mostrava un libretto (il tesserino parlamentare) e subito dopo la polizia se ne
andò; e Moser Nadine all’udienza 6/4/2006 ha riferito di aver visto la
parlamentare presso l’Indymedia, che si trovava al terzo piano, e subito dopo
che la stessa aveva parlato con la Polizia, la scuola venne abbandonata dagli
agenti. Lo tesso Gava nel suo interrogatorio ha riferito di esser andato a
visionare tutti i piani e che l’incontro con l’on. Mascia avvenne al secondo o
al terzo piano.
Passando all’esame degli avvenimenti all’interno della Pascoli, occorre
rilevare che la cassetta con la registrazione audio di Trotta scampata
all’irruzione consente di ascoltare gli ordini secchi impartiti dagli operatori
appena entrati nella scuola, con i quali veniva ordinato “tutti a terra, faccia
al muro, fuori dalle aule”.
Le univoche descrizioni, ripetute con ricchezza di particolari in
dibattimento, da parte di tutte le parti offese evidenziano un ingresso
avvenuto in modo forzoso e determinato, senza eccessive difficoltà nel superare
i banchetti che qualcuno aveva posto dinanzi all’entrata laterale della scuola,
con immediata intimazione rivolta a tutti di sdraiarsi a terra o mettersi in
ginocchio e faccia al muro.
Anche in questa scuola, oltre alla privazione della libertà di movimento
per tutti i presenti, obbligati a recarsi nei corridoi e a stare in piedi con le
braccia al muro, e poi seduti per terra, si sono verificati episodi di violenza,
come dallo stesso Tribunale ricostruiti.
Le prime deposizioni che possono essere ricordate sono quelle di Brusetti
e Pavarini (udienze 24/11/05 e 24/05/06) che erano al piano terra in prossimità
della palestra della scuola.
Il primo ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di andare nella palestra
e lì di “mettersi sdraiato, faccia a
terra come gli altri, con le mani dietro la nuca”. “C’era un certo Sebastian che era sdraiato su una brandina lì dolorante
per i colpi subiti che chiedeva di potersi, di non sdraiarsi perché non ce la
faceva e mi ricordo il poliziotto, uno dei poliziotti che gli diceva: non mi
interessa, mettiti per terra. Mi ricordo poi che un’altra persona, avrà avuto
35, 40 anni si tirava in piedi da sdraiato e diceva: ma ci volete fare vedere
un mandato o qualcosa? E loro che dicevano: questo non è un telefilm americano,
questo non è una favola, adesso ve la facciamo vedere noi, adesso vi
massacriamo. E a quel punto la gente è stata zitta, si è messa faccia a terra”.
Pavarini ha dichiarato: “ci hanno
intimato di andare in palestra e a distenderci sul pavimento. Alcune persone
hanno tentato di avere una spiegazione, di capire quello che stava succedendo,
del perché dell’irruzione e le spiegazioni non ci sono state date. Anzi, ci è
stato detto di stare zitti, che avevano il diritto e il potere di fare
qualsiasi cosa e che era meglio non chiedere niente, non sapere niente”.
Alberti Massimo, Galeazzi Lorenzo, Salvati Marino, Curcio Anna,
Clementoni Francesca, Podobnich Gabriella, Morando Daniela e Gallo Alessandra
si trovavano nella stanza di Radio GAP, al
secondo piano, quando
irruppero nella stanza alcuni poliziotti con viso coperto da fazzoletti, armati
di manganelli che brandivano. La Morando ha raccontato che colpivano i banchi,
spaventando i presenti. Secondo la Curcio non diedero spiegazioni: intimarono
di stare fermi, abbassare le tende, non avvicinarsi alle finestre, preparare i
documenti. La Clementoni afferma che annunziarono una perquisizione e che non
occorreva un “mandato”.
Fra le persone che si trovavano al secondo piano, il teste Fletzer,
giornalista pubblicista, ha dichiarato di essere stato vittima della violenza
della Polizia. Il teste Brusetti venne colpito. Tutti i presenti dovettero
stendersi a terra con le mani dietro alla nuca. Nella palestra il dr.
Costantini, medico presente nell’infermeria, trovò due giovani che erano stati colpiti.
La condotta tenuta dagli appartenenti alla Polizia di Stato nei locali in
uso al Mediacenter ed agli avvocati, sempre al primo piano della Pascoli, è
stata descritta da Bria Francesca la quale ha riferito che, mentre assisteva
dalla finestra all’avanzata della Polizia verso la Pertini, sentì rumori
provenire dal basso, poi irruppero alcuni poliziotti, taluni in uniforme, altri
in borghese con pettorine. Urlavano: “Giù
per terra! faccia a terra!”. La teste li vide rompere un computer e colpirne altri. Fu percossa con
un manganello. I presenti vennero
poi condotti nel corridoio ed obbligati a rivolgersi verso il muro. Dopo una
decina di minuti fu ordinato di sedersi per terra.
Stesso racconto ha reso Galvan Fabrizio, il quale fu colpito da una cassa
acustica, mentre i poliziotti sfasciavano i computer, e Lenzi Stefano, il quale
non trovò più il suo telefono, quando rientrò nell’aula. Più drammatica è la
ricostruzione dei fatti di Minisci Alessandro, perché, oltre a descrivere con
maggiori dettagli i gesti di devastazione che attribuisce ad un numero da
cinque a otto poliziotti, dichiara che
essi chiedevano urlando dove fossero armi e droga. Riferisce inoltre di
un colpo inferto da uno di loro ad un giovane. Minisci stesso venne
schiaffeggiato da un poliziotto.
Anche al terzo piano avvennero atti di violenza e prevaricazione, come
descritto nella sentenza di primo grado.
Nella stanza avvocati del primo piano avvennero danneggiamenti alle apparecchiature
informatiche che erano state affidate al teste Brusetti Ronny, consegnatario
dell’edificio e del materiale ivi contenuto. La domenica successiva a
mezzogiorno il funzionario comunale addetto si recò nella scuola Pascoli per
prenderne visione e riscontrò che i computer in funzione al primo piano erano
stati gravemente danneggiati: sembrava fossero stati colpiti “a randellate”.
Relativamente all’interruzione delle trasmissioni internet di Radiogap,
contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, al dibattimento è emerso con
chiarezza essersi trattato di iniziativa diretta degli agenti di Polizia: il
teste Di Marco (ud. 29/11/06) ha riferito di “un episodio rilevante ossia lo spegnimento da parte del poliziotto
dell’apparecchiatura ISDN”, episodio confermato anche dal teste Salvati (ud.
12/04/06) che ha dichiarato: “capito che
cosa stavamo facendo, si sono consultati un attimo fra di loro e hanno… sono
rientrati e hanno spento il mixer, in modo da interrompere le trasmissioni”.
Definitiva e insospettabile conferma è stata fornita dal sovrintendente Sascaro
(ud. 30/01/08) che ha riferito di aver dato ordine insieme con altri agenti “di spegnere la radio che stava trasmettendo”.
“Loro si sono lamentati – sempre
secondo Sascaro – e non so se poi a staccare
la spina siamo stati noi o loro.” Circostanza che spiega come se anche
materialmente allo spegnimento ha provveduto un operatore della radio, ciò è
avvenuto su ordine della Polizia.
Il Tribunale, pur dando atto che secondo i testimoni alcuni poliziotti
avevano infierito anche sulle attrezzature informatiche, sostiene che gli
autori di tali danneggiamenti non sono stati identificati e che non è ipotizzabile
che tale condotta sia stata tenuta dai poliziotti, che per asportare gli hard
disk avrebbero avuto necessita di tempo e attrezzature (cacciaviti) per smontare
i case. In secondo luogo il Tribunale
trova inspiegabile il motivo per cui tale violento accanimento abbia preso di
mira solo le attrezzature informatiche in uso agli avvocati.
La valutazione delle condotte sopra descritte, dal Tribunale riportate
asetticamente, conduce a ritenere non casuale l’irruzione nella scuola Pascoli,
così come del resto evidenziato
dalle comunicazioni ufficiali inviate dal Questore al capo della Polizia.
