CAMERA DEI DEPUTATI
Doc. IV
N. 4-A-bis
DELLA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI
(Relatore: MAURIZIO TURCO, per la minoranza)
sulla
DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE A ESEGUIRE LA MISURA CAUTELARE DEGLI ARRESTI DOMICILIARI
nei confronti del deputato
ANGELUCCI
nell'ambito di un procedimento penale nei suoi confronti (proc. n. 30/07 RGNR) per i reati di associazione per delinquere, di concorso in truffa aggravata e continuata e di falso in atto pubblico
PERVENUTA DAL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI DEL TRIBUNALE DI VELLETRI
il 4 febbraio 2009
Presentata alla Presidenza il 26 febbraio 2009
Onorevoli Colleghi! - La presente relazione di minoranza si rende necessaria alla luce dell'esame, condotto nella Giunta per le autorizzazioni sulla domanda di autorizzazione a eseguire gli arresti domiciliari del deputato Angelucci, cui la maggioranza dei componenti ha inteso dare un esito tanto scontato quanto preconcetto.
Fatti. La misura cautelare - già eseguita a carico di altri indagati - si inserisce nel contesto di un'inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Velletri sulle attività della Casa di cura San Raffaele sita proprio in Velletri e gestita dalla TOSINVEST, la cui interessenza maggioritaria è in capo ad Antonio Angelucci e al di lui figlio Giampaolo, già ristretto agli arresti domiciliari (Giampaolo Angelucci è soggetto già noto alla Giunta per le autorizzazioni della Camera perché coinvolto nell'inchiesta sugli appalti per l'affidamento della gestione delle residenze ospedaliere pugliesi, nel corso della quale fu chiesto l'arresto di Raffaele Fitto).
L'inchiesta di Velletri prende in considerazione l'attività medica e ospedaliera della Casa di cura San Raffaele convenzionata con la Regione Lazio.
La gestione di tale struttura sanitaria, nell'ipotesi accusatoria, denoterebbe una pluralità di aspetti illeciti e penalmente rilevanti.
Quale struttura convenzionata con il sistema sanitario nazionale, il San Raffaele veliterno avrebbe conseguito illeciti profitti di varie decine di milioni di euro mediante la fatturazione di attività terapeutiche e mediche varie, tutte diverse e inferiori per qualità e quantità rispetto a quelle effettivamente rese al pubblico dei pazienti e utenti della Regione Lazio. In pratica, a fronte della fatturazione di prestazioni sanitarie del valore di un dato ammontare, in termini storici e di prestazione effettivamente resa stavano servizi dal costo inferiore o addirittura, talvolta, servizi mai resi.
L'inchiesta appare evidenziare altresì che talune prestazioni fatturate non erano autorizzate dagli atti normativi e programmatori della regione. Tale meccanismo, nella ricostruzione dell'autorità giudiziaria, avrebbe fruttato alla TOSINVEST un cospicuo arricchimento illecito, quantificabile in molte decine di milioni di euro.
Tutto ciò sarebbe stato possibile, tra il 2004 ed il 2007, grazie a una vera e propria organizzazione criminosa, che l'autorità giudiziaria qualifica non come concorso di persone nel reato ma come vera e propria associazione per delinquere comune (articolo 416 c.p.), i cui reati scopo sarebbero la truffa aggravata (perché in danno di ente pubblico ai sensi dell'articolo 640, capoverso, del codice penale) e il falso in atto pubblico, anche per induzione, ai sensi degli artt. 479 e 48 del codice penale.
Dell'associazione per delinquere farebbero parte, in posizione apicale, il deputato Angelucci e suo figlio; con compiti organizzativi diversi altri soggetti, tali Antonio Vallone (anch'egli dirigente della TOSINVEST), Mauro Casanatta, Rodolfo Conenna, Tiziana Petucci, Agnese D'Alessio, Claudio Ciccarelli e Domenico Damiano Tassone.
In particolare, di rilievo sarebbero i ruoli del Conenna, della Petucci e della D'Alessio, i quali sono funzionari pubblici. Costoro, invece di agire per il perseguimento e a tutela degli interessi pubblici curati dal Servizio sanitario nazionale, avrebbero offerto la loro opera asservendosi al disegno illecito dell'associazione.
