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2015 09 02 * Il Tempo * Denaro «sporco» nella Banca Vaticana * Ivan Cimmarusti

Spunta il reato di riciclaggio nella seconda inchiesta sullo Ior, la Banca Vaticana travolta dagli accertamenti investigativi della Procura della Repubblica di Roma. Ancora una volta nel registro degli indagati risultano Paolo Cipriani e Massimo Tulli, gli ex direttore e vice direttore dell’Istituto opere religiose, già iscritti per abusivismo bancario e finanziario. Tuttavia, nuovi riscontri hanno indotto i pubblici ministeri a ipotizzare che entrambi gli ex funzionari abbiano avuto un presunto ruolo in un «sistema di lavaggio» di denaro di provenienza illecita.
L’inchiesta è ormai alle battute finali. Nel mese di settembre, infatti, i sostituti procuratori Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci potrebbero tirare le somme dell’indagine e procedere contro Cipriani e Tulli, già sotto processo al Tribunale di Roma per sospetti illeciti compiuti durante la loro gestione allo Ior. Un primo capitolo d’indagine - quello a giudizio - che ha dato lo sprint ai successivi approfondimenti investigativi coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi, che hanno consentito di scoperchiare un supposto «meccanismo illecito» di gestione dei conti correnti della Banca Vaticana, di cui si sarebbero serviti anche laici.

IL RICICLAGGIO
L’ipotesi del riciclaggio, imputata direttamente a Tulli e Cipriani, sarebbe supportata da una serie di riscontri investigativi. Tuttavia i magistrati stanno analizzando l’incartamento e solo dopo una riunione con i vertici del pool reati finanziari decideranno come procedere. Sta di fatto che sugli ex direttore e vice direttore dell’Ior presto potrebbe cadere una nuova tegola. Perché entrambi sono già a processo con l’accusa di violazione della normativa sull’antiriciclaggio. In particolare - è l’ipotesi della Procura della Repubblica di Roma - Tulli e Cipriani avrebbero compiuto presunte omissioni in merito al trasferimento di 23 milioni di euro da una filiale del Credito Artigiano agli istituti Banca del Fucino (3 milioni) e Jp Morgan (20 milioni). Stando ai magistrati, la dirigenza dello Ior «omise di indicare, benché richiesti dal Credito Artigiano, le generalità dei soggetti per conto dei quali si dava esecuzione alle operazioni e omise di fornire, allo stesso istituto, informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto continuativo». 

DIRETTORE GENERALE
Secondo il giudice per le indagini preliminari, «è emerso che la persona che concretamente aveva operato per conto dello Ior era stato Paolo Cipriani, ex direttore generale dell’Istituto». Questa circostanza, poi, è «stata confermata dallo stesso Cipriani che, nel corso dell’interrogatorio del 30 settembre 2010, ha ammesso di aver firmato il trasferimento dei fondi unitamente all’ex vicedirettore generale Massimo Tulli». Presunte responsabilità erano state individuate anche nei confronti di Gotti Tedeschi, allora presidente del consiglio di sorveglianza dello Ior. Tuttavia successive indagini hanno potuto constatare che, nei fatti, Gotti Tedeschi non aveva avuto alcun ruolo in quella operazione e, quindi, la sua posizione è stata archiviata. Resta, dunque, il secondo fascicolo d’indagine, che va oltre le omissioni e le violazioni della normativa sull’antiriciclaggio. I pubblici ministeri, infatti, hanno riscontrato vere e proprie operazioni di riciclaggio imputabili ai due ex funzionari, che avrebbero utilizzato «il sistema dei conti Ior» per sospette operazioni illecite.
  

CONTI DI CORRISPONDENZA
Al di là delle accuse specifiche mosse a Tulli e Cipriani, i magistrati hanno scoperto quello che era il «sistema» per agevolare le presunte operazioni di riciclaggio. In particolare, si tratta dei cosiddetti conti correnti di «corrispondenza». Ma andiamo per gradi. Lo Ior è destinato a "servire" solo clienti ecclesiasti e non laici. Tuttavia, le indagini avrebbero consentito di scoprire come, nei fatti, anche laici si servivano della Banca Vaticana. Il «sistema» Ior, infatti, può essere così riassunto: una grande cassaforte in cui confluiscono e si mischiano soldi di soggetti laici e del Vaticano. Questo sarebbe stato l’istituto, che così avrebbe consentito ai reali titolari di conti correnti di prelevare denaro da una qualsiasi altra banca in cui l’istituto ecclesiastico, a sua volta, avesse avuto un altro conto corrente. Negli atti si legge che «dagli accertamenti svolti (...) si è visto come lo Ior si avvale di istituti di credito presso i quali intrattiene numerosi rapporti di conto corrente che vengono utilizzati» per varie operazioni finanziarie. Si tratta di manovre che «sono fatte dallo Ior anche per conto della sua clientela». Secondo i riscontri, questi conti intrattenuti dall’istituto del Vaticano con le altre banche sono «considerati tutti di "corrispondenza"».
 

«CONFUSIONE GLOBALE»
Si tratta di conti che tradizionalmente regolano rapporti tra le banche, per cui dovrebbero essere utilizzati, esclusivamente, per il transito di denaro da un istituto all’altro, per poi essere svuotati a operazione conclusa. «La tipologia dei conti Ior - scrive la Procura - pur se qualificata come di "corrispondenza", è tuttavia di forma ibrida, perché coniuga contemporaneamente operatività tipiche dei conti ordinari e dei conti di corrispondenza». In particolare, "le atipicità" sono due, e riguardano: operazioni «riconducibili esclusivamente ai clienti Ior» e soldi trasferiti attraverso i conti di corrispondenza in una seconda banca, in cui vi restano «a tempo indeterminato, a discapito di quella transitorietà che dovrebbe caratterizzare i conti di corrispondenza». Per la Procura, si tratta di una «confusione globale» delle disponibilità economiche «di diversa provenienza e natura che caratterizza i conti Ior». Infatti, continua, «nel momento in cui determinate somme vengono messe a disposizione dell’istituto da terzi (quindi laici, ndr ) o dalla propria clientela istituzionale esse si confondono con l’insieme delle disponibilità dello Ior, con la conseguenza che un’ipotetica origine delle somme si svincola completamente dalla sua destinazione». Dunque, «emerge non solo un’incertezza sulla destinazione delle somme», ma anche «l’esistenza di un meccanismo tale per cui anche i passaggi intermedi tra l’origine della provvista e la sua fuoriuscita dai conti Ior non possano essere monitorati dall’Autorità di vigilanza».