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2011 11 21 * Oggi * (misteri vaticani) * Giangavino Sulas

«Non è stato facile riannodare il filo degli avvenimenti, ma dopo anni di lavoro investigativo i sospetti e gli indizi sono diventati prove. Il filo degli avvenimenti oggi ci dice che l'attentato a Papa Wojtyla, il rapimento di Emanuela Orlandi e la strage delle Guardie Svizzere del 1998 fra le sacre mura del Vaticano appartengono alla stessa trama, rientrano nello stesso complotto». Ferdinando Imposimato, l'ex magistrato che ha condotto tante inchieste fra le quali quella sul caso Moro e sull'attentato a Giovanni Paolo II, ormai non ha dubbi, ha solo certezze.

E le sue rivelazioni aprono uno scenario da spy story con omicidi, sequestri, furti, ricatti, minacce, gettando nuova luce sugli appelli lanciati da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, e Muguette Baudat, la mamma del caporale della Guardia Svizzera Cédric Tornay che secondo le autorità vaticane avrebbe assassinato il suo comandante e la moglie prima di spararsi alla testa.
Il fratello di Emanuela e la mamma di Cédric, nelle settimane scorse, a distanza di pochi giorni, si sono rivolti direttamente a Papa Benedetto XVI, chiedendo di conoscere la verità sui loro drammi pieni di buchi neri e di consultare i documenti sulle due inchieste. E, secondo Imposimato, i loro cari sono stati involontarie pedine di trame che i servizi segreti italiani, sovietici, bulgari e tedesco orientali hanno tentato in ogni modo di non fare emergere e che prevedeva anche un altro omicidio, quello del leader sindacale polacco Lech Walesa in visita al Papa, non riuscito perché il leader di Solidarnosc evitò la trappola.

ESTERMANN ERA UNA SPIA DELLA STASI

«Ho ricostruito queste vicende dopo 17 anni di indagini, superando una barriera di omertà, di bugie, di depistaggi, di minacce. Per non dire del muro di gomma opposto dal Vaticano che su questi avvenimenti ha fatto calare l'oblio e non ha mai consentito l'accesso ai documenti custoditi nei suoi archivi», racconta l'ex magistrato. «Ho potuto invece consultare quanto è rimasto degli archivi della Stasi, il servizio segreto della DDR, e soprattutto, dopo la caduta del Muro di Berlino, ho incontrato Markus Wolf, mitico comandante di quel servizio e il suo braccio destro Gunter Bohnsack.
Sono stati loro a confermarmi che l'attentato al Papa era stato voluto dal Kgb e affidato ai servizi bulgari, che sul rapimento di Emanuela sono intervenuti per depistare le indagini della magistratura italiana quando aveva scoperto la pista bulgara, e che Alois Estermann, il comandante della Guardia Svizzera ucciso con la moglie nel maggio 1998, era un loro agente segreto, reclutato a soli 17 anni. A reclutarlo fu il generale della Stasi Ernest Janicher, un nome che compare nel Dossier Mitrokhin perché era riuscito a ingaggiare come spia anche un ambasciatore italiano a Mosca. Questo generale si è ucciso con un colpo di pistola un paio di anni fa. Estermann fu infiltrato in Vaticano e ha sempre passato notizie riservatissime sia ai tedeschi orientali che al Kgb».
Tra i personaggi di questa spy story c'è anche il monaco benedettino Eugen Brammertz, tedesco di Treviri, che girava per Roma con una Maserati biturbo color giallo oro e faceva il giornalista all'Osservatore Romano, ma in realtà era una spia che Markus Wolf aveva piazzato con la consueta abilità fra le Mura Leonine per controllare Alois Estermann, il comandante della Guardia Svizzera ucciso nel suo appartamento. Questi non era solo un agente segreto della divisione Hva al soldo della Stasi, nome in codice "Werder", ma avrebbe anche fatto il basista per la banda che ha rapito Emanuela Orlandi. «È stato assassinato perché depositario di molti terribili segreti con i quali era in grado di ricattare tanta gente», rivela a Oggi Imposimato.

Come è giunto a queste conclusioni?
«Perché Estermann, entrato in modo anomalo negli alabardieri della Guardia Svizzera grazie all'appoggio del potente cardinale Agostino Casaroli, fece una carriera folgorante. Un anno dopo l'arruolamento era già capitano di prima classe e al quarto posto nella gerarchia militare. Poi diventò comandante. Pochi mesi prima che fosse ucciso qualcuno penetrò nel suo appartamento, aprì la cassaforte e rubò plichi di documenti.
Estermann infatti aveva un debole per i dossier e non li distruggeva. A quel punto capì che era stato smascherato, che i suoi segreti erano a conoscenza anche di altre persone, che da ricattatore diventava ricattato.
Non si sentì più sicuro tanto che contattò Antonino Arconte, uomo della Gladio che aveva ottenuto asilo politico negli Stati Uniti perché conosceva e conosce la "verita" sull'omicidio Moro. I due si incontrarono a Civitavecchia alla fine di aprile del 1998, pochi giorni prima che Estermann fosse assassinato. E lui chiese aiuto ad Arconte dicendogli che voleva fuggire negli Stati Uniti perché temeva per la propria vita. Non fece in tempo. I sicari lo raggiunsero prima che potesse lasciare il Vaticano».