Le fonti indiziarie offerte nella massiccia documentazione spedita dall'autorità giudiziaria consistono in documenti e raffronti contabili di vario tipo, sunti di sommarie informazioni testimoniali, intercettazioni telefoniche e altri documenti.
Da questo insieme di elementi, l'accusa trae la rete di contatti fra gli esponenti della TOSINVEST e i funzionari pubblici che fungevano da referenti del progetto asseritamente criminoso dall'interno degli uffici sanitari regionali. Questi dati, per esempio, risulterebbero anche da controlli incrociati sulla corrispondenza.
Dall'esame della documentazione pervenuta, risulta che di meccanismi opachi sembra che si fosse accorto l'assessore regionale alla Sanità, l'ex deputato Augusto Battaglia. Costui evidentemente in qualche misura aveva cercato di contrastare il fenomeno ma poi era stato rimosso dall'incarico, anche a seguito di pesanti campagne di stampa alla cui orchestrazione gli Angelucci avrebbero partecipato.
Le intercettazioni telefoniche dimostrano frequentissimi contatti tra i pretesi associati e tra questi e personalità politiche e amministrative varie della regione Lazio, in un contesto di relazioni talora ambigue talora apertamente illecite. L'intento degli Angelucci sarebbe stato quello di influenzare ogni passaggio decisionale delle competenti autorità regionali, dal momento della predisposizione degli atti di programmazione e di convenzione con le strutture private fino ai meccanismi informatici di registrazione delle prestazioni e ai controlli sulla congruità delle somme fatturate.
Quanto alle misure cautelari, il Gip di Velletri ne indica due: il pericolo di inquinamento delle prove e la reiterazione del reato.
L'inquinamento delle prove potrebbe derivare dalla capacità di penetrazione della TOSINVEST negli uffici sanitari della Regione Lazio, attestata proprio dal fatto che alcuni funzionari della Regione stessa sarebbero membri dell'associazione per delinquere. Ciò comporterebbe il rischio della soppressione di documenti ancora non rinvenuti e l'eventuale contatto con possibili testimoni.
La reiterazione del reato sarebbe possibile per il fatto stesso che la TOSINVEST è ancora accreditata presso il Sistema sanitario nazionale e amministra quindi flussi quotidiani di attività analoghe a quelle oggetto delle indagini.
Quadro normativo, ruolo della Tosinvest e conclusioni. Più in dettaglio sull'inchiesta, si rileva che la clinica San Raffaele è accreditata presso la regione Lazio ai sensi dell'articolo 8-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992, che ha introdotto nel nostro ordinamento, accanto alla convenzione, l'istituto dell'accreditamento. Questo è rilasciato dalla regione a strutture che hanno requisiti di qualificazione e di funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e di verifica di attività svolta e di risultati raggiunti.
Questi criteri di verifica della utilità sociale delle strutture accreditate sono desunti dal fabbisogno di assistenza che ciascuna regione stabilisce nel proprio piano sanitario.
Il solo fatto che un soggetto sia accreditato non costituisce vincolo per le aziende sanitarie e gli altri enti pubblici del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni, a meno che non ci sia uno specifico accordo contrattuale che segua l'accreditamento.
Ai sensi dell'articolo 8-quinquies del medesimo decreto legislativo, le regioni definiscono l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali e individuano i soggetti accreditati con cui stipularli. Ai sensi dell'articolo 8-quater, comma 8, del medesimo decreto legislativo, qualora le strutture accreditate e legate contrattualmente alle regioni superino le prestazioni pattuite per il fatturato in eccedenza, l'accreditamento deve essere revocato.
Nel contesto dell'inchiesta, la magistratura ritiene che i soggetti che dovevano procedere alle pratiche di revoca delle eccedenze abbiano omesso di sollecitare tale revoca.
Sicché il gruppo TOSINVEST poteva contare su un accreditamento ritenuto irreversibile e su livelli di prestazione e fatturazione sostanzialmente esenti da controlli.
