L'intervento La soluzione "radicale" ai processi infiniti
di Maurizio Turco, tesoriere del Partito Radicale
E’ facile prevedere
											che l’anno giudiziario verrà aperto affermando che lo stato della giustizia
											italiana è lievemente migliorato mentre i provvedimenti in corso di attuazione promettono
											lievi evoluzioni per il futuro. Si contabilizzerà con soddisfazione che sono
											diminuiti di qualche centinaio di migliaia di casi i processi pendenti, con
											dolore si richiamerà il peso dei milioni ancora in essere; ci si dimenticherà
											di sottolineare che il peso dei processi pendenti continuerà a far maturare
											prescrizioni e rallentare il corso dei processi fino all’irragionevole durata,
											cioè alla non giustizia. Con le doverose cautele e gli appelli più o meno
											strazianti alla politica tutto sembrerà andare nella giusta direzione. Va
											avanti così da decenni. Ma due fatti accaduti proprio alla fine dell’anno
											dovrebbero attirare una maggiore attenzione.
Non è certo sfuggito
											che il Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio Superiore della
											Magistratura forse per la prima volta, e comunque da tanto tempo per quel che
											riguarda i messaggi di fine anno, non ha ritenuto di dovere menzionare la
											questione della giustizia né per auspicare radicali riforme, né per
											sottolineare la gravità della situazione. Presidente della Repubblica che solo
											pochi giorni prima aveva controfirmato la legge di stabilità - approvata a
											grande maggioranza dal Parlamento - la quale, tra l'altro, è stata presentata come un
											intervento decisivo per ridurre uno dei mali cronici del sistema italiano della
											giustizia ovvero l’eccessiva durata dei processi. Eccessiva
											durata dei processi che dall’inizio degli anni ‘80 è all’origine di continue e
											ripetute condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Condanne
											che hanno comportato e comportano, ma soprattutto comporteranno un danno
											erariale che, per le sue dimensioni, costituisce una vera e propria ipoteca
											erariale sul futuro del paese. Condanne alle quali la Repubblica italiana ha storicamente
											risposto prendendo impegni poi non mantenuti, esibendo proposte di legge mai
											adottate, adottando misure presentate come risolutive ma che hanno aggravato la
											situazione allungando ulteriormente la durata dei processi in Italia e causando
											la proliferazione dei ricorsi alla CEDU che, per questo motivo, è stata
											costretta ad introdurre misure restrittive all’accesso.
Giova ricordare che il
											Presidente della Repubblica emerito, Giorgio Napolitano, durante il suo mandato
											ha inviato un solo messaggio alle Camere, nell’ottobre 2013, che è stato sostanzialmente
											ignorato dal Parlamento e nel quale tra l’altro si ricordava che “è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso
											rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti
											normativi lesivi della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo cessino”.
Con l’ultima legge di
											stabilità, non potendo incentivare la produttività dei giudici, si è proceduto
											ad un aumento simbolico della pianta organica dei magistrati e ad introdurre
											misure per disincentivare l’accesso alle richieste dei danni per l’eccessiva
											durata dei processi e incentivare la rinuncia per chi ha in corso un
											contenzioso. In sostanza siamo di fronte all’ennesima controriforma della
											cosiddetta Legge Pinto, provvedimento suggerito dal Comitato dei Ministri del
											Consiglio d’Europa come uno degli strumenti per contenere il numero dei ricorsi
											italiani alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ricorsi in maggioranza
											inerenti l’irragionevole durata dei processi. A ciò si aggiunga il fatto che l’Italia
											è il paese che più di tutti non dà seguito alle stesse sentenze, così
											violandole, della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per non dire delle più
											di 8000 domande ripetitive pendenti davanti alla Corte relative non solo alla durata delle procedure giudiziarie ma all'esecuzione delle decisioni
											prese ai sensi della Legge Pinto, che – è bene ribadirlo - avrebbe dovuto prevenire
											i ricorsi alla Corte.
Riteniamo che nelle condizioni in cui si trova il
											nostro Paese, un provvedimento di amnistia costituisca di per se la prima,
											vera, grande riforma della giustizia accompagnata da misure, da adottare in tempi certi, atte a
											rimuovere le cause all’origine delle violazioni alla Convenzione europea dei
											diritti dell’uomo
											perché, come ha sottolineato lo stesso Comitato dei 47 ministri degli esteri
											dei paesi che compongono il Consiglio d’Europa, i ritardi eccessivi
											nell'amministrazione della giustizia costituiscono un pericolo grave per il
											rispetto dello Stato di diritto. Se questi ritardi,
											come tutti noi ben sappiamo, pesano sulla corretta amministrazione della
											Giustizia da un quarto di secolo, è logico dedurre che l’Italia non corra più
											il pericolo ma ormai violi lo Stato di diritto.
Stato di diritto che viene negato se fondato
											sulla sostenibilità economica a scapito dell’universalismo dei diritti.
Stato di diritto di cui ribadiamo il suo valore
											assoluto e di cui il principio di legalità, da suo pilastro portante, è sempre
											più utilizzato per violarne le fondamenta. 
Sono queste le ragioni
											per le quali il Partito Radicale offre una leale collaborazione, senza alcuna
											contropartita, al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio per una
											campagna alle Nazioni Unite per una immediata transizione verso lo Stato di
											diritto, a cominciare da quei paesi a “democrazia reale” come il nostro, che
											potrebbe cominciare a darsi tempi certi per adottare misure atte al rispetto
											delle sentenze emesse e per prevenire ulteriori violazioni alla Carta europea
											dei diritti umani e ai Trattati europei.