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2010 09 03 * Partito Radicale * Relazione al Consiglio Generale, Barcellona * Maurizio Turco

Maurizio Turco, deputato, rappresentante legale e Vicepresidente vicario del Senato del Partito radicale

Questa riunione del Consiglio generale è l’ultima prima del Congresso: appuntamento che avevamo previsto ed organizzato sin dal novembre dello scorso anno e approfondito nella riunione del maggio scorso.
In questi tre giorni dovremmo quindi procedere ad organizzare il Congresso che avevamo previsto di tenere tendenzialmente nella prima settimana di novembre.
Già a partire da questo primo aspetto è necessaria una approfondita riflessione che va estesa ad una serie di aspetti apparentemente organizzativi ma sostanzialmente politici: in particolare dove tenere il congresso cioè decidere quale è il continente e quindi il paese e la città in cui riunirci, cioè un luogo che abbia anche un aspetto politico interessante per le nostre lotte e però che sia compatibile con le nostre risorse finanze. La questione delle risorse economiche, o meglio della mancanza di risorse economiche, impone che questo consiglio faccia delle scelte, si ponga degli obiettivi concreti con i quali ciascuno di noi debba e possa misurarsi.
Come ho detto nel Consiglio di maggio con l’attuale autofinanziamento non siamo assolutamente in grado di organizzare un Congresso.
In quella sede avevo già quantificato in non meno di 650mila euro il costo di un Congresso come quello di Tirana, alle condizioni di Tirana di otto anni fa. A conti fatti, cioè alle condizioni di oggi e dovendo necessariamente mettere in conto il costo delle attività preparatorie, a cominciare dalla stessa convocazione, e il conseguente follow up, la tenuta di un Congresso, direi di un Congresso degno di questo nome cioè che non sia l’equivalente di una riunione allargata di questo Consiglio, deve prevedere una spesa nell’ordine di un milione di euro.
Il reperimento dei fondi necessari a finanziare le lotte radicali così come lo abbiamo sinora voluto e siamo riusciti a farlo e come vogliamo continuare e riusciamo a fare, cioè in modo pubblico e trasparente, non può che essere frutto di un’iniziativa politica di cui parlare innanzitutto in questa sede. Il primo, evidente obiettivo è quello delle iscrizioni. Questo Consiglio deve porsi un obiettivo concreto ed un obiettivo concreto nelle condizioni attuali è necessariamente ambizioso. Obiettivo ambizioso per una semplice evidenza: a fronte dell’attuale autofinanziamento che per il 2010 ammonta a 530mila euro proveniente dai 1.134 euro. E deve essere ambizioso non solo per le necessità economiche in senso stretto, ma soprattutto per le necessità politiche cioè per le lotte politiche che riteniamo necessarie ed urgenti sulla base delle nostre analisi.

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Non è possibile più ignorare quello che sappiamo e che ci appare tanto evidente al punto da essere accecante : l’illegalità, la violazione del diritto, della legge, delle regole del gioco democratico non sono più il dato caratterizzante dei soli paesi non democratici o totalitari.
Noi radicali che viviamo in Italia lo sappiamo bene. Lottiamo da oltre mezzo secolo contro la degenerazione democratica, contro la democrazia reale, una simulazione democratica dove di davvero democratico non rimane nemmeno l’apparenza. Abbiamo cercato di creare un argine in Europa cercando di far conoscere il caso Italia per evitare di doverci presto trovare di fronte ad un caso Europa. Oggi è evidente che anche in diversi paesi europei e nella stessa Europa il morbo dell’illegalità, della violazione della legge dilaga e rischia di essere la nuova “legge”.
Io sono d’accordo con quanto abbiamo deciso e cioè che sia necessario ed urgente, organizzarsi e lottare - anche e sopratutto per chi vive in paesi a-democratici per non dire di coloro che vivono in quelli anti-democratici – per ripristinare la legalità ed oggi lo strumento da attivare contro l’illegalità sono gli strumenti giurisdizionali. Per esempio io penso che al congresso dovremmo invitare ed assicurarci la presenza di coloro che presiedono le Corti e comitati sovranazionali e dell’ONU per il rispetto dei diritti umani e porre il problema - scusate il gioco di parole - del diritto alla legalità.
Infine credo che sottovalutare o peggio tollerare le violazioni della legalità nei paesi democratici porti inevitabilmente ad ignorare le violazioni nei paesi non democratici.
Questo non vuol dire che noi dobbiamo scegliere se lottare per il ripristino della legalità nei paesi democratici o l’affermazione in quelli non democratici. Noi continueremo a lottare come abbiamo sempre fatto per la libertà ovunque e per tutti. 