Un episodio che l'autorità giudiziaria ritiene illuminante al proposito è descritto nelle informazioni testimoniali rese da tale Annamaria Belli, la quale sostiene che la dotazione accreditata per il San Raffaele era di 402 posti letto dei quali però 58 non erano autorizzati da parte della ASL Roma H. Peraltro, nel 2006, come indicato da tale Guglielmo Di Balsamo, con delibera della giunta regionale n. 143 veniva consentito di riconvertire in giornate di day-hospital i ricoveri ordinari eccedenti, vale a dire i posti letto, ciò che era ritenuto dal Di Balsamo in contrasto con l'articolo 8-quater, comma 8, appena citato. A valle di tale decisione nessuno degli addetti al controllo obiettava alcunché e la dottoressa Petucci certificava le relative fatture. Il Di Balsamo peraltro dichiara di aver tentato di far rilevare alla Petucci l'irregolarità della situazione, senza ottenere da costei il dovuto seguito.
Nel 2007, la SPRESAL, il servizio di sicurezza e prevenzione della ASL competente, effettuava un'ispezione presso la struttura riscontrando irregolarità e quindi l'inidoneità a fornire le prestazioni fatturate. Nonostante che si trattasse anche di fattispecie sanzionate dalla legge, il Messineo scriveva al direttore generale e al direttore sanitario della ASL Roma H che vi era solo una provvisoria inadeguatezza dovuta a ristrutturazione e non altri profili degni di nota (v. lettera del 9 agosto 2007). Finalmente, nell'ottobre 2007 i dottori Iacono, Mingiacchi (il direttore generale della ASL Roma H) e Cicogna proponevano all'assessore Battaglia la sospensione dell'accreditamento di 30 posti di day-hospital riabilitativo ma, di fatto, la dottoressa D'Alessio non dava seguito a tale istanza.
Nel corpo del provvedimento cautelare risultano altresì numerosi altri episodi, i più significativi dei quali sono:
il Vallone sarebbe coinvolto nella predisposizione degli artifizi informatici relativamente al programma utilizzato per la fatturazione delle prestazioni e nel controllo che le basi cartacee d'appoggio non fossero palesemente incongrue. In un'intercettazione del 6 settembre 2007, Vallone chiama Ciccarelli e ne viene informato che vi è stata un'ispezione dei NAS per verificare le prestazioni del day-hospital. Il Ciccarelli si lamenta che i carabinieri non gli abbiano nemmeno dato il tempo di cercare le cartelle cliniche che avrebbero testimoniato l'eccedenza delle prestazioni rispetto all'autorizzato. In altra intercettazione addirittura il Ciccarelli si lamenta dell'ispezione che era arrivata a sorpresa e non preavvertita. Sempre il 6 settembre 2007, il deputato Angelucci chiama Ciccarelli e gli chiede che cosa sia successo. Il Ciccarelli risponde che si è trattato di un'ispezione sull'effettività delle prestazioni in day-hospital. Il deputato Angelucci allora si lamenta del comportamento del Di Balsamo e poi telefona al Mingiacchi per lagnarsi dell'avvenuta ispezione;
l'attività sanitaria della clinica si sarebbe avvalsa, nell'ipotesi accusatoria, anche della falsificazione delle cartelle cliniche. Ciò risulterebbe da una telefonata del 6 giugno 2007 tra Maurizio Iacono (responsabile dell'Area Erogatori Privati Accreditati dell'ASL Roma H) e il medico Vania;
particolarmente significativo, per gli inquirenti, risulterebbe essere l'atteggiamento verso l'assessore Battaglia che viene indotto a dimettersi attraverso pesanti pressioni cui asseritamente il presidente della regione Marrazzo avrebbe infine ceduto, anche perché l'Angelucci avrebbe condotto dalla sua parte sia l'ex assessore alla sanità Cosentino sia l'allora segretario regionale del Partito Democratico Zingaretti. Agli atti risulta anche una telefonata di Battaglia ad Angelucci nella quale l'assessore lamenta l'ingiustizia di un articolo apparso su Libero a firma di tale Chiara Buoncristiani. Successivamente, su indicazione dell'Angelucci, il vicedirettore diLibero chiama Battaglia e gli offre la possibilità di controbattere. Questo episodio in particolare non ha rilevanza penale ma denota la capacità di infiltrazione dell'Angelucci nella politica sanitaria laziale;
risulta altresì che il deputato Angelucci - il 24 settembre 2007 - abbia chiamato Casanatta e gli abbia detto che avrebbe incontrato un amico (in ipotesi Giorgio Pasetto). Inoltre gli domanda «in ordine a un problema che [lo] riguarda». Casanatta gli avrebbe risposto che fosse tutto definitivamente a posto nel senso che la regione ha scritto a «quelle guardie» (i NAS);
risulta infine che sia stato sentito a sommarie informazioni testimoniali Giuseppe Cangiano, medico responsabile dell'unità operativa Ricovero Acuti Erogatori Privati Accreditati dell'ASL Roma H, il quale, presa visione delle cartelle cliniche sequestrate, abbia ritenuto che 88 su 142 non avevano un'indicazione per il ricovero in day hospital riabilitativo (in pratica la mancanza del requisito dell'evento acuto).
