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2007 08 28 * Il Riformista * La strana linea di Pöttering e del PPE sulla Turchia Su diritti e laicità l`Ue ha due pesi e due misure * Maurizio Turco

Il presidente del Parlamento europeo, Hans Pöttering, intervenendo il 19 agosto al meeting di Cl a Rimini, ha proposto due argomenti di stretta attualità europea, l'adesione della Turchia e il mancato inserimento delle radici cristiane nella costituzione.

Va dato atto a Pöttering di aver premesso che, sull'uno e sull'altro tema, lui, all'interno del parlamento che presiede, è in minoranza. Sul mancato inserimento delle radici cristiane nella mancata Costituzione, Pöttering si è detto «molto dispiaciuto». Oggi, a fronte di un mini-trattato di compromesso tra Stati, Pöttering sostiene che «i valori che vi sono espressi, anche senza precisi riferimenti, sono gli stessi di quelli cristiani». Ma la battaglia non è mai stata sui «valori»; si tratta di scrivere un testo fondato sui principi della democrazia e dello stato di diritto e non un nuovo vangelo. Che poi la democrazia liberale e lo stato di diritto siano valori cristiani, è discorso che meriterebbe un approfondimento a parte; mi limito qui a constatare che le gerarchie di tutte le religioni, certamente di quelle monoteistiche, sono in perenne contrasto con il potere politico, a meno che ... non ne siano le detentrici. Non è un caso che l'altro motivo per cui Pöttering è «molto dispiaciuto» sia quello dell'adesione della Turchia all'Unione europea. Egli sostiene che «il negoziato di adesione deve proseguire in modo da favorire l'evoluzione della Turchia in tema di diritti civili e di riforme, anche se la conclusione delle trattative non dovrà coincidere automaticamente con l'adesione del paese islamico alla Ue».

 

Democrazia. La valutazione da parte dell'Ue sul rispetto della democrazia e dei diritti umani in un paese aderente, per essere credibile, dovrebbe misurarsi innanzitutto con la capacità di valutare quella dei paesi membri.

Ricordo bene l'intervento di Pöttering alla conferenza dei presidenti del Parlamento europeo il 4 luglio 2002. Avevo attivato, a termini di regolamento, la procedura contro l'Italia per violazioni dello Stato di diritto, a causa della mancanza del plenum alla Camera dei deputati e in seno alla Corte costituzionale. Dopo la mia introduzione intervenne subito Pöttering, allora presidente del gruppo Ppe, il quale «si dichiara sorpreso da tale iniziativa. Il Parlamento europeo deve rispettare lo stato di diritto negli Stati membri, indipendentemente dal fatto che si approvi o no un determinato governo. L'Italia dispone senza alcun dubbio di uno stato di diritto e di una democrazia che funzionano. Sarebbe un segno di arroganza, se il Parlamento europeo si elevasse a giudice a seguito di eventuali carenze in uno Stato membro. (...) Egli sconsiglia di avviare tale azione, soprattutto nel contesto attuale della Convenzione, dove il sostegno degli Stati membri è indispensabile, e si pronuncia contro il deferimento all'Aula». E' lo stravolgimento delle regole scritte, eppure i presidenti di tutti i gruppi, ad eccezione del verde Cohn Bendit, si accodano a loro turno alla proposta di Pöttering. Ho voluto citare questa vicenda perché ritengo che, se messa a confronto della durezza con la quale si chiede il rispetto dello stato di diritto ai paesi che vogliono aderire all'Ue, dia un quadro ben preciso di come a livello istituzionale, e non solo da parte di Pöttering, la valutazione del rispetto della democrazia non sia obiettiva: soft se a dover rispettare la democrazia è un paese che già fa parte dell'Unione, hard quando il paese sotto esame non è ancora entrato (o non lo si vuole far entrare).

 

Religione. Per non dire se si tratta che a chiedere l'adesione sia un paese islamico: a Pöttering, membro del gruppo del Partito popolare europeo, causa molto dispiacere. En passant: il partito di Erdogan, l'Akp, è un partito che fa parte in qualità di osservatore del Partito popolare europeo. Ma, aldilà delle apparenze, Pöttering è in perfetta sintonia con il Ppe. La strategia è nota. Ufficialmente il Ppe è favorevole all'ingresso della Turchia nell'Unione europea, al punto da accogliere l'Akp nel Partito popolare europeo, dopo di che, diversi membri del gruppo (a titolo individuale, naturalmente) sono contrari. Questo modus operandi è peraltro simile a quello delle gerarchie vaticane.

Mentre Giovanni Paolo II non era contrario all'adesione della Turchia, c'era un autorevole cardinale, Joseph Ratzinger, che invitava la Turchia «a costruire un continente culturale con i paesi arabi vicini e a divenire la protagonista di una cultura che possiede la sua propria identità». Adesso che Ratzinger è papa i ha cambiato toni, mentre il suo Segretario, Georg Gaenswein, dichiara che «l'Islam minaccia l'identità dell'Europa».

 

Conclusioni. Onestà intellettuale e politica vorrebbe che, chi ne è convinto, dicesse chiaramente che l'ingresso della Turchia nell'Unione europea è in discussione a causa della fede religiosa dei suoi cittadini. Si preferisce agitare lo spettro della valutazione europea sul rispetto della democrazia e dei diritti civili in Turchia: hanno comprensibilmente pudore a parlare chiaramente della questione religiosa, che fine farebbe il principio fondamentale della libertà religiosa? In realtà, più che di convinzioni, si tratta di paure, che sono tali perché in Europa è stato smarrito il senso della laicità delle istituzioni. Può esistere la libertà religiosa se una confessione pretende di essere riconosciuta sul piano istituzionale statuale come diversa dalle altre?

In Italia persiste l'articolo 7 della Costituzione che, per quanto non attribuisca alla religione cattolica il rango di religione di Stato, gli garantisce un piano diverso e superiore a confronto di qualsiasi altra confessione, anche cristiana. In Europa ciò non si sarebbe potuto fare per il semplice fatto che i protestanti sono una realtà importante, ragione per cui ci si sarebbe "accontentati" di inserire le radici cristiane tra gli elementi fondamentali dell'esistenza dell'Ue. Ciò non avrebbe impedito alle altre confessioni di esercitare il proprio culto, ma lo avrebbero fatto a partire da un piano secondario, inferiore, subalterno. Insomma, una vera e propria guerra di religione combattuta usando la politica. Siamo certi che l'Unione europea abbia quella forza e quella credibilità necessarie per chiedere alla Turchia di adeguarsi alle "leggi" europee, quando le stesse istituzioni europee non sono in grado di rispettarle esse stesse e di farle rispettare ai propri membri?