La nota informativa inviata nelle prime ore del 22/07/01 ed acquisita agli atti
del processo è preceduta da un lungo fonogramma dall’identico contenuto sempre
diretto alla medesima autorità, nella quale si legge che “contemporaneamente alla perquisizione, veniva effettuata una verifica
all’interno dei locali della sede stampa del GSF sita in un edificio
prospiciente il complesso scolastico Diaz, senza il compimento di ulteriori
atti od operazioni per assenza di qualsiasi problematica concernente la
sicurezza”. Come affermato dall’imputato Mortola, cioè, si trattava di
mettere in sicurezza la zona, ovvero impedire turbamenti dell’operazione in
corso, ritenuti possibili anche per la presenza di persone che operavano
riprese filmate dalle finestre.
Così come è risultato provato, contrariamente a quanto sostenuto dal
Tribunale, che vi fu attività di perquisizione e di asportazione di oggetti.
E’ lo stesso agente Pantanella Giovanni (udienza 03/10/07) ad ammettere pacificamente di aver
preso quattro cassette di video-camera che si trovavano su un tavolo al momento
della perquisizione. In alcuni casi le cassette sono state estratte
direttamente dalle video camere (il teste Trotta all’udienza del 07/06/06 ha
riferito del prelevamento di oggetti dalle stanze ove i poliziotti entravano e
di aver constatato che dall’interno della videocamera dell’amico Stephen
Stegmaier era stata sottratta la cassetta). E’ stato sottratto materiale video anche al terzo piano
della Pascoli (testi Valenti, Luppichini, Forte). David Jones (udienza 26/1/2006)
ha riferito di acquisizione di nastri audio, video o minidisk e floppy mentre i
presenti erano costretti a stare in piedi faccia al muro impossibilitati a
telefonare. Dalla stanza di Radio Gap i testi riferiscono di aver visto portare
via il materiale in alcuni scatoloni.
All’udienza del 03/10/07 il sovr. Bassani ha riferito le modalità di tale
apprensione, giustificandola con una non meglio precisata esigenza di evitare
che immagini dell’operazione finissero in chissà quali mani. Ha aggiunto poi di
aver ritenuto di non redigere verbale per la convinzione che si trattasse di
materiale da far confluire nei verbali che si sarebbero redatti a conclusione
dell’operazione.
Secondo la ricostruzione del teste Lenzi, responsabile nazionale del WWF,
dal momento dell’ingresso nell’Istituto a quello in cui gli operatori sono entrati nella stanza
dei legali sono passati non più di due minuti, il tempo di contattare
telefonicamente un avvocato per avvisarlo dell’irruzione; il comandante del gruppo di agenti
appena entrato, ha ordinato immediatamente ai presenti di sdraiarsi faccia a
terra. Senza ricevere alcuna istruzione, gli agenti hanno iniziato a fracassare
computer e telefoni che si trovavano sul lato sinistro della stanza. Dopodiché
i presenti sono stati fatti uscire dalla stanza e gli agenti si sono trattenuti
alcune decine di minuti all’interno senza che nessuno potesse entrarvi. Al
rientro, oltre agli evidenti danneggiamenti si poteva constatare la sottrazione
degli hard disk dei p.c. in dotazione ai legali e del materiale cartaceo
presente prima del bliz sui tavoli sui quali i legali svolgevano il loro
lavoro.
Può desumersi da tale descrizione dei fatti che gli agenti conoscevano
evidentemente non solo la collocazione dei pc dei legali all’interno dell’Istituto,
ma anche la collocazione dei medesimi all’interno della stanza. Infatti tutti i
testi che sono stati in grado di ricordare la posizione dei pc in uso agli
avvocati all’interno della stanza (per es. Galvan, Lenzi, Malfante, Cattini,
Testoni), o perché vi avevano lavorato, o perché avevano assistito al loro
lavoro, hanno confermato che i
legali utilizzavano i pc ed i telefoni posti sul lato sinistro entrando, mentre
i pc collocati sui tavoli collocati sul lato destro in uso per altre attività,
sono rimasti intatti e non hanno subito alcun tipo di danneggiamento o di
manomissione.
La inconfutabile conferma dell’avvenuto svolgimento di attività di
perquisizione è data dalla deposizione del vicesovrintendente della Polizia di
Stato Grispo, incaricato dell’attività di controllo sulla corrispondenza tra
quanto indicato nei verbali di sequestro e quanto effettivamente depositato
negli uffici della Polizia, il quale ha riferito (ud. 08/03/07) “negli scatoloni che sono stati depositati
c’erano anche 4 cassette di cui non è fatta menzione nei verbali”. Nella
relazione di servizio di Mortola e Scorfani – acquisita agli atti del
dibattimento -, datata 9 agosto 2001 i due scrivono: “Per quanto attiene alle quattro cassette, in merito alla difformità tra
il materiale acquisito e quello sequestrato, si sottolinea il seguito di comunicazione di notizia di
reato inviata in data 30.7.01 al Procuratore Aggiunto Dott. Lalla, e si
trasmette la relazione di servizio redatta dal personale Digos dalla quale si
evince che l’acquisizione è stata operata da Bassani, Pantanella e Garbati che
non l’hanno tempestivamente comunicata nell’erronea convinzione che detto
materiale fosse stato inserito nel verbale di sequestro”. E nella comunicazione via telex dello stesso dirigente Mortola al Capo
della Polizia, datata 05//08/01 (della quale il Tribunale non fa menzione), in
relazione ad una videoripresa effettuata alle ore 23 circa del giorno 21/07/01
all’esterno della scuola Diaz in via Cesare Battisti, il dirigente della Digos
dichiara che “il video è stato acquisito
dal personale della Polizia intervenuto senza compiere alcun atto di
perquisizione nella scuola Pascoli” e di seguito che “il materiale video, costituito da due microcassette, è confluito fra
tutti i reperti sequestrati o comunque acquisiti all’interno della scuola Diaz
ed all’A.G. è stata data tempestivamente notizia delle modalità di
acquisizione, consegnando successivamente in data ieri 4 agosto la
videocassetta su cui sono state riversate le immagini.” È particolarmente significativo
il linguaggio palesemente atecnico utilizzato dal Dirigente Mortola che
tradisce l’imbarazzo di descrivere come attività di “acquisizione” condotte che
dal punto di vista giuridico, per lui ineludibile, non potevano che essere
qualificate veri e propri sequestri.
Non pare seriamente discutibile che in presenza addirittura del frutto
dell’attività di ricerca di cose, anche nella scuola Pascoli è stata compiuta attività
di perquisizione.
Né conclusivo in senso contrario è l’argomento relativo alla
riconducibilità al gruppo “black bloc” di quanto sequestrato dai Carabinieri
presso l’edificio Pascoli. Il sequestro di tale materiale avvenne infatti a
distanza di più di 24 ore dall’accesso della Polizia, il 23 luglio alle ore
12.30, quando già i locali erano stati “visitati” da numerosissime persone ed
in parte modificata la situazione originaria dei luoghi. In quei giorni in cui,
come riconosciuto dal Tribunale, tutto poteva accadere, non può attribuirsi a
tale fatto con sufficiente certezza il valore di prova idonea ad eludere le
evidenti emergenze processuali sopra ricordate, anche perché tutti i testi
hanno riferito che le ricerche compiute dalla Polizia erano state piuttosto
superficiali, essendosi l’interesse degli operatori concentrato sui materiali
informatici e su quelli audio visivi.
Non convincente, infine, è la perplessità manifestata dal Tribunale sulla
possibilità concreta per i poliziotti di danneggiare i computers per asportare
gli hard disk interni e sull’interesse a compiere tale attività mirata proprio
sulle attrezzature degli avvocati. Quanto al primo aspetto basta ricordare la
circostanza (deposizione Lenzi) secondo la quale gli occupanti la sala degli
avvocati furono fatti uscire e gli operatori, una volta entrati, vi
stazionarono indisturbati per diversi minuti, avendo quindi tempo e possibilità
(l’apertura di una case anche se di
vecchio tipo chiuso con viti non richiede attività complessa) per asportare i
componenti interni.
