2009 12 09 * Giunta per le autorizzazioni * Relazione di minoranza di Maurizio Turco sulla Domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato COSENTINO

Premessa. 

Onorevoli colleghi, in un Parlamento normale e in un Paese normale, cioè democratici, questa relazione non sarebbe necessaria. Noi non ci troveremmo dinanzi alla paradossale situazione di dover discutere dell’arresto di un membro del Governo, colpito da gravissime accuse, che tuttavia non è oggetto di critiche per come fa il sottosegretario ma perché intende candidarsi alla guida di una regione che ha più di 5 milioni di abitanti.

Chi scrive - inoltre - potrebbe serenamente aderire a una delle relazioni che già sono state preannunziate ed evitarsi lo scrupolo e il fastidio di redigerne un’altra.

Purtroppo la situazione non lo consente e mi vedo costretto a lasciare agli atti dell’Assemblea un mio scritto per mettere in luce l’assurdo di questa vicenda. Do per noti i contenuti della domanda di autorizzazione e le considerazioni della relazione di maggioranza.


1. I rifiuti: un settore di interesse della camorra.

Che quello del ciclo dei rifiuti sia un settore merceologico d’interesse per la criminalità non è un segreto per nessuno. E’ dalla XII legislatura che le Camere costituiscono puntualmente apposite inchieste parlamentari e rintracciano interessi, descrivono condotte e profitti malavitosi nel sistema dei rifiuti (nelle legislature XIV e XV i presidenti della commissione d’inchiesta sono stati proprio parlamentari della Campania, Paolo Russo e Roberto Barbieri). Si sono scritti fiumi d’inchiostro e sono innumerevoli le inchieste giudiziarie, i servizi giornalistici e - con la magistrale penna di Roberto Saviano - capitoli di "romanzi”.

E’ altresì noto che l’intreccio tra camorra e rifiuti è strategico per la prima: pochi servizi pubblici incidono sul quotidiano delle famiglie e del territorio come la nettezza urbana. Se la mafia s’infiltra nel traffico della droga, la grande maggioranza di cittadini che non si drogano non se ne accorge; se si infila nel riciclaggio del danaro, proprio perché il danaro non puzza, i frequentatori dei supermercati non necessariamente se ne accorgono. Ma se la camorra brucia o ruba i camion della raccolta e impedisce la nettezza di strade e quartieri; se i cassonetti non possono essere svuotati perché le scelte amministrative sull’ubicazione di discariche e inceneritori sono di fatto ostacolate, l’impatto sulla popolazione è immediato.

Nel settore dei rifiuti, quindi, si combinano molti aspetti dell’ingordigia camorristica: la voglia di acquisire e di gestire finanziamenti per gli impianti; la necessità di controllare il territorio; la possibilità di interloquire con il potere pubblico e di condizionare le scelte della politica sia con il voto di scambio sia con l’aggressione a chi non vuole scendere a patti.


2. Una politica malata.

In questo senso non è discutibile che il deputato Cosentino sia immerso nella realtà territoriale della Campania e che se ne nutra. Non è discutibile perché egli stesso lo rivendica. Che egli sia il referente politico di quell’humus è dunque assodato. Egli non ha smentito le accuse dei magistrati circa la sua influenza sulla vita della ECO4: ha solo detto che il consorzio di Caserta non era gestito diversamente da altri, condotti sotto l’egida del centro-sinistra. Non ha detto di essere contrario ai metodi e ai sistemi in vigore: ha sottolineato che tutte le forze politiche della Campania sono coinvolte.

Per noi non è certo un’attenuante, ma è vero esattamente il contrario: trattasi di aggravante per Cosentino e per il centro-sinistra.

Cosentino è certamente insensibile alle ragioni della buona amministrazione e a quelle di un mercato concorrenziale ed efficiente, ma non avrebbe potuto fare tutta la strada che ha fatto senza l’incredibile inerzia della gestione commissariale (vale a dire di Antonio Bassolino) e l’interessato strabismo di consistenti pezzi dei partiti di centro-sinistra.

