«Non è stato facile riannodare il filo degli avvenimenti, ma dopo anni di lavoro investigativo i sospetti e gli indizi sono diventati prove. Il filo degli avvenimenti oggi ci dice che l'attentato a Papa Wojtyla, il rapimento di Emanuela Orlandi e la strage delle Guardie Svizzere del 1998 fra le sacre mura del Vaticano appartengono alla stessa trama, rientrano nello stesso complotto». Ferdinando Imposimato, l'ex magistrato che ha condotto tante inchieste fra le quali quella sul caso Moro e sull'attentato a Giovanni Paolo II, ormai non ha dubbi, ha solo certezze.
E le sue rivelazioni aprono uno
scenario da spy story con omicidi, sequestri, furti, ricatti, minacce, gettando
nuova luce sugli appelli lanciati da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, e
Muguette Baudat, la mamma del caporale della Guardia Svizzera Cédric Tornay che
secondo le autorità vaticane avrebbe assassinato il suo comandante e la moglie
prima di spararsi alla testa.
Il fratello di Emanuela e la
mamma di Cédric, nelle settimane scorse, a distanza di pochi giorni, si sono
rivolti direttamente a Papa Benedetto XVI, chiedendo di conoscere la verità sui
loro drammi pieni di buchi neri e di consultare i documenti sulle due inchieste.
E, secondo Imposimato, i loro cari sono stati involontarie pedine di trame che
i servizi segreti italiani, sovietici, bulgari e tedesco orientali hanno
tentato in ogni modo di non fare emergere e che prevedeva anche un altro
omicidio, quello del leader sindacale polacco Lech Walesa in visita al Papa,
non riuscito perché il leader di Solidarnosc evitò la trappola.
ESTERMANN ERA UNA SPIA DELLA STASI
«Ho ricostruito queste vicende
dopo 17 anni di indagini, superando una barriera di omertà, di bugie, di
depistaggi, di minacce. Per non dire del muro di gomma opposto dal Vaticano che
su questi avvenimenti ha fatto calare l'oblio e non ha mai consentito l'accesso
ai documenti custoditi nei suoi archivi», racconta l'ex magistrato. «Ho potuto
invece consultare quanto è rimasto degli archivi della Stasi, il servizio
segreto della DDR, e soprattutto, dopo la caduta del Muro di Berlino, ho
incontrato Markus Wolf, mitico comandante di quel servizio e il suo braccio
destro Gunter Bohnsack.
Sono stati loro a confermarmi che
l'attentato al Papa era stato voluto dal Kgb e affidato ai servizi bulgari, che
sul rapimento di Emanuela sono intervenuti per depistare le indagini della
magistratura italiana quando aveva scoperto la pista bulgara, e che Alois
Estermann, il comandante della Guardia Svizzera ucciso con la moglie nel maggio
1998, era un loro agente segreto, reclutato a soli 17 anni. A reclutarlo fu il
generale della Stasi Ernest Janicher, un nome che compare nel Dossier Mitrokhin
perché era riuscito a ingaggiare come spia anche un ambasciatore italiano a
Mosca. Questo generale si è ucciso con un colpo di pistola un paio di anni fa.
Estermann fu infiltrato in Vaticano e ha sempre passato notizie riservatissime
sia ai tedeschi orientali che al Kgb».
Tra i personaggi di questa spy
story c'è anche il monaco benedettino Eugen Brammertz, tedesco di Treviri, che
girava per Roma con una Maserati biturbo color giallo oro e faceva il
giornalista all'Osservatore Romano, ma in realtà era una spia che Markus Wolf
aveva piazzato con la consueta abilità fra le Mura Leonine per controllare
Alois Estermann, il comandante della Guardia Svizzera ucciso nel suo
appartamento. Questi non era solo un agente segreto della divisione Hva al
soldo della Stasi, nome in codice "Werder", ma avrebbe anche fatto il
basista per la banda che ha rapito Emanuela Orlandi. «È stato assassinato
perché depositario di molti terribili segreti con i quali era in grado di
ricattare tanta gente», rivela a Oggi Imposimato.
Come è giunto a queste
conclusioni?
«Perché Estermann, entrato in
modo anomalo negli alabardieri della Guardia Svizzera grazie all'appoggio del
potente cardinale Agostino Casaroli, fece una carriera folgorante. Un anno dopo
l'arruolamento era già capitano di prima classe e al quarto posto nella
gerarchia militare. Poi diventò comandante. Pochi mesi prima che fosse ucciso
qualcuno penetrò nel suo appartamento, aprì la cassaforte e rubò plichi di
documenti.
Estermann infatti aveva un debole
per i dossier e non li distruggeva. A quel punto capì che era stato
smascherato, che i suoi segreti erano a conoscenza anche di altre persone, che
da ricattatore diventava ricattato.
Non si sentì più sicuro tanto che
contattò Antonino Arconte, uomo della Gladio che aveva ottenuto asilo politico
negli Stati Uniti perché conosceva e conosce la "verita"
sull'omicidio Moro. I due si incontrarono a Civitavecchia alla fine di aprile
del 1998, pochi giorni prima che Estermann fosse assassinato. E lui chiese
aiuto ad Arconte dicendogli che voleva fuggire negli Stati Uniti perché temeva
per la propria vita. Non fece in tempo. I sicari lo raggiunsero prima che
potesse lasciare il Vaticano».
Ma perché Estermann è legato al
rapimento della Orlandi?