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Parallelamente vi è un problema diffuso di legalizzazione a fronte del dilagare del proibizionismo. Tra le tante lotte che hanno caratterizzato il Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito in questo mezzo secolo, vi è quella della legalizzazione delle droghe. In seguito ci saranno delle relazioni approfondite su questo tema. Tengo solo a rilevare che tutte le nostre analisi si sono rivelate esattissime non perché fossimo dei veggenti ma per il semplice fatto che il proibizionismo di per sé anziché ridurre non solo amplifica ma crea nuovi problemi. Gli stessi proibizionisti ne sono consapevoli ma hanno sempre rifiutato sinanche di prendere in considerazione la legalizzazione sulla base di presunte questioni etico-morali, questioni che perdono di importanza quando c’è da valutare il frutto delle loro politiche. Non è un caso che ovunque, aldilà dei confini, dei regimi politici, delle usanze religiose, delle tradizioni culturali si sia passati dalla commistione all’amalgama tra criminalità politica e criminalità comune con la conseguenza che le politiche proibizioniste sono sempre più diventate una questione di interesse e di potere contro la legalità e la democrazia.
Insieme a coloro che rifiutano le politiche antiproibizioniste che in questi ultimi tempi si manifestano attraverso appelli e dichiarazioni, il congresso deve essere l’occasione per riunire tutti coloro che nel corso dei decenni hanno condiviso con noi le analisi e le conseguenti lotte per la legalizzazione delle sostanze oggi proibite, legalizzazione quindi quale antidoto alla proibizione e alla liberalizzazione.

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I principi alla base della proibizione di alcune sostanze sono alla base anche di politiche in altri campi, a riguardo non solo di cose ma anche di persone, mi riferisco in particolare alle politiche migratorie. L’Italia, chiedo davvero scusa per il riferimento ma ancora una volta è obbligato, ha risolto il problema dell’immigrazione e dell’asilo politico lasciandone la gestione alla Libia un paese che è un baluardo della lotta contro la democrazia e la libertà. Questa iniziativa italiana è in patente violazione non solo con tutta una serie di principi generali sui diritti umani ma in particolare in violazione con gli articoli 13 e 14 della Convenzione dei diritti dell’Uomo, più tutta una serie di impegni – che dovrebbero essere sanzionati se violati - sottoscritti in ambito di Consiglio d’Europa e Unione europea. Subito dalla Commissione europea si sono orientati più che a sanzionare l’Italia ad imitarla e a preannunciare l’intenzione di sottoscrivere un più ampio accordo con Gheddafi: evidentemente devono aver valutato che il contrasto all’immigrazione e alle richieste di asilo costa meno ed è più efficace! Visto però che l’Unione europea non è efficace come la Libia, l’altro giorno Gheddafi ha presentato il conto: l’Unione europea davanti a milioni di immigrati potrebbe diventare Africa per evitare questo sono necessari almeno 5 miliardi di euro l’anno.
Questa vicenda ha un epicentro, l’Italia, ma in poco tempo è già diventato problema europeo.
Ci vuole poco per distruggere quello che si è da poco tempo cercato di costruire. Se pensiamo che queste vicende accadono a poco più di duecento anni dalle prime forme di organizzazione democratica dello stato e dalla dichiarazione francese dei diritti dell’uomo.

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Concludo riprendendo quello che Marco Pannella spesso ci ricorda: l’importanza nella storia del nostro partito, direi delle radici che affondano infine in un’isola del mediterraneo dove due confinati dal regime fascista – Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli – mentre scontavano una pena di alcuni decenni immaginavano e lanciavano il manifesto per gli Stati Uniti d’Europa. Proprio in quegli anni e precisamente nel 1941 il Presidente americano Roosevelt teneva il famoso discorso sulle quattro libertà: libertà di parola, libertà di culto, libertà dal bisogno e libertà dalla paura.Due visioni, quella dei confinati antifascisti e del Presidente americano, che dobbiamo continuare a far vivere in una situazione – se possibile – ancora piu’ difficile di allora.
Sono queste la ragioni per le quali nonostante le difficoltà, siamo qui non solo a perseguire ma a rilanciare le lotte nonviolente per la democrazia e la legalità.