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2010 08 05 * il manifesto * Santa crisi, Vaticano al verde * Luca Kocci

Santo Ior e benedetti fedeli. Perché senza la robusta stampella messa a disposizione dalla banca vaticana e le cospicue offerte provenienti dai cattolici di tutto il mondo, il Vaticano potrebbe dichiarare bancarotta. I bilanci di Oltretevere, infatti, per il terzo anno consecutivo sono in rosso. Un passivo meno consistente di quello del 2008, quando il saldo negativo complessivo era stato di 16 milioni di euro (l’anno precedente, invece, il buco fu di 2 milioni e 300 mila euro), ma ugualmente pesante: perdite per 12 milioni di euro, però abbondantemente sanate da una donazione dello Ior di 50 milioni, dal sostegno arrivato dalle diocesi cattoliche e dalle offerte dei fedeli per il cosiddetto Obolo di San Pietro che rimettono in sesto tutti i conti e consentono alle finanze del papa di godere di ottima salute.

I bilanci ufficiali dell’anno 2009 sono stati resi noti pochi giorni fa, a conclusione della riunione a porte chiuse del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e di cui fanno parte, fra gli altri, l’arcivescovo opusdeista di Lima Juan Luis Cipriani e gli ultraconservatori Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e principale animatore dei family day in salsa spagnola contro le politiche laiche di Zapatero, George Pell (arcivescovo di Sidney) e il neo prefetto della Congregazione per i vescovi, il canadese Marc Ouellet, arcivescovo di Québec.

La situazione peggiore riguarda la Santa Sede, cioè il governo centrale della Chiesa cattolica mondiale, che conta 2.762 dipendenti – di cui 1.652 laici – e che comprende tutti i dicasteri e gli organismi della Curia romana, l’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (l’Apsa, che controlla l’enorme quantità di beni mobili e immobili di proprietà vaticana) e i mezzi di comunicazione. Nel corso del 2009 ci sono state entrate per poco più di 250 milioni di euro e uscite per oltre 254 milioni, con un disavanzo quindi di poco superiore ai 4 milioni di euro, mentre lo scorso anno le perdite erano state di soli 911 mila euro. Ad incidere negativamente, oltre alle spese ordinarie e straordinarie della Curia, sono stati i costi per mantenere in piedi L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, e soprattutto Radio Vaticana, da qualche giorno di nuovo sotto accusa perché, secondo la perizia dell’Istituto tumori di Milano ordinata dal Gip Stefano Pesci titolare dell’inchiesta, le onde elettromagnetiche rilasciate dalle sue potentissime antenne nella zona a nord di Roma sarebbero la causa dell’insorgenza di leucemie nei cittadini che abitano nei dintorni. 

Giornale ed emittente radiofonica perdono circa 15 milioni di euro l’anno, compensati solo in minima parte dalla pubblicità commerciale delle grandi aziende – dall’Enel, all’Eni, fino all’Alitalia – che dall’estate scorsa viene trasmessa sulle frequenze della radio del papa. Sono invece in attivo di circa 2 milioni il Centro televisivo vaticano (Ctv) – il centro di produzione che riprende in esclusiva le immagini video del papa e degli eventi in Vaticano e le vende alle tv di tutto il mondo – e la Libreria editrice vaticana (Lev), unica proprietaria «in perpetuo e per tutto il mondo» dei diritti d’autore sui discorsi e sugli scritti dei papi dell’ultimo cinquantennio e dei vari dicasteri della Santa sede. Un copyright rigidissimo, regolato da un apposito decreto pontificio, che nel caso di papa Ratzinger è stato allargato anche a tutte «le opere e gli scritti redatti dallo stesso pontefice prima della sua elevazione alla Cattedra di Pietro»: all’editore Baldini & Castoldi, per fare un solo esempio, è stato chiesto il 15% del prezzo di copertina per ogni copia venduta del Dizionario di papa Ratzinger, una guida al pontificato di Benedetto XVI curata dal vaticanista della Stampa Marco Tosatti, il quale per la redazione di quattro voci del libro aveva utilizzato 50 righe dell’omelia Pro eligendo pontifice, pronunciata in apertura di Conclave dall’ancora cardinal Ratzinger, e dell’omelia della prima celebrazione eucaristica presieduta da papa Benedetto XVI.