«Il primo a sospettare che fra le
Guardie Svizzere ci fosse una spia fu Ercole Orlandi, il papà di Emanuela. Mi
parlò dei suoi sospetti perché, mi spiegò, solo uno di loro poteva conoscere in
tempo reale gli sviluppi delle indagini sul rapimento della figlia. E mi fece
notare che l'alloggio di Estermann era in una posizione strategica, alla
sinistra dell'ingresso di Porta S.Anna, in via di Porta Angelica. Sul terrazzo
dell'appartamento c'è un punto di osservazione formidabile: si vede sia via dei
Pellegrini sia Porta S. Anna. E da questo varco passava tutti i giorni
Emanuela. Quindi Estermann poteva vederla, annotarne orari, movimenti e
abitudini. Per un esterno sarebbe stato impossibile.
Me lo rivelò Ercole Orlandi il 28
dicembre 1981: "Dalla terrazza degli Svizzeri, dietro quelle transenne di
legno, si può vedere e controllare tutto il percorso compiuto da Emanuela senza
essere visti". E questo mi aiutò a capire un episodio misterioso
verificatosi una sera di luglio del 1983, un mese dopo il rapimento della
ragazza. Sapendo che i rapitori chiamavano, per i contatti, la Segreteria di
Stato, il pubblico ministero Domenico Sica che conduceva le indagini era andato
da solo, con la sua auto e senza scorta in Vaticano. Attese per un'ora di
essere ricevuto e poi se ne andò.
A mezzanotte puntuale arrivò la
telefonata alla Segreteria di Stato: "È inutile che il Vaticano si metta
in contatto con gli inquirenti italiani. Tanto noi sappiamo tutto", disse
la voce anonima. Sica capì che qualcuno lo osservava, ne seguiva i movimenti.
Nessuno sapeva che il Pm era entrato in Vaticano eccetto il comando della
Guardia Svizzera di cui faceva parte Estermann. Quindi l'infiltrato non poteva
che essere in quel comando».
UN'INCHIESTA CON TROPPE STRANEZZE
Le autorità vaticane sostengono
che Estermann fu ucciso la sera del 4 maggio 1998 da Cédric Tornay in preda a
un raptus. Qualcuno insinuò che fra i due ci fosse una relazione omosessuale o
che Tornay si sia vendicato perché si aspettava da Estermann una promozione mai
arrivata. Secondo lei, qual è la verità?«
Può apparire incredibile, ma 13
anni dopo quella strage il Vaticano non ha ancora reso noto il testo integrale
del decreto di archiviazione. Gli errori e le anomalie dell'inchiesta si
deducono dalla poche pagine del decreto di chiusura delle indagini stese dal
magistrato vaticano, il giudice unico Gianluigi Marrone che era giunto sulla
scena del crimine quando almeno una decina di persone l'avevano inquinata
spostando i cadaveri, i bossoli e la pallottola che aveva ucciso Tornay al
quale furono addirittura cambiati i vestiti. Quelli che indossava quando morì
furono bruciati. Della strage non fu neppure informato l'ispettorato generale
di Pubblica sicurezza presso il Vaticano, quindi la Questura di Roma e il
ministero dell'Interno.
Il Sismi inviò sul posto tre
agenti. Non li fecero entrare. Dovettero accontentarsi della relazione di un ex
ufficiale della Guardia svizzera. I corpi furono rimossi senza precauzioni,
l'autopsia fatta il giorno dopo con i cadaveri non conservati. Le autorità
vaticane sostennero che Cédric Tornay era impazzito e che durante l'autopsia
avevano scoperto una cisti grande come un uovo di piccione nel cervello. Poi
però pressarono la madre di Cédric perché autorizzasse la cremazione della
salma. La donna invece fece fare a Losanna una seconda autopsia e della cisti
nel cervello non si trovò traccia».
LA VERITÀ DI IMPOSIMATO
«In realtà quella strage fu
un'azione combinata. Tornay fu aggredito da più uomini, tramortito e
trasportato, con le mani legate dietro la schiena, nello scantinato della
palazzina dove abitava Estermann. La seconda parte dell'operazione vide i
sicari entrare nell'alloggio di Estermann. Lo uccisero con due colpi di
pistola, uno alla testa e uno al torace. Un solo colpo invece bastò per
eliminare la moglie Gladys Meza Romero, testimone scomoda.
A Tornay spararono un solo colpo
mettendogli una pistola in bocca. Non è un caso che la seconda autopsia abbia
scoperto che il poveretto aveva gli incisivi fratturati. Glieli hanno rotti
infilandogli la pistola in bocca. Poi trasportarono il corpo accanto a quelli
di Estermann e della moglie, gli misero una pistola in mano e fecero partire un
quinto colpo a vuoto in modo che la mano di Cédric risultasse positiva al
guanto di parafina. Secondo le autorità vaticane invece Cédric si sarebbe
suicidato stando in ginocchio, impugnando l'arma al contrario e sparandosi in
bocca con la testa appoggiata al petto. Molto strano. Il testimone fondamentale
di questa strage è sparito.
Estermann infatti quando i sicari
entrarono in casa era a telefono. Si sa che parlava con una persona di Orvieto
mai identificata che disse di aver sentito prima un colpo e poi altri più
lontani. Cadde la comunicazione. Il testimone riattaccò e andò a dormire. Le
anomalie sono troppe. Ecco perché la madre di Cèdric da 13 anni chiede di
conoscere la verità. E con lei la chiede il fratello di Emanuela, ricordando la
promessa che Papa Wojtyla fece alla sua famiglia nel 1983: "Il rapimento
di Emanuela è un caso di terrorismo internazionale. Faremo quanto è umanamente
possibile perché torni a casa"».