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2008 06 24 * Il Messaggero * Massimo Martinelli

LA PISTA DELLA BMW PORTAVA ALLA BALDUINA

Una persona c’era arrivata vicinissima alla soluzione del caso, come accade spesso in ogni giallo che si rispetti. Erano passate poche settimane dalla sparizione di Emanuela Orlandi; forse la ragazza era già morta, anzi quasi di sicuro. Però c’era la Bmw Touring ”verde tundra” - come l’aveva descritta un agente di polizia - che aveva portato via Emanuela. E c’era pure una dama con i capelli tinti di biondo, aggressiva e strafottente. Sopratutto molto protetta dall’alto. Che, se fosse stata messa alle strette subito, forse avrebbe potuto fornire indicazioni precise agli investigatori dell’epoca.

La storia non è mai stata formalizzata in un verbale della Procura perchè il protagonista della vicenda aveva un obbligo di segretezza verso un’altra istituzione dello Stato, il Sisde. Lui si chiama Giulio Gangi, era un agente operativo dei servizi segreti civili, in forza al reparto che aveva sede a piazza della Libertà, in quella ”Palazzina Vargas” come la chiamavano all’epoca che poi divenne sede dell’Alto Commissariato Antimafia.

Gangi conosceva la famiglia Orlandi e fu tra i primi ad essere allertati. Capì che accanto alle indagini della Questura forse poteva servire anche un lavoro da segugio vecchio stampo, da consumatore di suole. Ascoltò gli unici due testimoni che avevano visto l’auto sospetta: un vigile urbano e un agente di Ps. Il vigile ricordava una Bmw grossa e nera; l’agente una Bmw modello Touring, cioè giardinetta, colore ”verde tundra”, di quelle che in quegli anni in Italia erano davvero rarissime. Gangi cominciò a battere le rimesse, i garage, gli autolavaggi: magari qualcuno l’aveva vista Bmw familiare così poco diffusa in quegli anni.

L’idea si rivelò azzecata, perchè un meccanico del quartiere Vescovio ne aveva riparata una appena pochi giorni prima; non aveva guasti meccanici ma un danno di carrozzeria. Precisamente un finestrino rotto, quello anteriore lato passeggero. Ed era stato frantumato dall’interno verso l’esterno, come se qualcuno avesse dato un colpo violento per fuggire. O come se all’interno della macchina si fosse verificata una colluttazione molto energica. A portare la vettura in officina - disse il meccanico - era stata una donna bionda, molto bella, disinvolta. Aveva lasciato anche un recapito, per essere avvisata quando la macchina era pronta.

Gangi annotò tutto su un foglio: nome, cognome e indirizzo. Che era quello di largo Damiano Chiesa 8, zona Balduina, a due chilometri dal Vaticano, dove c’era (e c’è tuttora) il residence Mallia. Gangi si presentò da solo, mostrando il tesserino di copertura da ispettore di polizia che è in dotazione a tutti gli agenti operativi del Sisde. Parlò con la signora bionda alla presenza di due dipendenti della reception: fu lei a scendere in portineria quando la avvisarono che aveva visite. E fu parecchio aggressiva. Chiese di essere lasciata in pace, disse che non doveva dare spiegazioni a nessuno.

Gangi provò a forzare la mano, le rispose che in ogni caso sarebbe stata convocata in Questura. Poi fece per allontanarsi, ma fu preceduto dalla collega che lo aveva accompagnato con una macchina di servizio, una Fiat Panda color avana, con la quale entro nel cortile. Fu allora che, con ogni probabilità, la donna bionda annotò la targa della macchina, che era intestata ad una società di copertura del Sisde, la Gattel. E questo le fu sufficiente per dimostrare all’agente Gangi tutta la sua capacità di liberarsi dagli scocciatori: quando la Panda arrivò a piazza della Libertà, più meno dopo mezz’ora, Gangi fu chiamato dal suo caposezione, che gli chiese come si fosse permesso di andare a disturbare una persona così legata a personaggi altolocati. E lo invitò a non seguire più quella vicenda.

Nessuno ha mai chiesto a Giulio Gangi se quella donna fosse la Minardi, forse lui stesso neanche ricorda bene il nome di quella avvenente e iraconda inquilina del Mallia. Ma la faccia, certamente si.