Quanto al secondo profilo, che ricorda gli analoghi dubbi sull’interesse
a mentire di Nucera e Panzieri, basta ricordare che la motivazione principale
per cui è stata disposta l’irruzione nella Pascoli è stata impedire l’ulteriore
ripresa di quanto la Polizia stava compiendo, e quindi lo scopo era eliminare
le testimonianze materiali costituite da riprese audio e video e, quindi, anche
i supporti destinati naturalmente alla loro conservazione quali gli hard disk dei computers. Del resto era
noto che l’attività svolta durante tutta la manifestazione del G8 dagli avvocati
del GSF era stata anche quella di raccogliere materiali di documentazione su eventuali
condotte illegali ai danni dei manifestanti pacifici, per cui non può creare alcuna
sorpresa che nell’occasione anche i computers degli avvocati siano stati oggetto
dell’interesse immediato e diretto degli operatori di polizia entrati nella Pascoli.
Da ultimo occore dare conto che il Tribunale, per escludere che sia
avvenuta una perquisizione, utilizza ampiamente in motivazione l’episodio della
offerta da parte dei Poliziotti di pasta contenuta in una pentola, e uno
spezzone di video-ripresa del giornalista TG3 RAI Riccardo Chartroux. Quanto al
primo episodio, il tetse che ne riferisce William Hayton (ud. 11/01/06) lo ha
qualificato come sureale ed inspiegabile, e comnuque avcenjtoment i prsnrti
erano ancora obbligfti a stere fermo nei corridpi, per cui assume il sapore di
mero dileggio. Quanto al filmato RAI, se è vero che i soggetti rispresi non
mostrano eclatanti segni di sofferenza, è tuttavia evidente che essi manifestano
solo rilassamento per la fine della iniziale fase aggressiva e violenta e per
la presenza di operatori televisivi, garanzia che di non correre rischi di ulteriori
violenze; ma il video conferma che i presenti continuano a mantenere posizioni
vincolate e sono quindi privi della libertà di movimento. Inoltre nello stesso
filmato è possibile assistere alla intervista della testimone Testoni Laura
che, seduta, niente affatto sorridente, racconta che quanto sta accadendo è
percepito come una violazione del diritto da parte del G.S.F. di svolgere le
proprie attività all’interno dei locali legittimamente condotti.
Anche in questo caso, pertanto, le circostanze alle quali il Tribunale
ancora la motivazione che oblitera evidenti emergenze processuali sono incinsistenti.
.-.-.-.-
I fatti sopra descritti integrano le ipotesi di reato di cui ai capi
S),T), U).
Si è visto come è indubitabile che sia stata compiuta una vera e propria
perquisizione, tanto che ne sono stati acquisiti i frutti. Sussiste, pertanto,
l’ipotesi contestata al capo S) posto che, non ricorrendo pacificamente per la scuola
Pascoli l’ipotesi di perquisizione ad iniziativa ex art. 41 TULPS prevista e
programmata solo per la scuola Pertini, la perquisizione stessa è avvenuta con
abuso di potere in mancanza dei presupposti di legge che consentissero
l’intervento. La condotta in esame ha integrato anche la violazione di
domicilio ex art. 615 c.p., in quanto la scuola era sede di private
associazioni ed organizzazioni che legittimamente ne avevano il possesso, con
diritto di escludere terzi estranei, come comprovato dalla presenza di un ufficio
accrediti ove veniva verificato il possesso di idoneo pass per chi voleva accedere all’edificio. Sussiste, infine,
l’aggravante del nesso teleologico con il reato di danneggiamento, essendo
stata la perquisizione finalizzata a danneggiare le apparecchiature per
asportare ciò che era ritenuto di interesse.
Pacifica è anche la condotta di violenza privata contestata sub T), essendo
plurime e concordanti le descrizioni delle condotte tenute dagli operatori che
hanno limitato la libertà personale dei presenti per apprezzabile lasso di
tempo, costringendoli con minacce e brandendo i manganelli a stare nei corridoi
e ad assumere posizioni statiche contro il muro o per terra sdraiati o seduti.
Il fatto è aggravato dall’abuso delle pubbliche funzioni svolte dagli autori.
Sussiste, infime, anche il danneggiamento di cui al capo U), aggravato
dalla natura pubblica dei beni danneggiati (di proprietà del Comune di Genova) alla
luce delle molteplici deposizioni e delle oggettive risultanze relative alla
distruzione delle apparecchiature informatiche e di servizio compiuta dagli
operatori entrati nella Pascoli.
La responsabilità di tali reati è ascrivibile a Gava Salvatore per il suo
ruolo di dirigente dell’operazione in esame.
Innanzi tutto lo stesso Gava nel verbale di s.i.t. confermato integralmente
in occasione del primo interrogatorio, ha riferito che in occasione dei fatti
del 21-22 luglio 2001 era stato al comando di un gruppo di 25 uomini dei quali
facevano parte non solo i colleghi di Nuoro ma anche altri aggregati da varie
Questure. Sempre nello stesso verbale di s.i.t. ha riferito di essere entrato
nella scuola Pascoli dal cancello posteriore e subito di essersi reso conto che
c’era un centro stampa. Restò in attesa di disposizioni da parte di Dominici,
con ciò confermando che era lui a dirigere gli operatori entrati nella Pascoli.
Nell’interrogatorio reso il 13/02/2002, confermato di essere stato il più alto
in grado all’interno della Pascoli, pur sostenendo di aver comandato solo i
suoi 6 colleghi del Nucleo di Nuoro, ha riferito di aver dato disposizione agli
uomini di disporsi ai piani per prevenire eventuali lanci ed operare in
sicurezza: di fatto, come è stato illustrato, tutti i numerosi operatori entrati
si disposero sui tre piani, e non è pensabile che Gava intendesse mettere in
sicurezza l’edificio con solo 6 uomini, due per piano. È sempre Gava che chiese
a Dominici disposizioni sul da farsi, e l’ordine di abbandonare l’edificio venne
dato da Ferri ancora e solo a Gava, con l’effettivo risultato che tutti gli
operatori che erano all’interno lasciarono l’edificio, ulteriore prova che Gava
dava efficacemente disposizioni a tutti i presenti. Quando l’On. Mascia si presentò
nella scuola e chiese di parlare con il responsabile per chiedere la liberazione
dell’edificio fu condotta da Gava e con questi parlò, senza essere da Gava
dirottata verso altri eventuali diversi responsabili.
Ancora, Gava ha ammesso di aver visto le persone schierate nei corridoi e
limitate nei movimenti, ma ha riferito di non aver ritenuto di intervenire, con
ciò approvando la condotta degli operatori, e non di non aver avuto il potere
per impedirla.
Da quanto esposto risulta indubitabile il ruolo di comando esercitato da
Gava durante tutta la fase dell’irruzione nella scuola Pascoli, la sua concreta
possibilità di constatare tutte le condotte ivi tenute dagli operatori, non
solo la immobilizzazione dei presenti lungo i corridoi mediante ordini urlati e
minacce, ma anche i danneggiamenti gravi ed estesi che risultavano palesi a
chiunque fosse presente. La responsabilità per le condotte tenute dagli operatori
deriva dalla sua posizione di comando, concretamente esercitata impartendo
ordini al personale sulla loro dislocazione, dalla omissione di qualsiasi
iniziativa volta ad interrompere o sanzionare le illegittimità commesse dai
subordinati, ed anzi, al contrario, dalla espressa approvazione ammessa in sede
di interrogatorio; tutte condotte eloquenti che costituivano istigazione e
rafforzamento dei comportamenti illeciti posti in essere dagli operatori, che
si sentivano così corroborati e approvati nei loro intenti delittuosi.
Solo relativamente alla imputazione di peculato la Corte ritiene insufficienti
gli elementi di prova per ritenere il concorso del Gava anche rispetto alle
condotte di appropriazione realizzate da alcuni operatori che si sono portati via
parti interne di computers. Trattasi, infatti, al contrario delle altre sopra
viste, di condotte non manifeste, delle quali non vi è prova che Gava abbia
avuto cognizione personale, e che costituiscono uno sviluppo non necessario e
non facilmente prevedibile della perquisizione illegale e del danneggiamento.