Nella situazione di cui s’interessa l’inchiesta all’attenzione della Camera, si staglia non solo la figura di Nicola Cosentino ma anche quella del consigliere regionale Angelo Brancaccio, eletto nel 2005 con i Democratici di sinistra. Costui viene arrestato nella primavera del 2007 per gravissime accuse di connivenza con la camorra e in particolare proprio con quei fratelli Michele e Sergio Orsi, che l’inchiesta vuole soci di fatto di Cosentino. Costoro addirittura si tesserano per qualche tempo con i DS, senza che in quel partito nessuno si scandalizzi, si ribelli al fatto che due presunti camorristi casalesi sono stati ammessi al laticlavio della politica militante. Appena arrestato Angelo Brancaccio viene espulso dai DS, passa al gruppo regionale dei Popolari-UDEUR ne diviene il Segretario provinciale di Caserta, in Regione è attualmente membro della "Commissione speciale 2. Commissione speciale trasparenza : Commissione consiliare speciale di controllo delle attività della Regione e degli enti collegati e dell’utilizzo di tutti i fondi.”.

Dopo le elezioni regionali del 2005 Bassolino aveva un potere quasi incontrastato: era già commissario straordinario, poteva ripulire la Campania nel volgere di poche settimane. Cosentino a Casal di Principe e Landolfi a Mondragone erano suoi nemici e a Casal di Principe e Mondragone si facevano blocchi stradali e si incendiavano i rifiuti, ma Bassolino aveva la forza ed i poteri dalla sua: che bisogno c’era di servirsi dei metodi e degli ammiccamenti alla malavita di uno come Brancaccio? Non sarebbe stato meglio andare dalla magistratura e chiedere un’inchiesta vera, senza sconti per nessuno? E dal punto di vista amministrativo, non era meglio scegliersi persone di fiducia e non l’ambiguo Facchi da Milano? E sul caso della discarica di Pianura e dell’assessore Nugnes - suicidatosi poco più di anno fa - che cosa si deve concludere? Che il voto di scambio di cui si è avvalso Cosentino giovasse anche a qualcuno nel centro-sinistra? Perché un galantuomo come Lorenzo Diana da San Cipriano d’Aversa (spesso minacciato e oggetto di tutela di pubblica sicurezza) invece non è stato ricandidato? Perché la politica campana si rigira sempre nei miasmi che la rendono irrespirabile da decenni con i suoi De Mita, Di Donato, Mastella - la cui consorte è stata onorata proprio da Bassolino della presidenza del consiglio regionale? Come mai le nuove leve sono forse peggiori delle vecchie?

E tuttavia la politica campana ha i suoi epigoni e cantori nel Parlamento nazionale: ho letto incredulo gli interventi dei senatori del Popolo della libertà nell’aula dell’altro ramo del Parlamento del 25 novembre 2009, in ordine alle mozioni su Cosentino: non una parola sui rifiuti; non un cenno all’inchiesta, alla situazione di grave dissesto civico e istituzionale di quella zona, tra il confine con il Lazio e la periferia nord-orientale di Napoli; non un mea culpa sui morti, che non sono solo morti ammazzati con armi da fuoco ma anche da neoplasie cagionate dall’irrimediabile insalubrità dell’ambiente.


3. Il caso Cosentino, emblematico del corto circuito del sistema partitocratico e correntizio.

A fronte della politica malata, della politica localmente contigua alla criminalità, la politica nazionale cosa fa? Nulla.

Io voglio che questo rimanga agli atti di questa legislatura, di quanto il sistema abbia già fatto corto circuito ed il caso del sottosegretario Cosentino sta qui a dimostrarlo.

Le mafie, le camorre, le associazioni criminali che dominano il Sud e non solo, nel corso degli anni, dei decenni, hanno mutato il loro essere, si sono evolute, sociologicamente intendo dire e hanno assunto forme diverse e maggiore dinamismo. In un altro paese questo mutamento della fisionomia, essendo già esso stesso storia, sarebbe stato da tempo oggetto di analisi e di iniziative adeguate da parte del legislatore; un legislatore che da tempo, per contrastare efficacemente il fenomeno mafioso, avrebbe dovuto adeguare le fattispecie penali tipiche - nel rigoroso rispetto dei principi costituzionali di legalità e di tassatività delle fattispecie penali - alla mutata realtà.

