Siamo riuniti a Congresso perché lo abbiamo voluto.
Come Presidenza
abbiamo proposto la sfida di rifiutare la sopravvivenza del Partito ed abbiamo raggiunto
gli obiettivi di 3.000 iscritti nel 2017 e nel 2018. Dobbiamo ricordare, non per
orgoglio ma per la verità dei fatti, che siamo stati sospettati di aver posto l’alto,
impossibile traguardo dei 3.000 iscritti per due anni consecutivi perché avevamo
un obiettivo non dichiarato: chiudere il Partito!
E in effetti non
era un obiettivo da poco. Abbiamo chiuso il 2016, l’anno nel quale è scomparso Marco,
con 1.104 iscritti, ma - giusto per capirci – l’ultima volta che abbiamo avuto oltre
2.500 iscritti italiani al Partito Radicale è stato tra il 2004 e il 2005, con risorse
economiche ed umane assolutamente non paragonabili alle attuali.
Va detto, sempre
per la verità dei fatti, che non pochi di coloro che si fregiavano del titolo di
dirigenti radicali nel triennio 2012-2015 non erano iscritti al Partito Radicale.
Qualcuno aveva fatto lo sforzo nel 2011 e nel 2016, perché c’era il Congresso; mentre
la maggior parte degli iscritti, dei militanti, dei radicali ignoti è invece interessato
alle iniziative e alla tenuta delle idee.
Solo dopo il Congresso
di Rebibbia abbiamo capito che volevano contendere il Partito Radicale, ma solo
il brand, come spiegò Roberto Cicciomessere, che del Partito Radicale è stato per
due volte Segretario, per cinque legislature deputato italiano e per una legislatura
deputato europeo. Contendere il brand, ma per farne cosa? Lo possiamo desumere da
quello che coloro che contestavano la presunta volontà del Congresso di voler chiudere
il Partito hanno fatto dopo il Congresso di Rebibbia.
Ripeto: qualcuno
tra di noi aveva persino pensato che volessero contendere al Partito Radicale metodo,
idee, lotte. In realtà l’obiettivo era quello di presentarsi alle elezioni municipali,
comunali, regionali, politiche, europee. Un po’ misero, diciamocelo, come programma,
quasi che la partecipazione elettorale costituisse di per se iniziativa politica,
mentre il Partito, ha sempre colto l’occasione delle elezioni per fare iniziativa
politica.
Già nel 2016, con
Pannella a casa moribondo, Emma Bonino con i dirigenti di Radicali Italiani avevano
avuto la brillante idea di presentare liste denominate radicali alle comunali
di Roma e Milano. Infine, non ha funzionato il brand, non ha funzionato la morte
di Marco, non ha funzionato il vergognoso appello al voto fatto in occasione del
funerale a Piazza Navona.
Ci hanno riprovato
a fine 2017 con la federazione tra Radicali Italiani e Forza Europa. Dopo aver lucrato
spazi televisivi in cambio del sostegno al centrosinistra al fine di raccogliere
le firme necessarie per presentare le liste, si presentarono grazie a Centro Democratico,
per fornire un servizio alla democrazia, disse Tabacci traghettandoli sulle
schede elettorali senza raccogliere le firme. Pensavano che bastasse la foto di
Emma Bonino appiccicata ovunque ma, ancora una volta, non ha funzionato.
Si decisero quindi
a fare entrare Centro Democratico nella federazione per fare di più europa un vero
partito: con i probiviri, con i candidati segretari e i candidati agli organi nazionali
presentati prima del Congresso. L’impronta era chiaramente quella del modello di
partito alla quale credeva Bruno Tabacci, d’altronde che altro doveva fare di fronte
all’inconsistenza ideale dei suoi soci? Visto il modello di partito è finita come
doveva finire: con i pullman e i ricorsi ai probiviri. La cosa tragicomica è che
chi doveva rispondere a un ricorso di radicali era un comitato di garanti Presieduto
da Gianfranco Spadaccia. Scusate la digressione, ma io ho conosciuto il Gianfranco
Spadaccia, che tutti possono conoscere grazie all’archivio di Radio Radicale, che
difendeva a spada tratta il nostro modello libertario di Partito, la nostra alterità
che noi continuiamo a far vivere. Sentirlo oggi giustificare il modello rispetto
al quale siamo alternativi nel nome del dialogo con diversi a me fa francamente
un po’ pena.
Ma non è finita
qui. Passa il Congresso e si riparte con le elezioni europee. Il brand continua
ad essere Emma Bonino, giustamente a Tabacci conviene che la lista più europa abbia
una immagine radicale, l’identità delle liste è però un'altra: tranne un paio di
nomi noti, i radicali italiani non sono presenti nelle liste. Ancora una volta l’esperimento
non funziona. Eppure sono le elezioni europee, un brand così evocativo come più
europa e con Emma Bonino photoshoppata a mò di madonna europeista avrebbe dovuto
fare il pieno. E invece più europa perde 50.000 voti tra gli italiani residenti
in europa e 10.000 voti in Italia. Le perdite in Italia sono contenute grazie ai
candidati di Tabacci capaci di ottenere decine di migliaia di voti di preferenza.
Questa è l’attualità.
Ma è una attualità che viene da lontano, oserei dire da molto lontano. Nella storia
del Partito Radicale ogni rigenerazione politica, con la sua appendice statutaria,
ha perso pezzi di partito, tra i quali anche dirigenti di primo piano. Chi lasciava
il Partito naturalmente lo faceva per sottolinearne l’inadeguatezza delle scelte.
A mio avviso mai, tranne in un caso, ha corrisposto la capacità di iniziativa politica
tout-court, non parliamo poi di fare più e meglio i radicali.
Chiedo scusa se
mi sto dilungando ma credo che sia non solo opportuno ma doveroso cristallizzare
quello che è accaduto negli ultimi anni, che comunque sono molti di più di quel
che crediamo.
Abbiamo l’obbligo
della memoria, altrimenti saremmo destinati a ripetere gli errori.
Voglio chiudere
questa premessa ricordando ancora una volta la rivendicazione collettiva che non
ha avuto ad oggi smentite, fatta da Simone Sapienza in una riunione della direzione
di radicali italiani del gennaio 2017
ci siamo assunti la responsabilità personale politica collettiva di entrare
prima in collisione con lo stesso Marco Pannella negli ultimi due anni che su questo
aveva, faceva valutazioni diverse di classe dirigente, di fiducia, di obiettivi,
di esistenza diverse e poi con un pezzo del Partito Radicale che appunto senza che
continuo quello che sappiamo. Ora io la vivo così, la viviamo così, abbiamo costruito
così questi anni costruiamo così questi giorni.
Ma due anni prima,
Simone Sapienza, che diceva? Nella riunione del gruppo dirigente tenuta durante
il Congresso del novembre 2015, affermava:
spero che lui (Marco Pannella) non creda a coloro che gli dicono reiteratamente,
e questa è la cosa più vergognosa che ho sentito in questo congresso, l'hanno detto
a me, l'hanno detto e l'ho sentita dire … che lo lasceremo solo! questa cosa psicologica
e vergognosa che viene fatta su Marco - cioè che lo lasceremo solo - è una
cosa che è di una bassezza che spero sia la parte finale di un impegno politico
perché poi magari riusciremo a fare altro anche con altre persone magari nuove che
hanno più voglia di fare.
In realtà, oggi
sappiamo che non solo pensavano di lasciare solo Marco Pannella ma addirittura di
entrarci in collisione.
Per me finisce
qui. Volevo però che quanto accaduto avesse una forma certa, pubblica e ufficiale.
L’INFORMAZIONE QUALE PRE-CONDIZIONE DELL’AZIONE POLITICA
Questo è il contesto
e i comportamenti con i quali abbiamo dovuto fare i conti negli ultimi anni e negli
ultimi tre in particolare. Un contesto che ha consentito all’informazione televisiva,
radiofonica e a stampa, pubblica e privata di censurare, ancor meglio di prima,
qualsiasi iniziativa, attività e proposta del Partito Radicale. Per dirla più chiaramente:
si sono prestati per dare l’alibi al regime di promuovere i radical conformisti
e censurare il Partito Radicale.
In questi tre anni,
la raccolta delle iscrizioni si è realizzata nel pieno dell’iniziativa politica,
prima con l’Unione delle Camere Penali e il suo Presidente Beniamino Migliucci sulla
proposta di legge di iniziativa popolare per la separazione delle carriere, poi
sulla campagna per le otto proposte di legge contro il regime: non abbiamo avuto
successo ma abbiamo l’obbligo di riprovarci perché - dall’amnistia e l’indulto alla revisione del sistema delle misure di
prevenzione e delle informazioni interdittive antimafia e delle procedure di scioglimento
dei comuni per mafia; dalla riforma del sistema dell’ergastolo ostativo e del regime
del 41 bis e abolizione dell'isolamento diurno alla riforma della Rai; dalla riforma
delle leggi elettorali nazionale ed europea all’abolizione degli incarichi extragiudiziari
dei magistrati - sono tutte
riforme urgenti.
Tanto impellenti
che prima della politica è intervenuta la giurisdizione.
Sull’ergastolo ostativo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato
l’Italia dichiarando che l’ergastolo ostativo -cioè la forma di esecuzione della
pena che preclude la possibilità di accedere a permessi, benefici e alla liberazione
condizionale, in assenza di collaborazione per i reati dell’art. 4 bis dell’Ordinamento
penitenziario- è contrario all'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
che vieta i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti, configurando un ergastolo
incomprimibile. Ergastolo ostativo che sarà oggetto di una discussione davanti alla
Corte Costituzionale dove Nessuno tocchi Caino è stato ammesso come parte interveniente.
Grazie ai membri
della Presidenza per la resistenza. Per chi li ha vissuti sono stati tre anni che
non sarà facile dimenticare, se non altro per lo sforzo, la fatica, la tensione
che ci si è sobbarcati. Che non fosse facile lo sapevamo.
Quindi grazie a Rita Bernardini, Antonella Casu, Sergio D’elia, Matteo Angioli,
Angelo Bandinelli, Marco Beltrandi, Maurizio Bolognetti, Antonio Cerrone, Deborah
Cianfanelli, Maria Antonietta Farina Coscioni, Mariano Giustino, Giuseppe Rossodivita,
Irene Testa, Valter Vecellio, Elisabetta Zamparutti.
E grazie a Laura
Arconti, che formalmente non ha fatto parte della Presidenza per un mio errore di
comunicazione, ma come ben sappiamo è stata d’esempio per tutti.
Grazie ancora a
Laura Harth, che è stata in questi tre anni la rappresentante all’ONU del Partito
Radicale e grazie alla Professoressa Carla Rossi che ha rappresentato il Partito
presso l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga
e il crimine.
Grazie a Gilio
Terzi e Matteo Angioli che con il Comitato Globale per lo Stato di Diritto
continuano ad approfondire e divulgare a livello nazionale la necessità di una
transizione verso la democrazia compiuta.
Infine, un grazie
a Sergio Ravelli e Gino Ruggeri che a Cremona, dopo tre decenni di lotte sono riusciti
a far condannare i responsabili della Raffineria Tamoil per disastro ambientale
grazie ad una sentenza pilota del Giudice Guido Salvini.
Grazie a Maria
Laura Turco che continua imperterrita a battersi contro i monopolisti che impediscono
la piena attuazione della direttiva europea Bolkenstein.
Grazie a Vincenzina
Antonelli, Paolo Proietti, Marco Imperioli, Ilaria Saltarelli, Marco Costantini
e Alem.
Grazie ai compagni
di Trieste, Reggio Calabria, Oristano e La Spezia le due province dopo Roma con
il più alto numero di iscritti rispetto alla popolazione.