Male anche i conti del Governatorato della Città del Vaticano, cioè l’erede del vecchio Stato pontificio, l’organo a cui il papa – che secondo la costituzione vaticana rimane il sovrano assoluto – ha affidato l’esercizio del potere esecutivo: con nove direzioni, sei uffici centrali e 1.891 dipendenti quasi tutti laici e maschi amministra il territorio statale, controlla le istituzioni e gestisce i servizi, i musei, la gendarmeria e le finanze, tranne lo Ior, che invece è autonomo e saldamente in attivo. Nel 2009 il bilancio dello Stato vaticano ha chiuso con un passivo di quasi 8 milioni di euro (ma l’anno precedente le perdite furono quasi il doppio) per gli «effetti della crisi economico-finanziaria internazionale», ossia per operazioni speculative e investimenti andati male, ha spiegato monsignor Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede e da pochissimi giorni anche “delegato pontificio”, ovvero “commissario”, della Congregazione dei Legionari di Cristo, pesantemente coinvolta nello scandalo pedofilia per gli abusi sessuali compiuti direttamente per almeno 50 anni dal fondatore, padre Marcial Maciel Degollado, solo nel 2006 sospeso a divinis dal successore di Ratzinger alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, cioè l’ex Sant’Uffizio, e poi morto nel 2008.

Fra Santa Sede e Stato Città del Vaticano una perdita complessiva, quindi, di 12 milioni di euro totalmente coperta dall’Istituto opere di religione – lo Ior, la banca vaticana, di nuovo al centro delle inchieste della magistratura sulla “cricca” dell’ex gentiluomo del papa Angelo Balducci & co – e, soprattutto, dai portafogli dei fedeli, che insieme hanno donato più di dieci volte tanto.

Dallo Ior del neo governatore Ettore Gotti Tedeschi, filo-ciellino e assai vicino all’Opus Dei nonché grande amico del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, sono arrivati in Vaticano 50 milioni di euro per imprecisate «attività di religione del Santo Padre». E poi ci sono le offerte dei fedeli, sia indirette che dirette.

Fra le prime quelle delle diocesi di tutto il mondo che hanno versato alla Santa Sede contributi per 31 milioni e 500 mila dollari (25 milioni di euro), in obbedienza a quanto previsto dal Codice di diritto canonico: «I vescovi, in ragione del vincolo di unità e di carità, secondo le disponibilità della propria diocesi, contribuiscano a procurare i mezzi di cui la Sede Apostolica secondo le condizioni dei tempi necessita, per essere in grado di prestare in modo appropriato il suo servizio alla Chiesa universale». I più generosi sono stati i vescovi degli Stati Uniti e della Germania, di manica assai larga da quando in Vaticano c’è un papa tedesco. Infine le offerte dirette dei cattolici per l’Obolo di San Pietro, «l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo padre come segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità». 



Una tradizione di origine medievale, formalizzata da Pio IX in un’enciclica del 1871 all’indomani della breccia di Porta Pia, che nel 2009 ha portato nelle casse del papa quasi 82 milioni e 500 mila dollari, pari a 65 milioni e 500 mila euro. Offerte in crescita di 11 milioni di euro rispetto all’anno precedente, ma va detto che quando i fedeli hanno messo mano al portafoglio lo scandalo pedofilia non era ancora esploso a livello internazionale, per cui, secondo diversi analisti vaticani dal prossimo anno il volume delle offerte potrebbe precipitare. E i conti della Santa Sede scricchiolare.


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