WOJTYLA
SEGRETO - UNA CONTROINCHIESTA UNICA, FONDATA SU DOCUMENTI ESCLUSIVI
E' stato un papa più simile ai Borgia che a San
Francesco d'Assisi; un pontefice che ha fatto sua la massima di Machiavelli «Il
fine giustifica i mezzi», pur di perseguire il disegno di una Chiesa che doveva
distruggere il comunismo.
Questo il ritratto di
Giovanni Paolo II che emerge da «Wojtyla Segreto» (edito da Chiarelettere) la
prima "contro-inchiesta" mai pubblicata in materia e scritta dal
vaticanista della Stampa Giacomo Galeazzi e dallo scrittore di inchiesta
Ferruccio Pinotti.
Un lavoro che non fa sconti
sulla figura del pontefice e che scava nelle contraddizioni di un uomo che è
stato principalmente un «asset» politico. Attraverso documenti e interviste
esclusive (il consigliere della Casa bianca Brzezinski, il leader di
Solidarnosc Lech Walesa, l'ex primo ministro polacco Mazowiecki, il pm del
processo Calvi-Ambrosiano Luca Tescaroli e molti altri), il libro restituisce
la figura di un papa che la cronaca non ha raccontato e che il processo di
beatificazione ha volutamente evitato di prendere in considerazione, mettendo a
tacere ogni voce e testimonianza critica anche interna alla Curia vaticana.
WOJTYLA E
L'UOMO DELLA CASA BIANCA
Di grande interesse l'intervista a Zbigniew Brzezinski, il potentissimo
consigliere strategico della Casa Bianca di origine polacca che teorizzò l'uso
della religione come strumento per distruggere l'impero sovietico, sostenendo a
Est la resistenza polacca e la Chiesa del Silenzio; e a Sud i mujaeedin che in
Afghanistan contrastavano i sovietici dando però in seguito ad Al Qaeda.
Brzezinski ammette che già
nel '76, due anni prima della salita al soglio pontificio, lui e l'arcivescovo
Wojtyla ebbero un incontro riservato ad Harvard e che da lì nasce un'amicizia
«calda e affettuosa» mai interrottasi.
Sarebbe stato Brezinski
stesso, attraverso il cardinale Krol di origine polacca, a mobilitare la
conferenza episcopale americana per sostenere l'elezione di Wojtyla due anni
dopo.
SOLIDARNOSC
E I SOLDI DI ROBERTO CALVI
A confermare l'appoggio di Giovanni Paolo II al movimento polacco
Solidarnosc è nel libro lo stesso Lech Walesa. Nel biennio 1980-1981 il Banco
Ambrosiano, tramite il suo presidente Roberto Calvi inizia a versare capitali
enormi al sindacato di Wałesa. Tutto è avviato nella più assoluta segretezza.
La cittadella di Solidarnosc ha bisogno di aiuto; la battaglia di resistenza in
Polonia è solo una tappa nel più impegnativo confronto con l'impero sovietico.
Insieme a Roberto Calvi,
deus ex machina dell'intera operazione è Marcinkus, l'anima nera dello Ior, la
banca del Vaticano. Marcinkus sarà la figura chiave della politica di papa
Wojtyla contro il comunismo. Una battaglia da vincere con ogni mezzo. Anche
soldi sporchi, passando per i paradisi fiscali.
Con Roberto Calvi,
Marcinkus imbastisce una rete di società fantasma nei paradisi fiscali di mezzo
mondo, dove arrivano fiumi di soldi. Forte della benedizione vaticana, Calvi
allaccia relazioni pericolose con Michele Sindona e il giro della Loggia P2, di
cui è affiliato.
