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2001 08 05 * «Calunniate pure ma la droga sparirà» - Intervista di Famiglia Cristiana ad Arlacchi.

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Famiglia Cristiana n.31 del 5-8-2001

http://www.sanpaolo.org/fc/0131fc/0131fc42.htm

 

 

 

INTERVISTA - Pino Arlacchi racconta: la campagna per cacciarlo, le ispezioni dell'Onu, i successi in Afghanistan

«Calunniate pure ma la droga sparirà»

di FULVIO SCAGLIONE

 

 «Preparatevi», dice lo zar anti-droga, «all'inizio del 2002 in Europa mancherà l'eroina». Risponde così alle accuse alla sua gestione del Programma: «Il mio posto fa gola a molti». E rilancia: «Ho chiesto a Berlusconi di lanciare un piano italiano contro le droghe».

«Sono un bersaglio facile: ho l'immunità diplomatica e non posso querelare senza autorizzazione dell'Onu, che non la concede mai. Ho pestato molti piedi, una certa quota di reazioni, anche di basso livello, è da mettere in conto». È tranquillo Pino Arlacchi, vice segretario generale dell'Onu e direttore del Programma delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine. Tranquillo anche dopo l'ennesimo attacco. Secondo il Financial Times, quotidiano economico inglese ripreso dai giornali italiani, Kofi Annan non vorrebbe rinnovargli l'incarico, in scadenza a febbraio 2002, anche a causa di dubbi, di carattere finanziario, sulla gestione dell'Ufficio. E poi le critiche degli Usa, la freddezza degli altri Paesi... Insomma, un calderone che ribolle da mesi. Perché, professore?

«È una campagna di stampa cominciata otto mesi fa, che prosegue nonostante il segretario generale Kofi Annan e io stesso abbiamo duramente smentito ed è fatta di dossier anonimi, notizie false, calunnie. Sull'origine posso fare solo ipotesi: per esempio, il rancore di un paio di ex funzionari del Programma, cui non ho rinnovato l'incarico per motivi molto seri. L'obiettivo invece è chiaro: grazie ai risultati della mia gestione, il posto che occupo è diventato di serie A ed è molto appetito. Dagli individui e dai Paesi».

E per quanto riguarda le inchieste sul suo operato? 
«Visto che la campagna di discredito continuava, ho chiesto io al segretariato di svolgere un'indagine ufficiale. Ne sono state fatte due. La prima di ispettori esterni, scelti come sempre a rotazione tra gli Stati membri. Questa volta erano inglesi e si sono concentrati sulle accuse più gravi, relative a sprechi, malversazioni, favoritismi. Il loro lavoro è finito in maggio e ha completamente scagionato me e altri funzionari del Programma investiti dalle stesse accuse. Poi c'è stata una seconda indagine, del servizio ispettivo interno dell'Onu, che si è invece concentrata sul mio stile di gestione del Programma. Anche in questo caso sono stati dissipati tutti i dubbi sulla mia integrità, ma mi è stata rivolta una critica: di gestire il Programma con un metodo da task force, senza troppo rispetto per le procedure e le gerarchie. In conclusione, ho ricevuto 14 raccomandazioni. In parte le ho già realizzate, e questo è tutto».

È vero che gli Usa le sono contro, che molti Paesi ritirano i finanziamenti al Programma anti-droga? 
«È falso. Il budget della mia organizzazione è stabile, anzi gli Usa mi hanno dato 5,5 milioni di dollari in più. Nessun Paese ha ritirato nulla e alcuni hanno addirittura aumentato i contributi. C'è solo il caso dell'Olanda, che ha congelato fino a fine anno la sua quota in attesa che io realizzi le famose 14 raccomandazioni. Ma tutto ciò è normale: ottenere risultati è una cosa che pochi riescono a perdonare».

C'è chi contesta anche i risultati... 
«Purtroppo sono incontestabili. Quest'anno non c'è papavero in Afghanistan, il Paese che produceva, su 80-90 mila ettari, il 75 per cento dell'oppio di tutto il mondo. Con i talebani abbiamo dovuto usare la carota, facendo leva sulla motivazione religiosa (il Corano vieta l'uso degli intossicanti, dagli alcolici alle droghe), e soprattutto il bastone, con due tornate di sanzioni. Abbiamo usato tutte le risorse dell'Onu, abbiamo mobilitato il Consiglio di sicurezza (nel marzo del 2000 fui convocato dal Consiglio, un fatto storico in un organismo che si occupa solo di questioni politico-militari) ma alla fine la proibizione di coltivare papavero nel 90 per cento dell'Afghanistan da loro controllato è stata rispettata».

