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2016 04 24 * Partito Radicale * Roma, Assemblea degli iscritti * Sergio Ravelli

Farò solo alcune rapide, almeno lo spero, considerazioni. Ho cercato di seguire attentamente tutti gli interventi, soprattutto quelli di Emma Bonino, di Gianfranco Spadaccia, di Marco Cappato e me ne vado da Roma come sono arrivato, con quelle convinzioni che avevo e che mi hanno spinto a firmare questo documento (il documento di convocazione dell'assemblea, n.d.r.). E' per questo che ringrazio Maurizio Turco che ci ha convocato e che ci ha dato questa opportunità di confronto perché è una occasione per ognuno di noi per fare anche il proprio bilancio personale e politico.

Me ne vado via con la frase che è contenuta in questo documento che qualifica il futuro, per quanto mi riguarda: “Noi però abbiamo un'altra visione, altro progetto, altri metodi, altri obiettivi. Gli stessi del Partito Radicale di sessant'anni”. Per quello che ho appreso ascoltando soprattutto Marco Pannella e nel viverlo nelle mie lotte, tante o poche che siano, in quello che sono riuscito a fare in questi 44 anni, mi sono convinto che gli appelli all'unità, che siamo tutti compagni e quindi che ci dobbiamo mettere d'accordo, non è così. La storia del Partito Radicale non è una storia di “volemose bene”, è una storia di profonde divisioni e separazioni. L'unico ancoraggio che cerco e ho sempre cercato è quello che ha detto Emma, se l'ho interpretata bene. Non ci sono radicali “puri” o “impuri” ma ci sono radicali iscritti al Partito. Presumo che Emma volesse riferirsi al Partito Radicale, ne sono certo. E non sono convinto del discorso di Spadaccia che dice: mi sento sconfitto perché quando ci sono compagni  che sono iscritti a Radicali Italiani e non prendono la tessera del Partito Radicale mi sento sconfitto ma altrettanto sconfitto mi sento quando alcuni compagni iscritti al Partito Radicale non si iscrivono a Radicali Italiani. Gianfranco, non è la stessa cosa. Sono due tessere che hanno un valore, una valenza profondamente diversa, anche se costano entrambe 200 euro, perché connotano la storia, il metodo e l'organizzazione dei radicali in un modo profondamente diverso.

Io mi sono iscritto al Partito Radicale e ho creduto in quel progetto della “galassia” che era proprio connotato dall'iscrizione “a pacchetto”, da quella articolazione di associazioni costituenti che andavano a costruire e rafforzare le battaglie, i valori, le idee, le speranze, la storia del Partito Radicale. Non erano fine a se stesse, erano costituenti e nient'altro. Non si dovevano ritagliare orticelli personali o collettivi per fare altro e assommare nella propria agenda politica battaglie su battaglie. Ma, dicevo, la storia del Partito Radicale è una storia di divisioni profonde, perché ci siamo trovati diverse volte in snodi fondamentali in cui ci siamo separati. Perché la chiarezza dell'obiettivo, della strategia doveva emergere chiaramente quindi a quel punto le separazioni erano inevitabili quando compagni non accettavano, non condividevano quelle prospettive, quella strategia. Faccio solo tre esempi.

1980, è l'anno del congresso straordinario del Partito Radicale, dell'approvazione di quel preambolo. Oltre a leggere quel preambolo bisognerebbe ricordarsi il contesto di quel congresso, per chi c'era e chi non c'era se lo studia, se lo va a risentire. E' l'anno successivo alla cosiddetta massima affermazione elettorale del Partito Radicale alle elezioni politiche nel 1979, quando il Partito Radicale sull'onda delle più straordinarie battaglie di riforma, liberali e civili – la lista della spesa la conoscete: divorzio, aborto, diritto di famiglia, voto ai diciottenni, obiezione di coscienza – va alle elezioni politiche e ottiene, secondo alcuni, un grande successo elettorale; in realtà ottiene meno del PSDI, del partito socialdemocratico italiano di Tanassi e gli altri. In quel congresso, mentre molti di noi, io non fra quelli, già declinavano il 3,5% ottenuto in quelle elezioni politiche in consiglieri comunali e provinciali derivanti dalle elezioni amministrative del 1980, facevano i conti su quanto potevamo raccogliere in termini di – no non è giusto dire posti – postazioni per la battaglia politica, Pannella, come al solito, spiazzando tutti, decide di non presentare il partito alle elezioni amministrative sapendo benissimo cosa comportava e sceglie la battaglia contro o sterminio per fame e per guerra. Tanti ci hanno lasciato in quel momento perché forse non avevano capito che cos'è la nostra alterità, perché lì si rischiava come si rischia oggi l'omologazione. Io la chiamo omologazione, Bandinelli normalizzazione. E' la stessa cosa. E' fare come fanno tutti gli altri.