LE PERCOSSE IMPUTATE A FAZIO
Il Tribunale ha accertato la responsabilità di Fazio Luigi, unico operatore
identificato, per le percosse inferte a Huth Andreas. L’appello dell’imputato
si incentra sulla non affidabilità
del riconoscimento operato dalla parte lesa e dalla assenza di conferme
esterne, poiché i testi menzionati dal Tribunale non sarebbero stati spettatori
diretti del fatto.
L’impugnazione è infondata. Il riconoscimento fotografico non richiede
l’osservanza delle prescrizioni dettate in tema di ricognizione personale, per
cui il riconoscimento del Fazio da parte di Huth Andrea non è di per sé inattendibile
per il solo fatto che le foto visionate non appartenessero a soggetti
somiglianti. Quello che rileva è la presenza di riscontri esterni che rendono
credibile e affidabile il riconoscimento fotografico. Tali riscontri sono
ravvisabili nelle deposizioni dei testi Plumecke Tino e Moser Nadine: costoro hanno avuto modo di vedere il contatto fra
l’aggressore e Huth; il primo ha riferito “arrivò
un altro poliziotto più anziano che chiamò Andreas vicino a sé e poi lo
condusse giù lungo le scale… indossava i jeans ed aveva
una pettorina, non aveva il casco; era un po’ anziano, capelli abbastanza grigi
e una barba grigia folta”, la seconda ha riferito “un altro poliziotto…andò con Andreas nel
vano delle scale; vidi che aveva una mano sulla sua testa e lo teneva giù. Il
secondo poliziotto era più vecchio, aveva la barba grigia, era in abiti civili,
non so dire se portasse un casco”.
La descrizione
del soggetto fatta dai due testi coincide con quella fornita da Huth (“Il poliziotto che mi percosse e mi portò nel
seminterrato non era molto alto circa un metro e settanta, magro anche nel viso
poteva avere circa cinquanta anni e aveva capelli grigi corti; aveva la barba
lunga di qualche giorno”) e costituisce così riscontro di attendibilità del
riconoscimento fotografico. Che poi Fazio sia l’autore delle percosse descritte
da Huth risulta dalle sue dichiarazioni, delle quali non vi è motivo di
dubitare non ravvisandosi intenti calunniosi, che sono anche confermate sempre dalla
deposizione della Moser, che ha visto il Fazio condurre forzatamente Huth in
basso piegandogli la testa con una mano.
Le informazioni
difensive secondo le quali Fazio non sarebbe mai salito al terzo piano, ove è accaduto
l’episodio, non sono attendibili, non solo per la provenienza da colleghi, ma
soprattutto perché per aver il significato invocato si dovrebbe presupporre che
i due, durante tutti i 40 minuti di durata della permanenza dentro la Pascoli,
non abbiano mai perso di vista il Fazio standogli sostanzialmente sempre alle
costole, circostanza ovviamente neppure adombrata.
IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO
Il punto preliminare da affrontare su tale tema è quello relativo alle
circostanze attenuanti generiche ravvisate dal Tribunale per tutti i condannati
nella incensuratezza e nella situazione di stress
e di stanchezza in cui maturarono i fatti.
La Corte non condivide tali motivazioni.
Quanto all’incensuratezza, se è vero che all’epoca della commissione dei
fatti generalmente costituiva uno dei parametri di valutazione per il
riconoscimento delle attenuanti generiche e che i Pubblici Ufficiali, solo per
tale qualifica, non meritano discriminazione rispetto ai cittadini comuni,
tuttavia nel caso in esame ritiene la Corte che la personalità degli imputati,
la natura dei reati addebitati e la loro gravità escludono che la determinazione
del trattamento sanzionatorio possa essere operata anche solo in minima parte con
riferimento ai trascorsi giudiziari. Di fronte al quadro complessivo dei reati
accertati a carico degli imputati e all’entità del tradimento della fedeltà ai
doveri assunti nei confronti della comunità civile l’incensuratezza diviene
fatto assolutamente irrilevante.
Quanto allo stress e alla
stanchezza, non se ne vede la sussistenza né con riferimento alle lesioni, né
con riferimento agli altri reati connessi alla redazione degli atti. Relativamente
alle lesioni si è accertato come le stesse siano conseguenza del consapevole
uso della forza volutamente destinato a garantire il maggior numero possibile di
arresti: tale scelta è il frutto di ponderata decisione, maturata anche dopo la
manifestazione di perplessità iniziali da parte di alcuni funzionari, e quindi
non può dirsi dettata da stress e
stanchezza. Le modalità di esplicazione di tale violenza, generalizzata,
continua e indiscriminata, perpetratasi anche con calcolata freddezza,
escludono che si sia trattato del frutto di stress
e stanchezza.
Quanto ai falsi, alle calunnie e agli altri reati conseguenti, si è
trattato della consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai
danni degli arrestati, realizzato nel lungo arco di tempo che è intercorso fra
la cessazione delle operazioni e il deposito degli atti in Procura avvenuto la
domenica alle ore 18,30: la motivazione di tale condotta criminosa, volta a
salvare l’operazione già evidentemente apparsa disastrosa, è incompatibile con stress e stanchezza, e presuppone, viceversa
una attenta e scrupolosa organizzazione nella predisposizione degli atti e del
loro contenuto. Nel quadro offerto dalla Polizia agli inquirenti nella
immediatezza tutto ha una logica e una coerenza interna (ed è questo il motivo
per cui i Pubblici Ministeri, che confidavano nella onestà della P.G., chiesero
la convalida degli arresti, non certo, come infondatamente sostenuto dal Tribunale,
perché i fatti esposti fossero veri). Tutti gli atti, le relazioni di servizio e
le annotazioni convergevano in modo sinergico apparentemente convincente a
supportare le accuse verso gli arrestati, e tale risultato non può essere stato
la conseguenza di stress e stanchezza
(condizioni foriere di errori e carenze macroscopiche) quanto piuttosto di
studiata e ragionata organizzazione.
Tanto premesso, ritiene la Corte che, tranne per la posizione di Fournier,
per tutti gli altri imputati non siano ravvisabili circostanze atipiche che
giustifichino attenuazione di pena.
Relativamente ai responsabili delle lesioni non può che rimarcarsi la
notevole gravità dei fatti. I tutori dell’ordine (come tali ancora apprezzati
per esempio da Cestaro Arnaldo, di anni 62 all’epoca dei fatti, che si è espresso
nei seguenti termini ”si apre la porta
così, mamma mia, era la nostra Polizia, la Polizia di Stato,…
hanno
cominciato coi manganelli da me uno e dopo gli altri… sono
stato colpito, ma non da quello che aveva alzato le mani così, da altri
poliziotti in seguito”) si
sono trasformati in violenti picchiatori, insensibili a qualunque evidente
condizione di inferiorità fisica (per sesso o età delle vittime), agli atteggiamenti
passivi e remissivi di chi stava fermo con le mani alzate, di chi stava dormendo
e si era appena svegliato per il frastuono. Alla violenza si è aggiunto
l’insulto, il dileggio sessuale, la minaccia di morte. Il sangue è sgorgato a fiotti
per ogni dove lasciando tracce (immortalate dalle fotografie scattate dai
Carabinieri) che non potevano essere trascurate da nessuno dei presenti. L’enormità
di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo
intero, non rende seriamente rintracciabile alcuna circostanza attenuante
generica. Né a diversa conclusione può condurre il comportamento processuale
successivo, improntato, nella migliore delle ipotesi, alla mera negazione di
responsabilità, in quella peggiore a sostenere che le ferite erano pregresse.
Nel processo si è assistito soltanto ad un deplorevole scambio di accuse tra
gli imputati che si sono ributtati a vicenda la responsabilità delle lesioni e
degli altri gravi reati, ma non una sola voce di rammarico per l’accaduto o un
pensiero alle vittime si sono levati.