Grazie ai neo iscritti
Andrea Casu, giovane segretario del PD di Roma ed Enrico Maria Pedrelli, segretario
della federazione giovanile socialista.
Grazie ai parlamentari
dei diversi gruppi politici che si sono iscritti al Partito e che tra oggi e domani
interverranno.
Grazie a Radio
Radicale, al direttore Alessio Falconio, all’amministratore Paolo Chiarelli, ai
redattori, ai tecnici e alle centraliniste. Insomma a tutti proprio tutti. E per
non sbagliare un grazie a tutti coloro che non ho ringraziato
Ma il ringraziamento
più grande va ai 2.626 residenti in Italia e 585 in altri paesi che si sono iscritti
nel 2017 così consentendo di aprire la campagna di iscrizioni per il 2018 e grazie
ai 2.568 residenti in Italia e 740 in altri paesi che si sono iscritti per il 2018
e quindi ci hanno messi in condizione di convocarli a questo Congresso.
E fuori sacco un
grazie a Marco Pannella e Sergio Stanzani, ad Antonio Russso e Andrea Tamburi, a
Laura Terni, Pio Rapagnà e buon ultimo René Andreani e tutti coloro che, non per
loro volontà, si sono momentaneamente allontanati.
Siamo convinti
e consapevoli che dobbiamo tanto a tutti.
E adesso vi dirò
cosa credo che sia urgente e necessario fare.
LA LOTTA PER LA VITA E LO SVILUPPO (ALTERNATIVA ALLA LOTTA ALLA POVERTA’)
I nostri fronti di lotta sono legati alla
nostra natura di partigiani dello Stato di diritto democratico federalista laico
e del nuovo diritto umano alla conoscenza.
Credo che a partire da questo potremmo
inanellare una lunga teoria di problematiche, ma è necessario trovare un punto di
sintesi dal quale partire per costruire l’iniziativa politica del Partito Radicale
dei prossimi anni.
Credo che il punto di partenza risieda
nelle ragioni e nelle motivazioni con le quali demmo vita, nel giugno di quarant’anni
fa, alla lotta contro lo sterminio per fame.
Il 1979 fu proclamato dalle
Nazioni Unite Anno Internazionale del Fanciullo. Nel gennaio dello stesso anno l’UNICEF,
l’agenzia specializzata dell’ONU che appunto si occupa dei problemi dell’infanzia,
pubblicò un rapporto dal quale risultava che oltre 17 milioni di bambini al di sotto
dei cinque anni sarebbero morti nel corso di quello stesso anno di malattie e privazioni
che avevano tutte la stessa origine di fondo: la fame e la malnutrizione, questo
flagello che nell’era delle più sofisticate scoperte tecnologiche avrebbe continuato
ad uccidere oltre 30 milioni di vite umane.
Nel febbraio del 1979 Marco
Pannella denuncia per la prima volta in Italia a livello politico il dramma dello
sterminio per fame nel mondo e accusa i governi dei paesi “ricchi” di rendersi di
fatto complici del nuovo olocausto, essendo la malnutrizione nel mondo più il frutto
di un vero e proprio “disordine economico internazionale” che di una penuria di
alimenti. Pannella ricorda che mentre nel 1945 l’Africa era esportatrice netta di
prodotti cerealicoli alimentari, negli anni ’70 è costretta ad importarli, ed in
misura sempre crescente, per effetto delle monocolture di prodotti tropicali da
esportazione che la divisione internazionale del lavoro ha imposto ai paesi ex coloniali.
Infine, rilevava che nel mondo si destinavano 750 miliardi di dollari alla produzione
o all’acquisto di armi e solo 32 miliardi di dollari all’aiuto pubblico allo sviluppo.
Mi fermo qui nella rievocazione anche se
avrei tant’altro da dire, a cominciare dal Manifesto Appello dei Premi Nobel che
- non a caso – si conclude affermando
"se le donne e gli
uomini, se le genti sapranno, se saranno informati, noi non dubitiamo che il futuro
potrà essere diverso da quello che incombe e sembra segnato per tutti e nel mondo
intero. Ma solo in questo caso. Occorre subito scegliere, agire, creare, vivere,
fare vivere.”
Non a caso quella campagna aveva sì l’obiettivo
di salvare persone destinate alla fame, ma anche di restituirli allo sviluppo. Oggi
si sentirebbe la necessità di dire … a casa loro. Io penso che chiunque si senta
meglio a casa sua, ma non è detto che casa sua sia una casa ospitale, che
consenta di poter vivere, e non solo sopravvivere. E questo è un discorso universale,
vale nei paesi sottosviluppati come in quelli economicamente avanzati. Perché una
cosa è spostarsi per migliorare le proprie condizioni, altro è farlo per avere un
minimo di condizioni vitali. Poi può capitare che alla ricerca del minimo di condizioni
ti ritrovi a fare lo schiavo in una campagna italiana a dormire in ricoveri nei
quali nessun serio allevatore farebbe dormire le sue bestie.
Ma oggi, a parte cercare di provvedere
ai disastri di una classe dirigente che è stata (ed è) patentemente incapace di
governare i problemi del suo tempo, se non nel consumo quotidiano per alimentare
rendite di potere, come prevenire quello che oggi è il futuro che incombe?
E’ innanzitutto necessario conoscere la
situazione, quello che sta accadendo, le implicazioni tra diversi fenomeni planetari,
per capire quello che potrà accadere e quindi cercare di prevenirlo.
Sono passati quarant’anni da quando Pannella
prese atto dei disastri che produceva quel disordine mondiale, che allora pochi
riuscivano a scorgere ma già mieteva vittime.
Nel frattempo, le cose sono molto peggiorate,
gli aguzzini hanno perfezionato i loro strumenti di sopraffazione che generano sottosviluppo,
ci sono meno morti per fame ma è venta a formarsi una platea indistinta di persone
condannate a una sopravvivenza perpetua. Quasi a poter immaginare che in futuro
ci potranno esserci due civiltà umane che nel tempo potrebbe diventare irriconoscibili
una all’altra. Quella di chi ha dei diritti e di chi non li ha, di chi possiede
molto più di quel che ha bisogno per vivere e di chi ha molto meno di quel che gli
servirebbe per sopravvivere. Un bivio che è necessario non percorrere. Credo che
nella società attuale la povertà sia la più grave minaccia alla sicurezza intesa
in senso lato, e non potranno certo essere i poveri a disinnescare questa spirale
che oggi è - e non solo appare - senza via d’uscita.
Sono convinto che se non ripartiamo da
lì, se non riprendiamo la battaglia per la vita e lo sviluppo, di tutti e ovunque,
ogni altro sforzo sarà vano. Una battaglia che politicamente o la riprende il Partito
Radicale o resterà derubricata a meritoria attività di qualche organizzazione umanitaria.
Noi lottiamo per cambiare le regole e per
farlo ora.
Oggi, rispetto a quarant’anni fa, ci sono
nuovi macelli e altri macellai pronti a far strame di diritto e di diritti e quindi
di vite umane, in nome del profitto. Non perderò tempo a spiegare perché quello
che sta accadendo non ha nulla a che fare con il liberismo, che è diventata la coperta
sotto la quale si nascondono sia gli approfittatori, sia i portatori di vecchie
ideologie autoritarie. Se siano fallimentari è tutto da vedere. Infatti, dopo le
stragi etnico-politico-sociali di cinesi in Cina, io credo siamo nel pieno della
cinesizzazione del pianeta, in parte frutto dell’invadenza cinese. In parte, ed
è la cosa più preoccupante, frutto della decadenza politica occidentale. Di fronte
alla manifesta incapacità di governo della complessità dei problemi, ci si abbandona
alla scorciatoia antidemocratica, quindi autoritaria, non riuscendo a dare le risposte
necessarie e richieste dai cittadini. C’è insomma una convergenza antidemocratica
tra le politiche che il regime cinese applica al proprio interno e che stanno introducendo
le cosiddette democrazie reali occidentali. Gli uni e gli altri partendo dal criminalizzare
le minoranze.
Questo è un tema
così importante che ho chiesto un approfondimento alla mia relazione da parte dell’Ambasciatore
e già Ministro degli Esteri Giulio Maria Terzi, che interverrà dopo di me; e il
professor Fabio Pistella che ha presieduto i più importanti enti di ricerca nazionali.
Ci ha infine preannunciato che farà un approfondimento sul tema anche Norman Baker,
che è stato Vice Ministro dell'Interno del Regno Unito).
* * * * *
Dicevo dunque, che è innanzitutto importante capire quali sono le politiche che a livello planetario oggi condannano le persone al sottosviluppo e alla sopravvivenza, inquinano l’ambiente, creano insicurezza.
SPECULAZIONE NEL MERCATO DELLE COMMODITIES ALIMENTARI
Generalmente le commodity alimentari sono prodotti agricoli o prodotti di
base non lavorati come il sale, lo zucchero, il caffè, i cereali.
A partire dalla fine del 2007, dopo decenni
di progressivo calo, i prezzi delle principali materie prime agricole hanno cominciato
a crescere: un primo picco è stato raggiunto nel giugno del 2008 per poi scendere
altrettanto velocemente alla fine dell’anno. Di nuovo, i prezzi hanno ricominciato
a salire nel 2010, arrivando ad un nuovo livello record nel 2011: l’indice FAO dei
prezzi dei principali prodotti agricoli ha registrato 229.9 punti, a fronte dei
201.4 relativi al 2008.
I dati raccolti dalla Conferenza delle
Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) in riferimento al periodo 2005-2008
riportavano un aumento complessivo dei prezzi del cibo dell’83%; mostrando un incremento
del prezzo del grano del 127%, del riso del 170% e del mais del 217%.
L’impatto dell’innalzamento dei prezzi
è devastante in termini di fame nel mondo e malnutrizione: secondo le stime della Banca Mondiale l’esplosione
dei prezzi delle derrate alimentari nel 2007-2008 ha provocato un aumento del numero
di persone in estrema povertà da 130 a 150 milioni con un totale di persone che
soffrono la fame di 963 milioni.
Le crisi alimentari mondiali dei prezzi
del cibo hanno portato l’attenzione della comunità internazionale sulla questione
della sicurezza alimentare.
A partire
dagli anni ’90 la nascita di nuovi strumenti finanziari (Goldman Sachs crea nel
1991 il primo fondo indicizzato) e la progressiva deregolamentazione dei mercati
derivati sulle materie prime hanno gettato le basi per la “finanziarizzazione” dei
mercati delle materie prime agricole.
A poco a poco investitori finanziari, fondi
d’investimento, fondi pensione ed altri fondi speculativi, che operano al solo fine
di ottenere un rendimento da variazioni di breve periodo dei prezzi, non avendo
alcun interesse nelle materie agricole, hanno cominciato ad avere un ruolo sempre
più importante sui mercati dei derivati delle commodities agricole trasformando
questi mercati e distorcendone la funzione.
L’ingresso di questi nuovi attori, che
si è verificato soprattutto quando la crisi finanziaria ha reso impossibili i profitti
sui mercati finanziari, ha fatto sì che la maggior parte delle transazioni effettuate
sui mercati dei derivati agricoli non facessero più riferimento alle dinamiche del
mercato reale.
In un suo rapporto, l’organo americano
competente a vigilare sui mercati dei futures di materie prime- la Commodity Futures
Trading Commission (Cftc) - riporta che il 25 giugno 1996, alla borsa di Chicago
l’88% dei futures sui cereali fossero legati alla copertura dei rischi e solo il
12% alla speculazione. La stessa rilevazione compiuta il 21 giugno 2011 sugli stessi
25 titoli mostra un rapporto rovesciato: il 61% detenuto dagli speculatori e solo
il 39% è detenuto da chi vuole coprire i rischi.