Tutti questi elementi - di per sé - non sono ovviamente ancora dimostrazione del coinvolgimento diretto del deputato Angelucci, il quale come tutti i cittadini ha diritto di essere considerato non colpevole fino a sentenza definitiva. Né essi possono essere oggetto di un esame di merito da parte della Giunta o dell'Assemblea, giacché l'accertamento dei fatti e loro riconduzione a fattispecie penali previste dalla legge sono compiti esclusivi della magistratura.
Essi - però - certamente portano a ritenere che il deputato sia lambito da una vicenda che appare avere risvolti penali, disciplinari e contabili, i quali meritano senza dubbio un ulteriore verifica investigativa e probabilmente dibattimentale. In particolare, dovrà essere meglio messo a fuoco il rapporto che passava tra la famiglia Angelucci e i vari uomini della TOSINVEST e della sanità privata associata, da un lato, e la schiera di funzionari regionali, dall'altro. Andrà approfondito perché questi ultimi, invece di attestarsi a difesa della buona amministrazione e dell'imparzialità come l'articolo 97 della Costituzione loro impone, sembrano essersi resi compiacenti e sottomessi a interessi privati, in modo umiliante per le delicate funzioni pubbliche loro assegnate. Risulta infatti che - in particolar modo nella fase dei controlli - il sistema amministrativo regionale abbia ceduto sotto la pressione di interessi particolari, consentendo lo svilupparsi di meccanismi di erogazione della spesa pubblica assai poco trasparenti (1).
(1) Quanto è qui affermato si basa sulla consultazione degli atti allegati dal GIP alla richiesta in titolo. Risulta che successivamente alcuni indagati - non Antonio Angelucci - abbiano proposto ricorso al tribunale del riesame di Roma. Taluni tra di essi hanno poi rinunziato all'impugnazione. Da una comunicazione pervenuta dall'autorità giudiziaria il 7 marzo 2009 si è però appreso che nei confronti di Agostino Messineo, Agnese D'Alessio e Maurizio Iacono la misura cautelare è stata annullata (la comunicazione non ha precisato se per mancanza d'indizi o per carenza di esigenze cautelari).
Da questo punto di vista, nessun fumus persecutionis è rintracciabile nella domanda che perviene dal tribunale di Velletri e nessuna esigenza di mettere l'autonomia del Parlamento al riparo da iniziative pretestuose risulta emergere. Opporre dunque la prassi del diniego (salvo i fatti di sangue) è oggi del tutto in contrasto con la lettera dell'articolo 68, secondo comma, della Costituzione, la quale semplicemente rimette alla Camera d'appartenenza un giudizio di bilanciamento in concreto tra le esigenze investigative nel quadro del principio di legalità-giurisdizione e quelle dell'indipendenza del Legislativo e dell'integrità del suo plenum. L'inchiesta di Velletri in nessun modo è connotata politicamente né è affetta da vizi o incongruenze tali da farla ritenere intrinsecamente ingiusta o invasiva della sfera del potere legislativo. Il diniego proposto dalla maggioranza è quindi irragionevole e in contrasto con i principi desumibili dalle sentenze della Corte costituzionale n. 462, 463 e 464 del 1993.
Propongo quindi che l'Assemblea respinga la proposta della Giunta.
Maurizio TURCO,
relatore per la minoranza