Se possibile è ancora più grave la valutazione delle condotte successive
che hanno prodotto i falsi, le calunnie e gli arresti illegali (per ricordare
le più rilevanti). Qui è davvero difficile nascondersi l’odiosità del comportamento:
una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile
massacro dei residenti nella scuola, i vertici della Polizia avevano a
disposizione solo un retta via, per quanto dolorosa: isolare ed emarginare i violenti
denunciandoli, dissociarsi da tale condotta, rimettere in libertà gli arrestati.
Purtroppo è stata scelta la strada opposta: con incomprensibile pervicacia si è
deciso di percorre fino in fondo la strada degli arresti, e l’unico modo
possibile era creare una serie di false circostanze funzionali a sostenere così
gravi accuse da giustificare un
arresto di massa.
Pur facendo appello a tutta l’umana comprensione possibile, non si riesce
a scorgere in tale scelta e nella sua concreta attuazione alcun aspetto che
possa integrare una generica circostanza di attenuazione della pena.
Come si è anticipato, solo nei confronti di Fournier è possibile
confermare la decisione di primo grado alla luce della condotta tenuta dal
predetto. Benché in ritardo e ingiustificatamente passivo prima e durante lo
svolgimento delle operazioni, si deve al suo intervento l’interruzione del massacro,
che poteva avere ulteriori e ben più gravi conseguenze. Dal punto di vista
processuale al dibattimento, seppur tardivamente e sempre cercando di
scagionare i propri uomini, Fournier ha ammesso la vera natura e consistenza della
condotta violenta degli operatori entrati nella scuola.
La Corte, nella valutazione complessiva dei fatti, ritiene di non obliterare
la circostanza, emersa chiaramente in causa fin dalle prime emergenze e confermata
nell’ulteriore corso processuale, secondo la quale l’origine di tutta la
vicenda è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia
di riscattare l’immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta
concretamente rafforzata dall’invio da Roma a Genova di alte personalità di sua
fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari
genovesi dalla gestione dell’ordine pubblico. Certo tale pressione psicologica
non giustifica in nulla la commissione dei reati né l’eventuale malinteso
spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione
con l’ufficio di Procura (riconosciuta anche dal Tribunale), ma consente,
nell’ambito dell’ampio divario fra le misure edittali della pena, di optare per
la quantificazione della pena base nel minimo.
LE PRESCRIZIONI
Il decorso del tempo ha comportato l’estinzione per prescrizione dei seguenti
reati:
-
la
calunnia contestata al capo B) a Luperi e Gratteri;
-
la
calunnia contestata al capo D) a CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco,
DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI
Massimo, DI NOVI Davide e CERCHI Renzo. A tale proposito si deve rilevare che per
mero errore materiale nel dispositivo letto all’udienza del 18/05/2010 è stata
omessa l’indicazione di tale reato fra quelli per i quali è stata pronunciata sentenza
di non doversi procedere a pagina 2 del dispositivo originale. L’evidenza dell’errore
emerge dal fatto che per il medesimo reato la declaratoria di estinzione è
stata pronunciata nei confronti dei concorrenti Luperi e Gratteri e che la
condanna dei medesimi imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti
civili è stata pronunciata anche con riferimento ai danni causati dal reato di
calunnia (pag. 5 del dispositivo originale);
-
l’arresto
illegale contestato al capo E) a predetti imputati;
-
la
calunnia contestata al capo G) a Canterini Vincenzo. Anche in tale caso
valgono le considerazioni precedenti in ordine alla omissione materiale nel
dispositivo, il cui errore è desumibile dalla indicazione della pena inflitta a
tale imputato, riferita solo ai reati di falso aggravato e lesioni gravi.
-
tutte
le lesioni contestate al capo H) a Fournier Michelangelo, in conseguenza
delle ritenute attenuanti generiche;
-
solo le
lesioni semplici contestate al capo H) a CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro,
LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI
Pietro, COMPAGNONE Vincenzo. Non sono, viceversa, prescritte le lesioni gravi
aggravate dall’uso delle armi, la cui pena edittale massima ex art. 585 c.p. è
di anni 9 e mesi 4, la quale, secondo il vigente più favorevole regime,
comporta la durata massima dl termine di prescrizione di anni 11 e mesi 8 (termine
non ancora maturato dalla decorrenza del 21/07/2001).
A questo proposito la Corte rileva che l’eccezione sollevata
dall’Avvocatura dello Stato secondo la quale non vi sarebbe prova certa
dell’entità delle lesioni, che quindi non potrebbero essere qualificate gravi,
è tardiva in quanto mai sollevata in primo grado, ove il contraddittorio fra le
parti si è svolto pacificamente sul presupposto della correttezza della contestazione.
Osserva in ogni caso la Corte che l’entità delle lesioni è stata per tutti certificata
con documentazione sanitaria rilasciata da strutture pubbliche, sulla cui
correttezza non vi è motivo di dubitare, e che l’Avvocatura dello Stato non ha
motivatamente contestato.
-
le
calunnie contestate ai capi L) ed N) a Nucera e Panzieri; anche in tale
caso valgono le considerazioni precedenti in ordine alla omissione materiale
nel dispositivo, il cui errore è desumibile dalla indicazione della pena
inflitta a tali imputati, riferita solo ai reati di falso aggravato, e dalla
condanna dei predtti al risarcimento dei danni in favore delle parti civili
anche con riferimento al reato di calunnia;
-
la
perquisizione illegale, la violenza privata ed il danneggiamento contestati ai capi
S), T) e U) a Gava Salvatore;
-
le
percosse contestate al capo Z1) a Fazio luigi;
-
la
calunnia e l’arresto illegale contestate ai capi 2) e 3) del Proc. 5045 Trib
a Di Bernardini Massimiliano.
LA DETERMINAZIONE DELLE PENE
-
Per il
falso ideologico in atto fidefacente aggravato dal nesso teleologico contestato
al capo A) a Luperi e Gratteri, determinata la pena base in anni tre di
reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato in
mesi 3 e l’aumento di pena per la continuazione interna fra i tre fatti di
falso è quantificato in mesi 3 per ciascuno degli atti falsi (comunicazione di
notizia di reato, verbale di perquisizione e sequestro, verbale di arresto), giungendosi
alla quantificazione finale di anni 4 di reclusione.
-
Per il
falso ideologico pluriaggravato contestato ai capi C) e 1) del Proc.
5045 Trib a CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI
Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide,
CERCHI Renzo e DI BERNARDINI Massimiliano, determinata la pena base in anni tre
di reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato
in mesi 2 e l’aumento di pena per la continuazione interna fra i tre fatti di
falso è quantificato in mesi 2 per ciascuno dei tre atti falsi, giungendosi
alla quantificazione finale di anni 3 e mesi 8 di reclusione.
-
Per il
falso ideologico in atto fidefacente aggravato dal nesso teleologico e le
lesioni gravi (ravvisabili in danno di Cestaro Arnaldo, Coelle Benjamin,
Doherty Nicola Anne, Duman Mesut,
Haldimann Fabian, Jonasch Melanie, Kutschkau Anna Julia, Martensen Niels,
Martinez Ferrer Ana, Moret Fernandez David, Nogueras Corral Francho, Sicilia
Heras Jose Luis, Wiegers Daphne, Zuhlke Lena) contestate ai capi C) e H)
a CANTERINI Vincenzo, determinata la pena base per il più grave reato di falso
ideologico in atto fidefacente in anni tre di reclusione, l’aumento per
l’aggravante del fine teleologico è quantificato in mesi 3 e l’aumento di pena
per la continuazione in giorni 45 per ciascuno dei 14 episodi di lesioni gravi
(pari ad un totale di mesi 21), giungendosi così alla pena finale di anni 5 di
reclusione.
-
Per le
lesioni gravi contestate al capo H) a BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro,
LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI
Pietro, COMPAGNONE Vincenzo, determinata la pena base ex art. 585 c.p. in anni 3, mesi 1 e giorni 5 di reclusione,
l’aumento per le altre 13 lesioni gravi in continuazione è determinato in giorni
25 ciascuna (misura inferiore rispetto a quella stabilita per il superiore
gerarchico Canterini, maggiormente responsabile), pari all’aumento complessivo di
giorni 325, giungendosi così alla pena finale di anni 4 di reclusione.