CONCENTRAZIONE delle imprese nel settore agro-alimentare
Il Gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili[1], in un rapporto pubblicato un anno fa[2] hanno rilevato che
«Le aziende agroalimentari sono diventate troppo grandi per nutrire l'umanità in modo sostenibile, troppo grandi per operare in termini equi con altri attori del sistema alimentare e troppo grandi per offrire i tipi di innovazione di cui abbiamo bisogno. Altre mega-fusioni sono in corso e senza un cambiamento significativo, continueranno a consolidare un settore agroalimentare già oligopolistico. Le agenzie internazionali, le organizzazioni della società civile, i governi nazionali e i legislatori devono agire urgentemente per ricreare un sistema alimentare che soddisfi le esigenze di tutti».
All’alba dell'acquisizione
di Monsanto da 66 miliardi di dollari da parte di Bayer, il rapporto analizzava
l’impatto delle grandi fusioni e denunciava il “consolidamento senza precedenti”
innescato dalle mega-fusioni nel settore agro-alimentare. Nel rapporto si legge che
con la fusione di 130 miliardi di dollari tra giganti agrochimici statunitensi Dow Chemical e DuPont, l'acquisizione di Syngenta da parte di ChemChina per 43 miliardi di dollari e la fusione programmata con SinoChem nel 2018, quasi il 70% dell'industria agrochimica sarà nelle mani di sole tre società risultanti dalle fusioni.
Nonostante questo, a marzo
del 2018 la Commissione europea ha autorizzato, seppure a determinate condizioni,
l'acquisizione di Monsanto da parte di Bayer. Per l’occasione la Commissaria europea
alla concorrenza Margrethe Vestager ha dichiarato:
«Abbiamo approvato i piani di Bayer per rilevare la Monsanto perché i rimedi delle parti, che valgono ben oltre 6 miliardi di euro, soddisfano pienamente i nostri problemi di concorrenza. La nostra decisione assicura che ci saranno una concorrenza effettiva e innovazione nei mercati delle sementi, pesticidi e nell'agricoltura digitale anche dopo questa fusione. In particolare, abbiamo assicurato che il numero di attori su questi mercati rimanga lo stesso. Questo è importante perché abbiamo bisogno della concorrenza per garantire agli agricoltori la possibilità di scegliere diverse varietà di semi e pesticidi a prezzi accessibili. E abbiamo bisogno della concorrenza per spingere le aziende a innovare nell'agricoltura digitale e continuare a sviluppare nuovi prodotti che soddisfino gli elevati standard normativi in Europa, a vantaggio di tutti gli europei e l'ambiente».
* * * * *
E per quanto riguarda il mercato mondiale dei cereali, circa il 90% è controllato da soli quattro gruppi mondiali, tre americani e uno francese[3] .
Come ha rilevato la Coldiretti
nel 2017:
nella trasformazione alimentare per cibo e bevande si stima che le 10 più grandi aziende di cibo e bevande possiedano il 37,5 % della quota di mercato mondiale delle prime 100. Nella distribuzione organizzata i 10 più grandi rivenditori di generi alimentari coprono il 29,3% delle vendite mondiali, che ammontavano in totale a 7,5 mila miliardi di euro, con il primo gruppo Wallmart che fattura da solo 262,5 miliardi di dollari.
LAND GRABBING (ACCAPARRAMENTO DELLA TERRA)
L'agricoltura mondiale si trova ad affrontare
sfide nuove. L’erosione dei suoli progredisce, le temperature aumentano, l’acqua
disponibile diminuisce, le rese cerealicole al momento non possono rendere più di
quel che rendono. Diventa quindi sempre più difficile nutrire una popolazione che
cresce ogni anno di 80 milioni di persone.
Il land grabbing è l’accaparramento, mediante
acquisto o affitto, su larga scala di terreni agricoli nei Paesi in via di sviluppo
da parte di investitori stranieri in tutto il mondo.
Il fenomeno non è nuovo, ma si è amplificato a partire dal 2008, a seguito della crisi finanziaria e alimentare, governi, grandi società e multinazionali ma anche altri investitori privati come fondi sovrani, fondi pensione e fondi di investimento, hanno dato vita ad una nuova ondata di acquisti dei terreni.
Questi accordi sulla terra sono promossi
dai governi come opportunità per attirare gli investimenti in agricoltura; sono
spesso conclusi in paesi in cui la cessione dei terreni non è regolamentata, in
totale opacità e senza una preventiva consultazione con le comunità locali e si
traducono spesso in una lesione dei diritti delle popolazioni locali, poiché le
zone vendute o affittate a investitori esterni sono considerate disponibili anche
se spesso utilizzate dalle popolazioni locali che non possiedono titoli di proprietà
riconosciuti, se non quelli consuetudinari.
A causa dell’opacità e della poca trasparenza
in cui avvengono gli accordi è difficile conoscere l’ampiezza del fenomeno. In un
rapporto[4] del 2011 la Banca Mondiale lanciava l’allarme sui rischi connessi alle acquisizioni
di terra su larga scala, denunciando che gli accordi di terreni agricoli riguardavano
circa 56 milioni di ettari e oltre il 70% di questi accordi riguardava l'Africa.
I dati raccolti da Land Matrix - un database
indipendente che monitora gli accordi sulla terra a livello globale - permettono
di distinguere i Paesi Investitori e i Paesi Target.
Primi dieci paesi investitori: Cina, Stati
Uniti, Canada, Regno Unito, Malesia, Giappone, Spagna, Corea del Sud, Brasile, India.
Primi dieci paesi Paesi Target: Perù, Russia,
Repubblica Democratica del Congo, Ucraina, Brasile, Filippine, Sudan, Sud Sudan,
Madagascar, Papua Nuova Guinea.
Nonostante fino ad oggi il land grabbing
sia stato generalmente ricondotto al Sud del mondo, questo fenomeno si è diffuso
anche in Europa.
In un rapporto[5] del 2015 sull’estensione delle acquisizioni dei terreni agricoli nell’Unione europea
è emerso che nel 2010 il 3% delle aziende controllava metà della superficie agricola
utilizzabile, mentre l’80% dei coltivatori, proprietari di aziende al di sotto dei
dieci ettari, possedevano il 12% dei terreni fertili.
Infine, in una risoluzione del Parlamento
europeo del 2016[6] si legge che
«all’insegna della “diversificazione
del portafoglio” un gran numero di gruppi bancari europei, fondi pensione e fondi
assicurativi, hanno creato fondi di investimento per gli investimenti agricoli per
diversificare i rischi e guadagnare dalle materie prime, in particolare dopo la
crisi finanziaria del 2008».
Come abbiamo visto, c’è un elemento che tiene insieme tutte
queste problematiche, il crescere esponenziale della popolazione mondiale. In un
rapporto[7]
dell’ONU del giugno 2019 si prevede che il numero di persone sulla Terra passerà
dai 7,7 miliardi di oggi a 9,7 miliardi nel 2050.
Le nuove proiezioni demografiche indicano che nove paesi costituiranno
più della metà della crescita prevista della popolazione mondiale da qui al 2050:
India, Nigeria, Pakistan, Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e gli Stati
Uniti d'America. Intorno al 2027, l'India potrebbe diventare il paese più popoloso
del mondo, superando la Cina. Mentre si prevede che la popolazione dell'Africa subsahariana
raddoppierà entro il 2050 con un aumento del 99%: praticamente raddoppierrà! La
Nigeria, che attualmente è il settimo paese più popoloso, passerà al terzo posto
con un aumento della popolazione a 411 milioni, in aumento del 109% rispetto al
2018: da sola avrà più abitanti di tutti i paesi europei messi insieme.
Dall’ultimo rapporto[8]
del 2018 sulla povertà della Banca mondiale su dati del 2015
- le
persone che vivevano in “povertà estrema”, cioè le persone che vivono con meno di
1,90 dollari al giorno, erano 736 milioni.
- il
tasso globale di povertà era del 10% della popolazione (diminuito dell’1% rispetto
a quello del 2013) e non è mai stato così basso.
- Le
previsioni preliminari della Banca Mondiale per il 2018 rivelano un’ulteriore riduzione
del tasso di povertà, che dovrebbe riguardare l’8,6% della popolazione mondiale.
- Oltre
un miliardo di persone è uscito da una situazione di povertà estrema nel periodo
tra il 1990 al 2015: la forte crescita globale e di molti paesi in via di sviluppo,
soprattutto nelle regioni più popolose dell'Asia meridionale, Pacifico e Asia orientale
ha avuto un ruolo chiave nella riduzione della povertà. In particolare, la crescita
economica della Cina, da sola, ha consentito di risollevare dalla povertà milioni
di persone.
Se da un lato dal rapporto emerge che la
povertà sta diminuendo; dall’altro, il rapporto rileva con preoccupazione un rallentamento
nella riduzione della povertà: tra il 2011 ed il 2013 la povertà è scesa di 2,5
punti percentuali, mentre nel biennio successivo 2013-2015 solo di 1,2 punti percentuali.
Uno dei motivi di questo rallentamento
è che la povertà si sta concentrando sempre di più in alcune aree geografiche.
La metà delle persone che vivevano in estrema
povertà nel 2015 è concentrata in soli cinque paesi: i paesi più popolosi dell'Asia
meridionale (India e Bangladesh) e dell'Africa subsahariana (Nigeria, Repubblica
Democratica del Congo e Etiopia).
L'India con 170 milioni di poveri rappresentava
nel 2015 circa un quarto della povertà globale.
Il rapporto rileva però che la situazione potrebbe essere
cambiata: le proiezioni per il 2018 indicano infatti che la Nigeria potrebbe aver
superato l'India e potrebbe essere adesso paese con il più alto numero di poveri
al mondo.
In generale, l’Africa subsahariana rappresenta
oggi la maggior parte dei poveri del mondo e la situazione potrebbe peggiorare perché,
a differenza del resto del mondo, il numero totale di persone che vivono in povertà
nella regione continua ad aumentare ed è passato da circa 278 milioni di persone
dal 1990 a 413 milioni nel 2015.
Dei 28 paesi più poveri del mondo, 27 sono
paesi nell'Africa sub-sahariana.
Viene inoltre stimato che entro il 2030
il 90% delle persone in povertà estrema potrebbe concentrarsi nella sola Africa
subsahariana.
Oltre alla soglia di povertà internazionale (1,90 dollari al giorno), la Banca Mondiale ha individuato due nuove soglie di povertà a livello nazionale di valore più elevato che riflettono le soglie di povertà tipiche dei paesi a reddito medio e sono pari a 3,20 dollari al giorno e 5,50 dollari al giorno.
Queste nuove misure mostrano un quadro meno incoraggiante.
Quasi un quarto della popolazione mondiale (il 26,3%) vive con meno di 3,20 dollari al giorno, tipica soglia di povertà dei paesi a reddito medio-basso; mentre la metà della popolazione mondiale (il 46%) vive con meno di 5,50 dollari al giorno, soglia di povertà in un tipico paese a reddito medio-alto. Credo che in Italia, che è un paese a reddito-medio alto- si possa tranquillamente considerare la soglia di povertà ben al di sopra di 5,50 dollari al giorno. Questo ci fa capire l’entità reale del problema.
Crescono
le disuguaglianze fra i Paesi e, dato più allarmante, all’interno di molti Paesi,
Italia inclusa. Secondo la Banca Mondiale i livelli nazionali di disuguaglianza
mettono in pericolo i risultati raggiunti dall’umanità negli ultimi decenni. Oggi
è a rischio sinanche l’aspirazione manifestata dai governi nel 2061 a sradicare
la povertà estrema entro il 2030[9].