Ne cito un altro di passaggio fondamentale, ancora più doloroso, ancora più divisorio: la scelta transnazionale e transpartitica. Per chi c'era – e chi non c'era se la deve studiare, se la deve ascoltare  - è stata una scelta dolorosissima che ha lasciato sul campo compagni di primissimo livello. Vi faccio solo un nome: Enzo Tortora. Ma anche Mauro Mellini, tanti altri. La scelta transnazionale non è stata una scelta indolore, certo oggi alcuni dicono “io l'ho fatta, l'ho firmata ma non ci credevo”. Parlo con Giovanni Negri che dice “l'ho firmata ma non ci credevo”. Cazzo, eri il segretario del partito! A posteriori tu mi dici “non eri d'accordo, l'ho subita perché c'era Pannella”. Certo, era quello il nostro ancoraggio. Perché c'era Pannella che ci ha convinto, non perché in maniera autoritaria condizionava i congressi, li manipolava, li portava alla sua conclusione, ma perché ci convinceva con il dialogo. Ma non tutti erano convinti, alcuni ci hanno lasciato. Ma in quella occasione abbiamo salvato il partito. Forse qualcuno ne aveva in mente un altro e per loro abbiamo fatto una fuga in avanti, era una cosa che non si capiva, che non aveva concretezza, cos'è questa cosa del transpartito, del transnazionale. Non era altro che la continuazione del Partito Radicale perché se abbiamo avuto segretario del Partito Jean Fabre anni prima ci sarà stato un motivo. Non è mai stato il nostro il Partito Radicale Italiano, anche perché si sarebbe confuso col  PRI.

C'è un terzo passaggio che ha diviso profondamente alcuni di noi. Ve lo ricordate il 1996, il souk - come lo chiamava Marco? - il souk di via dell'Anima? Ragazzi, anche lì c'è stata una scelta dolorosa. Lì si stavano decidendo 10, 20, 30, 40 deputati radicali, si spartiva la torta della partitocrazia. Marco ha deciso di ribaltare quel tavolo lasciando sul campo tanti che ci hanno abbandonato. C'è un amico carissimo, frequentatore quasi quotidiano di facebook, Antonello Marzano, che dice: ma come, avevamo quell'ancoraggio della rivoluzione liberale berlusconiana e siamo saltati a sinistra. Mentre Spadaccia dice: io in quella roba lì non mi ci riconoscevo, perché l'alleanza con Berlusconi non l'ho mai accettata e ho deciso per anni di stare fuori.

Quindi ci sono stati molti passaggi fondamentali che ci hanno diviso, ma è stata la necessità di chiarezza che ci ha condotto a fare quelle scelte. Poi uno le giudica storicamente, se sono state giuste, potevamo avere un altro partito, ma sicuramente, molti più deputati, molti più consiglieri comunali e regionali, certo, ma non saremmo arrivati al 2016. Io ne sono profondamente convinto.

Allora perché dico che oggi me ne vado a casa con idee molto chiare e il mio ancoraggio è quel documento e chi ce l'ha proposto alla sottoscrizione. Perché oggi siamo ad un passaggio oserei dire ancora più fondamentale per i Radicali. Perché oggi le condizioni del regime sono ben più aggravate, le condizioni personali, nostre, sono diverse. Non siamo forse più in grado di reggere l'urto con il regime. Uno può banalizzare la “peste italiana”, ci sono ancora spazi. Certo tutti possono farsi un partito ma non c'è agibilità democratica e, a ricaduta, non c'è agibilità elettorale.