-
Per i
falsi in atto fidefacente aggravato dal nesso teleologico contestati ai capi
I) ed M) a Nucera e Panzieri, determinata la pena base in anni tre di
reclusione, l’aumento per l’aggravante del fine teleologico è quantificato in
mesi 2 e l’aumento di pena per la continuazione interna fra i tre fatti di
falso (la rispettiva relazione di servizio, il verbale di perquisizione e
sequestro e il verbale di arresto) è quantificato in mesi 1 ciascuno,
giungendosi così alla pena finale per ciascun imputato di anni 3 e mesi 5 di
reclusione.
-
Per i
reati di falso in atto pubblico fidefacente contestato nel PROC. riunito N.
1079/08 DIB e di detenzione e porto di arma da guerra contestato nel capo
P) a Troiani Pietro, quantificata per il reato più grave di falso la pena
base in anni 3 di reclusione, l’aumento per la continuazione interna
(contestazione di concorso nella falsificazione di due atti, il verbale di
perquisizione e sequestro e quello di arresto) è quantificato in mesi 3 di reclusione,
e l’aumento per la continuazione con la detenzione ed il porto delle armi in
mesi 6, giungendosi così alla pena finale di anni 3 e mesi 9 di reclusione.
-
Per il reato
di falso in atto fidefacente contestato a Gava Salvatore, considerata la particolare
gravità della condotta, inescusabile sotto alcun punto di vista posto che
l’imputato non essendo neppure entrato nella scuola Pertini non poteva neanche per
errore ritenere dovuta la sua sottoscrizione in calce al verbale di perquisizione
e sequestro, la pena è determinata in anni 3 e mesi 8 di reclusione.
Alle suddette condanne consegue la pena
accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici nei confronti di
GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco,
DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI
Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA
Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo, BASILI
Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI
Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo e TROIANI Pietro.
Tutti i predetti imputati devono essere condannati al pagamento delle
spese processuali del presente grado di giudizio, e GRATTERI Francesco, LUPERI
Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo,
CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo,
DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore
al pagamento anche delle spese di giudizio di primo grado.
Ai sensi della legge 241/2006 le pene inflitte
sono dichiarate condonate nella misura di anni 3 di reclusione
LE STATUIZIONI CIVILI
-
In via
preliminare deve rilevarsi che l’affermazione di responsabilità degli imputati
in primo grado prosciolti ne comporta la condanna, in solido con quelli già
condannati ove concorrenti, ed in solido con il Ministero dell’Interno quale
responsabile civile, nei confronti delle parti civili che si sono
rispettivamente costituite nei loro conforti, ai risarcimenti dei danni da
liquidarsi in separati giudizi civili, ed al pagamento delle provvisionali già
liquidate dal Tribunale. Non ritiene la Corte che l’aumento del numero dei
condebitori solidali possa determinare un aumento delle provvisionali, la cui
determinazione è rimessa a prudente prognosi sommaria, in relazione alla quale
la Corte non ha elementi per
disporre modifiche in aumento.
-
Relativamente
alla questione del diritto al risarcimento dei danni anche in conseguenza delle
condanne per il delitto di falso, osserva la Corte che il tema è stato mal
posto dalle parti civili e dal Tribunale. Non si tratta, infatti, di valutare
l’esistenza di uno o più fatti lesivi ciascuno generatore di danno, con il
possibile rischio di duplicazione paventato dal Tribunale, o di decurtazione lamentata
dalle parti civili, perché nel caso in esame si verte in una tipica ipotesi di concorso
formale, in cui con una sola azione si commettono più reati. La falsificazione
dei verbali di P.G. ha contestualmente intergrato i reati di falso ideologico
in atto fidefacente e di calunnia. Il fatto illecito generatore di danno dal
punto di vita civilistico è uno solo, ed integra una sola causa petendi dell’invocato diritto al risarcimento dei danni. Ciò
non vuol dire che sia irrilevante la violazione della norma penale che punisce il
falso ideologico, il quale come ricordato dallo stesso Tribunale integra una
fattispecie plurioffensiva che vede anche il privato destinatario del falso
parte offesa. È infatti evidente che un conto è subire una calunnia da un
privato cittadino con una denuncia privata, un’altro, ben più grave per le maggiori
difficoltà di difendersi, è subire una calunnia confezionata da un pubblico ufficiale
in un verbale di polizia giudiziaria, ma la rilevanza di tale duplice violazione
di norme penali si manifesta sotto il profilo della gravità del fatto e
dell’entità dell’unico danno subito dalla parte lesa. Spetterà, quindi, al
giudice civile liquidare il danno tenendo conto che il fatto lesivo, benché
unico, è costituito dalla violazione di due norme penali, e come tale è
potenzialmente idoneo a causare danno maggiore.
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L’appello
proposto dal GENOA SOCIAL FORUM deve essere respinto perché tale associazione,
nata con l’oggetto sociale specifico di organizzare le manifestazioni di
dissenso al vertice G8 in questione, si è estinta per esaurimento dello scopo sociale
con la conclusione del vertice stesso, e non esiste più come centro di imputazione
di rapporti giuridici. La circostanza è stata ammessa dallo stesso Agnoletto in
allora legale rappresentante del GSF, il quale ha dichiarato nella deposizione testimoniala
del 10/10/07 “Il GSF attualmente non
esiste più, è andato avanti fino al 2002. Io recupero il ruolo di portavoce
quando le associazioni che ne facevano parte devono assumere orientamenti in
relazione agli eventi del G8, ma una struttura ufficiale di GSF non c’è più”.
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L’appello
proposto dall’ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI è fondato, non quanto ai danni
alle attrezzature che il Comune le aveva consegnato, ma per l’accertata
sussistenza dei reati di perquisizione abusiva e violazione di domicilio con
riferimento ai locali a sua disposizione. Rileva la Corte che seppure sia vero che
anche il detentore qualificato ha titolo al risarcimento dei danni inferti alle
cose condotte in locazione o comodato gratuito, occorre tuttavia pur sempre la
deduzione e la dimostrazione dell’esistenza del danno, anche sub specie di risarcimento a sua volta
pagato dal detentore a favore del proprietario. Nel caso in esame nulla ha
dedotto e tanto meno provato l’Associazione circa un effettivo danno subito
dalla rottura dei computers di proprietà del Comune, per cui sotto tale profilo
l’appello è infondato.
Viceversa essendo stata accertata l’esistenza
dei reati ascritti a Gava di perquisizione abusiva e violazione di domicilio, reati
compiuti anche e soprattutto nei locali affidati all’Associazione giuristi, sussiste
il diritto al risarcimento dei danni conseguenti, da liquidarsi in separato
giudizio. Nulla, invece, è dovuto per la violenza privata, posto che le vittime
non sono state individuare in base alla loro affiliazione all’associazione, ma
hanno subito le violenze al pari di tutti gli altri presenti all’interno della
scuola Pascoli senza alcun particolare movente legato alla loro appartenenza
all’Associazione.
-
L’appello
proposto dalle parti civili Bartesaghi Enrica e Gandini Ettorina, madri di
parti lese dei reati giudicati in questo processo, è infondato.