OXFAM realizza
da analisi una approfondita analisi sugli squilibri nella distribuzione globale
della ricchezza netta. Da questa emerge che il persistente divario tra ricchi
e poveri compromette i progressi nella lotta alla povertà, danneggia le nostre economie
e alimenta la rabbia sociale in tutto il mondo.
Non solo
cresce la forbice tra ricchi e
poveri, ma la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi questo evidenzia
l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico. Lo scorso
anno le ricchezze dei miliardari sono aumentate del 12%, al ritmo di 2,5 miliardi
di dollari al giorno, mentre 3,8 miliardi di persone, la metà più povera dell’umanità,
hanno visto diminuire quel che avevano dell’11%.
In Italia, a metà
2018, il 20% più ricco dei nostri connazionali possedeva circa il 72% dell’intera
ricchezza nazionale. E il
5% più ricco degli italiani possedeva da solo la stessa quota di ricchezza del 90%
più povero.
Sono
trascorsi dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria e, in questi anni:
- il numero di miliardari è quasi raddoppiato.
- La ricchezza dei miliardari del mondo è aumentata di $ 900 miliardi solo nell'ultimo anno, o $ 2,5 miliardi al giorno. Nel frattempo, la ricchezza della metà più povera dell'umanità, 3,8 miliardi di persone è diminuita dell'11%.
- l'anno scorso 26 persone possedevano la stessa cifra di 3,8 miliardi di persone che costituiscono la metà più povera dell'umanità, rispetto a 43 persone dell'anno precedente.
- il 10% dei titolari di patrimoni più elevati detiene quasi l’85% della ricchezza netta globale.
- l’1% più ricco è titolare di quasi la metà della ricchezza netta aggregata e ha beneficiato, in termini reali, di quasi il 46% dell’incremento di ricchezza nel periodo intercorso tra giugno 2017 e giugno 2018, ed è composto per il 73% da cittadini residenti in Europa e Nord America.
- in termini patrimoniali, per fare parte della metà più povera del pianeta, oggi basta disporre di una ricchezza che non supera i 3.490 euro. Questo gruppo, che possiede appena lo 0,4% della ricchezza netta del pianeta, è costituito per oltre due terzi da cittadini africani, latino-americani, indiani e dei paesi a basso e medio-basso reddito dell’area Asia-Pacifico.
- Vi è inoltre un altro dato la ricchezza è particolarmente sotto tassata. Solo 4 centesimi in ogni dollaro di gettito fiscale derivano dalle tasse sulla ricchezza.
- Nei paesi ricchi, l’aliquota massima delle imposte sul reddito delle persone fisiche è scesa dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013. Mentre nei paesi in via di sviluppo, l’aliquota massima delle imposte sul reddito delle persone fisiche è del 28%.
- In alcuni paesi, come Regno Unito o Brasile, considerando insieme imposte sui redditi e sui consumi, il 10% più ricco della popolazione paga meno tasse del 10% più povero (in proporzione ai relativi redditi).
- Evasione ed elusione fiscale internazionale hanno raggiunto inoltre livelli allarmanti: una gran parte di redditi finanziari degli individui più facoltosi svanisce offshore, mentre i redditi di molte imprese multinazionali sfuggono all’imposizione fiscale. I super-ricchi nascondono alle autorità fiscali $ 7,6 trilioni di dollari. Le società di capitali nascondono anche grandi quantità all'estero. Insieme questo priva i paesi in via di sviluppo di $ 170 miliardi di dollari all'anno.
- I servizi pubblici sono sistematicamente sotto-finanziati o vengono esternalizzati ad attori privati, con la conseguenza che ne vengono esclusi i più poveri. Ecco perché in molti paesi un’istruzione e una sanità di qualità sono diventate un lusso che solo i più ricchi possono permettersi. Nel mondo circa 10 mila persone al giorno muoiono per mancanza di accesso ai servizi sanitari, mentre 262 milioni di bambini non hanno accesso all’istruzione.
Nel 2015, in occasione
dell'adozione dell'Accordo di Parigi, la Conferenza delle Parti della Convenzione
Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCC) aveva incaricato il
Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico[10]
di elaborare un “Rapporto Speciale” sugli impatti del riscaldamento a 1,5°C.
Come ha detto il
co-presidente del gruppo di lavoro, il cinese Panmao Zhai, “Stiamo già assistendo
alle conseguenze dell’innalzamento di 1° C del riscaldamento globale come, dimostra
l’aumento di eventi meteorologici estremi, l'innalzamento del livello dei mari e
la diminuzione dei mari ghiacciati dell’Artico".
Limitare il riscaldamento globale a 1,5
gradi "richiede cambiamenti rapidi, completi e senza precedenti in tutti gli
aspetti della società", dall'energia alla pianificazione urbana e del territorio,
con tagli alle emissioni in tutti i settori. Ciò vuol dire che le emissioni globali
di gas serra dovranno essere ridotte del 45% entro il 2030, con l'obiettivo di arrivare
a "emissioni nette zero" entro il 2050.
Mentre un nuovo
Rapporto dell’ONU lancia l’allarme sul rischio di “uno scenario di “clima apartheid
"in cui i ricchi pagano per sfuggire al surriscaldamento, alla fame e ai conflitti
mentre il resto del mondo è lasciato a soffrire". Philip Alston, relatore speciale
delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani ha affermato che "il
cambiamento climatico minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi nello
sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà".
Il nuovo rapporto
ha stimato che oltre 120 milioni di persone potrebbero finire in povertà entro il
prossimo decennio a causa dei cambiamenti climatici.
Tutto questa complessità
non può essere riassunta in slogan o risposte semplicistiche. Comprensibili al popolo
ma contro il popolo. Quante volte Marco ci ha spronato ad essere impopolari per
non essere antipopolari!
Oggi è il momento!
Mentre si approntano piani per “alleggerire” la povertà, cioè per stabilizzare i
poveri nella povertà, è necessario rilanciare la lotta per la vita e lo sviluppo.
Credo che per la
natura del Partito, cioè pannelliano, noi abbiamo non solo il dovere ma l’obbligo
di riprendere quel filo che si cominciò ad annodare quarant’anni fa. Perché quel
filo era il filo giusto ma, dopo quarant’anni ce lo possiamo dire, quella classe
dirigente era inadeguata a tessere. O meglio, qualcuno per qualche anno seguì quella
campagna, poi ‘costrinse’ Pannella a gettare la spugna di fronte ad una legge italiana
che Marco ci ha sempre ricordato non era la sua e nostra legge.
Credo che dovremo
concepire nuove proposte che guardino al domani e non si consumino e consumino l’attualità. Ho evitato appositamente sinanche di accennare
alla questione delle migrazioni, anch’esso dramma epocale, che è il prodotto delle
questioni alle quali ho cercato di accennare.
In questa lotta
sicuramente non saremo meno di quanti eravamo quando eravamo impegnati nella lotta
per consegnare i moribondi, vivi alla vita e allo sviluppo. Da allora sono aumentati,
di molto, coloro ai quali va assicurata, perché ne hanno diritto, una vita e la
possibilità di migliorare le proprie condizioni. E’ una lotta intimamente legata
al rispetto dei diritti umani fondamentali: universali, per tutti e ovunque e indivisibili,
civili-sociali-politici.
Sedici, diciassette
anni fa ebbi l’opportunità di ascoltare al Parlamento europeo l’Allocuzione del
Presidente del Perù, Alejandro Toledo, un testo che ogni tanto vado a rileggere
perché ha una sua forza che va oltre la stretta attualità di quel momento. Anzi,
un discorso che ritengo sia molto attuale. O meglio, allora era attuale per i peruviani,
oggi è attuale anche per noi.
Bisogna fare attenzione. Le democrazie non possono più essere travolte da colpi di stato tradizionali, ma possono essere debilitate dalla mancanza di risultati concreti per i poveri. (…) Non possiamo permetterci di cadere nel populismo, perché la conseguenza sarebbe l’iperinflazione e l’iperinflazione fa sì che i poveri diventino ancora più poveri. (…) La conoscenza è un’impresa a basso rischio, che opera nel lungo termine e di grande mobilità. Potranno venire governi populisti, ma non potranno nazionalizzare la conoscenza della nostra gente. Potranno venire governi sostenitori di un’eccessiva privatizzazione ma non potranno privatizzare ciò che è stato investito nelle menti. (…) Onorevoli parlamentari, poiché mi avete offerto il privilegio di condividere con voi questa riflessione, voglio dirvi che i milioni di uomini e donne nel mondo che oggi vivono con un dollaro al giorno si attendono dall’Unione europea, dai Paesi industrializzati, uno sforzo che li renda partecipi della globalizzazione con un volto umano, una globalizzazione che permetta di non mettere in discussione le istituzioni democratiche e consenta ai poveri di non perdere la speranza nella democrazia.
IL BACINO ITALIANO, IL FRONTE ITALIANO, IL CASO ITALIA
Dicevo che i nostri fronti di lotta sono
legati alla nostra natura di partigiani dello Stato di diritto democratico federalista
laico e del nuovo diritto umano alla conoscenza.
C’è un fronte che
non solo non dobbiamo abbandonare ma al quale dedicare ancora più cura: è il fronte
italiano. E’ il fronte che ancora oggi tiene in vita il Partito Radicale ma è soprattutto
il fronte del Caso Italia.
Il caso di una
democrazia che non sboccia ma che sin dalla sua nascita è per alcuni aspetti prosecutrice
del regime precedente e per altri negatrice, cioè in violazione dei principi fondamentali
e fondanti della Costituzione. Il caso di un paese che viola più d’altri i Trattati
internazionali, e che è ai vertici peril numero di condanne per violazione della
Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
Non sto parlando
dell’attualità, se non nel senso dell’attualità storica. Oggi non sono pochi coloro
che vedono la violazione della Carta costituzionale e sono in ambasce per la democrazia.
Lo siamo anche
noi, ma lo eravamo anche ieri.
110 referendum: una riforma mancata ancora necessaria
Tra tutte le nefandezze,
che abbiamo puntualmente e puntigliosamente documentato in 65 anni di lotte politiche,
il pacchetto dei 110 referendum - tra bocciati
dalla Corte costituzionale, che non hanno raggiunto il quorum, e traditi dal Parlamento
- è sicuramente il miglior programma riformatore che abbiamo messo in campo.
Ancora pochi giorni
fa quando è scoppiato lo scandalo del CSM, il pensiero non poteva che andare a quel
referendum che voleva abrogare l’elezione dei membri togati del CSM attraverso delle
liste. Perché? Perché credevamo che le correnti nella magistratura avrebbero portato
a quello che abbiamo letto in questi giorni.
Ma non è un caso.
Non c’è problema di questo Paese sul quale non abbiamo cercato di dare un contributo.
A prescindere dal tipo di Governo.
IL DIRITTO A CONOSCERE PER DELIBERARE
Noi siamo il precipitato storico di una storia alla quale sono appartenute persone come Mario Boneschi, Leopoldo Piccardi ed Ernesto Rossi, che proprio sessant’anni fa, nel gennaio del ’59, convocarono un convegno dal titolo “Verso il regime”, i cui atti furono pubblicati dalla Laterza. Quel convegno che si concluse con una mozione conclusiva costituita da una sola proposta: PER LA RIFORMA DELLA RAI. Su questo non dico una parola di più: interverrà Marco Beltrandi, che ha scritto un opuscolo che è in distribuzione all’ingresso e che fa parte di un progetto editoriale più esteso, sulle iniziative che abbiamo portato avanti a partire dal 2001 sino alle ultime di qualche settimana fa.
Non posso invece tralasciare la vicenda di Radio Radicale.