Giacomo Botta, dirigente
del settore esteso del Banco Ambrosiano racconterà ai magistrati: «Già nel
1977-1978, quando divenni consigliere [del Banco ambrosiano di Managua], Calvi
mi disse che il gruppo che controllava il pacchetto di controllo
dell'Ambrosiano era lo Ior, che deteneva all'estero una consistente
partecipazione del Banco. Seppi anche che le società che a quell'epoca
l'Ambrosiano di Managua finanziava erano del Vaticano. Calvi probabilmente
intendeva mettermi al corrente di questi segreti che lui tutelava gelosamente e
intendeva altresì giustificare i finanziamenti, dicendo che erano imposti dal
Vaticano, che era in sostanza il padrone del Banco ambrosiano».
Panama, Bahamas, Lima,
Managua. Arriva da lì il tesoro per sostenere Solidarnosc. Roberto Calvi fugge
all'estero, braccato dai creditori. Finirà la sua corsa il 17 giugno 1982 sotto
un ponte di Londra, appeso a una corda con dei mattoni nelle tasche. Solo pochi
giorni prima scriverà una lettera drammatica, indirizzata a sua santità
Giovanni Paolo II. Una lettera che fotografa un pezzo importante di storia
italiana e ci dice anche che Wojtyla non poteva non sapere.
LA LETTERA DI ROBERTO CALVI AL PAPA
"Santità, Ho pensato molto, molto, in questi giorni. E ho capito che c'è una sola speranza per cercare di salvare la spaventosa situazione che mi vede coinvolto con lo Ior in una serie di tragiche vicende che vanno sempre più deteriorandosi e che finirebbero per travolgerci irreversibilmente.
Ho pensato molto, Santità, e ho concluso che Lei è l'ultima speranza, l'ultima. Da molti mesi, ormai, mi vado dibattendo a destra e a manca, alla disperata ricerca di trovare chi responsabilmente possa rendersi conto della gravità di quanto è accaduto e di quanto più gravemente accadrà se non intervengono efficaci e tempestivi provvedimenti, essenziali per respingere gli attacchi concentrici che hanno come principale bersaglio la Chiesa e, conseguentemente, la mia persona e il gruppo a me facente capo.
La politica dello struzzo, l'assurda negligenza, l'ostinata intransigenza e non pochi altri incredibili atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano, mi danno la certezza che Sua Santità sia poco e male informata di tutto quanto ha per lunghi anni caratterizzato i rapporti intercorsi tra me, il mio gruppo e il Vaticano.
Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora subisco le conseguenze; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell'Est e dell'Ovest;
sono stato io che, di concerto con autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro-Sudamerica la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l'espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità a cui ho rivolto sempre il massimo rispetto e obbedienza.
Santità, la domanda che mi pongo è questa: «Ma a chi giova un tale atteggiamento? Certo non a me o al mio gruppo, ma anche più certamente non giova agli interessi morali ed economici della Chiesa. E allora, Santità, mi convinco sempre di più che chi vuole male alla Chiesa (e non sono in pochi) trova, all'interno di essa, numerosi e autorevoli alleati. Ora si tratta di stabilire quanti di questi alleati sono in buona fede e quanti non lo sono.
Dunque, le ipotesi sono due: per quelli che sono coscienti del male che hanno fatto e che potrebbero ancora fare, non c'è alcun dubbio: Lei, Santità, è l'obiettivo! Per quelli che invece sono in buona fede (ed è l'ipotesi meno credibile), Santità, non indugi un secondo, li allontani urgentemente dal loro incarico prima che sia troppo tardi!
Certo, occorre molta buona volontà, per non dire che bisogna essere ciechi, per non vedere che si sta preparando una grande congiura contro la Chiesa e la Persona di Sua Santità. E ciò è facile dedurlo dalle assurde risposte che si continua a dare alle mie disperate grida di pericolo e ai miei reiterati inviti di chiarimento.
Forse, senza forse, la grande popolarità e simpatia di cui Lei, Santità, gode in molte parti del mondo e l'espandersi di essa, preoccupano, e non poco, i Suoi avversari interni ed esterni, sino al punto da far pensare a quelli interni, si capisce, il tanto peggio, tanto meglio!
