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1992 11 02 * CORAnews * Il CORA deve vivere? Se serve. * Maurizio Turco

Quanto costruito dal CORA in questi anni rappresenta qualcosa di ineguagliabile e inconfrontabile nel panorama politico italiano. Imparagonabile in termini di produttività se consideriamo le nostre più che modeste, anzi, diciamolo pure, misere risorse. Un "miracolo" dovuto, innanzitutto, all'azione politica antiproibizionista del Partito Radicale e al suo sostegno concreto alla nascita e alla crescita del Cora.

Senza presunzioni, ma neppure false modestie, non ho mai creduto che altri da noi potessero condurre una campagna, non dico "migliore", ma almeno pari alla nostra, in termini di rigore, durezza, durata. E l'antiproibizionismo, in questi anni, in Italia, si è incarnato nell'unico soggetto politico nazionale antiproibizionista: il Cora. Antiproibizionismo che, per usare un termine in uso, si direbbe ormai un arcipelago, un'insieme di piccole isole; preferisco pensare ad un network, ad un insieme di realtà interconnesse e -spero- interdipendenti.

Sia chiaro: parecchie volte abbiamo dovuto stringere i denti e scegliere per opportunità politica di rinunciare o di fare cose che avrebbero dovuto essere fatte da altri soggetti politici che, però, non esistevano; li abbiamo quindi configurati, creati, organizzati.

Mi riferisco alla LIA, il cui congresso di fondazione fu promosso dal Partito Radicale e dal Cora, e che ora comincia a dare i primi frutti organizzativi. Mi riferisco all'Intergruppo Antiproibizionista al parlamento, che esiste grazie all'impegno del Cora nelle elezioni europee ed in quelle nazionali. Mi riferisco all'"organizzazione" che è sorta intorno alla Risoluzione di Francoforte, impegno che il Cora assunse formalmente in una sua mozione.

A fronte di questo nascere e crescere di impegni, organizzazione e organizzazioni, siamo poco più di mille, tra iscritti e aderenti al Cora e, in tutti questi anni, non siamo mai riusciti ad essere nemmeno duemila.

Nell'ultimo consiglio generale è stata rimproverata agli organi esecutivi la mancanza di una campagna di iscrizioni "efficace". Discuteremo anche di questo. Di certo l'impegno che abbiamo dimostrato nei confronti degli iscritti, in termini di informazione, cioè di crescita individuale e collettiva, è unico. Oggi l'iscritto e l'aderente al Cora è, di già, un soggetto politico in grado di affermare e di affermarsi in quanto tale. Ma il Cora, così com'è, non può più essere un alibi per gli antiproibizionisti.

Questo congresso può segnare il punto di arrivo di quanto abbiamo fatto in questi anni, di quello che abbiamo costruito intorno a noi. Questo congresso può decidere che l'azione propulsiva è finita e quindi consegnare a nuovi soggetti politici le speranze antiproibizioniste.

Oppure può segnare un punto di partenza per dare vita ad una organizzazione militante, di cittadini, e io ritengo che questo sia il valore da dare a questo congresso. Se fino ad ora siamo stati costretti a lavorare maggiormente nei palazzi e dintorni, oggi dobbiamo ritornare per le strade, così come abbiamo fatto durante la campagna referendaria. Dobbiamo rendere più forte e visibile la nostra esistenza, le nostre idee, la nostra organizzazione.

A questo congresso consegniamo un soggetto politico "libero" da impegni economico-finanziari, totalmente e per la prima volta autofinanziato, poiché in questi anni siamo riusciti a vivere grazie alle energie del Partito radicale.

"Libero" da "impegni" politici. Che rende libero, ciascuno di noi, di decidere il percorso e l'organizzazione.

Se servisse uno "slogan" per questo congresso non avrei dubbi: "Il Cora deve vivere? se serve".

Maurizio Turco - tesoriere del CORA