In tema di risarcimento del danno in favore dei parenti per lesioni
subite dai prossimi congiunti la Suprema Corte civile, fin da Sez. 3, Sentenza
n. 10816 del 08/06/2004, ha sancito che “Ai
prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito
costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno
morale, a condizione che si tratti di lesioni seriamente invalidanti, giacché
lesioni minime o prive di postumi non rendono configurabile una sofferenza
psicologica inquadrabile nella nozione di danno morale.” E ancora più
recentemente (Sez. 3, Sentenza n. 8546 del 03/04/2008) ha stabilito che “In tema di risarcimento del danno ai
prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito
costituente reato, lesioni personali spetta anche il risarcimento del danno
morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione
affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223
cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto
dannoso. In tal caso, costituendo il danno morale un patema d'animo e, quindi,
una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con
metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti dell'animo, solo
quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto,
non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in
base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere
decisivi ai fini della sua configurabilità” (fattispecie di gravissime
lesioni permanenti in danno di figlio minorenne). I casi in cui la
giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del c.d. danno riflesso o “di
rimbalzo” riguardano ipotesi di gravissime lesioni permanenti che per la loro
notevole incidenza invalidante e per lo stretto legame familiare che unisce la
vittima ai parenti, ingenera nella vita di questi ultimi un profondo
sconvolgimento sotto tutti gli aspetti delle relazione interpersonali (necessità
di prestare cure e attenzioni alla vittima, limitazioni alla sfera delle
attività praticabili, frustrazioni delle aspettative nutrite sul futuro della
vittima) tale da determinare un danno permanente e significativo anche “di riflesso”
sul parente della vittima diretta delle lesioni. Ma nel caso in esame le
vittime primarie, maggiorenni ed indipendenti, hanno subito lesioni temporanee
che non hanno lasciato conseguenze invalidanti di alcuna natura nelle loro vite,
e tanto meno possono averne determinate in quelle delle madri. Non sussiste,
pertanto, alcun danno risarcibile in capo alle appellanti.
-
Il
motivo di appello relativo alla liquidazione delle spese di costituzione e rappresentanza
delle parti civili è parzialmente fondato. La valutazione dell’attività
defensionale compiuta dal Tribunale è stata certamente riduttiva. Il processo,
per gravità dei fatti, numero delle parti, durata nel tempo, natura e
complessità degli adempimenti è stato certamente connotato da particolare
difficoltà ed ha costituito, insieme con gli altri grandi filoni processuali
della vicenda G8 che ha funestato Genova, un evento straordinario
nell’esperienza giudiziaria del distretto negli ultimi anni. Non risponde al
vero che l’attività defensionale delle parti civili si sia allineata e
appiattita sulle argomentazioni della procura; la consonanza di posizioni che
discende ex se dalla struttura del processo
non consente di ignorare i contributi anche originali e significativi che le parti
civili hanno dato all’accertamento della verità, ad esempio con la consulenza sulla
collocazione temporale dei fatti immortalati nei materiali audiovisivi,
ampiamente discussa e illustrata anche oralmente, o con gli utili contributi
forniti nella ricostruzione dei passaggi più articolati e problematici del processo,
come la vicenda delle bombe molotov.
La Corte reputa che la liquidazione degli onorari per la partecipazione personale
alle udienze nella misura minima sia stata decisamente insufficiente, e stima
equo procedere ad una rivalutazione di tutte le liquidazioni di tali voci mediante
l’applicazione del coefficiente del 100%.
Non ritiene la Corte, viceversa, che il criterio seguito dal Tribunale per
liquidare gli onorari in caso di sostituzione processuale all’udienza (attuato
mediante l’applicazione della percentuale del 20% sull’importo di tariffa) sia
errato. Non solo tale criterio è stato proposto da alcune parti civili nelle rispettive
note spese, ma, non sussistendo divieto di applicazione analogica delle norme
in questione, non è arbitrario equiparare la posizione del difensore che in udienza,
sostituendo più colleghi, difende più parti in posizione processuale omologa, a
quella del difensore che difende direttamente più parti sue clienti, ipotesi per
la quale l’onorario è del 20% per ciascuna parte rappresentata ex art. 3 D. M.
127/2004 (che in questo caso diviene 20% in favore di ciascun difensore
sostituito).
-
Infine
è fondato l’appello dei difensori ammessi al patrocinio a spese dello Stato,
che lamentano come la liquidazione delle spese a carico degli imputati condannati
e del responsabile civile sia stata effettuata dal Tribunale nella stessa
misura ridotta ex lege prevista per la
liquidazione a carico dello Stato. I due piani, infatti, sono distinti e
non consentono commistioni. Come
ha riconosciuto Cass. Pen. Sez.
4, Sentenza n. 42844 del 2008 “la
difficoltà, anche dal punto di vista pratico, di coordinare le due
liquidazione, per la necessità di un provvedimento a favore del difensore e per
la assenza di ogni previsione normativa che stabilisca che il giudice penale
debba uniformarsi al criterio di cui all'art. 82 del T.U. … può essere evitata
riconoscendo l'autonomia delle due liquidazioni, secondo un principio che è
stato già affermato da questa Corte, con la recentissima sentenza del 2 luglio
2008 n. 26663, che ha ritenuto che la disposizione dell'art. 541 c.p.p., comma
1, è intesa a regolare il regolamento delle spese processuali tra imputato e
parte civile, e la condanna concerne il primo in favore esclusivamente del
secondo. L'onorario e le spese di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82
afferiscono invece al rapporto tra il difensore e la parte difesa e vanno
liquidati dal magistrato competente ai sensi del precitato testo normativo, con
i criteri indicati dal cit. art. 82 e quindi con valutazione autonoma di tale
giudice rispetto a quella che afferisce al diverso rapporto tra imputato e
parte civile.” Aderendo a tale prospettazione, ritiene la Corte che nella liquidazione
degli onorari in favore delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello
Stato non sussistano i limiti quantitativi di cui all’art. 82 D.P.R. 115/2002,
e che la tutela del diritto dello Stato al recupero di quanto anticipato alla
parte civile nella sua funzione di garanzia tipica del sistema del patrocinio per
i non abbienti, venga salvaguardato disponendo che i condannati al rimborso delle
spese di lite corrispondano direttamente allo Stato la quota parte di quanto
liquidato da questo giudice corrispondente alla liquidazione disposta nella competente
sede ex D.P.R.115/2002, e che per la differenza provvedano al pagamento
direttamente in favore delle parti civili.
-
Le
spese di rappresentanza e costituzione di questo grado sono liquidate in dispositivo,
e ne è disposto il pagamento diretto in favore dei difensori antistatari che
hanno reso le dichiarazioni di legge.
P.Q.M.
Visto l’art. 591 c.p.p.
dichiara inammissibile l’appello incidentale
proposto dalla parte civile FASSA Liliana, e compensa integralmente le spese di
lite fra la stessa e gli imputati e il responsabile civile;
Visti gli artt. 531, 592 e 605 c.p.p.
in parziale riforma della appellata sentenza:
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti di
GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni in ordine al reato loro ascritto al capo B)
per essere estinto per prescrizione;
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti di
GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco,
DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI
Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo per il fatto loro contestato al capo E),
e nei confronti di DI BERNARDINI Massimiliano per il fatto contestato al capo
3), qualificati alla stregua dell’art. 606 c.p., in quanto estinti per
prescrizione;
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti di
FOURNIER Michelangelo in ordine ai reati ascrittigli al capo H) perché estinti
per prescrizione;
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti di
CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo, ZACCARIA
Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE Vincenzo
in ordine ai reati di lesioni personali semplici loro ascritti al capo H)
perché estinti per prescrizione;
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti di GAVA
Salvatore in ordine ai reati ascrittigli ai capi S), T) ed U) in quanto estinti
per prescrizione;
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti di FAZIO
Luigi in ordine al reato ascrittogli al capo Z1) in quanto estinto per
prescrizione;
Visto l’art. 530 cpv c.p.p.
ASSOLVE
BURGIO Michele dal reato ascrittogli al capo
Q) per non aver commesso il fatto e dal reato ascrittogli al capo R)
perché il fatto non sussiste;
ASSOLVE
TROIANI Pietro dal reato ascrittogli al capo
O) per non aver commesso il fatto,
ASSOLVE
GAVA Salvatore dal reato ascrittogli al capo
V) per non aver commesso il fatto.
.-.-.-.-.-.
