Spunta il reato di riciclaggio nella
seconda inchiesta sullo Ior, la Banca Vaticana travolta dagli accertamenti
investigativi della Procura della Repubblica di Roma. Ancora una volta nel
registro degli indagati risultano Paolo Cipriani e Massimo Tulli, gli ex
direttore e vice direttore dell’Istituto opere religiose, già iscritti per
abusivismo bancario e finanziario. Tuttavia, nuovi riscontri hanno indotto i
pubblici ministeri a ipotizzare che entrambi gli ex funzionari abbiano avuto un
presunto ruolo in un «sistema di lavaggio» di denaro di provenienza illecita.
L’inchiesta è ormai alle battute
finali. Nel mese di settembre, infatti, i sostituti procuratori Stefano Rocco
Fava e Stefano Pesci potrebbero tirare le somme dell’indagine e procedere
contro Cipriani e Tulli, già sotto processo al Tribunale di Roma per sospetti
illeciti compiuti durante la loro gestione allo Ior. Un primo capitolo d’indagine
- quello a giudizio - che ha dato lo sprint ai successivi approfondimenti
investigativi coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi, che hanno
consentito di scoperchiare un supposto «meccanismo illecito» di gestione dei
conti correnti della Banca Vaticana, di cui si sarebbero serviti anche laici.
IL RICICLAGGIO
L’ipotesi del riciclaggio, imputata
direttamente a Tulli e Cipriani, sarebbe supportata da una serie di riscontri
investigativi. Tuttavia i magistrati stanno analizzando l’incartamento e solo
dopo una riunione con i vertici del pool reati finanziari decideranno come
procedere. Sta di fatto che sugli ex direttore e vice direttore dell’Ior presto
potrebbe cadere una nuova tegola. Perché entrambi sono già a processo con l’accusa
di violazione della normativa sull’antiriciclaggio. In particolare - è l’ipotesi
della Procura della Repubblica di Roma - Tulli e Cipriani avrebbero compiuto
presunte omissioni in merito al trasferimento di 23 milioni di euro da una
filiale del Credito Artigiano agli istituti Banca del Fucino (3 milioni) e Jp
Morgan (20 milioni). Stando ai magistrati, la dirigenza dello Ior «omise di
indicare, benché richiesti dal Credito Artigiano, le generalità dei soggetti
per conto dei quali si dava esecuzione alle operazioni e omise di fornire, allo
stesso istituto, informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto
continuativo».
DIRETTORE GENERALE
Secondo il giudice per le indagini
preliminari, «è emerso che la persona che concretamente aveva operato per conto
dello Ior era stato Paolo Cipriani, ex direttore generale dell’Istituto». Questa
circostanza, poi, è «stata confermata dallo stesso Cipriani che, nel corso dell’interrogatorio
del 30 settembre 2010, ha ammesso di aver firmato il trasferimento dei fondi
unitamente all’ex vicedirettore generale Massimo Tulli». Presunte responsabilità
erano state individuate anche nei confronti di Gotti Tedeschi, allora
presidente del consiglio di sorveglianza dello Ior. Tuttavia successive
indagini hanno potuto constatare che, nei fatti, Gotti Tedeschi non aveva avuto
alcun ruolo in quella operazione e, quindi, la sua posizione è stata
archiviata. Resta, dunque, il secondo fascicolo d’indagine, che va oltre le
omissioni e le violazioni della normativa sull’antiriciclaggio. I pubblici
ministeri, infatti, hanno riscontrato vere e proprie operazioni di riciclaggio
imputabili ai due ex funzionari, che avrebbero utilizzato «il sistema dei conti
Ior» per sospette operazioni illecite.
CONTI DI
CORRISPONDENZA
Al di là delle accuse specifiche
mosse a Tulli e Cipriani, i magistrati hanno scoperto quello che era il «sistema»
per agevolare le presunte operazioni di riciclaggio. In particolare, si tratta
dei cosiddetti conti correnti di «corrispondenza». Ma andiamo per gradi. Lo Ior
è destinato a "servire" solo clienti ecclesiasti e non laici.
Tuttavia, le indagini avrebbero consentito di scoprire come, nei fatti, anche
laici si servivano della Banca Vaticana. Il «sistema» Ior, infatti, può essere
così riassunto: una grande cassaforte in cui confluiscono e si mischiano soldi
di soggetti laici e del Vaticano. Questo sarebbe stato l’istituto, che così
avrebbe consentito ai reali titolari di conti correnti di prelevare denaro da
una qualsiasi altra banca in cui l’istituto ecclesiastico, a sua volta, avesse
avuto un altro conto corrente. Negli atti si legge che «dagli accertamenti
svolti (...) si è visto come lo Ior si avvale di istituti di credito presso i
quali intrattiene numerosi rapporti di conto corrente che vengono utilizzati»
per varie operazioni finanziarie. Si tratta di manovre che «sono fatte dallo
Ior anche per conto della sua clientela». Secondo i riscontri, questi conti
intrattenuti dall’istituto del Vaticano con le altre banche sono «considerati
tutti di "corrispondenza"».
«CONFUSIONE GLOBALE»
Si tratta di conti
che tradizionalmente regolano rapporti tra le banche, per cui dovrebbero essere
utilizzati, esclusivamente, per il transito di denaro da un istituto all’altro,
per poi essere svuotati a operazione conclusa. «La tipologia dei conti Ior -
scrive la Procura - pur se qualificata come di "corrispondenza", è
tuttavia di forma ibrida, perché coniuga contemporaneamente operatività tipiche
dei conti ordinari e dei conti di corrispondenza». In particolare, "le
atipicità" sono due, e riguardano: operazioni «riconducibili
esclusivamente ai clienti Ior» e soldi trasferiti attraverso i conti di
corrispondenza in una seconda banca, in cui vi restano «a tempo indeterminato,
a discapito di quella transitorietà che dovrebbe caratterizzare i conti di
corrispondenza». Per la Procura, si tratta di una «confusione globale» delle
disponibilità economiche «di diversa provenienza e natura che caratterizza i
conti Ior». Infatti, continua, «nel momento in cui determinate somme vengono
messe a disposizione dell’istituto da terzi (quindi laici, ndr ) o dalla
propria clientela istituzionale esse si confondono con l’insieme delle
disponibilità dello Ior, con la conseguenza che un’ipotetica origine delle
somme si svincola completamente dalla sua destinazione». Dunque, «emerge non
solo un’incertezza sulla destinazione delle somme», ma anche «l’esistenza di un
meccanismo tale per cui anche i passaggi intermedi tra l’origine della
provvista e la sua fuoriuscita dai conti Ior non possano essere monitorati dall’Autorità
di vigilanza».