Privacy Policy Cookie Policy Termini e Condizioni

2010 09 25 * Libero * Il banchiere di Dio sfida i pm senza santi in paradiso * Gianluigi Nuzzi

L'operazione trasparenza dello IOR. Gotti Tedeschi rinuncia agli scudi giudiziari del Vaticano: vedrà gli inquirenti. Il Papa non li teme.

Paul Casimir Marcinkus nel 1987 non varcava Porta Sant’Anna pur di evitare l’arresto per il crac dell’Ambrosiano per la sua spregiudicata presidenza dello Ior, la banca del Papa. Suo padre era uno degli autisti prediletti da Al Capone e già da ragazzo Paul Casimir sapeva portare a casa la pelle a Cicero, nel sobborgo più violento di Chicago. Qualche anno dopo il suo successore, il bazoliano Angelo Caloia, durante Mani pulite temeva di finire anche lui arrestato per la maxi tangente Enimont riciclata nella banca.

Lo avvisarono amici delle Fiamme Gialle: «In procura ci hanno chiesto dove abiti». Caloia aprì canali diplomatici con Francesco Saverio Borrelli, per evitare di presentarsi anche come teste e trovarsi «sulle spalle tutta la responsabilità - scriveva all’allora segretario di Stato Angelo Sodano - della migliore rappresentazione di una situazione che sembra avere risvolti personali e istituzionali nonché ecclesiali, di dimensione inaudita». Grazie alla mediazione del cardinale Carlo Maria Martini, i giudici di Milano optarono per una rogatoria.

Oggi tocca ad Ettore Gotti Tedeschi, a un anno dalla staffetta proprio con Caloia. Anche lui è finito indagato per un’operazione che avrebbe violato i criteri anti-riciclaggio. Con una prima differenza, che segnerà la storia vaticana, e indica un rumoroso punto di rottura con il passato. Il neo presidente infatti, tra una settimana, dieci giorni, verrà interrogato dai pubblici ministeri della procura di Roma Nello Rossi e Stefano Rocco Fava.

Sarà l’avvocato della Santa Sede Vincenzo Scordamaglia a formalizzare la richiesta che spariglia le carte e i pregiudizi. Gotti Tedeschi rinuncia quindi agli scudi spaziali previsti dai Patti Lateranensi, rinuncia a quell’immunità di fatto che è in vigore grazie all’assenza di trattati giudiziari tra Roma e Oltretevere.

È un passo che non può e non deve essere sottovalutato, nel faticoso cammino di Joseph Ratzinger nel rinnovamento. È un passo che non può non essere profondamente apprezzato. Per voltare pagina servono gesti ad alto impatto.

il passato

Per allontanare un passato ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Il mandato di cattura per Marcinkus finì cestinato dalla Cassazione perché ritenuto illegittimo tra stati sovrani. Monsignor Donato de Bonis, il prelato chiave ai tempi di Enimont, ben si guardò dal presentarsi ai magistrati milanesi per proteggere la rete di conti cripati descritta nel mio Vaticano SpA.

Oggi, quindi, con Benedetto XVI, Gotti Tedeschi si presenta, anzi, chiederà lui stesso lunedì di essere interrogato. È una mossa della segreteria di Stato, del cardinale Tarcisio Bertone, che cristallizza bene la forza del Santo Padre nel desiderio del proporre moduli nuovi. Anche nel mercato finanziario, dove ci si può proporre solo e se si offrono strumenti competitivi. E la trasparenza non può non essere considerata tra questi. Nasce quindi come frutto di una condivisione nei Sacri Palazzi tra lo stesso Bertone e un gruppo di cardinali coinvolti, come Attilio Nicora, per arrivare fin lassù con padre George sensibile alla delicatezza del momento. “Andiamo e raccontiamo che non abbiamo lavato i soldi di nessuno; quelli sono investimenti nostri”.

È una mossa di indubbia efficacia mediatica. Non annovera precedenti né nella storia dello Ior che, anzi, è sempre stata caratterizzata dal segreto assoluto e da ignobili scandali, né in quella del Vaticano. Bisogna tornare indietro al 1999 per trovare qualche vicenda raffrontabile.

 All’epoca il cardinale di Napoli Michele Giordano venne sentito per una inchiesta di usura che poi si sgonfiò finendo nel nulla. Ma il porporato non stava oltre le mura leonine e la storia aveva una radicalizzazione territoriale, non toccando i segreti del torrione Nicolò V che ospita i caveau del Papa. La mossa esprime forza e sicurezza della Santa Sede nel rivendicare bontà dell’azione e dei propositi. Rilancia il confronto con la banca d’Italia e, soprattutto, offre un volto di dialogo già percipito con la prima nota attendista della Santa Sede sull’operazione con Jp Morgan Frankfurt.

A questo punto sarà il procuratore capo di Roma con l’aggiunto Nello Rossi, a decidere se e quando sentire il presidente della banca.

faccia a faccia

In linea di diritto l’indagato può farsi sentire tra la conclusione delle indagini e la determinazione successiva (richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio). Ma è anche chiaro che una mossa di questo tipo non può essere relegata nella fase successiva alle indagini preliminari. È un segno di apertura che molti magistrati attendono da anni, dopo essersi visti respingere rogatorie di ogni tipo e da ogni latitudine del mondo, dopo aver visto mortificata ogni indagine di fronte al niet che ricevevano dalla Santa Sede. Se la richiesta non venisse accolta andrebbe a creare una distanza siderale, un incidente diplomatico di rara rilevanza. I magistrati, è chiaro, sono e devono essere liberi nella loro iniziativa giudiziaria di interrogare chi vogliono ma non sfugge la rilevanza della tesi difensiva che andrà espressa e del pragmatismo giudiziario che la situazione chiede.

Il fatto che la segreteria di Stato mandi in procura il proprio banchiere a fare chiarezza è un ulteriore momento concreto di un percorso inarrestabile, che coniuga i dettami dell’enciclica Caritas in Veritate con una politica di trasparenza tangibile. Ignorarlo o accettarlo per fabbricare una dilatazione mediatica sull’interrogatorio, sarebbe solo il frutto di una miopia di altri tempi.