E invece no, niente da fare, così legittimando interventi ‘creativi’ della giurisprudenza e della magistratura che, senza alcuna investitura popolare, si è sentita necessitata a far argine alla nuova dinamica fisionomia delle mafie attraverso l’individuazione della strada del "concorso esterno in associazione mafiosa”, attraverso, cioè l’utilizzazione del ‘moltiplicatore’ di reati, il 110 cp, anche per una fattispecie già di per sé, necessariamente plurisoggettiva.

Strada bizzarra, all’origine di un animato dibattito dottrinario circa l’ammissibilità del concorso eventuale in fattispecie plurisoggettive o reati a concorso necessario.

Per il vero la stessa Corte di cassazione, investita più volte del problema, si è pronunciata, nel tempo, in modo difforme, ora escludendo ora ammettendo la configurabilità del concorso eventuale nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, fino ad arrivare ai decisivi, ma irresponsabili, pronunciamenti delle Sezioni Unite. Pronunciamenti irresponsabili, non perché non vi sia il bisogno di contrastare le mafie anche o soprattutto su questo terreno, che è proprio quello che sosteniamo, ma perché il prodotto dell’inerzia del legislatore, è stato quello di conferire, volenti o nolenti, il potere legislativo, il potere di individuare una nuova fattispecie a dei magistrati che per quanto di elevatissimo spessore, sono pur sempre sforniti del mandato politico dei cittadini e ad essi non rispondono.

E l’individuazione di questa nuova figura di reato, essendosi verificata attraverso gli strumenti del tecnicismo giurisprudenziale, gli unici di cui può legittimamente disporre la magistratura, ha finito per conferire al concorso esterno confini labili ed incerti; il che significa rimandare la determinazione del fatto punibile alla mera discrezionalità dei giudici.

Il corto circuito, dicevo: da un lato la partitocrazia sul punto immobile perché essa stessa corrotta e corruttrice, che priva i cittadini degli strumenti di conoscenza necessari per poter esprimere una condanna politica dell’inerzia legislativa finalizzata a contrastare le mafie nelle sue nuove forme; dall’altro una magistratura che sul punto fattasi legislatore si tiene ben stretto il fortino conquistato del ‘concorso esterno in associazione mafiosa’, lasciando le dispute teoriche, sul non senso logico giuridico del concorso esterno nei reati associativi e sulla non conformità a Costituzione di un diritto penale siffatto, ai libri universitari.

In un altro paese un legislatore inerte per almeno quindici anni sul punto del contrasto alle mafie sarebbe, per ciò solo, stato mandato a casa; in un altro paese un tema del genere avrebbe monopolizzato le campagne elettorali, la magistratura sarebbe stata al proprio posto ed il legislatore sarebbe stato costretto, dal corpo elettorale non dalle richieste di arresto, ad intervenire.

Noi non ci stiamo più a questo gioco al massacro condotto da bande, sempre e solo basato, come in una giungla, sulla legge del più forte. Noi vogliamo reati disegnati da un legislatore politicamente responsabile, vogliamo che i cittadini informati come la legge prevede, siano messi in grado di mandare a casa democraticamente un legislatore colluso, corrotto e corruttore, vogliamo una magistratura professionalmente responsabile, credibile ed indipendente che si muove nell’ambito dei confini per essa disegnata dai costituenti; siamo stufi di inchieste ad orologeria e siamo stufi che questa magistratura, quella romana in particolare, non faccia nulla per riportare alla legalità lo scempio, civile prima ancora che penale, della lottizzazione della concessionaria del servizio pubblico dell’informazione radiotelevisiva che, in mano ai partiti corrotti e corruttori, almeno quanto la ECO4 è in mano a Cosentino, tutto questo impedisce.


4. L’inchiesta.

Di Cosentino si parla da molti anni nel contesto delle inchieste campane. La procura (e di conseguenza il GIP) non dice però perché per almeno 10 anni non si è voluto andare a fondo sulle ipotesi che riguardano il deputato Cosentino. Le prime deposizioni dei pentiti sono di Carmine Schiavone, a metà anni 90, mentre Domenico Bidognetti, Emilio Di Caterina e Michele Orsi parlano già da due o più anni del deputato Cosentino.