Radio Radicale è, politicamente parlando, il tentativo – riuscito! – di realizzare il servizio pubblico puro. All’inizio lo abbiamo fatto destinando i soldi del finanziamento pubblico di spettanza del Partito Radicale che era un modo per restituire ai cittadini quello che gli spettava in quanto diritto e non gli è stato mai riconosciuto e garantito: il diritto a conoscere per giudicare! Successivamente lo Stato ho indetto una gara per trasmettere le sedute del parlamento in modulazione di frequenza da una radio che avesse una rete nazionale. Partecipò solo Radio Radicale per una ragione molto semplice, non era conveniente, un editore puro e cioè che ha tra i suoi scopi quello legittimo al guadagno, se avesse vinto quella gara avrebbe dovuto rinunciare alla sua attività.
Quella gara era una gara finta come ha sostenuto il sottosegretario Crimi e il Movimento 5 stelle? Visto che nell’affermare che quella gara era finta si mette in discussione la nostra onorabilità, moralità, onestà, noi che non abbiamo mai fatto ricorso al giudice di fronte a critiche politiche le più violente, non possiamo invece tollerare che si infanghi la nostra storia.
Detto questo, dopo la gara, il Governo ha prorogato il servizio, prima per tre anni, poi per due, poi di anno in anno. Se il sottosegretario Crimi crede che questo sia illegittimo o illecito è giusto che faccia quel che deve.
E ancora, per i soci di Radio Radicale, sia quello politico, la Lista Pannella, che gli imprenditori Podini e Cecilia Angioletti, destinano quello che dovrebbe essere il legittimo guadagno previsto in qualsiasi gara, a garantire il resto della programmazione.
Così come è falso, perché tecnicamente errato, parlare di “finanziamento” anziché “corrispettivo”. Ma non è un chiamiamolo eufemisticamente errore per chi fa della lotta agli sprechi il proprio cavallo di battaglia. E la controprova sono le reazioni dei frequentatori degli spazi del M5 stelle.
Dobbiamo ringraziare i tanti parlamentari di tutti gruppi, ad esclusione di quelli del M5S, anzi no, dobbiamo segnalare Paola Nugnes ed Elena Fattori che sulla vicenda Radio Radicale non hanno fatto mancare la loro voce. Paola Nugnes è stata espulsa dopo che aveva abbandonato il gruppo, mentre Elena Fattori è da tempo ostaggio dei probiviri.
Faccio solo un
accenno, ma è questione molto importante: l’articolo 49 della Costituzione! Abbiamo
sempre lottato, dentro e fuori del Parlamento, perché vi fosse una legge degna di
questo nome, che recepisca quanto la Costituzione detta: Tutti i cittadini hanno
diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico
a determinare la politica nazionale.
Così come attraverso
la lettura delle motivazioni addotte per espellere alcuni parlamentari dal gruppo
parlamentare, c’è un altro articolo che merita di trovare una sua applicazione cogente,
l’articolo 67 della Costituzione: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione
ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Tornando a Radio Radicale, non c’è la certezza della prosecuzione del servizio pubblico sin qui svolto da Radio Radicale e che non si ferma solo agli spazi in convenzione ma ad almeno il 95% di essi - volendo togliere gli spazi occupati dal Partito radicale così da uniformarla al servizio pubblico ufficiale. Quindi la lotta per la vita di Radio Radicale non è chiusa e nemmeno sospesa ma continua fino a quando non venga fatta la gara.
Il sottosegretario Crimi ha, tra l’altro, sostenuto che non è possibile affidare quel servizio a una radio di partito. Ma il servizio non è affidato a una radio di un partito ma, politicamente parlando, al Partito Radicale. Vogliamo dire al sottosegretario Crimi che noi rivendichiamo questa scelta, e non solo, ma noi siamo pronti a mettere a confronto il servizio pubblico fornito da Radio Radicale, la radio del Partito Radicale con il servizio pubblico fornito dalla RAI, la radiotelevisione di tutti gli altri partiti.
E nel mentre occupano la RAI, speriamo trovino tempo per sbattere fuori i partiti dalla RAI.
Io credo che o radio radicale vive, ma vale anche per il partito e per ciascuno di noi, o meglio, e sicuramente anche per me, o sopravvivere non ha senso.
Devo ringraziare i 177.488 firmatari della petizione per salvare Radio Radicale, raccolta promossa e organizzata da Irene Testa e grazie a Irene e Maria Antonietta per le diverse manifestazioni organizzate per la vita di Radio Radicale.
Infine, un pensiero a Massimo Bordin.
La vicenda del diritto al conoscere per
giudicare ci introduce ad un altro fronte di lotta: quello della giustizia e delle
carceri. Voglio ricordare quelle compagne e quei compagni che non ci sono più e
che su questi fronti hanno dato il loro personale contributo. Da Adele Faccio ad
Adelaide Aglietta, da Maria Teresa di Lascia a Emilio Vesce, e alle tante e tanti
radicali ignoti. Spero di non aver dimenticato nessuno, naturalmente non dimentico
Marco Pannella, Enzo Tortora e Leonardo Sciascia.
Pare quasi che la riforma della giustizia
sia una nostra ossessione, una fissazione, qualcosa di malato al limite dell’incapacità
di pensare e fare altro. Quello che non si capisce o non si vuole capire è che,
con il diritto a conoscere, la questione giustizia con la sua appendice carceraria
è la precondizione perché possa esserci uno Stato di Diritto. E’ questo un assunto
ideologico? Nient’affatto!
Il Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa è composto dai ministri degli affari esteri dei
47 Stati membri del Consiglio d'Europa. Ebbene questi 47 ministri hanno rilevato
a più riprese
“che le decisioni del Comitato sin dall'inizio degli anni '80 rivelano problemi
strutturali dovuti all'eccessiva durata dei procedimenti giudiziari civili, penali
e amministrativi in Italia; e che questo rappresenta un pericolo importante per
il rispetto dello Stato di diritto;”
Partendo da questo se ne trae una conclusione
logica.
Quarant’anni di durata eccessiva dei procedimenti
rappresenta un fatto strutturale, una violazione continua, reiterata. Quindi se
il pericolo era importante di per sé, dopo quarant’anni vi è da prendere atto che
vi è stata una patente violazione dello Stato di Diritto.
Anche la Commissione europea[11] registra che la giustizia italiana è sempre più lenta: se nel 2016 ci volevano
514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado per contenziosi civili e
commerciali, nel 2017 ce ne sono voluti, in media, 548; 843 giorni per arrivare
ad una sentenza di secondo grado e 1.299 per una sentenza di terzo grado.
E al degrado delle procedure
giudiziarie corrisponde il degrado della vita negli istituti penitenziari.
Il Consiglio d’Europa[12] registra che mentre il tasso di detenzione complessivo in Europa tra il 2016 e
il 2018 è diminuito del 6,6%, in Italia è aumentato del 7,5%.
L’Italia sino al 31 gennaio 2018 era al
quarto posto per le carceri più sovraffollate (115 detenuti in 100 posti)
superata da Macedonia del Nord (122,3 detenuti in 100 posti), Romania (120,3 detenuti
in 100 posti), Francia (con 116,3 detenuti in 100 posti).
Il centro dati
Rita Bernardini, sulla base dei dati ufficiali del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria, ha calcolato che attualmente ci sono 129 detenuti ogni 100 posti disponibili. Così l’Italia
è il paese con le carceri più sovraffollate tra i 47 paesi del Consiglio
d’Europa.
La percentuale di detenuti in custodia
cautelare è aumentata mediamente in tutta Europa dal 17,4% al 22,4% del totale
dei detenuti. Chi c’è al primo posto? L’Italia con il 34,5%: 20mila persone, di
cui quasi la metà sono in attesa di un primo giudizio, mentre gli altri hanno fatto
appello contro la condanna o sono entro i limiti temporali per farlo.
L’Italia registra anche la più alta percentuale
di detenuti condannati per reati legati alla droga, con il 31,1% dell’intera popolazione
carceraria contro una media europea del 16,8%.
Complessivamente aumentano i ricorsi alle
misure alternative rispetto alla detenzione[13]:
al 31 gennaio 2018, erano 1.810.357 le persone che ne beneficiavano (una media di
169 persone su 100mila abitanti) mentre erano 1.540.578 secondo il rapporto del
2016.
L’Olanda è il paese che concede più misure
alternative, seguita da Inghilterra e Romania. L’Italia si trova al 25° posto sui
33 Paesi monitorati per quanto riguarda il ricorso a queste misure in rapporto alla
popolazione carceraria.
Sul fronte degli indennizzi stabiliti dalla
Corte a titolo di equa soddisfazione[14],
l’Italia resta uno degli Stati condannati a pagare di più, dopo l’Albania e la Russia,
con un totale di 9 792 285 € (a fronte di più di 12 milioni nel 2017).
IL FRONTE FEDERALISTA, GLI STATI UNITI D'EUROPA (D’AFRICA, D’ASIA, DELLE CINE)
In un momento storico nel quale
tornano quali alternative allo Stato liberale protezionismi economici e
nazionalismi politici, il federalismo è l’unica risposta concreta per farvi
fronte.
Senza riconoscere che vi è stata una
degenerazione nel governo delle istituzioni liberali, come ad inizio del secolo
scorso, sarà molto facile soccombere.
E’ paradossale quello che accade
nell’Unione europea dove si fronteggiano europeisti intergovernativi e
antieuropeisti intergovernativi: due facce della stessa medaglia, quella degli
stati nazionali che decidono a dispetto dei cittadini e dei loro rappresentanti
riuniti nel Parlamento europeo.
Il pensiero di Altiero Spinelli,
Ernesto Rossi e Marco Pannella è ancora oggi la risposta più adeguata. Solo
federando e non dividendo sarà possibile rigenerare le istituzioni liberali.
Purtroppo la lezione del secolo scorso
non è stata di monito. Domani in mattinata su questo tema ci sarà l’intervento
del Professor Mario Baldassarri con il quale ci siamo spesso confrontanti sul
tema del federalismo e degli Stati Uniti d’europa.
L’antiproibizionismo, come il
federalismo, è una forma di governo di problemi altrimenti non governabili. Sarà
un caso ma, mentre in Europa esplodevano autoritarismi e totalitarismi, in
america esplose il proibizionismo. Non c’è fenomeno sociale, riprovevole o
meno, che possa essere governato più efficacemente con la repressione che con la
legalizzazione. Il rischio oggi è l’insorgere di un antiproibizionismo di
maniera, conformista, fine a se stesso, senza alcun obiettivo che non sia
quello della propaganda per la propaganda. Il recupero dell’antiproibizionismo quale
politica di buongoverno può diventare il grimaldello con il quale cercare di
mettere in guardia dal futuro che ci attende.
Ho finito. Sono molto interessato ai
suggerimenti che potranno venire da questo Congresso.
E alla capacità che non poche volte
abbiamo avuto di concepire il possibile che ancora non si scorge.
Grazie.
ALLEGATO 1 - Parlamento europeo - Allocuzione di Alejandro Toledo, Presidente della Repubblica del Perù - 5 dicembre 2002
Toledo, Presidente
del Perù. - (ES) Onorevole Cox, Presidente del Parlamento
Europeo, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio,
è davvero un onore essere qui, in un luogo che è il modello paradigmatico della
democrazia nel mondo. Trecentosettantaquattro milioni di europei che hanno deciso
di prendersi per mano per costruire uniti un mondo molto più integrato, un mondo
che va oltre gli affari e il commercio.
Oggi sono qui come Presidente costituzionale del
Perù, dopo avervi fatto visita a Strasburgo, la volta scorsa, in qualità di Presidente
eletto. Tuttavia, signor Presidente, la mia posizione di ribelle in nome della democrazia
e della libertà, dei diritti umani e dell’ambiente non è cambiata.