Gli avversari esterni lo sappiamo chi sono e Lei, Santità, lo sa meglio di tutti e li combatte meglio di tutti; ma quelli interni, interni alla Chiesa voglio dire, e quelli affini, come alcuni democristiani, Lei, Santità, li conosce? Io credo proprio di no! Non sono un pettegolo e neanche uno che accusa per dispetto o per vendetta.
E non mi interessa, perciò, soffermarmi sulle tante chiacchiere che si fanno su alcuni prelati e in particolare sulla vita privata del segretario di Stato cardinale Casaroli (si sa, questo genere di chiacchiere non giova mai alla dignità e al buon nome della Chiesa), ma mi interessa moltissimo segnalarLe il buon rapporto che lega quest'ultimo ad ambienti e a personaggi notoriamente anticlericali, comunisti e filocomunisti, come quello con il ministro democristiano Nino Andreatta col quale, sembra, abbia trovato l'accordo per la distruzione e spartizione del Gruppo ambrosiano.
Ma a quale disegno vuole o deve obbedire il segretario di Stato del Vaticano? A quale ricatto? Santità, un eventuale crollo del Banco Ambrosiano provocherebbe una catastrofe di inimmaginabili proporzioni in cui la Chiesa ne subirebbe i danni più gravi! Bisogna evitarla a ogni costo!
Molti sono coloro che mi fanno allettanti promesse di aiuto a condizione che io parli delle attività da me svolte nell'interesse della Chiesa; sono proprio molti coloro che vorrebbero sapere da me se ho fornito armi o altri mezzi ad alcuni regimi di paesi del Sudamerica per aiutarli a combattere i nostri comuni nemici, e se ho fornito mezzi economici a Solidarnosc o anche armi e finanziamenti ad altre organizzazioni di paesi dell'Est; ma io non mi faccio e non voglio ricattare; io ho sempre scelto la strada della coerenza e della lealtà anche a costo di gravi rischi!
Santità, a Lei mi rivolgo perché solo attraverso il Suo alto intervento è ancora possibile raggiungere un accordo tra le parti interessate e respingere il terribile spettro di una immane sciagura. Ora, altro non mi rimane che sperare in una Sua sollecita chiamata che mi consenta di mettere a Sua disposizione importanti documenti in mio possesso e di spiegarLe a viva voce tutto quanto è accaduto e sta accadendo, certamente a Sua insaputa. Grato e nel bacio del Sacro Anello, mi confermo della Santità Vostra.
Roberto Calvi
LA P2 E I
SOLDI DELLA MAFIA
Anche la
Loggia P2 approvava i finanziamenti «anticomunisti» al sindacato polacco.
Ricorda Licio Gelli: «Nel settembre 1980 Calvi mi confidò di essere preoccupato
perché doveva pagare una somma di 80 milioni di dollari al movimento sindacale
polacco Solidarnosc, e aveva solo una settimana di tempo per versare il
denaro».
Perfino la mafia sarebbe
coinvolta nel progetto del papa di fare a pezzi il blocco comunista. Dagli atti
giudiziari del processo Calvi emerge infatti che nella lotta al comunismo
sarebbero stati investiti anche soldi frutto delle speculazioni edilizie della
mafia in Sardegna.
Il pm Luca Tescaroli -
intervistato da Pinotti e Galeazzi - ha maturato nel corso degli anni una
conoscenza unica del complesso mondo delle finanze vaticane e dei rapporti
malati che in quegli anni il papato non disdegnò di intrattenere. Tescaroli è
stato il primo magistrato che, con il suo lavoro, è riuscito a evidenziare come
la banca di riferimento del Vaticano, strettamente legata allo Ior, fosse
divenuta negli anni Settanta e Ottanta strumento del riciclaggio di denaro
mafioso. Soldi utilizzati dal papato per contrastare il comunismo nell'Est
europeo e in America Latina.