Ridetermina le pene, escluse le attenuanti
generiche, nei confronti di:
CANTERINI Vincenzo per il reato di falso in
continuazione con le lesioni gravi di cui al capo H), nella misura di anni
cinque di reclusione;
BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo,
ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE
Vincenzo, per i reati di lesioni gravi di cui al capo H) nella misura di anni
quattro di reclusione ciascuno;
TROIANI Pietro per i reati di falso e quelli
di cui al capo P) uniti dal vincolo della continuazione in anni tre e mesi nove
di reclusione;
DICHIARA
GRATTERI Francesco e LUPERI Giovanni colpevoli
del reato loro ascritto al capo A), e condanna ciascuno alla pena di anni quattro
di reclusione;
DICHIARA
CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco,
DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI
Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo colpevoli del reato loro ascritto al capo
C), e DI BERNARDINI Massimiliano colpevole del reato ascrittogli al capo 1), e
condanna ciascuno alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione;
DICHIARA
NUCERA Massimo colpevole del reato ascrittogli
al capo I), e PANZIERI Maurizio colpevole del reato ascrittogli al capo M), e
condanna ciascuno alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione;
DICHIARA
GAVA Salvatore colpevole del reato di falso
contestatogli, e lo condanna alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione.
.-.-.-.-.
Visto l’art. 29 c.p.
DICHIARA
GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni,
CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo,
CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI
Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA
Salvatore, CANTERINI Vincenzo, BASILI Fabrizio, TUCCI Ciro, LUCARONI Carlo,
ZACCARIA Emiliano, CENNI Angelo, LEDOTI Fabrizio, STRANIERI Pietro, COMPAGNONE
Vincenzo e TROIANI Pietro interdetti per anni cinque dai pubblici uffici.
Condanna tutti i predetti imputati al
pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, e GRATTERI
Francesco, LUPERI Giovanni, CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI
Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI
NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI
Maurizio, GAVA Salvatore al pagamento anche delle spese di giudizio di primo
grado.
Vista la legge 241/2006 dichiara condonate
nella misura di anni 3 di reclusione le pene inflitte.
Visti gli artt. 538 e segg. c.p.p.
CONDANNA
GRATTERI Francesco, LUPERI Giovanni CALDAROZZI
Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI
SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide, CERCHI Renzo, DI BERNARDINI
Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio, GAVA Salvatore, CANTERINI
Vincenzo e TROIANI Pietro in solido con il responsabile civile Ministero
dell’Interno, a risarcire i danni conseguenti ai reati di falso, di calunnia,
arresto illegale, e GAVA Salvatore anche per i reati di cui ai capi S), T) ed
U) in favore delle parti civili che si sono costituite in relazione alle
predette imputazioni, ponendo le provvisionali determinate dal primo giudice a
carico solidale di tutti i predetti.
Condanna altresì GAVA Salvatore in solido con
il responsabile civile Ministero dell’Interno a risarcire in danni causati
all’ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI di Genova, da liquidarsi in separato
giudizio;
conferma le statuizioni civili della impugnata
sentenza relative ai capi H) e Z1.
.-.-.
Ridetermina le spese di lite liquidate in
primo grado a favore di:
MORET, SAMPERIZ, KUTSCHKAU, GALLOWAY,
NATHRATH, HUBNER, CESTARO, COVELL, GOL, BACZAK, DUMAN, ALBRECHT, BARO, DREYER,
HERRMANN Jens HERRMANN Jochen, RESCHKE, LUTHI, BODMER, GALANTE, WAGENSCHEIN,
BACHMANN, GATERMANN, KRESS, VILLAMOR, ZEHATSCHEK, ZUHLKE, BERTOLA, BARRINGHAUS,
PAVARINI, GALEAZZI, ALLUEVA, BRUSCHI, DIGENTI, MARTINEZ, MASSÒ, BROERMANN,
ENGEL, HAGER, HEIGL, SZABO, WIEGERS, ZAPATERO, ZEUNER, SCRIBANI, CORDANO,
COSTANTINI, NANNI, BARTESAGHI GALLO Sara, BUCHANAN, DOHERTY, MC QUILLAN,
BRUSETTI, PROVENZANO, BRIA, PATZKE, FLETZER, PODOBNICH, LUPPICHINI, MESSUTI,
VALENTI, MARCUELLO, JAEGER, mediante l’aumento nella misura del 100% degli
onorari per la partecipazione alle udienze;
pone le spese di costituzione e difesa di primo
grado liquidate a favore delle parti civili a carico di GRATTERI Francesco,
LUPERI Giovanni CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI
Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide,
CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio,
GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo e TROIANI Pietro in solido fra loro e con il
Ministero dell’Interno.
Liquida le spese di primo grado a favore della
ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI di Genova in € 13.000,00, oltre spese
forfettarie IVA e CPA, condannando al pagamento in solido GAVA Salvatore ed il
Ministero dell’Interno.
Condanna gli imputati GRATTERI Francesco,
LUPERI Giovanni CALDAROZZI Gilberto, MORTOLA Spartaco, DOMINICI Nando, FERRI
Filippo, CICCIMARRA Fabio, DI SARRO Carlo, MAZZONI Massimo, DI NOVI Davide,
CERCHI Renzo, DI BERNARDINI Massimiliano, NUCERA Massimo, PANZIERI Maurizio,
GAVA Salvatore, CANTERINI Vincenzo e TROIANI Pietro in solido fra loro e con il
Ministero dell’Interno a rifondere alle parti civili le spese di costituzione e
rappresentanza di questo grado che liquida:
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
AGUSTONI Piero in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
BIGLIAZZI Stefano in € 8.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
BONAMASSA Giorgio in € 4.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
CAFIERO Marco in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
CANESTRINI Nicola in € 7.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
CANESTRINI Sandro in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
CARUSO Raffaele in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
CAVALLO Mino in € 4.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
COSTA Francesca in € 6.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
CRISCI Simonetta in € 1.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
D’ADDABBO Maria in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
D’AGOSTINO Aurora in € 3.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
DALLORTO Ermanno in € 6.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
D’AMICO Felicia in € 2.695,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
DI RELLA Aurelio in € 3.400,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
FIORINI Elena in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
GALASSO Alfredo in € 2.695,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv. GAMBERINI
Alessandro in € 7.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
GIANELLI Fausto in € 6.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
GIANNANTONIO Domenico in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
GUIGLIA Filippo in € 9.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
LERICI Antonio in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
MALOSSI Carlo in € 10.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
MALTAGLIATI Patrizia in € 7.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
MAZZALI Mirko in € 3.200,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
MENZIONE Ezio in € 5.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
MOSER Luca in € 7.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
MULTEDO Raffaella in € 6.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
NADALINI Giuseppe in € 2.400,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
NESTA Liana in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
NOVARO Claudio in € 9.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
PAGANI Gilberto in € 9.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
PASSEGGI Riccardo in € 8.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
PASTORE Massimo in € 6.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
ROBOTTI Emilio in € 5.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
ROMEO Francesco in € 6.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
ROSSI Dario in € 6.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv. SABATTINI
Simone in € 10.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
SACCO Gianluca in € 4.900,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
SANDRA Andrea in € 7.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
SODANI Palo Angelo in € 4.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
TADDEI Fabio in € 10.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
TAMBUSCIO Emanuele in € 12.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
TARTARINI Laura in € 16.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
TRUCCO Lorenzo in € 6.000,00 complessivamente;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
VASSALLO Alessia in € 6.000,00;
in favore delle parti rappresentate dall’Avv.
VERNAZZA Andrea in € 5.000,00 complessivamente;
Dispone per le parti civili ammesse al
patrocinio a spese dello Stato il pagamento diretto in favore dello Stato per
la quota corrispondente alla liquidazione effettuata ai sensi del D.P.R.
115/2002, e per la differenza a favore delle parti stesse;
dispone il pagamento delle spese in favore
degli avvocati antistatari che hanno reso la dichiarazione di legge.
Conferma nel resto l’impugnata sentenza.
Fissa il termine di giorni 90 per il deposito
della motivazione.
Genova, 18/05/2010
Il Consigliere est.
Il Presidente
[1] Ciò è tanto vero, che basta ascoltare i commenti ad alta voce di alcuni privati cittadini mentre effettuavano le riprese dell’arrivo della Polizia in Via Battisti: la prima considerazione è stata “la Polizia ha deciso di attaccare la scuola”.