Ma perché Estermann è legato al rapimento della Orlandi?
«Il primo a sospettare che fra le Guardie Svizzere ci fosse una spia fu Ercole Orlandi, il papà di Emanuela. Mi parlò dei suoi sospetti perché, mi spiegò, solo uno di loro poteva conoscere in tempo reale gli sviluppi delle indagini sul rapimento della figlia. E mi fece notare che l'alloggio di Estermann era in una posizione strategica, alla sinistra dell'ingresso di Porta S.Anna, in via di Porta Angelica. Sul terrazzo dell'appartamento c'è un punto di osservazione formidabile: si vede sia via dei Pellegrini sia Porta S. Anna. E da questo varco passava tutti i giorni Emanuela. Quindi Estermann poteva vederla, annotarne orari, movimenti e abitudini. Per un esterno sarebbe stato impossibile.
Me lo rivelò Ercole Orlandi il 28 dicembre 1981: "Dalla terrazza degli Svizzeri, dietro quelle transenne di legno, si può vedere e controllare tutto il percorso compiuto da Emanuela senza essere visti". E questo mi aiutò a capire un episodio misterioso verificatosi una sera di luglio del 1983, un mese dopo il rapimento della ragazza. Sapendo che i rapitori chiamavano, per i contatti, la Segreteria di Stato, il pubblico ministero Domenico Sica che conduceva le indagini era andato da solo, con la sua auto e senza scorta in Vaticano. Attese per un'ora di essere ricevuto e poi se ne andò.
A mezzanotte puntuale arrivò la telefonata alla Segreteria di Stato: "È inutile che il Vaticano si metta in contatto con gli inquirenti italiani. Tanto noi sappiamo tutto", disse la voce anonima. Sica capì che qualcuno lo osservava, ne seguiva i movimenti. Nessuno sapeva che il Pm era entrato in Vaticano eccetto il comando della Guardia Svizzera di cui faceva parte Estermann. Quindi l'infiltrato non poteva che essere in quel comando».

UN'INCHIESTA CON TROPPE STRANEZZE

Le autorità vaticane sostengono che Estermann fu ucciso la sera del 4 maggio 1998 da Cédric Tornay in preda a un raptus. Qualcuno insinuò che fra i due ci fosse una relazione omosessuale o che Tornay si sia vendicato perché si aspettava da Estermann una promozione mai arrivata. Secondo lei, qual è la verità?«
Può apparire incredibile, ma 13 anni dopo quella strage il Vaticano non ha ancora reso noto il testo integrale del decreto di archiviazione. Gli errori e le anomalie dell'inchiesta si deducono dalla poche pagine del decreto di chiusura delle indagini stese dal magistrato vaticano, il giudice unico Gianluigi Marrone che era giunto sulla scena del crimine quando almeno una decina di persone l'avevano inquinata spostando i cadaveri, i bossoli e la pallottola che aveva ucciso Tornay al quale furono addirittura cambiati i vestiti. Quelli che indossava quando morì furono bruciati. Della strage non fu neppure informato l'ispettorato generale di Pubblica sicurezza presso il Vaticano, quindi la Questura di Roma e il ministero dell'Interno.
Il Sismi inviò sul posto tre agenti. Non li fecero entrare. Dovettero accontentarsi della relazione di un ex ufficiale della Guardia svizzera. I corpi furono rimossi senza precauzioni, l'autopsia fatta il giorno dopo con i cadaveri non conservati. Le autorità vaticane sostennero che Cédric Tornay era impazzito e che durante l'autopsia avevano scoperto una cisti grande come un uovo di piccione nel cervello. Poi però pressarono la madre di Cédric perché autorizzasse la cremazione della salma. La donna invece fece fare a Losanna una seconda autopsia e della cisti nel cervello non si trovò traccia».

LA VERITÀ DI IMPOSIMATO

«In realtà quella strage fu un'azione combinata. Tornay fu aggredito da più uomini, tramortito e trasportato, con le mani legate dietro la schiena, nello scantinato della palazzina dove abitava Estermann. La seconda parte dell'operazione vide i sicari entrare nell'alloggio di Estermann. Lo uccisero con due colpi di pistola, uno alla testa e uno al torace. Un solo colpo invece bastò per eliminare la moglie Gladys Meza Romero, testimone scomoda. 
A Tornay spararono un solo colpo mettendogli una pistola in bocca. Non è un caso che la seconda autopsia abbia scoperto che il poveretto aveva gli incisivi fratturati. Glieli hanno rotti infilandogli la pistola in bocca. Poi trasportarono il corpo accanto a quelli di Estermann e della moglie, gli misero una pistola in mano e fecero partire un quinto colpo a vuoto in modo che la mano di Cédric risultasse positiva al guanto di parafina. Secondo le autorità vaticane invece Cédric si sarebbe suicidato stando in ginocchio, impugnando l'arma al contrario e sparandosi in bocca con la testa appoggiata al petto. Molto strano. Il testimone fondamentale di questa strage è sparito.
Estermann infatti quando i sicari entrarono in casa era a telefono. Si sa che parlava con una persona di Orvieto mai identificata che disse di aver sentito prima un colpo e poi altri più lontani. Cadde la comunicazione. Il testimone riattaccò e andò a dormire. Le anomalie sono troppe. Ecco perché la madre di Cèdric da 13 anni chiede di conoscere la verità. E con lei la chiede il fratello di Emanuela, ricordando la promessa che Papa Wojtyla fece alla sua famiglia nel 1983: "Il rapimento di Emanuela è un caso di terrorismo internazionale. Faremo quanto è umanamente possibile perché torni a casa"».