(Applausi)
L’Europa ha un ruolo cruciale nel mondo e vi prego
di permettermi, oggi, di riflettere insieme a voi con franchezza. Non c’è posto
nel mondo per una globalizzazione selettiva, la globalizzazione non può essere circoscritta
unicamente agli investimenti, al commercio o alle finanze. Se vi sono campi in cui
la globalizzazione ha senso sono la democrazia, la libertà, i diritti umani e l’ambiente,
perché la democrazia non ha nazionalità, come i diritti umani non hanno colore.
E perché è nostra responsabilità lasciare alle generazioni future un mondo vivibile
dove i nostri figli e i figli dei nostri figli possano godere con tranquillità non
solo della democrazia ma di un ambiente sano, dove le fabbriche che producono ricchezza
non possano distruggere la qualità dell’ambiente che le generazioni future erediteranno
da noi.
E’ vero che abbiamo bisogno di integrazione economica
e finanziaria. E’ vero che l’America Latina ha bisogno più che mai di diversificare
le sue relazioni commerciali e finanziarie. Ma è anche vero che è giunto il momento
di integrarci senza perdere la nostra identità nazionale, è giunto il momento di
affrontare la globalizzazione e la competitività a partire dalla premessa che la
nostra diversità è la nostra forza. La globalizzazione non deve creare una cultura
uniforme in tutto il mondo, sarebbe terribile se il Kentucky Fried Chicken o il McDonald’s fossero la cultura del mondo. Io mi ribello.
(Applausi)
Essere globali e competitivi non significa strapparsi
di dosso la propria identità nazionale, essere competitivi non significa togliere
umanità agli uomini e alle donne del mondo. Entrare a far parte della nuova cultura
CNN o della cultura di Internet che ci permette di navigare per il
mondo non deve separarci dalle nostre lingue, dai nostri cibi o dalle nostre caratteristiche
culturali. In questo Parlamento, per il quale nutro un profondo rispetto, io lancio
un invito affinché compiamo tutti gli sforzi possibili, signor Presidente, per cominciare
a dare un volto umano alla globalizzazione, se vogliamo che questa sia sostenibile
nel tempo.
Non possiamo parlare di globalizzazione e di competitività
quando ci sono milioni di milioni di uomini e di donne che stasera andranno a dormire
senza sapere se domani avranno qualcosa da mangiare. La globalizzazione, per essere
sostenibile nel tempo, deve essere onnicomprensiva, deve avere un volto umano e
deve includere coloro che oggi sono emarginati. In America latina il 44% della popolazione
vive al di sotto della soglia di povertà, il 21% della popolazione vive al di sotto
della soglia dell’estrema miseria: un dollaro al giorno.
Se non avete coscienza sociale, vi invito a pensare
in termini imprenditoriali. Considerate lo spreco di mano d’opera che potrebbe entrare
a far parte del processo produttivo e far sì che l’economia cresca in misura sostenuta.
Considerate lo spreco del mercato potenziale rappresentato da questo 44% di latinoamericani,
che potrebbe consumare più pane, più latte, più camicie, più scarpe. Se non volete
pensare in termini di equità sociale, pensate in termini di opportunità imprenditoriali.
Oggi sono venuto a condividere con voi una preoccupazione
latente nel cuore dell’America latina. Ho sollevato la questione al Vertice dei
Presidenti di Guayaquil e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Oggi, con
moltissimo affetto, ma al tempo stesso con molta franchezza, voglio esprimermi su
un argomento che necessita ancora di essere considerato a fondo, ma che espongo
come idea. Il mondo in via di sviluppo, e in particolare l’America latina, si trova
di fronte a un’enorme sfida: quella di rendere compatibile la gestione responsabile
delle politiche economiche. Sono 30 anni che ci impegniamo nel riassetto strutturale,
30 anni in cui ci è stato chiesto di rimettere in ordine economicamente la nostra
casa; ci abbiamo provato, alcuni più di altri, con maggiore o minore rigore. Eppure,
dopo 30 anni di riassetto strutturale, non siamo stati in grado di prendere il via,
non siamo stati capaci di passare dal riassetto strutturale a una nuova tappa di
crescita economica sostenuta che crei posti di lavoro dignitosi per la nostra gente,
in grado di generare reddito e di aumentare il consumo interno e, di conseguenza,
di elevare il livello di vita della popolazione.
Amiche e amici del Parlamento europeo, in America
latina comincia a serpeggiare una sensazione di delusione a proposito della democrazia.
Ci troviamo oggi di fronte a un dilemma che gli americani definirebbero di compatibilità
fra Wall Street e Main Street. Di fronte alle pentole che risuonano
nelle piazze dell’Argentina, del Venezuela, dell’Ecuador, della Colombia o dell’Uruguay,
non possiamo chiudere le orecchie né gli occhi, c’è una voce alla quale non possiamo
non rispondere. La gente comincia a chiedersi perché, con tanta democrazia, ci sia
così poco lavoro e sempre la stessa povertà. I Paesi industrializzati ci dicono
che la strada da seguire è il rafforzamento delle istituzioni democratiche e che
dobbiamo imbarcarci sul treno della globalizzazione e della competitività, mentre
la gente comune si chiede come farà a soddisfare le più elementari esigenze della
famiglia.
So che sto deliberatamente semplificando il problema,
ma questo è il grave dilemma che dobbiamo affrontare quando parliamo di gestione
responsabile della politica economica. Trent’anni di riassetto fallito non devono
portarci all’irresponsabilità. Non devono spingerci di nuovo verso il populismo.
Ma bisogna fare qualcosa. Le donne e gli uomini dell’America latina cominciano a
scendere in strada per protestare e cominciano a lamentarsi direttamente o indirettamente
della democrazia. Questo è pericoloso. Lo dico io, che sono un fanatico della libertà,
della democrazia, dei diritti umani e dell’ambiente. Ma non posso chiudere gli occhi
di fronte a quello che vedo e che sento.
In Perù il 54% della popolazione è condannato
a vivere al di sotto della soglia di povertà, il 23% è condannato a vivere al di
sotto della soglia dell’estrema miseria. E noi cosa diciamo loro? Che crediamo nella
democrazia. Alcuni dicono ancora: “con Fujimori, sotto la dittatura, si stava meglio”.
Sta succedendo qualcosa nella regione.
So che siete impegnati nell’enorme sfida dell’integrazione
europea e, forse, nell’esporvi questa mia preoccupazione sto distraendo la vostra
attenzione. Ma se è così, non vi chiedo scusa. Voglio soltanto dirvi che esiste
un continente disposto a comprare e a vendere, disposto a vivere in armonia con
le convinzioni democratiche, la difesa dei diritti umani e la cura dell’ambiente.
Spero che il processo di integrazione dell’Unione europea, che io ammiro, non vi
porti a trascurare ciò che avviene in un continente con un grande potenziale.
Nel mese di aprile o di maggio i Paesi membri
del Gruppo di Rio si riuniranno a Lima, e ho chiesto esplicitamente che tema centrale
dell’incontro sia la ricerca di meccanismi finanziari in grado di finanziare la
governabilità e la democrazia in America latina. La democrazia costa, è come una
pianta che non basta seminare, ma bisogna innaffiare, e non possiamo mai darla per
scontata. Il nostro cuore sanguina quando vediamo una nazione sorella come l’Argentina.
Ci rattrista la prospettiva di una possibile reazione a catena nella regione e,
per quanto responsabili noi siamo nella gestione della politica economica, non c’è
nessuno scudo che possa impedire una reazione a catena che potrebbe riportare la
regione ad oscillare fra nuovi autoritarismi con volti diversi.
Bisogna fare attenzione. Le democrazie non possono
più essere travolte da colpi di stato tradizionali, ma possono essere debilitate
dalla mancanza di risultati concreti per i poveri.
Abbiamo chiesto a due organismi internazionali
di aiutarci a trovare meccanismi finanziari che permettano di dare ossigeno alla
governabilità e alla democrazia, al di là degli accordi con il Fondo monetario internazionale
e con la Banca mondiale, che fissano livelli di indebitamento con i quali ci siamo
assunti impegni relativi ai livelli di deficit fiscale. E su questo io sono
d’accordo.
Non possiamo permetterci di cadere nel populismo,
perché la conseguenza sarebbe l’iperinflazione e l’iperinflazione fa sì che i poveri
diventino ancora più poveri. Ma a cosa ci serve non avere inflazione? A cosa serve
seguire fedelmente la ricetta del Fondo monetario internazionale? Il mio governo
ha appena firmato un accordo con il Fondo, ma a cosa serve se non produce i risultati
che i poveri si aspettano, dal momento che cominciano perdere fiducia nella democrazia?
E’ giunto il momento di sederci ad un tavolo e
studiare in maniera creativa meccanismi finanziari che esulino dai livelli di indebitamento
estero e che, senza infrangere la disciplina fiscale e monetaria, ci concedano un
grado maggiore di libertà finanziaria per investire in opere pubbliche in grado
di generare lavoro e di far sì che la governabilità e la democrazia nella regione
non siano minacciate.
Onorevoli parlamentari, due settimane fa, nel
mio paese, vi sono state elezioni regionali e municipali e il mio partito non ha
ottenuto buoni risultati. Avrei potuto utilizzare denaro pubblico, avrei potuto
distribuire regalie, avrei potuto fare del populismo, e probabilmente i risultati
elettorali per il mio partito sarebbero stati migliori. Ma non sono stato eletto
per governare a nome del mio partito, sono stato eletto per governare a nome di
tutti i peruviani e mi sono fermamente imposto di non prendere decisioni di Stato
pensando alle prossime elezioni. Mi sono imposto di prendere decisioni di Stato
pensando alle prossime generazioni, e per questo ho pagato un prezzo molto alto.
(Applausi)
Una gestione economica irresponsabile avrebbe
potuto significare pane per oggi e fame per domani. Sono nato in un piccolo paese
a 4000 metri sopra il livello del mare, sulle Ande peruviane, vicino al sole. Ho
avuto l’opportunità di arrivare dove sono arrivato, e avere il privilegio di venire
qui, di rivolgermi al Parlamento europeo, grazie a una sola cosa: l’istruzione.
(Applausi)
So che la mia presenza qui, per molti, può apparire
strana. Ci sono alcuni parlamentari europei che si sono impegnati con me nella lotta
contro la dittatura e contro la corruzione. So che la mia presenza può apparire
strana a molti, perché, per la prima volta in 500 anni, in Perù, grazie agli insegnanti
e all’istruzione, un uomo della mia provenienza etnica, per un errore statistico,
è diventato Presidente della Repubblica. E fin d’ora mi impegno a fare tutto il
possibile affinché altre donne e uomini come me possano diventare Presidenti del
Perù.
(Applausi)
Questa riflessione ha a che vedere con una decisione
di politica statale. Sono venuto a chiedere ai miei amici europei: per favore, non
vendeteci armi. Vi chiedo, per favore, di non venderci aerei, navi né carri armati.
Lasciateci cambiare priorità al nostro bilancio pubblico già precario. L’anno scorso,
assumendo la Presidenza, mi sono impegnato dinanzi al mio popolo a non tradirlo.
Nel 2002 ho deciso di ridurre del 20% le spese militari per destinare il ricavato
alla salute e all’istruzione dei poveri del Perù. E intendo farlo nei prossimi cinque
anni.
(Applausi)
So che siete tolleranti e mi capirete. Non regalateci
latte. Non regalateci i vostri prodotti agricoli, per favore…
(Applausi)
…perché se ci regalate latte, se ci regalate grano,
ciò rappresenta una concorrenza sleale per gli agricoltori peruviani.
(Applausi)
Con tutto l’affetto e l’ammirazione che nutro
per questo Parlamento, permettetemi di dire con tutta franchezza che è giunto il
momento di costruire un’autostrada commerciale a doppio senso. Fate quello che chiedete
di fare a noi: apriteci i vostri mercati.
