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2003.02.14 * ideazione.com * La macchina del 41bis: libro-inchiesta sul carcere duro * Barbara Mennitti

http://www.ideazione.com/settimanale/1.politica/81_14-02-2003/81bamennitti.htm

di Barbara Mennitti

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Così recita un passaggio dell’art. 27 della Costituzione, secondo gli autori di “Tortura democratica” in stridente contrasto con la lettera dell’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, quello del cosiddetto “carcere duro”, che dà al ministro della Giustizia la “facoltà di sospendere in tutto o in parte l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge”. E proprio la presunta incostituzionalità del regime del 41 bis è la tesi centrale di questo libro-documento redatto da Maurizio Turco, presidente del gruppo degli europarlamentari radicali, e Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino. In perfetto stile radicale, questo libro nasce da un anno di giri “cella a cella” nelle carceri della penisola, da Cuneo a Secondigliano, da Udine a Terni e da lunghi colloqui con i detenuti, ascoltando le loro storie, le loro testimonianze e le loro rimostranze.

Nato all’indomani delle stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio (dove morirono i due magistrati di prima linea Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), il regime del 41 bis doveva impedire che i capimafia detenuti continuassero ad impartire ordini dall’interno delle carceri, limitando loro in sostanza ogni contatto con l’esterno (anche con i congiunti più stretti) e con gli altri carcerati, allontanandoli dalla zona di loro influenza e sottoponendoli a condizioni e restrizioni che hanno fatto intervenire più d’una volta la corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Costituzionale. A questo regime non sono sottoposti solo i detenuti condannati; un terzo dei circa 700 carcerati oggi in 41 bis sono in attesa di giudizio, indagati e imputati: secondo gli autori un vero e proprio ribaltamento della presunzione di innocenza. La detenzione in regime di 41 bis viene decisa dal ministro sulla base di “note informative” predisposte da procuratori e poliziotti che non vengono in alcun modo verificate o messe a confronto con la difesa nelle sedi giurisdizionali previste dalla legge.

I magistrati del Tribunale di sorveglianza, scrivono gli autori, “recepiscono le note informative come fatti accertati”, adeguandosi automaticamente alle richieste del PM ed è di fatto molto remota la possibilità di ricorso in Cassazione (per una questione di tempi). Per evitare che possano approfittare della traduzione in tribunale, i detenuti in 41 bis vengono processati in videoconferenza, cioè senza una reale possibilità di consultarsi con il proprio avvocato, di proporre domande da fare ai testimoni, con continue interruzioni del collegamento. Senza poter usufruire, insomma, dei più elementari diritti di un imputato. Una “gabbia burocratica”, dalla quale, nelle parole di Turco e D’Elia, si esce solo in due modi: “con i piedi davanti” o pentendosi. E questo è il pericolo più grande che si annida dietro il 41 bis: che diventi una macchina sforna-pentiti al servizio delle tesi delle Procure.