Nel libro il pm ha
raccontato aspetti inediti in merito: «Roberto Calvi, nel subentrare a Michele
Sindona, risultò svolgere una funzione di volano tra i vecchi e i nuovi
equilibri strategici avvicendatisi in seno a Cosa nostra, a seguito della
cosiddetta ultima guerra di mafia. Se Calvi avesse messo in atto il manifestato
proposito di riferire quanto a sua conoscenza, avrebbe svelato il canale di
alimentazione del Banco Ambrosiano, rappresentato dalle risorse finanziarie
provenienti da Cosa nostra, e la destinazione dei flussi di quel denaro, ivi
compresa quella del finanziamento del sindacato Solidarnosc (di cui ha parlato
Salvatore Lanzalaco), e ai regimi totalitari sudamericani (ai quali fece
espresso riferimento Calvi in alcune lettere dallo stesso sottoscritte).
Finanziamento attuato
nell'interesse di una più ampia strategia del Vaticano, volta a penetrare nei
paesi comunisti dell'Est europeo e a congelare l'avanzata comunista
nell'America Latina. Cosa nostra e, certamente, Calò non potevano accettare che
emergesse e venisse rivelata agli inquirenti quella tipologia di attività
illecita, volta a far convogliare flussi di denaro mafiosi in quelle direzioni,
e l'attività di riciclaggio che attraverso il Banco Ambrosiano veniva
espletata.»
ALTRO CHE
FONDAZIONE DI BENEFICENZA
Pinotti e Galeazzi ricostruiscono anche, sempre sulla base di documento
che hanno scelto di pubblicare in appendice al libro, il rapporto segreto che
legava papa Wojtyla al vescovo 007 monsignor Pavel Hnilica. Una figura
leggendaria, al punto che nel 1951 dovette fuggire a Roma, dove negli anni '60
fondò la misteriosa Fondazione Pro Fratribus, dedita all'assistenza dei
profughi dell'Est ma in realtà strumento per convogliare aiuti alla resistenza
anticomunista in tutta l'Europa orientale.
Pinotti e Galeazzi
pubblicano scannerizzati tutti gli assegni della Pro Fratribus, che documentano
il vorticoso giro di denaro messo in piedi dal vescovo 007 amico di Wojtyla sin
dal dopoguerra.
Gli autori pubblicano poi
l'assegno da 1,5 miliardi con il quale Hnilica - certamente con il consenso di
Wojtyla - cerca di comprare da Flavio Carboni la valigetta di Calvi contenente
i documenti con cui intendeva ricattare il Papa. Un assegno non onorato dallo
Ior solo per l'intervento del cardinale Casaroli.
Ma l'appoggio del Papa al
discusso padre Hnilica, condannato per ricettazione insieme a Carboni e al
falsario Giulio Lena (se la caveranno solo nei successivi gradi di giudizio) è
acclarato, come testimonia la missione affidata da Wojtyla a Hnilica di una
messa segreta a Mosca nel 1984 che consacrasse la Russia al cuore immacolato di
Maria.
UNA
DECISIONE POLITICA
Nell'inchiesta
di Pinotti e Galeazzi sono raccontati con dovizia di particolari molti altri
capitoli oscuri, come la copertura offerta al movimento dei Legionari di
Cristo, guidato Marcial Maciel, così come l'appoggio indiscriminato a lobby di
potere come Opus Dei, Cl, Focolarini, Neocatecumenali. Movimenti integralisti
che sono ormai vere e proprie «chiese nella chiesa».
Per tutte queste ragioni
Pinotti e Galeazzi ritengono inopportuna la beatificazione lampo di Wojtyla ed
ancor più rischiosa la probabile canonizzazione, come sostenuto da un altro
documento pubblicato in appendice: la testimonianza prodotta dal teologo
Giovanni Franzoni al processo di beatificazione.
Un documento nel quale il
coraggioso sacerdote esplicita le ragioni per le quali Wojtyla non può e non
deve diventare santo. Così Franzoni: "E' mio dovere elencare i gravi dubbi
che non si possono tacere. Mi rendo conto che alcune mie affermazioni
sembreranno inaudite. L'ansia con cui molti ambienti lavorano alla
beatificazione ha poco di evangelico. Chiedo che Wojtyla sia lasciato al
giudizio della Storia".