(Applausi)
Ci dite che dobbiamo praticare un’economia aperta,
e io sono d’accordo. Ci dite che non dobbiamo dare sussidi all’agricoltura, e io
sono d’accordo. Ma allora non date neppure voi sussidi all’agricoltura, aprite i
vostri mercati.
(Applausi)
La ragione è molto semplice, miei cari amici,
e spero che accogliate quello che dico in senso buono, sono le parole di qualcuno
che ammira il processo di integrazione europea: il commercio è lavoro. Se non riusciamo
a collocare i nostri prodotti, avremo sempre più uomini e donne disoccupati. Se
ci chiedete di fare qualcosa che voi stessi non siete disposti a fare, non aiutateci:
muoviamoci insieme. Se crediamo che la globalizzazione debba essere onnicomprensiva,
prendiamoci per mano per permettere anche ai poveri di entrare nella globalizzazione.
Un modo di farlo è costruire un’autostrada commerciale a doppio senso. Mi piace
l’uguaglianza. So che agite con sollecitudine. So che nel fornire il vostro appoggio
alimentare siete spinti da senso umanitario, ma permettetemi di dirvi, a mia volta
con affetto, che i poveri dell’America latina saranno poveri ma hanno dignità. Non
vogliono che gli si regalino briciole, chiedono soltanto che gli apriate i vostri
mercati per collocare i loro prodotti su un piano di concorrenza leale dal punto
di vista della qualità e del prezzo.
(Applausi)
Onorevoli deputati, mi è toccato governare un
paese che esce da dieci anni di dittatura crudele, associata alla corruzione, al
narcotraffico e al traffico d’armi. Ci è stato consegnato un paese con elevate aspettative
sociali pienamente giustificate. Un paese in recessione da quattro anni. Un paese
deistituzionalizzato. Un paese che ha perso la fiducia nei propri uomini politici.
Potete immaginare un paese europeo in cui un Primo
Ministro o un Presidente scappa dalla porta di servizio del palazzo del governo,
si nasconde in Giappone, sotto un’altra nazionalità, e dà le dimissioni via fax?
Solo in un mondo politico surreale si può immaginare una cosa del genere. Questo
fatto è penetrato nell’anima degli uomini e delle donne del Perù, che non credono
più a niente. E a noi tocca la responsabilità di riscattarne la fede e la fiducia.
Tre giorni dopo aver assunto l’incarico della Presidenza, avevo già di fronte al
palazzo del governo gruppi di manifestanti che davano sfogo alle loro aspettative.
Non vengo a cantar vittoria né a fare del trionfalismo,
ma posso dirvi che l’economia peruviana ha cominciato a crescere, che abbiamo un’inflazione
al di sotto dell’1%, che le riserve internazionali sono al livello più alto mai
raggiunto, che i tassi di disoccupazione cominciano lentamente a scendere, anche
se non tanto in fretta come vorremmo. E ora mi sto impegnando affinché i successi
a livello macroeconomico vengano avvertiti anche a livello delle tasche dei cittadini.
Amiche e amici, ho 56 anni e il mio cammino è
stato lungo e irto di difficoltà, ma ho imparato che quel che non uccide, rafforza.
Oggi vengo a condividere con voi la mia convinzione personale e a dirvi che l’investimento
più redditizio che può fare una famiglia o una società come quella peruviana è investire
nella mente della sua gente. Questo, detto molto semplicemente, significa: investire
nella salute, nell’istruzione e nella giustizia per i poveri. L’investimento nella
salute e nell’istruzione, lo sapete meglio di me, è un investimento con un altissimo
ritorno. La conoscenza è un’impresa a basso rischio, che opera nel lungo termine
e di grande mobilità. Potranno venire governi populisti, ma non potranno nazionalizzare
la conoscenza della nostra gente. Potranno venire governi sostenitori di un’eccessiva
privatizzazione ma non potranno privatizzare ciò che è stato investito nelle menti.
Oggi, nel concludere questa riflessione, signor
Presidente, desidero soltanto dire che è giunto il momento di lavorare insieme per
far sì che libertà, democrazia, rispetto per i diritti umani e salvaguardia dell’ambiente
non siano unicamente una preoccupazione dell’America latina. Oggi voglio riflettere
con voi sul fatto che la salute economica mondiale dipende dalla forza delle istituzioni
democratiche e dalla sicurezza globale. L’Atlantico è sempre più piccolo. La globalizzazione
e la concorrenza, per mezzo della tecnologia, devono avere un volto umano e comprendere
tutti. E questo va ottenuto attraverso l’investimento nella salute e nell’istruzione.
Signor Presidente, ho voluto condividere queste
riflessioni personali con lei, con voi, onorevoli parlamentari, perché nell’aprile
del prossimo anno, in Perù, i Paesi membri del Gruppo di Rio si riuniranno per esaminare
specificamente una proposta volta a trovare meccanismi che permettano di finanziare
la governabilità e la democrazia in America latina, per far sì che i poveri non
perdano la fiducia nella democrazia. Siamo venuti a imparare dall’esperienza del
processo di integrazione europeo. L’America latina sta cercando di costruire la
propria integrazione. I Paesi andini stanno cercando di imparare la lezione offerta
dal processo da voi intrapreso. Vogliamo una Comunità andina integrata, un’America
latina più solida che possa essere un interlocutore dell’Unione europea, e spero
che alla riunione di Rio ci sia data l’opportunità di avere osservatori dell’Unione
europea che, con la loro esperienza, possano illuminarci in questo processo.
Onorevoli parlamentari, poiché mi avete offerto
il privilegio di condividere con voi questa riflessione, voglio dirvi che i milioni
di uomini e donne nel mondo che oggi vivono con un dollaro al giorno si attendono
dall’Unione europea, dai Paesi industrializzati, uno sforzo che li renda partecipi
della globalizzazione con un volto umano, una globalizzazione che permetta di non
mettere in discussione le istituzioni democratiche e consenta ai poveri di non perdere
la speranza nella democrazia.
(Applausi)
ALLEGATO 2 – I QUESITI REFERENDARI PROMOSSI DAL PARTITO RADICALE
Le 59 consultazioni referendarie
I referendum abrogativi su scala nazionale in Italia sono stati in totale
59. A questi vanno aggiunti 4 referendum non abrogativi, elencati in fondo alla
pagina. Ecco l’elenco delle consultazioni referendarie nella repubblica italiana:
12 maggio 1974
Divorzio | Abrogazione della legge Fortuna-Baslini, del 1970, con la quale era stato
introdotto in Italia il divorzio.
Affluenza: 87,7%, quorum | SI 40,7%; NO 59,3%; risultato: NO
11 giugno 1978
Ordine Pubblico | Abrogazione della legge Reale: norme restrittive in tema di ordine
pubblico.
Affluenza: 81,2%, quorum | SI 23,5%; NO 76,5%; risultato: NO
Finanziamento Partiti | Eliminazione del finanziamento dei partiti da parte dello
Stato (primo tentativo).
Affluenza: 81,2%, quorum | SI 43,6%; NO 56,4%; risultato: NO
17 maggio 1981
Ordine Pubblico | Abrogazione della legge Cossiga, che era stata concepita per affrontare
l’emergenza terrorismo in Italia.
Affluenza: 79,4%, quorum | SI 14,9%; NO 85,1%; risultato: NO
Ergastolo | Abolizione della pena dell’ergastolo.
Affluenza: 79,4%, quorum | SI 22,6%; NO 77,4%; risultato: NO
Porto d’Armi | Abolizione delle norme sulla concessione di porto d’arma da fuoco
Affluenza: 79,4%, quorum | SI 14,1%; NO 85,9%; risultato: NO
Interruzione gravidanza 1 | Abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto
per rendere più libero il ricorso all’interruzione di gravidanza. Promosso dai Radicali.
Affluenza: 79,4%, quorum | SI 11,6%; NO 88,4%; risultato: NO
Interruzione gravidanza 2 | Abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto
per restringere i casi di liceità dell’aborto. Di segno opposto al primo quesito.
Promosso dal Movimento per la vita.
Affluenza: 79,4%, quorum | SI 32,0%; NO 68,0%; risultato: NO
9 e 10 giugno 1985
Scala Mobile | Abolizione della norma che comporta un taglio dei punti della scala
mobile. Promosso dal PCI.
Affluenza: 77,9%, quorum | SI 45,7%; NO 54,3%; risultato: NO
8 novembre 1987
Responsabilità Giudici | Abrogazione delle norme limitative della responsabilità
civile per i giudici.
Affluenza: 65,1%, quorum | SI 80,2%; NO 19,8%; risultato: SI
Commissione Inquirente | Abolizione della commissione inquirente e del trattamento
dei reati dei ministri.
Affluenza: 65,1%, quorum | SI 85,0%; NO 15,0%; risultato: SI
Nucleare 1 | Abrogazione dell’intervento statale se il Comune non concede un sito
per la costruzione di una centrale nucleare.
Affluenza: 65,1%, quorum | SI 80,6%; NO 19,4%; risultato: SI
Nucleare 2 | Abrogazione dei contributi di compensazione agli enti locali per la
presenza sul proprio territorio di centrali nucleari.
Affluenza: 65,1%, quorum | SI 79,7%; NO 20,3%; risultato: SI
Nucleare 3 | Esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione
di centrali nucleari all’estero.
Affluenza: 65,1%, quorum | SI 71,9%; NO 28,1%; risultato: SI
3 giugno 1990
Caccia 1 | Disciplina della caccia
Affluenza: 43,4%, quorum non raggiunto | 92,2%; NO 7,8%; risultato: non valido
Caccia 2 | Accesso dei cacciatori a fondi privati
Affluenza: 42,9%, quorum non | 92,3%; NO 7,7%; risultato: non valido
Uso Pesticidi | Abrogazione dell’uso dei pesticidi nell’agricoltura. Promosso dai
Verdi.
Affluenza: 43,1%, quorum non | SI 93,5, NO 6,5%; risultato: non valido
9 e 10 giugno 1991
Preferenza Unica | Riduzione del sistema delle preferenze nelle liste per la Camera
dei deputati, portandole da tre a una.
Affluenza: 62,5%, quorum | SI 95,6%; NO 4,4%; risultato: SI
18 e 19 aprile 1993
Controlli Ambientali | Abrogazione delle norme sui controlli ambientali effettuati
per legge dalle USL.
Affluenza: 76,8%, quorum | SI 82,6%; NO 17,4%; risultato: SI
Stupefacenti | Abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe
leggere. Promosso dai Radicali.
Affluenza: 77,0%, quorum | SI 55,4%; NO 44,6%; risultato: SI
Finanziamento Partiti | Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (secondo
tentativo).
Affluenza: 77,0%, quorum | SI 90,3%; NO 9,7%; risultato: SI
Casse di Risparmio | Abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche
pubbliche.
Affluenza: 76,9%, quorum | SI 89,8%; NO 10,2%; risultato: SI
Partecipazioni Statali | Abrogazione della legge che istituisce il Ministero delle
Partecipazioni Statali.
Affluenza: 76,9%, quorum | SI 90,1%; NO 9,9%; risultato: SI
Leggi Elettorali Senato | Abrogazione della legge elettorale per il Senato per introdurre
il sistema maggioritario.
Affluenza: 77,0%, quorum | SI 82,7%; NO 17,3%; risultato: SI
Ministero Agricoltura | Abrogazione della legge che istituisce il Ministero dell’Agricoltura.
Affluenza: 76,9%, quorum | SI 70,2%; NO 29,8%; risultato: SI
Ministero Turismo | Abrogazione della legge che istituisce il Ministero del Turismo
e Spettacolo.
