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2007 08 24 * Liberazione * Lipari, giustizia veloce ed iniqua * Maurizio Turco

E’ inevitabile che la rapidità con la quale è stato giudicato un giovane che ha tagliato le cime ad uno yacht ormeggiato a Lipari, in cui era ospite il Ministro Mastella, susciti qualche perplessità, non tanto per il sospetto di un intervento del Ministro a cui non crediamo, quanto perché la "giustizia" nel nostro paese ha tutt’altro volto. L’indipendenza dei magistrati, tempi rapidi per il giudizio e certezza della pena sono caratteristiche essenziali e caratterizzanti di una giustizia giusta. Se l’indipendenza dei magistrati, in ragione dell’organizzazione del sistema, è a nostro avviso discutibile, sui tempi della giustizia e la certezza della pena basta rifarsi ai dati oggettivi. E, i dati, non lasciano spazio a dubbi. Tant’è che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il 14 febbraio 2007, ha adottato l’ennesima risoluzione relativa al problema della durata eccessiva delle procedure giudiziarie in Italia. Nelle premesse si legge che sono «molto numerose le sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo e le decisioni del Comitato prese sin agli inizi degli anni 1980, che rivelano dei problemi strutturali in ragione della durata eccessiva delle procedure giudiziarie civili, penali e amministrative in Italia» e pertanto si ricorda «che il non funzionamento della giustizia, in ragione dell’eccessiva durate delle procedure, rappresenta un importante pericolo per il rispetto dello Stato di diritto». La risoluzione si conclude, tra l’altro, appellandosi «alle più alte istanze italiane affinché mantengano il loro impegno politico a risolvere il problema della durata eccessiva delle procedure giudiziarie.» Ma il caso del giovane di Lipari è un caso più unico che raro e in questi rari casi in cui prevale la rapidità, che al pari della lentezza non è dunque un buon indice dello stato della giustizia, c’è sempre qualche potente di mezzo. E se non è una persona è un paese. Per esempio, a luglio un cittadino italiano, Benedetto Cipriani, è stato estradato in fretta e furia negli Stati Uniti dove è accusato dallo Stato del Connecticut di omicidio plurimo. Cipriani è stato prelevato da casa e trasferito nel carcere di Frosinone e, il giorno dopo, è stato consegnato agli agenti dell’Fbi e imbarcato su un aereo per gli Stati Uniti. «Considererò con grande attenzione la situazione del Cipriani alla stregua di tutti gli elementi di valutazione a mia disposizione» aveva dichiarato in Aula il giorno prima il Ministro della Giustizia Clemente Mastella. E’ vero che Benedetto Cipriani è accusato di un reato per cui rischia sessant’anni di reclusione ma i suoi complici, per lo stesso fatto, sono accusati di un reato capitale, destino che potrebbe toccare, almeno in linea teorica, anche al nostro concittadino. Non è in discussione il principio sacrosanto di cooperazione internazionale in materia giudiziaria, ma l’estradizione è stata decisa in ossequio al potente alleato, più che ad un atto dovuto. Tant’è che di cooperazione unilaterale si tratta. Infatti non è mai successo che gli Stati Uniti abbiano estradato un cittadino americano per reati commessi nel nostro paese o nei confronti di cittadini italiani. In certi casi l’Italia non ha neanche osato chiedere l’estradizione. Nella vicenda del nostro Nicola Calipari, ucciso da soldati americani a un posto di blocco a Baghdad, come nel caso Abu Omar, rapito a Milano da agenti della Cia e deportato in Egitto, come pure nella strage del Cermis, dove morirono 20 persone per un incidente provocato da un aereo statunitense nei cieli italiani, l’Italia non solo non ha chiesto o ottenuto l’estradizione dei responsabili, ma spesso non ha ottenuto neanche una prova concreta di collaborazione da parte degli Stati Uniti. Non v’è dubbio che questi due episodi non siano la norma della "giustizia" italiana. E tuttavia di quale giustizia parliamo? Bastano alcune cifre per disegnare uno scenario da farsa: dal 2000 al 2004 sono stati prescritti oltre I. milione dì processi, per non dire degli 8 milioni di processi penali e dei 3 milioni di processi civili pendenti, per non parlare delle carceri e di quell’obbrobrio che è il 41 bis. Altro che culla, questo paese è la tomba del diritto.