E’ dunque la credibilità dell’inchiesta, in ordine al coinvolgimento del deputato Cosentino, che viene irrimediabilmente messa in discussione dai tempi e dai modi relativi all’iscrizione del deputato nel registro degli indagati e dai tempi della domanda di arresto. Perché solo ora? Troppo lavoro da dieci anni a questa parte per la Procura di Napoli? Occorreva vedere quanto cresceva politicamente il politico Cosentino, prima di intervenire?

I riscontri sulle dichiarazioni dei pentiti, in ordine al coinvolgimento di Cosentino e nonostante l’amplissimo arco di tempo a disposizione degli inquirenti sono sempre e solo riscontri indiretti e totalmente insoddisfacenti, non arrivano mai a fatti connotati dall’attualità, tutto pare improvvisamente fermarsi all’anno 2004.

Pur con i limiti investigativi di cui all’art. 68 Costituzione, potevano ben essere condotte indagini patrimoniali, potevano ben essere intercettati gli interlocutori più vicini al deputato Cosentino, potevano essere effettuati servizi di osservazione e controllo. Nulla è stato fatto e la Procura che non ha voluto neanche sentire Cosentino presunto innocente e tacciato di essere un potenziale criminale che pure si era reso disponibile, ci chiede oggi di fidarci dei pentiti, sicuri criminali, e di riscontri indiretti.

Riscontri che però, oltre ad essere flebili ed indiretti, non arrivano - come detto e come scrive lo stesso GIP nell’ordinanza - al di là dell’anno 2004. La Procura di Napoli sul sottosegretario Cosentino negli ultimi cinque anni nulla ha trovato, tanto che, con la consapevolezza della debolezza degli elementi posti a base della richiesta di arresto, il Procuratore della Repubblica di Napoli, appresa della decisione della Giunta delle autorizzazioni di questa Camera, ha dichiarato all’ANSA il 25 Novembre "la richiesta d’arresto respinta non è un blocco alle indagini. Se troveremo elementi bene, se non ne troveremo allora ci fermeremo. Intanto le indagini continuano”. Ma allora, posto che lo stesso Procuratore afferma che se non verranno trovati elementi l’indagine si fermerà, su che cosa è realmente basata la richiesta di arresto? Si chiede di arrestare un sottosegretario con la consapevolezza che l’indagine, se non viene fuori nulla di nuovo, è destinata all’archiviazione?

Succedono cose strane alla Procura di Napoli. Procura nella quale accade che il Procuratore Generale della Corte d’Appello, Vincenzo Galgano, istituzionalmente deputato al controllo delle iniziative e delle inerzie degli uffici dei PM, afferma, dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno in un’intervista del 15 ottobre che vi sono a Napoli PM fanatici che danneggiano le persone e provocano sofferenze, che su Cosentino non gli risulta sussistano elementi e che a quanto gli consta è una persona per bene; che la qualità professionale in Procura è scadente e che la dotazione organica non è di "cento cavallucci", ma di "dieci stalloni e 90 asini."

In Procura a Napoli succede però che 72 PM ed un Aggiunto firmino un documento contro il pg Galgano per quell’intervista, e richiedano l’apertura di una pratica a tutela presso il CSM e succede ancora che il Presidente della I Commissione, Dr. Fiorella Pilato, guarda caso di Magistratura Democratica, non escluda il trasferimento di Galgano da Napoli per incompatibilità ambientale.

Succede così, che audito in una velocissima pre istruttoria il PG Vincenzo Galgano, evidentemente memore delle limpide decisioni di questo CSM sui magistrati De Magistris e Forleo, faccia rapida marcia indietro e dica che, no, non si riferiva alla situazione di Napoli, ma alla situazione in generale della giustizia in questo nostro disgraziato paese.

Personalmente posso anche nutrire seri dubbi sulla tesi della persecuzione giudiziaria, motivo per il quale non condivido la proposta della maggioranza della Giunta, ma il contesto appena descritto, il metodo ed il merito, che in quel contesto diventano testo della richiesta di arresto, non giustificano comunque, a mio avviso, la richiesta di arresto di una persona, anche se si chiama Nicola Cosentino, nato a Casal di Principe.

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