Siamo dunque ad un passaggio fondamentale della storia del Partito Radicale. Vedete, io ho fatto tutto il percorso in Radicali Italiani, due anni fa ho mandato una lettera al Comitato nazionale, a Rita che era il segretario, con la quale spiegavo le mie scelte che mi apparivano già chiare e la scelta della mia associazione (quella di non essere più un'associazione di R.I., n.d.r.) è precedente perché anch'io credo nelle battaglie sul territorio, credo un po' meno al radicamento dei radicali nel territorio. In quella lettera spiegavo che sono arrivato a Roma come militante ignoto, come radicale ignoto, che è anche il titolo del mio libro e sono contento di aver espropriato Marco di questo termine perché era un grande segnale delle potenzialità, delle ricchezze personali, perché prima di tutto la storia del Partito Radicale è una storia di persone sconosciute in tutta Italia che io ho conosciuto a decine girando l'Italia soprattutto nelle città dove sono presenti associazioni radicali e quindi conosco bene i militanti. Dicevo, sono arrivato a Roma dopo 25 anni da radicale ignoto, ho percorso tutti i passaggi, ho visto come è nato il movimento di Radicali Italiani, fronte italiano costituente il Partito Radicale, ne sono diventato vice presidente, poi presidente del comitato nazionale e questa cosa del “soggetto elettorale” - per chi ha avuto la voglia di leggere i documenti che provenivano dalle associazioni radicali e le prese di posizione dei dirigenti delle più importanti associazioni radicali – era un obiettivo dichiarato. Ho reso pubblico un documento del 2005 di uno dei dirigenti della più grande associazione radicale sul territorio in cui i passaggi, anche statutari, erano già scritti: Radicali Italiani soggetto elettorale, basta con la lista Pannella, Radicali Italiani ne deve diventare il titolare... è tutto scritto. La deriva era evidente, io ho scritto che la metamorfosi di Radicali Italiani era compiuta. Per questo ho abbandonato Radicali Italiani, non mi sono più iscritto ma non ho fatto mancare i soldi del “pacchetto”, non ho sottratto finanziamento al partito. Il mio percorso in Radicali Italiani era finito, quattro anni fa, come quello della mia associazione che rivendica la capacità di fare battaglie radicali e qualche volta di vincerle, anche se durano trent'anni! Si è parlato del caso Bolognetti ma c'è anche il caso di un'associazione, che da 5 anni non è più un'associazione del movimento di Radicali Italiani, che ha un'interlocuzione costante con le istituzioni e con la Giustizia. A proposito di strumenti di democrazia diretta che si vogliono recuperare e rilanciare, ma quanti picchettaggi abbiamo fatto davanti al tribunale di Cremona? In questi ultimi 8 anni ho solo fatto petizioni popolari al sindaco, iniziative popolari. Siamo riusciti a dialogare e a vincere. Qualcuno mi dice: ma come hai vinto contro una multinazionale, li hai costretti a risarcire? Non noi ma i cittadini. L'assegno di 1 milione di euro manco l'ha visto Gino che ha intrapreso l'azione popolare. Adesso qualcuno scopre l'azione popolare, noi l'abbiamo praticata e vinta rischiando tutto, con forze esclusivamente radicali perché il deputato sul territorio era radicale, perché il geologo esperto in bonifiche ambientali è un compagno radicale, perché l'avvocato è diventato radicale da qualche anno. Abbiamo lavorato come una equipe che ha saputo vincere non solo la battaglia politico-istituzionale ma anche la battaglia giudiziaria. Il milione di euro che abbiamo portato a casa Gino, che rischiava tutto perché se perdeva pagava tutte le spese lui, non l'ha neanche visto, è transitato direttamente sul conto corrente del Comune. Venerdì prossimo inizierà il processo d'appello e speriamo che quel milione raddoppi o si triplichi.

Quindi questa questione del “soggetto elettorale” era evidente, si è fatta adesso perché c'era un'emergenza elettorale e non c'era Pannella. Infatti, candidamente, nel comitato nazionale Valerio (il tesoriere di R.I., n.d.r.) l'ha detto: non abbiamo fatto in tempo a cambiare lo statuto ma lo faremo al prossimo congresso. Oltretutto l'agenda politica del regime ha costretto a fare la scelta prima del comitato nazionale che infatti ha dovuto ratificare la scelta della presentazione della lista. Non mi soffermo neanche sulla questione se è una lista elettorale di Radicali Italiani o promossa da Radicali Italiani. La scelta è nel progetto storico di trasformazione di Radicali Italiani che doveva diventare soggetto elettorale perché da lì si apre un percorso. E' una breccia del regime perché come si è aperta la breccia del 5 per mille si apre la breccia del 2 per mille, la breccia della detrazione del 26% e degli sms così facciamo su un po' di soldi. Ecco qual'è il meccanismo che si apre con il soggetto elettorale!

Concludo, torno a casa convinto che non ci devono far paura le divisioni. Ognuno di noi deve avere il proprio ancoraggio, credere in quello che fa. Certo a chi ha vissuto questa storia – per quanto mi riguarda per 44 anni – dispiace molto che ci sia una lista Radicale alle elezioni ammnistrative.Va bene, fatela. Secondo me andrà malissimo. Però legittimamente ci possono essere altri compagni che percorreranno altre strade, che faranno... quello che potranno fare.