Affluenza: 76,9%, quorum | SI 82,3%; NO 17,7%; risultato: SI
11 giugno 1995
Rappresentanze Sindacali 1 | Liberalizzazione delle rappresentanze sindacali (abolizione
del monopolio confederale).
Affluenza: 57,2%, quorum | SI 49,97%; NO 50,03%; risultato: NO
Rappresentanze Sindacali 2 | Rappresentanze sindacali nella contrattazione pubblica:
modifica dei criteri di rappresentanza in modo che questa vada anche alle organizzazioni
di base.
Affluenza: 57,2%, quorum | SI 62,1%; NO 37,9%; risultato: SI
Pubblico Impiego | Contrattazione collettiva nel pubblico impiego: abrogazione della
norma sulla rappresentatività per i contratti del pubblico impiego.
Affluenza: 57,4%, quorum | SI 64,7%; NO 35,3%; risultato: SI
Soggiorno Cautelare | Abrogazione della norma sul soggiorno cautelare per gli imputati
di reati di mafia.
Affluenza: 57,2%, quorum | SI 63,7%; NO 36,3%; risultato: SI
Privatizzazione RAI | Abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI, in
modo da avviarne la privatizzazione.
Affluenza: 57,4%, quorum | SI 54,9%; NO 45,1%; risultato: SI
Autorizzazione Commercio | Abrogazione della norma che sottopone ad autorizzazione
amministrativa il commercio.
Affluenza: 57,2%, quorum | SI 35,6%; NO 64,4%; risultato: NO
Orario degli Esercizi Commerciali | Abrogazione della norma che impedisce la liberalizzazione
degli orari dei negozi.
Affluenza: 57,3%, quorum | SI 37,5%; NO 62,5%; risultato: NO
Contributi Sindacali | Abrogazione della norma che impone la contribuzione sindacale
automatica ai lavoratori.
Affluenza: 57,3%, quorum | SI 56,2%; NO 43,8%; risultato: SI
Elettorale Piccoli Comuni | Legge elettorale per i comuni con popolazione superiore
a 15.000 abitanti: estensione ai Comuni più grandi dell’elezione diretta del sindaco
già prevista per i piccoli.
Affluenza: 57,4%, quorum | SI 49,4%; NO 50,6%; risultato: NO
Concessioni per la Radiodiffusione Televisiva | Abrogazione delle norme che consentono
la concentrazione di tre reti televisive.
Affluenza: 58,1%, quorum | SI 43,1%; NO 56,9%; risultato: NO
Interruzioni Pubblicitarie | Abrogazione delle norme che consentono un certo numero
di break pubblicitari in tv.
Affluenza: 58,1%, quorum | SI 44,3%; NO 55,7%; risultato: NO
Raccolta Pubblicità TV | Modifica del tetto massimo di raccolta pubblicitaria delle
televisioni private.
Affluenza: 58,1%, quorum | SI 43,6%; NO 56,4%; risultato: NO
15 giugno 1997
Privatizzazione | Abolizione dei poteri speciali riservati al Ministro del Tesoro
nelle aziende privatizzate.
Affluenza: 30,2%, quorum non | 74,1%; NO 25,9%; risultato: non valido
Obiezione di Coscienza al Servizio Militare | Abolizione dei limiti per essere ammessi
al servizio civile in luogo del servizio militare.
Affluenza: 30,3%, quorum non | 71,7%; NO 28,3%; risultato: non valido
Caccia | Abolizione della possibilità per il cacciatore di entrate liberamente nel
fondo altrui.
Affluenza: 30,2%, quorum non | 80,9%; NO 19,1%; risultato: non valido
Carriere Magistrati | Abolizione del sistema di avanzamento nella carriera dei magistrati.
Affluenza: 30,2%, quorum non | 83,6%; NO 16,4%; risultato: non valido
Ordine dei Giornalisti | Abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Promosso dai Radicali.
Affluenza: 30,0%, quorum non | 65,5%; NO 34,5%; risultato: non valido
Incarichi Extragiudiziali dei Magistrati | Abolizione della possibilità per i magistrati
di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie.
Affluenza: 30,2%, quorum non | 85,6%; NO 14,4%; risultato: non valido
Ministero Politiche Agricole | Abrogazione della legge che istituisce il Ministero
delle Politiche Agricole.
Affluenza: 30,1%, quorum non | 66,9%; NO 33,1%; risultato: non valido
18 aprile 1999
Quota Proporzionale | Abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della
Camera dei Deputati.
Affluenza: 49,6%, quorum non | 91,5%; NO 8,5%; risultato: non valido
21 maggio 2000
Finanziamento Partiti | Eliminazione del rimborso spese per consultazioni elettorali
e referendarie
Affluenza: 32,2%, quorum non | 71,1%; NO 28,9%; risultato: non valido
Quota Proporzionale
Abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei Deputati
Affluenza: 32,4%, quorum non | 82,0%; NO 18,0%; risultato: non valido
Elezione del CSM
Abolizione del voto di lista per l’elezione dei membri togati del CSM.
Affluenza: 31,9%, quorum non | 70,6%; NO 29,4%; risultato: non valido
Separazione Carriere Magistrati
Separazione netta della carriera di un magistrato pubblico ministero da quella di
un giudice. Promosso dai Radicali.
Affluenza: 32,0%, quorum non | 69,0%; NO 31,0%; risultato: non valido
Incarichi Extragiudiziali | Abolizione della possibilità per i magistrati di assumere
incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie.
Affluenza: 32,0%, quorum non | 75,2%; NO 24,8%; risultato: non valido
Licenziamento - Art. 18 | Abrogazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori.
Promosso dai Radicali.
Affluenza: 32,5%, quorum non | 33,4%; NO 66,6%; risultato: non valido
Trattenute Sindacali | Abrogazione della possibilità di trattenere dalla busta paga
o dalla pensione la quota di adesione volontaria a un sindacato o associazione di
categoria attraverso un patronato.
Affluenza: 32,2%, quorum non | 61,8%; NO 38,2%; risultato: non valido
15 giugno 2003
Reintegrazione dei lavoratori | Estensione del diritto al reintegro nel posto di
lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa. Promosso da Rifondazione
Comunista.
Affluenza: 25,5%, quorum non | 86,7%; NO 13,3%; risultato: non valido
Servitù coattiva di elettrodotto | Abrogazione dell’obbligo per i proprietari terrieri
di dar passaggio alle condutture elettriche sui loro terreni. Promosso dai Verdi.
Affluenza: 25,6%, quorum non | 85,6%; NO 14,4%; risultato: non valido
12 e 13 giugno 2005
Procreazione medicalmente assistita I | Limite alla ricerca clinica e sperimentale
sugli embrioni.
Affluenza: 25,4%, quorum non | 88,0%; NO 12,0%; risultato: non valido
Procreazione medicalmente assistita II | Norme sui limiti all’accesso alla procreazione
medicalmente assistita.
Affluenza: 25,5%, quorum non | 88,8%; NO 11,2%; risultato: non valido
Procreazione medicalmente assistita III | Norme su finalità, diritti, soggetti coinvolti
e limiti all’accesso alla procreazione medicalmente assistita.
Affluenza: 25,5%, quorum non | 87,7%; NO 12,3%; risultato: non valido
Procreazione medicalmente assistita IV | Divieto di fecondazione eterologa.
Affluenza: 25,5%, quorum non | 77,4%; NO 22,6%; risultato: non valido
A questi vanno aggiunti altri quattro referendum su scala
nazionale per i quali non era previsto alcun quorum di validità:
- Il c.d. Referendum
istituzionale del 2 giugno 1946 in cui il popolo è chiamato a scegliere tra Monarchia
(10.718.502 voti pari al 45,7%) e Repubblica (12.718.641 pari al 54,3%), dove vota
comunque l’89,1% degli aventi diritto;
- il Referendum consultivo del 1989
sul conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo, tenuto il 18 giugno
1989: i voti favorevoli sono 29.158.656 (88,0%) e i contrari 3.964.086 (12,0%) con
l’80,7% di votanti;
- il Referendum costituzionale del 2001
sulla modifica del Titolo V della Costituzione, tenuto il 7 ottobre 2001: i favorevoli
sono 10.433.574 (64,2%) e i contrari 5.816.527 (35,8%), con il 34,1% di votanti.
- il Referendum costituzionale del 2006
sulla modifica della Parte II della Costituzione, tenuto il 25 e 26 giugno 2006.
Si tratta del secondo referendum costituzionale confermativo della storia repubblicana,
per approvare o bocciare la riforma voluta e approvata nella XIV legislatura esclusivamente
dal centro-destra: favorevoli il 38,3% e contrari il 61,7%, con il 53,6% dei votanti.
I 50 referendum respinti dalla Corte Costituzionale
1977 Reati opinione e associazione | Concordato
| Abolizione Tribunali Militari - 1 | Abolizione Tribunali Militari - 2
1980 Reati opinione e associazione | Caccia
| Legalizzazione non droghe | Smilitarizzazione Guardia Finanza | Localizzazione
centrali nucleari
1986 Caccia - 1 (2) | Caccia - 2 (2) | Sistema
Elettorale CSM
1990 Legge elettorale Senato (3) | Legge elettorale
Comuni (3)
1992 Legge Elettorale Senato - 2 (Corel)
1994 Pubblicità RAI-TV (4) | Tesoreria Unica
(4) | Sostituto d’imposta | Servizio Sanitario Nazionale | Cassa Integrazione straordinaria
| Legge Elettorale Camera | Legge Elettorale Senato
1995 ENEL: liberalizzazione produzione | Assistenza
Sindacale Patti in Deroga | Legge elettorale Camera | Legge elettorale Senato |
Legalizzazione droghe leggere | Sistema elettorale CSM | Smilitarizzazione Guardia
Finanza | Responsabilità civile Magistrati | Aborto di Stato | Limitazione pubblicità
RAI-TV | Ritenuta d’acconto | Servizio Sanitario Nazionale | Scuola Elementare
| Pubblico Registro Automobilistico
1999 Collocamento al lavoro | Tempo determinato
| Part time | Lavoro a domicilio | Sostituto d’imposta | Smilitarizzazione della
guardia di Finanza | Pensioni di anzianità | Servizio sanitario nazionale | Monopolio
Inail | Responsabilità civile dei magistrati | Carcerazione preventiva | Termini
ordinatori e perentori | Patronati sindacali
2004 "Norme in materia
di procreazione medicalmente assistita (Legge 40/2004)
* * * * *
[1] International Panel
of Experts on Sustainable Food System -IPES Food
[2] “Too big to feed:
Exploring the impact of mega-mergers, consolidation and concentration of power
in the agri-food sector”
[3] ADM-Archer Daniels
Midland (USA), Bunge (USA), Cargill (USA), Louis Dreyfus Commodities (Francia).
[4] “Rising Global Interest in Farmland”
[5] Extent of Farmland Grabbing in the EU, Istituto
Transnazionale (TNI), 2015 - commissionato dalla Commissione per l’agricoltura
e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo
[6] Risoluzione 2016/2141(INI)
[7] Nuovo Rapporto sulla
popolazione mondiale 2019, Dipartimento degli affari economici e sociali delle
Nazioni Unite, giugno 2019.
[8] Povertà e prosperità
condivisa 2018”
[9] Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile nel settembre
2016
[10] Intergovernmental
Panel on Climate Change, IPCC
[11] Quadro di valutazione UE della
giustizia 2019, 26 aprile 2019, Commissione europea.
[12] Statistiche penali annuali per il 2018
(SPACE I), 2 aprile 2019, Consiglio d’Europa.
[13] Statistiche annuali sulle misure
alternative alla detenzione SPACE II, 21 maggio 2019, Consiglio d’Europa.
[14] Rapporto annuale sull’esecuzione delle
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 aprile 2019.