È naturale chiederle: come fate a fidarvi? 
«Sappiamo che è così. Prima abbiamo effettuato un controllo sul terreno con i nostri esperti. Poi gli americani hanno ripetuto il controllo con i satelliti. Infine abbiamo inviato una rappresentanza dei Paesi donatori, per verificare la situazione e preparare un intervento umanitario. Entro settembre dobbiamo perfezionare un pacchetto di aiuti per 500 mila contadini che, senza il papavero, non sanno più di che vivere. Settembre è la stagione della semina, devono essere in grado di seminare qualcos'altro».

E se ci riuscite? 
«L'Afghanistan produce quasi tutta l'eroina che viene consumata in Europa. Per un anno, un anno e mezzo i trafficanti possono supplire con le riserve accumulate lungo la frontiera con il Tagikistan in depositi da circa 100 tonnellate di eroina l'anno, quando la domanda europea è di 50 tonnellate. Ma se a settembre non sarà seminato il papavero, e avremo due anni consecutivi senza produzione...».

Che cosa succederà? 
«Tra la fine di quest'anno e i primi mesi del 2002 l'eroina disponibile in Europa sarà sempre più scarsa, la purezza della droga crollerà, i prezzi andranno alle stelle. Questo sta già succedendo: un chilo di oppio oggi costa tra i 300 e i 600 dollari, contro i 30 dell'anno scorso. È possibile, allora, che i trafficanti cerchino di spostare le coltivazioni in altri Paesi: in Birmania, in Pakistan e, cosa più probabile, nell'Asia centrale ex sovietica, in Tagikistan e soprattutto in Kirgizistan. Questo è il Paese più a rischio, perché all'inizio degli anni Novanta aveva una produzione di oppio per uso farmaceutico. La produzione è stata fermata ma le competenze sono rimaste».

Farete interventi anche lì? 
«Una certa capacità d'azione l'abbiamo già costruita. In Tagikistan, con una spesa di soli 10 miliardi di lire abbiamo costituito un'agenzia anti-droga che nei primi sei mesi di quest'anno ha sequestrato 1.200 chili di eroina, quando in Italia se ne sequestrano 600-700 l'anno. Pensi che la Dea americana costa 1.200 miliardi l'anno e ottiene risultati quantitativamente simili... Il problema però è intervenire subito: sradicare le piantagioni appena scoperti i primi 50-100 ettari. Altrimenti, quando migliaia di contadini già vivono sulle coltivazioni, bisogna varare programmi alternativi e investire anni di lavoro».

Sembra tutto fatto. Possibile che non ci siano più problemi? 
«Certo che ci sono. E quello fondamentale nei prossimi anni sarà ridurre la domanda di droga. Su questo fronte nei Paesi sviluppati non si fanno progressi da anni. Anche per questo ho scritto a Berlusconi».

Cioè? 
«Ho proposto al nuovo Governo dell'Italia, un Paese che ha sempre manifestato un grande impegno in questo campo, di varare un piano nazionale contro le droghe che deve avere almeno queste caratteristiche: un responsabile politico e tecnico, chiamato a rispondere al Parlamento, al Governo e all'opinione pubblica ma anche dotato dei poteri per applicare la strategia. Pensi che in Italia le competenze sulla droga sono divise tra sei ministeri... Poi occorrono investimenti adeguati e obiettivi precisi: in termini sia di tempo (5-10 anni) sia di riduzione della domanda. Gli Usa hanno fatto così: si sono proposti di ridurre la domanda di droga del 50 per cento in 10 anni, e hanno ottenuto buoni risultati. In Europa, con le stesse tecniche, stanno facendo molto bene Spagna (ha ridotto del 30 per cento il consumo di eroina ed ecstasy e ha stabilizzato quello di cocaina) e Svezia».

Ha già avuto risposta? 
«Ho scritto a Berlusconi subito prima del G8 di Genova, devo dargli un po' di tempo, sono temi delicati».

Secondo lei bisognerebbe anche cambiare le leggi? 
«No. Però sarebbe un passo avanti la fine del dibattito, inutile e fatto solo di slogan, tra proibizionisti e antiproibizionisti. Se proibizionista vuol dire essere contro le droghe, allora lo sono io e, credo, lo siamo tutti. Se invece vuol dire mandare in galera i tossicodipendenti, mi ribello a un'idea contraria a ciò che penso e pratico da vent'anni. Adesso si parla tanto di "drastica decriminalizzazione", ma che vuol dire? Il consumo di droga non è reato, il possesso di modica quantità non è perseguito. E se si parla dei reati collegati alla droga, il discorso è molto serio: si vogliono forse creare categorie diverse di soggetti del diritto penale, per cui chi ruba va in galera e chi ruba per comprare droga gode di privilegi?».