Aveva due conti presso lo Ior e uno in una
											normalissima banca italiana. Però monsignor Nunzio Scarano, arrestato nei
											giorni scorsi assieme a un agente dei servizi segreti e a un faccendiere
											italo-svizzero per una scivolosa storia di milioni di euro che dovevano
											rientrare clandestinamente in Italia, quando c'erano da fare operazioni
											spregiudicate utilizzava immancabilmente il conto dello Ior. Perché?
											«Effettivamente allo Ior sarebbe stato più facile».
Più facile. Sì, perché le procedure opache dello
											Ior, che non chiede e non dà spiegazioni, che emette bonifici senza indicare i
											mittenti né la causale, violando così ogni normativa antiriciclaggio, sono
											miele per i faccendieri.
Al tribunale del Riesame, ieri, si discuteva
											della detenzione di monsignor Scarano. È stato analizzato il suo interrogatorio
											davanti al gip Barbara Callari. Gli chiedono conto di quell'operazione anomala
											per cui esce dallo Ior con 560 mila euro in contanti in una valigia.
«Non credo - lo incalza il gip - che una banca
											italiana le avrebbe mai dato... ». È per questo motivo che monsignor Scarano
											faceva confluire sul suo conto Ior le «offerte» degli armatori D'Amico e di
											tanti altri ricchi benefattori? I D'Amico gli davano migliaia di euro al mese.
											Secondo i conteggi della procura, il tesoretto di monsignor Scarano si aggira
											attorno al mezzo milione di euro. E ancora non si parla della grande operazione
											di rientro dei capitali - che forse sono 20 milioni di euro, forse sono 40,
											finiti alla fine in Libano attraverso l'agente segreto Giovanni Zito,
											operazione per cui il monsignore chiedeva una «commissione» di 2,5 milioni di
											euro.
In un modo o nell'altro, sono le procedure dello
											Ior che finiscono al centro dell'indagine. Il religioso nel corso
											dell'interrogatorio conferma che le offerte arrivavano sul suo conto presso lo
											Ior. «Io ho dato disposizione alla banca - afferma Scarano - che nel caso c'era
											bisogno di chiedere ulteriori informazioni, erano tutti bonifici con la causale
											per opere di carità».
Lo stesso monsignore, però, racconta di quando
											l'armatore Cesare D'Amico si recò agitatissimo presso la sua abitazione. «Era
											molto preoccupato. Io gli dissi di non mandare più bonifici, di togliere di
											mezzo ogni cosa anche perché tutta questa situazione è diventata incandescente
											e poco piacevole. Lui mi assicurò che io ne sarei uscito senza alcun problema».
E comunque monsignor Scarano ha chiaro il quadro
											di sostanziali illegalità e l'ha denunciato ai pm nel suo ultimo
											interrogatorio: non soltanto lo Ior si muove come una banca che non rispetta le
											norme antiriciclaggio, ma così farebbe anche l'Apsa (Amministrazione del
											Patrimonio della Sede Apostolica), dove lui ha lavorato fino a tre mesi fa, e
											dove c'è un direttore, Paolo Mennini, che odia di tutto cuore. L'ultimo
											interrogatorio di monsignor Scarano è tutto qui: non solo lo Ior, ma anche
											l'Apsa, che opera estero su estero, e non passa mai per l'Italia, schermerebbe
											i capitali alla stessa maniera.